giovedì 3 settembre 2009

Il Corriere s'allea con L'Espresso contro (per ora) il friulano

Dopo il gruppo dell'Espresso, non poteva mancare il concorrente gruppo Corriere della Sera nello sbertucciamento del friulano: "Parlare "furlan" è un fiume di sprechi" annuncia il quotidiano milanese riferendo di una inchiesta del suo settimanale "Io donna". E denuncia come scandalo: "Friuli, si spendono milioni di euro per tradurre Brecht e realizzare il T9 per sms in marilenghe".
Chi vuole leggere gli sproloqui di tali Giulia Calligaro e Raffaele Oriani, lo può fare cliccando qui. Su questo blog e nella mia pagina di facebook, si è aperta una discussione dai toni spesso accesi fra chi, chissà perché, gioirebbe della scomparsa delle lingue minorizzate come il friulano e il sardo e chi naturalmente contrasta questa visione totalitaria e nazionalista. Questo è il segno, credo, che da una parte (diciamo la nostra) si è sottovalutata la virulenza del nazionalismo granditaliano che permea di sé anche la parte colta dell'opinione pubblica italiana, e dall'altra c'è in questi settori l'inconsulto terrore che il multilinguismo possa essere l'anticamera dello sfascio dello Stato.
Mi chiedo, ma si tratta di una domanda evidentemente retorica, su che cosa si fondi la cosiddetta "Unità d'Italia" e il "sentimento nazionale" che si sostiene tanto condiviso, se non sulla voglia di negare, reprimere le diversità pur garantite dalla Costituzione e sul disprezzo delle lingue non italiane parlate nelle nazionalità della Repubblica.

11 commenti:

Roberto Bolognesi ha detto...

Boh? o Gianfra', sar... Visualizza altroà strano ma-sarà che io il Corriere della Sira (mincra in iglesiente: appena inventato da un mio amico) non riesco a prenderlo sul serio-quest'articolo mi ha messo di buon umore. Se il fogllio di carta igienica stampata più prestigioso del reame ha paura delle lingue minoritarie, vuol dire che finalmente siamo diventati pericolosi!
Vuol dire che le Erneste Galline della Loggia P2 comiciano ad avere paura, invece di esibire la loro solita noncuranza.
che Dio ce la mandi bona...e di facili costumi!

Anonimo ha detto...

Caro Zuannefrantziscu,
penso che ci siano altre vie per affrontare la questione, oltre alla Sua, che ho motivo di ritenere troppo politicizzata. E provo a spiegarmi.
Lei parla di un nazionalismo granditaliano, e vi contrappone - almeno ai miei occhi - un nazionalismo piccolosardo. Forse in questo mi sbaglio, ma pochi dubbi avrei sul fatto che la Sua sia una visione politica: la difesa della lingua minoritaria (diciamolo pure: minorizzata) è legata in quest'ottica alla difesa della nazione che la parla (non mi voglio soffermare sulla questione dell'autocoscienza o meno che la nazione avrebbe di sé stessa, se cioè la nazione ci sia o la si voglia costruire, anche attraverso la questione cruciale della lingua).
Del resto, non è un caso che in Italia il problema delle lingue locali sia molto legato alle posizioni della Lega: i politici sanno molto bene che laddove c’è la (auto)percezione di una “lingua” autonoma (così bisogna chiamarla, non “dialetto”, perché il dialetto sta sotto un’altra lingua!) sarà molto più facile alimentare la (auto)percezione di una comunità a sé stante.
Per molti come me, al contrario, la tutela delle cosiddette lingue minoritarie (e ci metto dentro anche il napoletano, il siciliano etc. etc.) è puramente una questione culturale. Il problema non può e non deve essere lasciato in mano di minoranze che lo utilizzano in chiave politica, questo è il punto vero. Perché non è essenzialmente un problema politico.
La stragrande maggioranza degli italiani - penso io - sarebbe favorevole a forme di tutela delle lingue locali: ma ritengo pure che questa stessa stragrande maggioranza sarebbe contraria a strumentalizzare il discorso in chiave politica, utilizzarlo cioè per invocare forme di autonomia più o meno spinta per certe regioni o, più avanti ancora, per alimentare spinte nazionalistiche.
Penso che non siano neppure pochi quelli che - come me - pensano che fare qualche limitato investimento a favore delle lingue minoritarie sia una cosa molto positiva; investire però somme importanti per cose tipo il T9 in friulano (dico a caso), specie in tempi di magra come questi, forse non è il caso. Come non mi sembra il caso di investire fiumi di danaro per l'utopia di portare le lingue regionali al livello della lingua nazionale: è semplicemente impossibile, e non so quanti di noi lo vorrebbero.
Batsumaru

Anonimo ha detto...

Ecco spiegata la causa dell'oceanico debito pubblico! Hai hai…...., Friulani spreconi …......

A quanto pare i pregiudizi non sono solo conseguenza dell'ignoranza, anche la presunzione versa il suo cospicuo tributo.

L'unità d'italia?
È in coma. Viene mantenuta in vita dalla partitocrazia centralista.

Il sentimento nazionale?
Il calcio. Però quello della nazionale. Gli scontri violenti tra le tifoserie delle diverse squadre che competono nei vari campionati, e all'opposto l'affiatamento delle stesse tifoserie quando gioca la “nazionale”.

Per tutto il resto ….................., chi prima arriva meglio alloggia, gli altri si arrangino. Non è giusto ciò che è giusto ma è giusto ciò che mi conviene.

Che cos'è l'italianità se non un “status” giuridico, slegato dagli aspetti culturali e linguistici dei popoli dell'italia?

Marco Pinna

zfrantziscu ha detto...

Caro Batsumaru
intanto grazie per la pacatezza con cui critica il mio articolo. Vorrei rassicurarla sul fatto che io non contrappongo nazionalismo a nazionalismo: l'Ottocento e il Novecento sono stati fin troppo impelagati da scontri fra nazionalismi, con i risultati che conosciamo. "Nazionalismo granditaliano" o grandefrancese, etc, è semplicemente una definizione derivata dalle scienze politiche per definire un nazionalismo totalizzante, che esclude la coesistenza di diverse nazioni all'interno dello stesso stato.
E' vero invece che io ho della politica linguistica una concezione, appunto, politica che non confondo con una concezione partitica. Le questioni della lingua sono maledettamente politiche, perché presuppongono, per esempio, la capacità di scegliere fra la tutela di una lingua e l'accompagnarla ad una morte più o meno dolce. E' quando diventa una questione partitica (di parte, cioè) che i guai sono alle viste.
La nazione sarda c'è proprio in virtù del fatto che ha una lingua e se la lingua non c'è non c'è nazione. Tant'è che in Sardegna, la questione della lingua è in piedi da almeno mezzo secolo prima che la Lega emettesse i primi vagiti. Lo stesso avviene per la questione dei "dialetti". La Lega ha semplicemente capito che si tratta di problemi molto più seri, e sentiti, di quanto le élite giacobine e radical-chic si sforzino di dare a intendere. Secondo Tullio De Mauro, che ne ha scritto su L'Unità, in Italia gli italoparlanti esclusivi sono appena il 40 per cento (a 150 anni dalla cosiddetta "Unità d'Italia); il 60 per cento parla anche una lingua minorizzata o un dialetto.
Anche per ragioni di democrazia quantitativa, dunque, lo Stato (le Regioni, le Province) di questo dovrebbe tener conto. Anche spendendo soldi, come giustamente fa il Friuli e dovrà fare la Sardegna) per rendere informaticamente fruibili le lingue parlate dalla gente.
Anche con il T9 per gli sms, un investimento in democrazia linguistica che altre regioni dell'Europa hanno fatto, senza suscitare alcun problema.

zfrantziscu ha detto...

Robe', grande, vecchio saggio. Forse hai ragione tu. Almeno lo spero

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con Bastumaru. Una lingua non ha nulla a che fare con la politica, finché la si politicizza arbitrariamente, e soprattutto finché si ricoprono d'insulti le persone capaci e motivate, non si potrà mai cavare un ragno dal buco.

Prof. Guido Calcaterra

Anonimo ha detto...

I fatti stanno dimostrando che in Italia la lingua ha a che fare con la politica (e non solo). In Sardegna non possiamo permetterci il lusso di abbassare la guardia sul campo politico in materia più di quanto fatto sin'ora: Il problema è che il nazionalismo Sardo non ha saputo dotarsi efficacemente di una politica compatta a tutela di quello che è un puro e semplice diritto! Tutto il resto finirebbe per portarci lontano. - Bomboi Adriano

p.atzori ha detto...

anch'io come Roberto penso che siamo sulla strada giusta: lo sciovinismo italico che raggiunse il culmine in epoca fascista e che sempre cova sotto sotto, è spalle al muro! E' ora di finirla con lo spirito rinunciatario e dedicarsi a riprendere il cammino che ci indica il buon senso. Prima cosa occorre dare il giusto valore alla nostra lingua, checché ne pensi Galli della Loggia. La sua idea di Italia sta giungendo all'epilogo. Troppo abbiamo investito sull'italianità e troppo abbiamo rinunciato alla sardità. La lingua italiana continueremo a parlarla anche se l'attuale forma dello Stato italiano un giorno verrà meno. Como est pretzisu torrare a chistionare in limba nostra, mancari crebent.

Anonimo ha detto...

La storia di tutti i popoli, anche quello italiano, dimostra che in campo linguistico non è possibile scindere ed estraniare le implicazioni politiche che per forza di cose la lingua si trascina dietro. Ed é proprio per questo che la salvaguardia delle lingue minoritarie, in ogni luogo ed in ogni tempo, é stata e viene aspramente osteggiata, non certo per il suo aspetto culturale. C'é il timore, a mio parere fondato, che la questione sfugga di mano e si entri in campi che si vorrebbe assolutamente evitare, per puro spirito di nazionalismo maggioritario (granditaliano).
B. F.

Anonimo ha detto...

Ho appena letto l'articolo di Espresso e Corsera, e ho riletto invece l'aita aita del Nostro blogger. Allora è facile pensare quel che si vuole, sta di fatto che i Friulani da diversi decenni hanno un'Accademia del loro idioma, hanno un'intelighentzia preparata, delle università che selezionano talenti linguistici (penso a Udine) e non raccomandati e figli di papà. E tutto ciò (che si sappia) pur essendo comprovato che il friulano dal punto di vista strettamente linguistico ha minori prerogative rispetto al calabrese (il cui fruitore non lo fa) a richiedere uno status speciale per il suo idioma. I secoli di vicinanza di Venezia hanno ridotto a poca cosa, a vere e propri isolotti i punti dove si parla l'idioma primigenio: il resto è veneziano in salsa friulana. Quindi invece che fare il solito aita aita, i soliti continentali ce l'hanno con noi, bene sarebbe che i Sardi delegassero a sè stessi la scelta di uno tra i vari dialetti dell'isola, e non a quello squinternato manipolo frankensteiniano, da me tratteggiato, precipitato di borghesotti italiani e sardi con elementi del Lumpenproletariat di provincia. E allora il Corsera inizierebbe a sfotterci, non come ha sempre fatto, ma temendo. Riguardo poi ai giornalisti del Corsera che si lamentano del fatto che l'alto numero di extracomunitari finirebbe per palesare le richieste furlane come un'effrazione alla comunicazione tra le genti, il fine riposto è sempre quello: il suicidio dell'Occidente e delle sue etnie, che avverrà quando l'inglese si sarà affermato. Non manca molto

a.areddu

Anonimo ha detto...

A me sembra che quell'articolo non contenga affatto sproloqui, ma dica le cose come stanno. E ribadisco che per me la lingua non c'entra e non deve avere nulla a che fare con la politica!

Prof. Guido Calcaterra