“Non che continuare a battere sulla questione che sia stata la “Sardegna istituzionale” a “conquistare tutta l’Italia” ci faccia apparire meno coglioni autocolonizzati e sottomessi...” è il commento di Pietro Murru all'articolo di Francesco Cesare Casula.
Come darli torto? C'è nel commento una visione cupa e pessimista dello stato delle cose e una sorta di contemplativa rassegnazione davanti a una autodisistima (ma non è una pandemia, caro Murru) che colpisce moltissimi sardi. Personalmente sono assai meno pessimista, ma non riesco a non essere preoccupato per questa disistima. Cerco così di rintracciane alcune ragioni. La prima e più ovvia, pensando che l'uomo è anche quel che sa, è che a battere sulla questione posta da Casula sono in pochissimi e inascoltati. Ciò significa una cosa: l'autostima non può essere alimentata dalla conoscenza del ruolo che storicamente ha avuto la Sardegna.
Per un romanzo che conto di infliggere ai miei 24 lettori (25 li aveva un collega famoso anche per la bizzarra abitudine di sciacquare i panni in Arno) sto rileggendo la vulgata risorgimentale e leggendo documenti autentici di cui ignoravo l'esistenza. Ho lasciato da parte i libri scolastici grondanti enfasi e retorica davvero insultanti e sto leggendo testi meno agiografici. Per esempio quella “Storia di Italia” di Montanelli che vendette centinaia di migliaia di copie insieme al giornale cui fu allegato. Il Regno di Sardegna vi compare di sghimbescio e al suo posto compare il Piemonte. “Il Piemonte si era impegnato...”, “Una richiesta di annessione al Piemonte...”, etc, quando nei documenti diplomatici si parla di Sardegna.
Parlando degli accordi di Plombières fra Cavour e Napoleone, scrive, per esempio: “Insieme al Piemonte, la Lombardia, il Veneto, le Legazioni e le Romagne avrebbero formato un unico Stato sotto la corona dei Savoia”. Nella lettera che Cavour scrisse al Re dopo aver sottoscritto quegli accordi, non si parla mai di Piemonte, ma solo ed unicamente di Sardegna, che era il nome dello Stato. “Incominciò (l'Imperatore, ndr) col dire che era deciso di aiutare la Sardegna con tutte le sue forze in una guerra contro l'Austria”, “... anche per reclamare l'annessione di quei Ducati alla Sardegna”, “La Francia fornirebbe 200.000 uomini; la Sardegna e le altre province d'Italia gli altri 100.000”, del Piemonte si parla solo come entità geografica non come Stato.
Se i nostri ragazzi a scuola, e i più grandi nelle letture più impegnative, non sanno alcunché del ruolo della Sardegna (dal 1324 secondo il professor Casula e il Diritto) nella costruzione dello Stato chiamato Italia da 148 anni, quale stima basata sulla conoscenza possono coltivare? Se persino un ex ministro colto come Padoa Schioppa cancella il Regno di Sardegna, facendo “nascere” lo Stato nel 1861 (quelle betise! hai ragione Cesare), dove può albergare la conoscenza della storia che in tutti i popoli è la condizione dell'autostima? Pensi, caro Murru, a quale potenza dirompente di cancellazione dell'identità ebbe la derisione dei nuraghi implicita nell'editto delle chiudende. “Quel mucchio di pietre” servì a costituire la propietà perfetta delle “tancas serradas a muru”.
L'operazione tesa a cancellare la memoria del nuragismo è riuscita solo molto parzialmente, grazie a importanti nuove conoscenze, fra cui quelle introdotte a partire dalle opere di Lilliu fino a quelle di Gigi Sanna. Anche la folclorizzazione della lingua sarda e della cultura sarda è riuscita non del tutto. Non è un caso, credo, che l'autostima cresca e si affermi in questi due domini. Nella conoscenza della storia moderna e contemporanea siamo messi male: da lì vengono solo impulsi alla disistima del nostro essere sardi e una sorta di rassegnazione al non contare un tubo, a essere cioè colonizzati senza rimedio.
Ma il rimedio c'è, io credo, anche se non di immediata attuazione. Non rassegnarsi e batterci con tutte le nostre forze perché la scuola formi cittadini e non coloni. Parte dei nostri contemporanei continueranno a sentirsi “coglioni autocolonizzati e sottomessi”, ma figli e nipoti no. È una lotta quasi disperata, visto che il complesso politico e culturale intende insistere con il “Grande inganno” su cui sta per uscire un libro di Francesco Cesare Casula. Ma è l'unica cosa che l'ottimismo della volontà ci spinge a fare.
2 commenti:
Purtroppo, e dico purtroppo, la volontaria amnesia del Montanelli fu certamente spinta dalla consapevolezza che fu il Piemonte ad avere il coltello dalla parte del manico e di Sardo nelle istituzioni c'era solo il nome...- Bomboi Adriano
Caro sig. Pintore,
ha presente quelle frasi che si buttano così a chiudere la chiacchierata davanti alla macchinetta del caffè, quelle frasi che cominciano mentre la tazzina sta volando dentro al cestino della spazzatura e finiscono mentre si sta lasciando la compagnia e si sta già pensando ad altro, quelle frasi che evaporano presto, un po’ da feticisti dell’ultima parola, della chiosa provocatoria... con questo spirito ho lasciato il mio commento all’articolo del prof. Casula, lei ci ha visto una “visione cupa e pessimista dello stato delle cose e una sorta di contemplativa rassegnazione davanti a una autodisistima”. Circa una certa “visione cupa e pessimista dello stato delle cose” ho lasciato un commento al suo articolo Tira brutta aria intorno alla lingua sarda, e riguarda la sensazione che noi sardi si stia nuovamente sbagliando bersaglio, sensazione che ho certamente avuto stamattina nel leggere lo scritto del professore: senza voler togliere nulla all’importanza di restituire alla storiografia il reale ruolo che la Sardegna, istituzionale e non, ebbe nella nascita dello stato italiano, mi sembra che, in tempi in cui a nessuno importa più un fico secco nemmeno dell’Italia, figuriamoci del Regno di Sardegna, sia sostanzialmente questione di puntiglio da dibattito alto tra studiosi. Circa la “contemplativa rassegnazione davanti a una autodisistima”, più che altro ero divertito dal leggere, nel breve giro di qualche frase, “Il 17 marzo 1861 la Sardegna istituzionale finì di conquistare tutta l’Italia” e poi “siamo una massa di coglioni autocolonizzati e sottomessi”, due frasi che messe insieme sono straordinariamente potenti e suonano un po’ come una beffa. Per il resto sono sostanzialmente d’accordo con lei.
PS
Nel mondo della filatelia i francobolli emessi dal Regno di Sardegna vanno sotto la voce Sardegna, nessuno si sogna di cambiare il nome di quel regno in Piemonte, non esiste ambiguità. Questo perché per un filatelico soltanto i bolli, i documenti, hanno importanza nella storia postale. Occorrerà pure chiedersi perché questa ambiguità nasca in altri campi della storiografia, senza pensare necessariamente che il motivo sia il fatto che vogliano deliberatamente ignorarci o sminuirci.
Pietro Murru
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