All'avvicinarsi della discussione nel Consiglio regionale della mozione sardista sull'indipendenza, la politica sarda sta prendendo le forme di un riccio. Come quell'animaletto, si rinchiude sperando che l'autotreno in arrivo lo manchi, lasciandolo indenne e libero di attraversare l'asfalto, verso una macchia rassicurante. Va, dunque, a merito di Mario Segni aver ricordato (domenica su La Nuova Sardegna) l'immanenza di quel che egli chiama “proposta sciagurata”. A Segni ha risposto ieri, sullo stesso giornale, Paolo Maninchedda, che della mozione è coautore.
Non è mai inutile discutere, ma certo sarebbe defatigante e forse sterile farlo con chi considera “l'unità italiana” non il risultato di un processo, virtuoso o no qui non importa, ma un valore assoluto e categorico, una variabile indipendente dai processi storici (che infatti sono generalmente mistificati). Lo stesso fa il mio amico Gianfranco Sabattini in Democrazia oggi. Anche per lui, questa unità è una categoria valoriale, alla quale si possono sacrificare le ricerche storiche, se queste comportano l'indebolimento di quel valore categorico e la conseguente “disgregazione del Paese”.
Sia Mario Segni sia l'amico Sabattini sembrano ignorare che la crisi dello Stato-nazione non può essere frenata con una mozione degli affetti, con l'iniezione di dosi massicce di “sentimento nazionale” o, peggio, con azioni autoritarie. Fermo restando che questa crisi non solo è salutare ma, in tempi non prevedibili, irrisolvibile, l'unità della Repubblica italiana potrà, non so per quanto tempo ancora, esser salva proprio attraversa quel che prevede la mozione sardista. Una confederazione di regioni o macro regioni che intendano costituirsi in entità sovrane. Maninchedda le chiama stati, io temo il termine per tutto ciò che esso comporta in termini di seduzioni hobbesiane, illuministe, hegeliane, etc etc. Un inutile salto nel passato in cui nacquero gli stati-nazione che sono in crisi (si pensi al Belgio) o la cui crisi è esplosa a volte tragicamente, si pensi alla Serbia. Ma non è questo, oggi, l'oggetto del contendere.
Personalmente ho avuto, e in parte conservo, dubbi che una mozione sia strumento adatto a porre una questione di tanta rilevanza, ma devo riconoscere che il documento sardista ha avuto il pregio di metterla all'ordine del giorno del Consiglio regionale che potrebbe, da ora, trasformarsi in Parlamento.
La proposta del Psd'az è largamente sovrapponibile a quella fatta (ed articolata in proposta di legge) dal Comitato per lo Statuto. Maninchedda continua – chi sa perché? - ad ignorarla, anche elencando i documenti sul piatto, dopo averla sbertucciata come “traccia culturale, con una patina di catalanismo conservatore spruzzata di cossighismo monarchico”. Misteri della politica o della iper considerazione di sé?
Certo è che, questo messo da parte, mi ritrovo in quanto Maninchedda afferma nel suo articolo, quando dice di non credere che il fondamento dell'indipendenza “sia di tipo etnico, perché qualsiasi etnicismo sfocia inevitabilmente in razzismo”. La confusione (non casuale e mai innocente) fra nazione ed etnia, questa spesso presa come sinonimo eufemizzante della prima, ha comportato la confusione fra nazionalismo ed etnicismo, per non pagare il dazio della comprensione dei movimenti di liberazione che sono nazionali e non etnici. Quando le etnie, che pure esistono e svolgono una funzione vivificatrice delle nazioni, si pongono problemi di prevalenza su altre, succedono le pulizie etniche. Le nazioni, “cose” culturali e politiche in quanto difendono la propria lingua e la propria cultura, non danno luogo a conflitti; i conflitti sono sempre fra stati, anche quando erano, nel Medioevo, Comuni, Ducati o altro.
“L’identità” scrive Maninchedda “non è un fatto naturale ma è una decisione politica maturata nel consenso democratico (le lingue nascono e muoiono, naturalmente; noi, politicamente, vogliamo difendere la nostra)”. A parte qualche approssimazione, frutto forse della necessità di sintesi (che vuol dire che l'identità “ è una decisione politica maturata nel consenso democratico”? Boh), il problema è proprio lì, nella politica attiva per difendere e rendere dinamica l'identità: la difesa della lingua – elemento primo dell'identità, ma anche di una nazione e persino di uno stato, indipendente o confederato che sia – è una decisione politica. Il che ha una validità speculare: il giudicare superflua la lingua, e comportarsi di conseguenza, è una decisione politica.
È davvero un peccato che nella mozione sardista, la lingua sarda compaia solo in quanto soggetta alla “spoliazione culturale derivante da una sistema scolastico monolingue, ostile alla cultura e alla lingua dei sardi”. Su questo c'è un largo accordo fra i sardi. Che cosa fare, dunque, per invertire il processo di spoliazione? Non è, cari amici sardisti, che anche voi volete rinviare il processo inverso alla spoliazione al giorno dopo che sarà sorto il sole luminoso dell'indipendenza?
PS - Anche stamattina, La Nuova Sardegna ospita un intervento nel dibattito sull'indipendenza. E' la volta di Arturo Parisi che non aggiunge molto di nuovo, ma lo fa con garbo e, soprattutto, con rispetto nei confronti del Consiglio regionale alle prese con la questione. Da segnalare che Parisi parla di Nazione sarda senza corsivi né virgolette, strumenti usati per segnalare che si parla di una cosa diversa da quel che le parole dicono. Ma al direttore della Nuova mica lo freghi così facilmente, ed ecco, infatti l'occhiello del titolo dato all'intervento: LA «NAZIONE» SARDA. Nazione tra virgolette, come si conviene quando fra gentiluomini si accenna a cose scovenienti. Che tristezza.
5 commenti:
Ieri ho lasciato una replica a Sabattini, pare un filone argomentativo analogo a quello di parlamentari come Guido Melis.
Ho notato anch'io la parvenza di un ossimoro nella replica a Segni di Maninchedda, la "non-identità naturale" ed il "progetto politico condiviso" sono temi che si sono già presentati in diversi nazionalismi nel mondo e rappresentano un tentativo di andare oltre il rischio di derive razzistiche, anche se non reali o fondate. Spesso insomma è solo una posizione destinata "a calmare" la Pubblica Opinione, destinataria del messaggio.
Secondo il politologo Walker Connor, la Nazione (naturale?) sorge nel momento in cui una comunità di soggetti prende autocoscienza sugli elementi endemici al proprio territorio e si batte per tutelarli.
C'è quindi nazionalismo e nazionalismo: c'è quello che si basa solo su un progetto di principi ed interessi economici condivisi (vedere nascita degli USA), come c'è quello che utilizza strumenti pre-esistenti (ed altri), vedere ad esempio la battaglia dei Catalani che usa tanto la lingua quanto una serie di altri elementi, tra cui l'economia. Nel nostro caso esiste la Lingua Sarda. Bisogna capire se il Nazionalismo Sardo vuole seguire "l'irsizzazione" contradditoria della sua battaglia politica (non dando risalto agli elementi propri, o dandoli a quelli fuorvianti, come la bandiera) oppure se intende maturare seriamente e capire che da noi esiste già un valore aggiunto per il nostro nazionalismo che va sfruttato.
La lingua, ad esempio, nella storia del Canada è stata il veicolo principale del potere politico agitato dal Quebec (francofono) nel quadro confederale di Ottawa.
Pensiamo alla nota loi 22 ed alla successiva loi 101. Diversamente, un nazionalismo che non ha solide basi economiche su cui ancorarsi e politicamente tralascia quegli stumenti endemici di forza (come appunto la lingua), rischia di gettarsi da solo nella spirale dell'assimilazionismo verso il centro: perdendo la spinta propulsiva che qualificava il senso della sua stessa esistenza.
In sintesi: se quì si sottovaluta lingua, storia, ma anche la difesa economica..a che ca**o serve l'indipendentismo ai Sardi?
Oppure: in Sardegna il nazionalismo ha capito che in questo contesto sono proprio gli elementi endemici che sopperiscono all'assenza di terzi valori condivisi?
Ho dei forti dubbi che l'identitarismo politico Sardo nella sua interezza abbia chiari i principi che dovrebbero fondare il suo progetto politico. - Bomboi Adriano
Francamente, a me pare che si dà troppa importanza a ciò che pensa Segni, seppure spalleggiato dal suo "compagno di zimino" Parisi (vedere la Nuova di oggi). Ocupparsi di Segni significa perdere il proprio tempo per resuscitare un morto. Si tratta di uno che è vissuto politicamente fuori dell'isola, che dell'isola sa ben poco, che l'isola stessa (Sassari in particolare) ha punito elettoralmente più di una volta. Oggi, politicamente é un signor nessuno.Di lui si dice che aveva vinto il primo premio alla Lotteria di Capodanno e che ha perso il tagliando per strada. Pensa forse di ritrovarlo diventando il portabandiera del partito unionista? Bè, troverà un'agguerrita concorrenza. Io, che ormai ho una certa età, sono stanco di risentire argomenti triti e ritriti, spesso anche risibili, che ciclicamente vengono riportati a galla da un Segni qualsiasi. Parafrasando qualcuno, dico: non ti curar di loro ma guarda e passa. Andiamo avanti, inutile polemizzare con i morti.
Salude e libertade
Però, porca miseria, qui non ritratta di rincorrere un pallone in mutandoni, qui si tratta di un nuovo patto fra i cittadini. Qui tutti hanno il diritto di dire la loro e poiché la ‘agorà’ non è per forza di cose praticabile, lasciamola ai condomini. Chi reputa di avere le carte in regola la vada a raccontare alla popolazione la sua idea di nuovo patto e si faccia eleggere all’assemblea costituente.
Lì si confronteranno i progetti ritenuti migliori dai cittadini. Lì ci sarà lo spazio per tutti gli accordi possibili, alla luce del sole, sotto gli occhi di chi ti ha mandato a prendere posto e a parlare in quell’assemblea. Ci saranno pure, i meccanismi di garanzia per una cosa del genere. Se non sbaglio è già stato fatto, poco più di sessant’anni fa. Le bicamerali, le legislature costituenti, le commissioni ad hoc, puzzano di imbroglio lontano un miglio.
È necessario ripartire da capo. Ci deve essere però il lavoro preventivo. Bisogna andare negli ovili a parlare con i pastori, a esporgli la propria idea di società e sentire cosa ne pensano. Bisogna andare nei posti di lavoro a parlare con donne e uomini, e sentire cosa ne pensano. Bisogna andare negli oratori, se ancora se ne trovano, bisogna andare nelle discoteche (auguri, non per altro, per il frstuono) e parlare con i giovani e sentire cosa ne pensano. Bisogna andare nelle piazze e parlare con i cittadini e sentire cosa ne pensano. Poi si va in assemblea e si raccolgono i frutti.
CI VUOLE UN NUOVO STATUTO, CI VUOLE UN NUOVO PATTO TRA I CITTADINI
@ gianfrancopintore
Però, porca miseria, manca la prima parte. Ecco cosa succede a darsi del 'lei' col computer.
Vediamo di rimediare.
Prima parte:
Nel gran dibattere che si fa sull’Indipendenza, è il Nuovo Statuto che mi preoccupa. Lo Statuto dovrebbe essere il Patto Fondante fra i Cittadini (perdonate tutte queste maiuscole, non ne userò più). Chi lo ha articolato? Chi lo sta articolando? Chi lo discuterà? Chi lo vaglierà? Chi lo approverà? Che rapporto c’è fra tutti questi ‘Chi’ e il popolo sardo? (Ora sono troppi i punti di domanda, vedrò di ridurli all’essenziale).
In Italia siamo famosi, e in questo siamo italianissimi anche in Sardegna, come commissari tecnici della nazionale di calcio. Non passerà molto e sarà sottoposta a referendum la formazione azzurra che dovrà scendere in campo.
Che tristezza!Ho letto i precedenti commenti: il signor Adriano ha ragionissimo quando parla del motivo aggregante della lingua sarda,il signor Maimone "non ti curar di loro ma guarda e passa" a proposito di Segni,il signor Elio quando dice di coinvolgere i pastori,i giovani;è tutto vero ma ho la triste sensazione che alla maggior parte dei sardi,il problema dell'indipendenza non importa.Ho visto alla televisione la protesta dei pastori sardi,mi commuove la loro forza nel combattere;forse se ci fosse l'indipenenza della Sardegna,loro non avrebbero questo problema di sentirsi sfruttati.
Posta un commento