giovedì 24 novembre 2011

Coesione territoriale per forza

Sono impaziente di leggere la raccolta di scritti di Giorgio Napolitano che uscirà presto col titolo “Una e indivisibile”. Non perché pensi di trovarci delle novità rispetto a quanto già abbia letto in merito al suo pensiero nazionalista granditaliano. Ma credo interessante seguirlo nella sua evoluzione sempre più radicalmente giacobina mano a mano che gli sviluppi della politica italiana danno conto della fragilità della cosiddetta coesione territoriale. O sentimento nazionale, se si preferisce.
Ha tanta urgenza nel negare tale fragilità (evidente al di là della teoria e della prassi leghiste) che ha sentito il bisogno di indurre Mario Monti a creare un ministero – sia pure senza portafogli – per “la coesione territoriale”. È pur vero che anche nel precedente governo esisteva un simile ministero, retto da Raffaele Fitto, ma il titolo principale del ministero era “Rapporti con le Regioni”. Quello di Fabrizio Barca è invece solo per “la coesione territoriale”, come dire ministero alla coda di paglia.
Giorgio Napolitano fa naturalmente il suo mestiere di garante dell'unità italiana e sarebbe da stolti criticarlo perché lo fa e perché ci si applica con una passione straordinaria, tanto estrema da tradire, a volte, la logica e la conoscenza della storia che nel capo dello Stato non è poca.
Il fatto è che egli ha consapevolezza che il cemento della cosiddetta unità nazionale è meno solido di quanto il giacobinismo italiano contrabbandi, sfottendo, per esempio, i neoborbonici da una parte e i leghisti dall'altra o il fiorire di piccoli partiti e movimenti meridionali. Succede in Italia quel che sta capitando altrove nell'Europa degli stati-nazione, particolarmente in Belgio e in Spagna. In Belgio, senza governo da oltre 520 giorni, l'ultimo “esploratore”, incaricato di mettere d'accordo fiamminghi e valloni, ha mollato. Elio Di Rupo, figlio di un minatore abruzzese, aveva stretto un accordo per un governo inter*nazionale con frange minoritarie di valloni, fiamminghi e rappresentanti di Bruxelles. Ma l'accordo non ha retto e la separazione delle tre entità appiccicate fra loro per formare lo Stato belga pare sempre più vicina.
Così come più vicina appare la dissoluzione della monarchia spagnola: due nazioni, Paese Basco e Catalogna, si mostrano sempre più insofferenti dei legami dettati dallo Stato nazione. Indipendentisti e sovranisti baschi, Amaiur e Pnb, avrebbero la maggioranza assoluta nel Parlamento nazionale, se per esso si fosse votato domenica. Ed anche per questo che si sta sviluppando in Euskadi una forte richiesta di elezioni autonomiche anticipate. Insieme alla maggioranza assoluta ci sarebbe la certezza di vincere il referendum di autodeterminazione voluto dai due partiti. Anche in Catalogna c'è stato un cambiamento a favore dei sovranisti che hanno sopravvanzato, ed è la prima volta, sia i socialisti sia i popolari, i partiti costituzionali, come essi si definiscono.
Il fatto è che né fiamminghi, né valloni, né catalani, né baschi sentono come tragedia incombente la loro separazione da stati che non sentono loro; né più né meno di come, credo, non la considererebbero centinaia di migliaia di sardi. E i padani che, malgrado gli anatema, esistono dal momento che vogliono esistere.

3 commenti:

francu ha detto...

Caro GFP,
ti chiedo di lasciar tranquillo il presidente Napolitano, dato che, da uomo evangelicamente giusto, pecca sette volte al giorno, mentre tu ed io, che siamo giusti al quadrato, pecchiamo 49 volte nei giorni feriali,qualcosa di meno in quelli festivi, ma solo per via dell'indolenza.
Tu metti insieme, nello stesso ragionamento, le nazioni belghe, spagnole e italiane, facendone derivare una propensione centrifuga comune che mi pare quanto meno azzardata.
Sai bene che lo Stato belga, lo Stato spagnolo e quello italiano hanno avuto genesi molto differenti, tanto che storicamente potremmo dire che sono agli antipodi.
Se infatti la Castiglia è diventato Stato Spagnolo, sovrapponendosi alle identità nazionali catalana e basca, in Italia è stato il Regno Sardo (o sardo-piemontese, se vuoi) a sovrapporsi alle entità statuali preesistenti, anche e soprattutto con le convincenti ragioni delle armi.
La Sardegna non è stata presa d'assalto dai Mille di Garibaldi, come è successo alla Sicilia, alla Calabria, ecc. ecc.
Oltre a queste considerazioni sul pregresso, che valgono sempre meno ma sono verità toste come nuraghi al sole, dobbiamo pensare al peso che hanno avuto i Sardi nella storia della Repubblica, visto che 2 sui 10 presidenti sono stati sardi, più d'una volta il capo del governo è stato un sardo. E questo vale anche per le altre cariche politiche e amministrative.
Ti risulta, ad esempio, che un Basco sia stato a capo di un governo spagnolo? O che abbia la possibilità anche minima di diventarlo?
Sono elementi non di poco conto, da tenere nella debita considerazione.
Il parallelo poi tra le "centianaia di migliaia" di sardi che vorrebbero l'indipendenza, ma che poi si oggettivano alle elezioni con delle ridicole percentuali dell'uno virgola qualcosa per cento e il 33% dei catalani indipendentisti o gli 11 su 18 dei baschi, non ci fanno ridere, ma piuttosto incupire, perché esistono solo nella nostra testa che, forse perché tanto massiccia, riesce a produrre quei numeri fantastici.
Ci illudiamo di essere spigole e triglie in una cesta di pesce vario, quando siamo destinati a un "fritto misto" a cui accenna appunto il presidente Napolitano.

Roberto Bolognesi ha detto...

Fracu si ndi scadescit de una cosa, ma custa cosa est cussa chi aunit is tres situatzionis pintadas de GF: su fatu ca, oi-in-di, Spannia, Belgiu e Italia, fatus a economias, non tenint prus nudda--o casi nudda--de donai a Bascus, Catalanus, Framingus e Sardus. Ma cali fritto misto? Pane e acqua!

bentuesusu ha detto...

L'unica cosa che i sardi dovrebbero fare è prendere coscenza di essere un popolo ben distinto dall'italia e di essere gia una nazione.
Le prerogative per una contrattazione alla pari con tutte le nazioni europee e con il resto del mondo, sono date solo se si ha una coscenza nazionale, unica e distinta, capire le priorità di una isola con le sue pecularietà e geografia territoriale.
Dobbiamo smetterla di pagare dazio a una storia nazionale che in realtà non ci appartiene, frutto di interessi coloniali storici e ben precisi che sono sempre andate a discapito della nostra terra e del nostro popolo.
È lampante oramai a tutti che la regione sardegna è assolutamente "scarnificata" dei suoi leggittimi diritti, quali sono i diritti rappresentavi e leggittimi di un popolo alla sua sopravvivenza.
Ancora oggi paghiamo dazio alla classe politica italiana come una colonia di mettà ottocento, in quanto ben sappiamo che per interesse nazionale prettamente e imperativo italiano ai sardi viene precclusa la sua originalità, le viene tolta la parola, diventa popolo muto, a casa sua, confinato, però speciale.
Ecco che una definizione politica della sardegna attuale risiede in due parole, confinata speciale, terribile realtà.
È chiaro oramai a tutti che l'indipendenza assoluta dalla malattia del colonialismo si ha riscattando l'orgoglio nazionale sardo, portato alla pari non solo con la nazione italiana ma con tutto il consesso europeo e mondiale, quindi universale.
Pari tra i pari unici con gli unici.
Insomma, essere semplicemente sardi!
Gianni Canu