Vista da qui, dalla nostra Isola, la campagna elettorale appena cominciata presenta una interessante chiarificazione in materia dei futuri rapporti tra il popolo sardo e quello italiano e fra la Nazione sarda e lo Stato italiano. Temo, purtroppo, che, tuttavia, questa chiarificazione a poco servirà alla stragrande parte degli elettori sardi che sono abituati (perché sono stati abituati) a ragionare in termini di schieramento.
Come capitava ai tempi della dominazione spagnola, quando eravamo spinti a parteggiare per questo o quel principe della corte di Madrid, oggi sembra appassionarci più la battaglia di Berlusconi e di Veltroni (e scaramucce collaterali) che il contenuto sardo di quella battaglia. Noi che mettiamo sei ore per andare in treno da Olbia a Cagliari, dovremmo appassionarci delle vicende della Tav subalpina; noi che non abbiamo un chilometro di autostrada dovremmo dividerci fra chi vuole il ponte sullo stretto di Messina e chi non lo vuole. E scegliere su quasta base a chi votare. Una follia.
Mettiamo a parte, per un momento, i programmi elettorali che in qualche modo coinvolgono la Sardegna: una politica di diminuzione delle tasse è cosa che ricade anche su di noi, così come una politica del lavoro assistito o una di liberalizzazione del mercato del lavoro. E pensiamo, per un attimo più lungo (perché qui c'è il nostro futuro come popolo) alla filosofia dei due grandi schieramenti, al loro concetto dei rapporti tra Regione sarda e Stato italiano, componenti equiordinate della Repubblica italiana. Equiordinate, e cioè messi sullo stesso piano di dignità istituzionali, li prevede il Titolo V della Costituzione.
La lista dei provvedimenti del governo Prodi e dei disegni del Partito democratico, gli uni e gli altri tesi a rompere quell'equiordinamento e a stabilire una subalternità della Regione sarda allo Stato italiano è molto lunga e inquietante.
Cominciamo dall'ultimo provvedimento, reso noto in queste ore: quello con cui Prodi sospende i poteri del Parlamento sardo, della Giunta e del suo presidente sull'Isola sarda della Maddalena. Guido Bertolaso avrà, in vista del G8 dell'anno venturo, i poteri di un governatore in colonia. Potrà sospendere sull'Isola le leggi del Parlamento sardo, derogare dalle norme urbanistiche, e così via. Questa decisione sarebbe di una insultante gravità in sé e per sé, ma il fatto è che essa segue la bocciatura della legge del Parlamento sardo che introduce il concetto di "sovranità del popolo sardo" e quella che norma la cosiddetta tassa sul lusso. Entrambe leggi che presentano deficit di cultura politica, è vero, ma leggi approvate dal Parlamento eletto dal popolo sardo che, solo, un domani dovrebbe poter modificare o abrogare.
Incidenti? Mattane di funzionari malati di giacobinismo (se mai sapessero che cosa significa), incautamente adottate dalla politica? Difficile crederlo perché sangue e carne della filosofia che li sottendono. Qualche giorno fa, Luciano Violante, con la supponenza di chi si sente in graziosa visita ai sudditi, è venuto nel Parlamento sardo non a sentire di che cosa i sardi hanno bisogno ma a dire di che cosa i sardi hanno bisogno. Certo non di una "micro-costituzione", certo non di "un nuovo statuto" che è "più una necessità delle forze politiche che dei cittadini". Come dire che in colonia i politici locali si possono anche trastullare con disegni di riforma, ma quando alla plebe passi pane e mortaledda, basta e avanza.
Violante viene a dire queste sciocchezze a un Parlamento che, fra mille contraddizioni, timori, reticenze (le quali comunque sono cose che riguardano noi sardi), da anni discute come cambiare il vecchio Statuto per farne uno nuovo. Un difetto di carattere? Magari.
Il suo capo, Walter Veltroni, non è da meno con i suoi appelli granditaliani e con la condanna dell'unico fatto politico di grande rilevanza in direzione del federalismo (parlo della forma, non della sostanza che ancora non si conosce): la partecipazione al voto di una formazione nordista e di una meridionale. Dietro questa condanna non c'è una legittima e forte critica ad uno schieramento avversario: c'è l'avversione a forme sostanziali e visibili di federalismo. È la prosecuzione della battaglia, scatenata e vinta, dal centro-sinistra contro la pur timidissima riforma federalista della Costituzione, bollata come anticamera della dissoluzione dell'unità della Repubblica. I provvedimenti del governo Prodi, i pronunciamenti di Violante e di Veltroni, insomma, sono dentro la concezione giacobina, centralista, anti federalista e, in definitiva, antiautonomista del Partito democratico.
Che cosa ci sia nell'altra parte, il centrodestra, su queste questioni, al momento è difficile dire. Solo so che ha approvato una riforma della Costituzione in direzione di un timido federalismo, non tanto timido, però, da scansare l'accusa di attentato all'unità della Repubblica da parte del centro sinistra. E so che, qui in Sardegna, il centrodestra ha fatto propria, difeso nel nostro Parlamento ed è pronta a difendere nel Parlamento italiano, la proposta di iniziativa popolare di una Costituzione sarda. Una Costituzione che dispiacerà moltissimo ai Violante e soci e che al primo suo articolo dice:
"Il popolo sardo, il territorio della Sardegna e delle sue isole, il mare e il cielo territoriale, l'ambiente, la lingua, la cultura e l'eredita_ culturale, materiale ed immateriale, della Sardegna costituiscono la Nazione sarda.
"In quanto Nazione, la Sardegna esercita il proprio autogoverno costituendosi in Regione autonoma speciale, in armonia con la Costituzione repubblicana e con la presente Carta fondamentale, e nel rispetto dei principi che si ispirano alla convivenza fra i popoli dell'Unione europea.
"I poteri della Regione autonoma derivano dal popolo sardo e sono esercitati nel rispetto dello Costituzione sarda e dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana, in armonia con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo."
Se poi, noi sardi vogliamo continuare a dividerci non sui nostri interessi, ma su quelli dei principi alla Corte di Madrid, questa è l'occasione giusta.
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