di Luca Campanotto
Habent sua sidera lites; non possono tuttavia sottacersi le numerose e gravi perplessità sollevate dalla Sentenza della Corte Costituzionale dd. 10 Febbraio 2009 - 18 Maggio 2009 - 22 Maggio 2009 n. 159, che ha definitivamente accolto quasi tutti i rilievi governativi formulati con l’impugnazione di alcuni commi della L. R. 29/07 della Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia, sulla lingua friulana (ricorso n. 18/08).
Sin d’ora chi scrive non nasconde certo tutta la sua delusione e preoccupazione. Sono letteralmente sconvolto. La Provvidenza ci ha tuttavia imposto quest’ardua prova affinché si possano approfondire e diffondere ulteriormente le ragioni fondanti l’identità linguistica e culturale di questa Regione Autonoma. Lo scatenarsi di certe opposizioni e resistenze è la più sicura conferma che il Friuli, finalmente, sta iniziando a fare sistema e si sta muovendo sulla strada giusta. Questi giorni entreranno sicuramente nella nostra storia.
Le peculiarità di una sentenza per nulla scontata e gravemente problematica.
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domenica 31 maggio 2009
venerdì 29 maggio 2009
A studiare l'epigrafia nuragica si scopre...
di Piero Zenoni
Continua con successo ad Oristano il corso di epigrafia nuragica tenuto dal professor Gigi Sanna. Nella seconda lezione, l’attenzione è subito rivolta all'analisi di alcuni riferimenti bibliografici che riportano ai secoli passati, quando si hanno le prime testimonianze di scritture o iscrizioni non interpretabili.
Scopriamo così che alcuni importanti studiosi avevano dato notizia di ritrovamenti di scritture non riconducibili agli alfabeti allora conosciuti. In particolare Zonchello S. A., nel suo "Il culto fallico in Sardegna e presso altri popoli della terra", ci da notizia del ritrovamento, presso il nuraghe Corbos (Silanus) di iscrizioni con segni definiti "geroglifici/punici" non traducibili. Anche il compianto prof. Sardella nel suo "Il sistema linguistico della civiltà Nuragica" ci da notizia che Erdas, nel suo libro "Sardigna"riferiva del rinvenimento presso il nuraghe Losa di analoghe iscrizioni (che il Sardella riconduceva ad un sistema cuneiforme).
Il Casalis (o meglio Angius che riporta la testimonianza) ci informa del ritrovamento , nei pressi di Nuralao, di un documento inciso su pietra con iscrizioni che nessuno dei "letterati" di allora fu in grado di tradurre.
Il panorama quindi si amplia; altri ricercatori e studiosi avevano evidentemente "intuito", nei secoli precedenti, la presenza di forme di scrittura non riconducibili al fenicio o latino, ma queste note in un modo o nell' altro furono lasciate cadere e non sufficientemente approfondite.
Ciò che emerge, quindi, è la scarsa conoscenza degli alfabeti pre-fenici ( es protosinaitico e paleocananeo) di molti archeologi, che privati di importanti strumenti di interpretazione, hanno avuto ed hanno tuttora difficoltà a riconoscere questi simboli come forme di scrittura.
Il ritrovamento delle cosiddette tavole di bronzo di Tzricotu ha in qualche modo rilanciato e legittimato nuove ricerche e approfondimenti sulla scrittura nuragica.
Molto interessante l’identificazione del simbolo "classico" fenicio-punico della Tanit come nuragico o, comunque fenicio arcaico. Rimarcando che proprio la presenza del simbolo della Tanit può aver spinto gli archeologi ad identificare frettolosamente i reperti come "Fenici".
Il coccio di Orani poi, che riporta segni simili a quelli della stele di Nora, fu prima ritenuto un falso, più per l’assioma "non può essere nuragico perché i nuragici non scrivevano" che per studi precisi, è ora riconosciuto ormai come autentico.
Il cosiddetto "brassard" di Is locci Santus, dove la presenza di alcuni segni simili ai numeri romani ha fatto prima pensare ad un reperto romano, è stato poi ricondotto addirittura al 13°- 14° secolo A.c. Esso riporta inciso inconfutabilmente un sistema di scrittura di rara bellezza e assoluta originalità. Da notare che il toro sulla lamina (facilmente riconoscibile dalle corna), venne addirittura interpretato come .... una pecora!!
Veramente bellissimo è il cosiddetto anello-sigillo di Pallosu (San Vero Milis), capolavoro con incisi ben 36 caratteri, esempio incredibile di microscrittura. Da questo importante ritrovamento, si deduce che i nuragici usassero sigillare e che quindi, verosimilmente, si scambiassero anche delle missive. Da questo anello inoltre, si deduce l' eccezionale capacità artistica di questo popolo, capace di scolpire statue "giganti" come quelle di Monti Prama come di lavorare o incidere i metalli con precisione assoluta.
Da segnalare anche il concio della chiesa Bosa, con la presenza di decorazioni a triangoli a vertici contrapposti, tipici della cultura nuragica, e il misterioso uccello in primo piano.
Una nota particolare merita il cosiddetto sigillo fittile di S. Imberia di Alghero, che un importante studioso definì "un manufatto nuragico ad imitazione di quelli orientali, ed infatti i segni grafici paiono lettere alfabetiche fraintese ". Fraintese ? E se fossero proprio così?
Ora aspettiamo con impazienza l’analisi particolareggiata dei reperti.
Un’ultima cosa denunciamo per il suo evidente interesse: i professori Zucca e Pettinato diedero notizia, tempo fa, del ritrovamento, a Villanovafranca, di un frammento in ceramica con segni cuneiformi.
Che fine ha fatto questo reperto? Sembra che nessuno sappia dare più informazioni a riguardo.
Continua con successo ad Oristano il corso di epigrafia nuragica tenuto dal professor Gigi Sanna. Nella seconda lezione, l’attenzione è subito rivolta all'analisi di alcuni riferimenti bibliografici che riportano ai secoli passati, quando si hanno le prime testimonianze di scritture o iscrizioni non interpretabili.
Scopriamo così che alcuni importanti studiosi avevano dato notizia di ritrovamenti di scritture non riconducibili agli alfabeti allora conosciuti. In particolare Zonchello S. A., nel suo "Il culto fallico in Sardegna e presso altri popoli della terra", ci da notizia del ritrovamento, presso il nuraghe Corbos (Silanus) di iscrizioni con segni definiti "geroglifici/punici" non traducibili. Anche il compianto prof. Sardella nel suo "Il sistema linguistico della civiltà Nuragica" ci da notizia che Erdas, nel suo libro "Sardigna"riferiva del rinvenimento presso il nuraghe Losa di analoghe iscrizioni (che il Sardella riconduceva ad un sistema cuneiforme).
Il Casalis (o meglio Angius che riporta la testimonianza) ci informa del ritrovamento , nei pressi di Nuralao, di un documento inciso su pietra con iscrizioni che nessuno dei "letterati" di allora fu in grado di tradurre.
Il panorama quindi si amplia; altri ricercatori e studiosi avevano evidentemente "intuito", nei secoli precedenti, la presenza di forme di scrittura non riconducibili al fenicio o latino, ma queste note in un modo o nell' altro furono lasciate cadere e non sufficientemente approfondite.
Ciò che emerge, quindi, è la scarsa conoscenza degli alfabeti pre-fenici ( es protosinaitico e paleocananeo) di molti archeologi, che privati di importanti strumenti di interpretazione, hanno avuto ed hanno tuttora difficoltà a riconoscere questi simboli come forme di scrittura.
Il ritrovamento delle cosiddette tavole di bronzo di Tzricotu ha in qualche modo rilanciato e legittimato nuove ricerche e approfondimenti sulla scrittura nuragica.
Molto interessante l’identificazione del simbolo "classico" fenicio-punico della Tanit come nuragico o, comunque fenicio arcaico. Rimarcando che proprio la presenza del simbolo della Tanit può aver spinto gli archeologi ad identificare frettolosamente i reperti come "Fenici".
Il coccio di Orani poi, che riporta segni simili a quelli della stele di Nora, fu prima ritenuto un falso, più per l’assioma "non può essere nuragico perché i nuragici non scrivevano" che per studi precisi, è ora riconosciuto ormai come autentico.
Il cosiddetto "brassard" di Is locci Santus, dove la presenza di alcuni segni simili ai numeri romani ha fatto prima pensare ad un reperto romano, è stato poi ricondotto addirittura al 13°- 14° secolo A.c. Esso riporta inciso inconfutabilmente un sistema di scrittura di rara bellezza e assoluta originalità. Da notare che il toro sulla lamina (facilmente riconoscibile dalle corna), venne addirittura interpretato come .... una pecora!!
Veramente bellissimo è il cosiddetto anello-sigillo di Pallosu (San Vero Milis), capolavoro con incisi ben 36 caratteri, esempio incredibile di microscrittura. Da questo importante ritrovamento, si deduce che i nuragici usassero sigillare e che quindi, verosimilmente, si scambiassero anche delle missive. Da questo anello inoltre, si deduce l' eccezionale capacità artistica di questo popolo, capace di scolpire statue "giganti" come quelle di Monti Prama come di lavorare o incidere i metalli con precisione assoluta.
Da segnalare anche il concio della chiesa Bosa, con la presenza di decorazioni a triangoli a vertici contrapposti, tipici della cultura nuragica, e il misterioso uccello in primo piano.
Una nota particolare merita il cosiddetto sigillo fittile di S. Imberia di Alghero, che un importante studioso definì "un manufatto nuragico ad imitazione di quelli orientali, ed infatti i segni grafici paiono lettere alfabetiche fraintese ". Fraintese ? E se fossero proprio così?
Ora aspettiamo con impazienza l’analisi particolareggiata dei reperti.
Un’ultima cosa denunciamo per il suo evidente interesse: i professori Zucca e Pettinato diedero notizia, tempo fa, del ritrovamento, a Villanovafranca, di un frammento in ceramica con segni cuneiformi.
Che fine ha fatto questo reperto? Sembra che nessuno sappia dare più informazioni a riguardo.
Nella foto: il sigillo di Su Pallosu
mercoledì 27 maggio 2009
Lettere della scrittura nuragica nei segni alzheimeriani
di Maria Rita Piras (*)
Mi chiedevo se anche la nostra antica civiltà nuragica avesse elaborato una cultura materiale in cui si potessero ritrovare simboli archetipici, sistemi di scrittura che esprimessero i contenuti del pensiero dei nostri antichi progenitori e la conferma l’ho avuta con la pubblicazione di “Sardôa Grammata” di Gigi Sanna, in cui l’autore individua la scrittura sacra del popolo dei costruttori dei nuraghi. Sorprendentemente molti segni del Sardo nuragico erano condivisi dalla “scrittura arcaica” dei miei pazienti, i cui segni non sembravano anarchiche e casuali produzioni di un cervello ormai demolito dalla malattia, ma “archetipi”, simboli ancestrali di una mente che opera a livello primordiale. I segni alzheimeriani hanno in sé caratteristiche di universalità che li accomuna agli alfabeti più arcaici, espressione di una mente primordiale che opera con elementi e simboli prototipici da cui verranno generate immagini e rappresentazioni più elaborate e complesse. Nulla più della scrittura è in grado di rappresentare l’organizzazione della mente assieme all’espressione artistica riscontrabile nelle diverse forme di cultura materiale: i simboli grafici e le produzioni artistiche sono l’impronta che il cervello lascia sulla materia e la loro comprensione rappresenta uno strumento, una finestra aperta verso l’evoluzione della mente.
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Mi chiedevo se anche la nostra antica civiltà nuragica avesse elaborato una cultura materiale in cui si potessero ritrovare simboli archetipici, sistemi di scrittura che esprimessero i contenuti del pensiero dei nostri antichi progenitori e la conferma l’ho avuta con la pubblicazione di “Sardôa Grammata” di Gigi Sanna, in cui l’autore individua la scrittura sacra del popolo dei costruttori dei nuraghi. Sorprendentemente molti segni del Sardo nuragico erano condivisi dalla “scrittura arcaica” dei miei pazienti, i cui segni non sembravano anarchiche e casuali produzioni di un cervello ormai demolito dalla malattia, ma “archetipi”, simboli ancestrali di una mente che opera a livello primordiale. I segni alzheimeriani hanno in sé caratteristiche di universalità che li accomuna agli alfabeti più arcaici, espressione di una mente primordiale che opera con elementi e simboli prototipici da cui verranno generate immagini e rappresentazioni più elaborate e complesse. Nulla più della scrittura è in grado di rappresentare l’organizzazione della mente assieme all’espressione artistica riscontrabile nelle diverse forme di cultura materiale: i simboli grafici e le produzioni artistiche sono l’impronta che il cervello lascia sulla materia e la loro comprensione rappresenta uno strumento, una finestra aperta verso l’evoluzione della mente.
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(*) Maris Rita Piras è responsabile del Laboratorio di Neuropsicologia e Ambulatorio per le Demenze, nella Clinica Neurologica Azienda Ospedaliero-Universitaria di Sassari. Di queste cose ha parlato alla inaugurazione del corso di epigrafia nuragica tenuto ad Oristano dal prof. Gigi Sanna
martedì 26 maggio 2009
Etrusco: tutto è leggibile
di Herbert Sauren
Ho letto negli ultimi tempi recenti iscrizioni etrusche, ma non voglio mettere i miei risultati su questo blog per testi pubblicati da Massimo Pittau per rispetto, e invio un altro testo, quello dello specchio della Toscana, le cui immagini si trovano anche in internet.
La trascrizione generalmente accettata da chi si occupa di iscrizioni etrusche ignora le lettere conosciute negli antichi alfabeti come quello di Byblos, del vecchio arabo, dallo Yemen fino a Damasco, e le iscrizioni iberiche. Se gli scriba del periodo recente utilizzano antiche lettere, che sono presenti anche nei testi etruschi più antichi, è perché di regola la parola proviene dalle lingue semitiche. Esiste una abitudine ortografica tradizionale, che non cambia tanto facilmente le lettere.
Ci sono 5/7 lettere, la cui trascrizione etrusca è falsa.
1 : , ğ / g, ج, ג, no : p. 2 : , h$, ح, ח, no : V. 3 : , h, خ, ח, a volte anche E. 4. : , h, ه, ה, no X. 5 : 8, l, no F. 6 : , t, ت, ת, non X e diverso da 4 per via della gamba invertita più lunga. 7 : Θ , Th, serve per il fonema greco theta, per la dentale enfatica, t,, ط, tha, ט, thet, per la dentale assibilata, t, ث, thé, e per altre sibilanti.
Dopo correzione della translitterazione e consultando i dizionari d’arabo, che includono il linguaggio popolare, e il dizionario semitico nordoccidentale, non restano se no le parole derivate dal latino, dal greco e raramente altre lingue indoeuropee. Vorrei dire che i testi etruschi sono decifrati, completamente leggibili e comprensibili.
Leggi tutto (in francese)
Ho letto negli ultimi tempi recenti iscrizioni etrusche, ma non voglio mettere i miei risultati su questo blog per testi pubblicati da Massimo Pittau per rispetto, e invio un altro testo, quello dello specchio della Toscana, le cui immagini si trovano anche in internet.
La trascrizione generalmente accettata da chi si occupa di iscrizioni etrusche ignora le lettere conosciute negli antichi alfabeti come quello di Byblos, del vecchio arabo, dallo Yemen fino a Damasco, e le iscrizioni iberiche. Se gli scriba del periodo recente utilizzano antiche lettere, che sono presenti anche nei testi etruschi più antichi, è perché di regola la parola proviene dalle lingue semitiche. Esiste una abitudine ortografica tradizionale, che non cambia tanto facilmente le lettere.
Ci sono 5/7 lettere, la cui trascrizione etrusca è falsa.
1 : , ğ / g, ج, ג, no : p. 2 : , h$, ح, ח, no : V. 3 : , h, خ, ח, a volte anche E. 4. : , h, ه, ה, no X. 5 : 8, l, no F. 6 : , t, ت, ת, non X e diverso da 4 per via della gamba invertita più lunga. 7 : Θ , Th, serve per il fonema greco theta, per la dentale enfatica, t,, ط, tha, ט, thet, per la dentale assibilata, t, ث, thé, e per altre sibilanti.
Dopo correzione della translitterazione e consultando i dizionari d’arabo, che includono il linguaggio popolare, e il dizionario semitico nordoccidentale, non restano se no le parole derivate dal latino, dal greco e raramente altre lingue indoeuropee. Vorrei dire che i testi etruschi sono decifrati, completamente leggibili e comprensibili.
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A Monti Prama, a Monti Prama
di Giorgio Cannas
La mia libera proposta (ispirata dal discorso del presidente Cappellacci in occasione della ricorrenza del 28 aprile, “Sa Die de sa Sardigna”, al Consiglio regionale), di trovarci tutti insieme a Monti Prama il giorno delle Europee, vuole essere un invito al di sopra delle parti, né destra né sinistra, né per questo né per quel candidato, che si sconfiggono fra loro.
L’appello vuole essere a vivere un momento nel quale tutti i Sardi possono ritrovarsi insieme e d’accordo, per dimostrare e dare esempio, come facevano i samurai (ma il sardo Ampsicora 2.000 anni prima l’aveva già fatto) i quali davano la vita, la cosa più importante, per cose altrettanto importanti, la dignità e l’onore.
Il Parlamento europeo deve sapere che una parte di questa “agognata” Europa unita, è esclusa e non ne può fere legittimamente parte.
La mia libera proposta (ispirata dal discorso del presidente Cappellacci in occasione della ricorrenza del 28 aprile, “Sa Die de sa Sardigna”, al Consiglio regionale), di trovarci tutti insieme a Monti Prama il giorno delle Europee, vuole essere un invito al di sopra delle parti, né destra né sinistra, né per questo né per quel candidato, che si sconfiggono fra loro.
L’appello vuole essere a vivere un momento nel quale tutti i Sardi possono ritrovarsi insieme e d’accordo, per dimostrare e dare esempio, come facevano i samurai (ma il sardo Ampsicora 2.000 anni prima l’aveva già fatto) i quali davano la vita, la cosa più importante, per cose altrettanto importanti, la dignità e l’onore.
Il Parlamento europeo deve sapere che una parte di questa “agognata” Europa unita, è esclusa e non ne può fere legittimamente parte.
Lingua friulana bocciata. Prodi come Ciampi
Prodi come Ciampi: le lingue delle minoranze vanno loro di traverso e, comunque, non riescono ad inghittirle. Nel 1994 il governo di centro sinistra di Carlo Azeglio Ciampi bocciò la timidissima legge “Tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna", approvata nel 1993 dal Consiglio regionale della Sardegna. Qualche giorno fa, la Corte costituzionale ha confermato la bocciatura, decisa nel 2008 dal governo Prodi ormai dimissionario, delle “Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana” approvata dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia del dicembre dell’anno prima.
Dal punto di vista della potenza (e della prepotenza) dello Stato, le due sentenze sono ineccepibili e poco importa che dal 2001 la Costituzione ponga sullo stesso piano equiordinato Regione e Stato. I governi italiani di una parte e dell’altra, senza distinzione di colore voglio dire, del resto continuano a mettere in campo e a far valere la vocazione giacobina che li ispira. Anche se è vero che l’idiosincrasia in materia predilige il centrosinistra.
Bisogna per onestà dire, che grandi responsabilità hanno i ceti politici delle Regioni speciali, incapaci di adeguare i rispettivi statuti ai bisogni di democrazia linguistica. Se le potestà legislative in merito – questo è banalmente detto quando afferma la Consulta – sono deboli, non si può poi pretende di fare leggi più avanzate delle competenze.
E dire che, sia pure in maniera inadeguata, il Friuli Venezia Giulia ha nel suo Statuto norme di tutela delle lingue non italiane parlate nella Regione: anche il nome della Regione è nelle tre lingue nazionali (Regjon Friûl Vignesie Julie/Dežela Furlanija Julijska Krajina/Region Friaul Julisch Venetien) in più di quello statale italiano. Nello Statuto sardo, non si parla di lingua sarda neppure una volta: i sardi non si auto-riconoscono dal punto di vista linguistico. Immaginatevi che cosa sarebbe successo, se fosse andato avanti il disegno di legge del governo Soru che dettava norme di una nostra politica linguistica e che si ispirava alla legge friulana: mancu terra aiat tocadu. Anche di qui, la necessità che la lingua sarda sia costituzionalizzata, sia, cioè, proposta con norme coraggiose che, per esempio, facciano tesoro delle censure della Corte costituzionale in merito. Misure timide, refoulées direbbero oltralpe, esporrebbero la lingua sarda e le leggi di valorizzazione alla certa scure dei giacobini italiani. Di destra, di sinistra, di centro, di su e di giù.
Non basterebbe, però, la ancora indimostrata volontà della politica, ci vuole una capacità di scelta che prescinda dalle urgenze elettorali. Per dire, deve sconfiggere la idiozia affiorante qua e là della divisione della lingua sarda in “lingua campidanese” e “lingua logudorese”. C’è infatti chi non si limita a parlare di lingua sarda e di varietà “campidanesi” e “logudoresi”, arriva all’abominio di parlare di due lingue e di due nazioni. Mi immagino lo spasso dell’Anonima giacobina, il giorno che arrivasse alle sue orecchie questa scelleratezza, nata fra l’altro nella mente di chi, poi, neppure riesce a spiegare dove corrano i confini delle “due lingue”.
Se dovesse continuare questa cupio dissolvi, questa libidine autodistruttiva, sarebbe meglio far finta di nulla e sperare che neppure si accorgano che esistiamo.
PS – Forse per un innato bisogno di par condicio, stamattina avevo titolato questo articolo come nella foto qui accanto, ingannato dalla data del ricorso governativo contro la legge friulana. Era l’epoca di passaggio di poteri da Prodi a Berlusconi. Un lettore, mattiniero anche lui, mi ha avvertito (e ho controllato): la bocciatura della legge friulana è uno degli ultimi atti firmati da Romano Prodi, già dimissionario.
Dal punto di vista della potenza (e della prepotenza) dello Stato, le due sentenze sono ineccepibili e poco importa che dal 2001 la Costituzione ponga sullo stesso piano equiordinato Regione e Stato. I governi italiani di una parte e dell’altra, senza distinzione di colore voglio dire, del resto continuano a mettere in campo e a far valere la vocazione giacobina che li ispira. Anche se è vero che l’idiosincrasia in materia predilige il centrosinistra.
Bisogna per onestà dire, che grandi responsabilità hanno i ceti politici delle Regioni speciali, incapaci di adeguare i rispettivi statuti ai bisogni di democrazia linguistica. Se le potestà legislative in merito – questo è banalmente detto quando afferma la Consulta – sono deboli, non si può poi pretende di fare leggi più avanzate delle competenze.
E dire che, sia pure in maniera inadeguata, il Friuli Venezia Giulia ha nel suo Statuto norme di tutela delle lingue non italiane parlate nella Regione: anche il nome della Regione è nelle tre lingue nazionali (Regjon Friûl Vignesie Julie/Dežela Furlanija Julijska Krajina/Region Friaul Julisch Venetien) in più di quello statale italiano. Nello Statuto sardo, non si parla di lingua sarda neppure una volta: i sardi non si auto-riconoscono dal punto di vista linguistico. Immaginatevi che cosa sarebbe successo, se fosse andato avanti il disegno di legge del governo Soru che dettava norme di una nostra politica linguistica e che si ispirava alla legge friulana: mancu terra aiat tocadu. Anche di qui, la necessità che la lingua sarda sia costituzionalizzata, sia, cioè, proposta con norme coraggiose che, per esempio, facciano tesoro delle censure della Corte costituzionale in merito. Misure timide, refoulées direbbero oltralpe, esporrebbero la lingua sarda e le leggi di valorizzazione alla certa scure dei giacobini italiani. Di destra, di sinistra, di centro, di su e di giù.
Non basterebbe, però, la ancora indimostrata volontà della politica, ci vuole una capacità di scelta che prescinda dalle urgenze elettorali. Per dire, deve sconfiggere la idiozia affiorante qua e là della divisione della lingua sarda in “lingua campidanese” e “lingua logudorese”. C’è infatti chi non si limita a parlare di lingua sarda e di varietà “campidanesi” e “logudoresi”, arriva all’abominio di parlare di due lingue e di due nazioni. Mi immagino lo spasso dell’Anonima giacobina, il giorno che arrivasse alle sue orecchie questa scelleratezza, nata fra l’altro nella mente di chi, poi, neppure riesce a spiegare dove corrano i confini delle “due lingue”.
Se dovesse continuare questa cupio dissolvi, questa libidine autodistruttiva, sarebbe meglio far finta di nulla e sperare che neppure si accorgano che esistiamo.
PS – Forse per un innato bisogno di par condicio, stamattina avevo titolato questo articolo come nella foto qui accanto, ingannato dalla data del ricorso governativo contro la legge friulana. Era l’epoca di passaggio di poteri da Prodi a Berlusconi. Un lettore, mattiniero anche lui, mi ha avvertito (e ho controllato): la bocciatura della legge friulana è uno degli ultimi atti firmati da Romano Prodi, già dimissionario.
lunedì 25 maggio 2009
Caro Marcello Fois, vai avanti
Caro Marcello Fois,
quello spirito volterriano che mi impone di battermi per la tua libertà di fare quel che ritieni giusto e che a me pare sbagliato, mi fa dire: "Continua con il festival di Gavoi". Che con me non si sia fatto non dico abuso ma neppure uso di quel precetto, non me ne fa dimenticare la saggezza. E dunque continua. Da parte mia, continuerò a criticare, quando mi sembreranno sbagliate le scelte che il tuo festival fa.
Tu sai quanto mi dispiaccia che Gavoi sia utilizzato come Campo di Marte per confronti culturali a cui solo assistiamo, senza poterci partecipare se non come produttori di eccellenti beni materiali. E' una formula che non mi piace e, siccome lo posso fare, lo dico e lo scrivo. Penso anche, e ne ho scritto, che la Regione fin dai tempi di Soru e dell'assessore Mongiu dovesse esercitare una moral suasion nei confronti degli organizzatori affinché la Sardegna non fosse rappresentata solo come luogo di avvenimento. So dai giornali che il Festival potrebbe essere a rischio e, sfrondate dai toni da agit-prop del presidente della Provincia di Nuoro (Dio mio, Deriu, le elezioni sono solo l'anno venturo), le preoccupazioni sono anche le mie. Non ho mai pensato che far cessare le critiche coincida con la scomparsa dell'oggetto delle critiche. Anzi la ritengo una pessima tentazione, ammesso che davvero ci sia.
Una volta mi ha definito "un prezioso nemico". Contraccambio con un invito: continua a essere il mio. Magari, se puoi, accettando il senso delle critiche.
quello spirito volterriano che mi impone di battermi per la tua libertà di fare quel che ritieni giusto e che a me pare sbagliato, mi fa dire: "Continua con il festival di Gavoi". Che con me non si sia fatto non dico abuso ma neppure uso di quel precetto, non me ne fa dimenticare la saggezza. E dunque continua. Da parte mia, continuerò a criticare, quando mi sembreranno sbagliate le scelte che il tuo festival fa.
Tu sai quanto mi dispiaccia che Gavoi sia utilizzato come Campo di Marte per confronti culturali a cui solo assistiamo, senza poterci partecipare se non come produttori di eccellenti beni materiali. E' una formula che non mi piace e, siccome lo posso fare, lo dico e lo scrivo. Penso anche, e ne ho scritto, che la Regione fin dai tempi di Soru e dell'assessore Mongiu dovesse esercitare una moral suasion nei confronti degli organizzatori affinché la Sardegna non fosse rappresentata solo come luogo di avvenimento. So dai giornali che il Festival potrebbe essere a rischio e, sfrondate dai toni da agit-prop del presidente della Provincia di Nuoro (Dio mio, Deriu, le elezioni sono solo l'anno venturo), le preoccupazioni sono anche le mie. Non ho mai pensato che far cessare le critiche coincida con la scomparsa dell'oggetto delle critiche. Anzi la ritengo una pessima tentazione, ammesso che davvero ci sia.
Una volta mi ha definito "un prezioso nemico". Contraccambio con un invito: continua a essere il mio. Magari, se puoi, accettando il senso delle critiche.
domenica 24 maggio 2009
Attenti ai simboli. Monti Prama, per esempio...
di Franco Laner
Caro Giorgio Cannas e tutti i “Pintoristi”!
Vi leggo sempre con piacere, polemiche o meno.
Ognuno poi, dentro di sé, esprime una valutazione, sempre opinabile perché nessuno ha la verità, concetto seducente proprio perché non assoluto!
Sentendo che il luogo di ritrovamento delle statue di Monte Prama possa diventare luogo simbolico nuragico, invito alla cautela.
Faccio qualche esempio di simboli mal citati.
La scorsa settimana ho visto il logo dell’Ordine degli architetti di Sondrio. Chi si è occupato della doppia spirale, assai presente anche in Sardegna e definito “corna di ariete” o muflone ! sa che questo è un simbolo di fertilità, di divenire, ma è anche fallico e di penetrazione (contempla cioè un atto, in sintonia con la concezione ciclica del tempo cristallizzata nella simbologia nuragica). Ho scritto alcune cose su questo simbolo al Presidente dell’Ordine, concludendo che il simbolo potrebbe anche alludere al fatto che sia un “Ordine del cazzo”.
Un altro esempio. Un amico mi vuol sorprendere e mi fa vedere la taverna della sua villa dove ha usato travi di cipresso. Gli faccio presente che lo stesso Woitila ha voluto per la sua bara il legno di cipresso, legno dei morti per eccellenza del Mediterraneo. So che ha fatto togliere il cipresso!
Ancora? Un artigiano del Nord della Sardegna vende testiere per letto decorate con gli antropomorfi di Cheremule, che sembrano danzare. Di fatto la stilizzazione allude alle anime dei defunti, sia quando abbiano le braccia alzate, sia abbassate. Che impropria citazione!
Leggi tutto
Caro Giorgio Cannas e tutti i “Pintoristi”!
Vi leggo sempre con piacere, polemiche o meno.
Ognuno poi, dentro di sé, esprime una valutazione, sempre opinabile perché nessuno ha la verità, concetto seducente proprio perché non assoluto!
Sentendo che il luogo di ritrovamento delle statue di Monte Prama possa diventare luogo simbolico nuragico, invito alla cautela.
Faccio qualche esempio di simboli mal citati.
La scorsa settimana ho visto il logo dell’Ordine degli architetti di Sondrio. Chi si è occupato della doppia spirale, assai presente anche in Sardegna e definito “corna di ariete” o muflone ! sa che questo è un simbolo di fertilità, di divenire, ma è anche fallico e di penetrazione (contempla cioè un atto, in sintonia con la concezione ciclica del tempo cristallizzata nella simbologia nuragica). Ho scritto alcune cose su questo simbolo al Presidente dell’Ordine, concludendo che il simbolo potrebbe anche alludere al fatto che sia un “Ordine del cazzo”.
Un altro esempio. Un amico mi vuol sorprendere e mi fa vedere la taverna della sua villa dove ha usato travi di cipresso. Gli faccio presente che lo stesso Woitila ha voluto per la sua bara il legno di cipresso, legno dei morti per eccellenza del Mediterraneo. So che ha fatto togliere il cipresso!
Ancora? Un artigiano del Nord della Sardegna vende testiere per letto decorate con gli antropomorfi di Cheremule, che sembrano danzare. Di fatto la stilizzazione allude alle anime dei defunti, sia quando abbiano le braccia alzate, sia abbassate. Che impropria citazione!
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sabato 23 maggio 2009
La guerra di Ilune (o Cala Luna)
Ilune, o come la ribattezzò un fantasioso funzionario forse piemontese, è una delle spiagge più belle del Mediterraneo e averne la giurisdizione non è un dettaglio minimo. Da decenni, senza per altro venirne a capo, se la giocano i comuni di Dorgali e quello di Baunei. La questione è ben lontana dall’essere risolta, anche se oggi il sindaco del primo paese canta vittoria per una decisione della Regione che affida “la concessione in esclusiva per un anno al Comune di Dorgali del pontile di Cala Luna”.
La concessione temporanea del pontile è trasformata dal sindaco in riconoscimento del fatto che tutta la spiaggia è del suo paese. Questo gli serve per abolire il ticket che Baunei aveva imposto ai turisti che sbarcavano a Ilune, anche per contingentare il numero di persone che nei tre mesi estivi si riversano sulla spiaggia. Personalmente non mi entusiasma il fatto che Ilune sia nella giurisdizione di Baunei o di Dorgali. Anche perché, sarà pur vero che il sindaco dorgalese (questa è la sua decisione) abolirà il ticket per l’approdo al pontile, ma gli sarà difficile impedire che Baunei lo applichi a chi dal pontile sbarchi sulla spiaggia.
Alcuni amministratori di Dorgali sono stati abilissimi in tutti questi anni a montare contro l’avversaria Baunei una campagna contraria. Lo hanno fatto con l’aiuto di cronisti che si sono comportati più da addetti-stampa del Comune che da mediatori di notizie e con il soccorso di alcuni ayatollah dell’ambientalismo il cui compito è stato, negli anni, quello di togliere credibilità ambientalista ai baunesi. Si è arrivati, molto recentemente, ad esibire un vecchio accordo fra i sindaci dei due paesi, sulla base del quale il sindaco di Baunei avrebbe riconosciuto la giurisdizione di Dorgali su tutta Cala Luna.
Nessuno, a quel che so, si è chiesto quale valore potesse avere l’ipotetico accordo, posto che l’accertamento dei confini è procedura un po’ più complessa di una stretta di mano. Dicevo degli ayatollah dell’ambientalismo che per un paio di anni hanno denunciato gli scempi commessi dalla “Cooperativa Cala Luna che da ventuno anni opera nell'omonima cala ai confini con il territorio di Dorgali” (giugno 2000). E addirittura hanno denunciato alla magistratura “opere abusive imputabili all'amministrazione comunale di Baunei che ha la detenzione e il possesso dei suddetti fondi” (febbraio 2000).
A me capitò di vedere “gli scempi” commessi a Ilune: una dozzina di piccole piattaforme di cemento, ben nascoste dietro il punto di ristoro della Cooperativa e ben lontane dalla spiaggia, che servivano per altrettanti casotti di legno per chi lavorava lì”. Altro “scempio” fu lo sfoltimento dei cespugli di rovo cresciuti dall’autunno alla primavera. E ancora una piccola parabola nascosta dietro l’antica dispensa che serviva a chi faceva la guardia alla spiaggia per non essere tagliato fuori dal mondo.
Gli amministratori di Dorgali, a quel che si sa, non contestarono le denunce degli ayatollah, sostenendo, come fanno oggi, che Ilune è nella loro giurisdizione e non in quella di Baunei. Lasciarono fare. Forse, ma è solo una malignità, perché di Cala Luna vogliono solo i benefici, non gli oneri. Una politica turistica fortemente espansiva, malgrado la non grande estensione di spiagge, ha fatto sì che il rapporto fra villeggianti e territorio sia sproporzionato. Lo spazio vitale è limitato e ne è necessario molto altro: dal villaggio di Gonone parte una grande quantità di battelli verso le spiagge della costa di Baunei, da Ilune a Sisine a Mariolu a Goloritzè. Gran parte del guadagno, com’è intuibile, resta ai battellieri e ai negozianti di Gonone che approvvigionano i turisti.
Molto marginale è l’indotto per Baunei, privo di posti letto (poche centinaia in decine di chilometri di costa) e dotato soltanto di qualche punto di ristoro, per altro oggetto di campagne mediatiche di inaudita grossolanità, come nel caso della completamente inventata “Strada per Cala Sisine”. Forse anche di qui, la decisione del Comune di Baunei di istituire un ticket per chi sbarca a Ilune. Come dire: lasciate anche a noi la possibilità di godere del nostro patrimonio ambientale. L’errore del Comune di Baunei è, credo, quello di non essersi dotato di un addetto stampa capace come quello della concorrenza, bravo e con le giuste entrature in quotidiani che (stavo per dire informano) formano l’opinione pubblica.
La concessione temporanea del pontile è trasformata dal sindaco in riconoscimento del fatto che tutta la spiaggia è del suo paese. Questo gli serve per abolire il ticket che Baunei aveva imposto ai turisti che sbarcavano a Ilune, anche per contingentare il numero di persone che nei tre mesi estivi si riversano sulla spiaggia. Personalmente non mi entusiasma il fatto che Ilune sia nella giurisdizione di Baunei o di Dorgali. Anche perché, sarà pur vero che il sindaco dorgalese (questa è la sua decisione) abolirà il ticket per l’approdo al pontile, ma gli sarà difficile impedire che Baunei lo applichi a chi dal pontile sbarchi sulla spiaggia.
Alcuni amministratori di Dorgali sono stati abilissimi in tutti questi anni a montare contro l’avversaria Baunei una campagna contraria. Lo hanno fatto con l’aiuto di cronisti che si sono comportati più da addetti-stampa del Comune che da mediatori di notizie e con il soccorso di alcuni ayatollah dell’ambientalismo il cui compito è stato, negli anni, quello di togliere credibilità ambientalista ai baunesi. Si è arrivati, molto recentemente, ad esibire un vecchio accordo fra i sindaci dei due paesi, sulla base del quale il sindaco di Baunei avrebbe riconosciuto la giurisdizione di Dorgali su tutta Cala Luna.
Nessuno, a quel che so, si è chiesto quale valore potesse avere l’ipotetico accordo, posto che l’accertamento dei confini è procedura un po’ più complessa di una stretta di mano. Dicevo degli ayatollah dell’ambientalismo che per un paio di anni hanno denunciato gli scempi commessi dalla “Cooperativa Cala Luna che da ventuno anni opera nell'omonima cala ai confini con il territorio di Dorgali” (giugno 2000). E addirittura hanno denunciato alla magistratura “opere abusive imputabili all'amministrazione comunale di Baunei che ha la detenzione e il possesso dei suddetti fondi” (febbraio 2000).
A me capitò di vedere “gli scempi” commessi a Ilune: una dozzina di piccole piattaforme di cemento, ben nascoste dietro il punto di ristoro della Cooperativa e ben lontane dalla spiaggia, che servivano per altrettanti casotti di legno per chi lavorava lì”. Altro “scempio” fu lo sfoltimento dei cespugli di rovo cresciuti dall’autunno alla primavera. E ancora una piccola parabola nascosta dietro l’antica dispensa che serviva a chi faceva la guardia alla spiaggia per non essere tagliato fuori dal mondo.
Gli amministratori di Dorgali, a quel che si sa, non contestarono le denunce degli ayatollah, sostenendo, come fanno oggi, che Ilune è nella loro giurisdizione e non in quella di Baunei. Lasciarono fare. Forse, ma è solo una malignità, perché di Cala Luna vogliono solo i benefici, non gli oneri. Una politica turistica fortemente espansiva, malgrado la non grande estensione di spiagge, ha fatto sì che il rapporto fra villeggianti e territorio sia sproporzionato. Lo spazio vitale è limitato e ne è necessario molto altro: dal villaggio di Gonone parte una grande quantità di battelli verso le spiagge della costa di Baunei, da Ilune a Sisine a Mariolu a Goloritzè. Gran parte del guadagno, com’è intuibile, resta ai battellieri e ai negozianti di Gonone che approvvigionano i turisti.
Molto marginale è l’indotto per Baunei, privo di posti letto (poche centinaia in decine di chilometri di costa) e dotato soltanto di qualche punto di ristoro, per altro oggetto di campagne mediatiche di inaudita grossolanità, come nel caso della completamente inventata “Strada per Cala Sisine”. Forse anche di qui, la decisione del Comune di Baunei di istituire un ticket per chi sbarca a Ilune. Come dire: lasciate anche a noi la possibilità di godere del nostro patrimonio ambientale. L’errore del Comune di Baunei è, credo, quello di non essersi dotato di un addetto stampa capace come quello della concorrenza, bravo e con le giuste entrature in quotidiani che (stavo per dire informano) formano l’opinione pubblica.
venerdì 22 maggio 2009
Sas antìfrasis de Lorenzo Vacca
Lassamus pro oe sas pinnigas e sas cuntierras e non pigamus un'iscuta de relax cun unos disinnos de Lorenzo Vacca, ovoddesu, architetu disterradu in carchi tretu a s'àtera ala de su mare. Lorenzo nche leat sas antìfrasis e sas maneras de nàrrere de sa limba nostra e las bortat in risitu còmplitze. "Umhh, s'ocru puntu tenet" si narat de unu chi nd'ischit a isseberare e "S'ocru malu tenet" de unu chi sa bona sorte l'at basadu. "E' una bufala" si narat in italianu de una fàula, in unos tretos de Sardinna "la bufala" est una "berbeghe birde". Nos los gosamus unos disinnos de Lorenzo Vacca. Abista totu
giovedì 21 maggio 2009
E il Psd'az pone la questione dell'indipendenza
"Il Consiglio Regionale della Sardegna impegna la Giunta Regionale a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subito prima dal Regno e poi dalla Repubblica italiana."
E' il dispositivo della mozione presentata oggi dai consiglieri regionali sardisti Paolo Maninchedda, Giacomo Sanna, Efisio Planetta, Paolo Dessì e Christian Solinas.
(Leggi il testo integrale come pubblicato nel sito di Maninchedda)
Che dire? E' un coup de theatre di grandissimo impatto emotivo e culturale, soprattutto per chi, come me, ritiene l'indipendenza un diritto inalienabile del popolo sardo, popolo che, al pari degli altri, ne è titolare per effetto del Patto internazionale dell'Onu sui diritti politici e civili. Ho detto e scritto molte volte che è nella potestà del popolo sardo esercitare questo diritto o sopenderne l'esercizio considerando una serie di fattori non ininfluenti, sempre che tutti siamo d'accordo per agire nel rispetto del diritto internazionale.
Il primo fattore è: l'Atto unico di Helsinki, sottoscritto nel 1975, stabilisce sì il diritto dei popoli all'autodeterminazione ma anche quello degli stati alla loro integrità territoriale.
Il secondo è: conviene alla Sardegna l'indipendenza o la sovranità, per altro già dichiarata solennemente dal Consiglio regionale nel 1999?
Il terzo è: proprio ora che l'ottocentesco Stato-nazionale è in crisi, davvero è una buona idea costruire in Europa un altro Stato-nazionale?
Con tutto l'affetto per il Partito sardo, io temo che questa mossa risponda più ad esigenze di lotta politica che ad una strategia per la conquista dell'indipendenza. Anche perché, mi pare, una mozione in Consiglio regionale ha con la conquista dell'indipendenza lo stesso rapporto che può esistere fra un topo ed un elefante.
E una domanda rimane comunque sospesa nell'aria: il giorno che, approvata dal Consiglio la mozione del Psd'az, il governo italiano avvierà le procedure per lo scioglimento del nostro Parlamento, cosa faremo? Ritireremo il provvedimento o solleveremo uno scandalo internazionale, richiamdando l'Onu al rispetto del suo Patto del 1966?
Comunque sia, è vero: il Psd'az ha aperto una bella questione e un bel dibattito. Chi vuole intervenire, si faccia avanti
E' il dispositivo della mozione presentata oggi dai consiglieri regionali sardisti Paolo Maninchedda, Giacomo Sanna, Efisio Planetta, Paolo Dessì e Christian Solinas.
(Leggi il testo integrale come pubblicato nel sito di Maninchedda)
Che dire? E' un coup de theatre di grandissimo impatto emotivo e culturale, soprattutto per chi, come me, ritiene l'indipendenza un diritto inalienabile del popolo sardo, popolo che, al pari degli altri, ne è titolare per effetto del Patto internazionale dell'Onu sui diritti politici e civili. Ho detto e scritto molte volte che è nella potestà del popolo sardo esercitare questo diritto o sopenderne l'esercizio considerando una serie di fattori non ininfluenti, sempre che tutti siamo d'accordo per agire nel rispetto del diritto internazionale.
Il primo fattore è: l'Atto unico di Helsinki, sottoscritto nel 1975, stabilisce sì il diritto dei popoli all'autodeterminazione ma anche quello degli stati alla loro integrità territoriale.
Il secondo è: conviene alla Sardegna l'indipendenza o la sovranità, per altro già dichiarata solennemente dal Consiglio regionale nel 1999?
Il terzo è: proprio ora che l'ottocentesco Stato-nazionale è in crisi, davvero è una buona idea costruire in Europa un altro Stato-nazionale?
Con tutto l'affetto per il Partito sardo, io temo che questa mossa risponda più ad esigenze di lotta politica che ad una strategia per la conquista dell'indipendenza. Anche perché, mi pare, una mozione in Consiglio regionale ha con la conquista dell'indipendenza lo stesso rapporto che può esistere fra un topo ed un elefante.
E una domanda rimane comunque sospesa nell'aria: il giorno che, approvata dal Consiglio la mozione del Psd'az, il governo italiano avvierà le procedure per lo scioglimento del nostro Parlamento, cosa faremo? Ritireremo il provvedimento o solleveremo uno scandalo internazionale, richiamdando l'Onu al rispetto del suo Patto del 1966?
Comunque sia, è vero: il Psd'az ha aperto una bella questione e un bel dibattito. Chi vuole intervenire, si faccia avanti
Lo Stato monoetnico di Berlusconi. E qui tutto tace
di Gabriele Ainis
Il Grande Puffo dichiara di non volere uno stato multietnico.
E adesso chi lo tiene il signor Pintore? E tutti i prodi guerrieri Shardana che combattono valorosamente nel web con l’elmo cornuto in testa (quando serve) e le spade di rame strette in pugno? E gli indipendentisti dell’IRS? Tutti a urlare come ossessi che adesso basta, non se ne può più e sarebbe ora di accorgersi che siamo tutti sardi anche se votiamo PDL e porgiamo riverenti le chiappe! Ci saranno decine, ma che dico decine, centinaia di post, uno più indignato dell’altro!
E quelli del Partito Democratico? Che bella occasione: da prendere al volo per mostrare chi siano veramente coloro che governano la Sardegna, assieme ai sardisti... Ci sarebbe anche la battuta sui traghetti della Tirrenia respinti ai porti di partenza (ma visto che si parla di respingimenti, potremmo anche dire ‘respingiuti’, da scompisciarsi dal ridere).
E invece no: silenzio... Tutte balle! Altro che stato multietnico: c’è da parlare della carrareccia di Baunei e della storica decisione di astenersi dal voto per andare a manifestare a Monti Pramma, e che diamine, vogliamo levarci la soddisfazione di mandare una lettera a Bruxelles protestando per l’impossibilità di vedere rappresentata la nostra nazione? Poi c’è da discutere (dottamente) di Fenici, altro che storie, e probabilmente ancora una volta di Atlantide, il continente scomparso.
Solo che noi, per non farci mancare nulla, discutiamo anche del pene scomparso, così, tanto per mostrare che non ci frega nessuno.
Ma sì, andiamo: che importa se il presidente del consiglio ci informa che noi non esistiamo? L’Italia non vuole essere uno stato multietnico, e non che sia una novità, certo, si tratta di cose risapute, tanto che ormai non fanno notizia, neppure per noi. Non preoccupiamoci troppo...
Poi accendo la tele e, per caso, vedo la faccia da strudel di D’Alema che finalmente si indigna: noi siamo già uno stato multietnico, tuona! Non ci posso credere: ha detto una cosa di sinistra (Nanni sarà svenuto!).
Bravo! Finalmente! Non ci avrà pensato Soru, ma insomma... Adesso speriamo che Massimo lo chiami e gli spieghi cosa significa multietnico: in fondo quei due dovrebbero andare d’accordo, trattandosi dei campioni mondiali di antipatia e supponenza, magari si sentono spesso per scambiarsi le migliori strategie per perdere voti.
Figurarsi! Ma quando mai! D’Alemino non ha la più pallida idea dell’esistenza di una nazione sarda, e non gliene frega assolutamente niente: al massimo penserà ai rumeni, ai somali, ai nigeriani, ai bulgari... e che dire dei bielorussi e degli ucraini? E gli abhkazi?
E poi, pensandoci bene: ma perché dovrebbe accorgersene lui visto che non ce ne siamo accorti neppure noi?
Noi siamo occupati a ritirarci a Monti Pramma e mandare le letterine di protesta a Bruxelles, protesta che avrà lo stesso impatto di quella dei guerrieri Toubou che si chiudono fieri dentro la Guelta di Archey!
E chi cazzo sarebbero i Toubou? Si dirà. E dove cazzo sarebbe la Guelta di Archey?
Appunto: mutatis mutandis è esattamente ciò che penseranno a Bruxelles. Si cambieranno le mutande e non si prenderanno neanche la briga di digitare T-o-u-b-o-u su Google.
Ma sì, quasi quasi a Monti Pramma ci andrei anch’io, se non fosse che Leo Shardana non c’è, accidenti, ed è un peccato perché io adoro il cabaret. Gli altri comici mi piacciono meno: battute fiacche, ripetitive, prive di mordente, sempre le stesse, troppo spesso scritte da altri, tra Milano e Ponte di Legno.
Mi accontenterò di Colorado Cafè: ci sono tre cabarettisti sardi, che non saranno bravi come Leo Shardana (lui è inarrivabile!), ma almeno non hanno la pretesa di essere presi sul serio. Chissà se almeno loro si sono accorti che non esistono, e chissà se uno che non esiste può accorgersi di non esistere...
Misteri della logica, ma neppure questo è importante: che ci fotte della logica? Tanto noi andiamo a Monti Pramma e aspettiamo che il senatore abbia votato e venga pure lui a fare il proprio sketch. Nel frattempo, mandiamo le letterine a Bruxelles... in limba.
Mica ci fregano così, a noi...
Il Grande Puffo dichiara di non volere uno stato multietnico.
E adesso chi lo tiene il signor Pintore? E tutti i prodi guerrieri Shardana che combattono valorosamente nel web con l’elmo cornuto in testa (quando serve) e le spade di rame strette in pugno? E gli indipendentisti dell’IRS? Tutti a urlare come ossessi che adesso basta, non se ne può più e sarebbe ora di accorgersi che siamo tutti sardi anche se votiamo PDL e porgiamo riverenti le chiappe! Ci saranno decine, ma che dico decine, centinaia di post, uno più indignato dell’altro!
E quelli del Partito Democratico? Che bella occasione: da prendere al volo per mostrare chi siano veramente coloro che governano la Sardegna, assieme ai sardisti... Ci sarebbe anche la battuta sui traghetti della Tirrenia respinti ai porti di partenza (ma visto che si parla di respingimenti, potremmo anche dire ‘respingiuti’, da scompisciarsi dal ridere).
E invece no: silenzio... Tutte balle! Altro che stato multietnico: c’è da parlare della carrareccia di Baunei e della storica decisione di astenersi dal voto per andare a manifestare a Monti Pramma, e che diamine, vogliamo levarci la soddisfazione di mandare una lettera a Bruxelles protestando per l’impossibilità di vedere rappresentata la nostra nazione? Poi c’è da discutere (dottamente) di Fenici, altro che storie, e probabilmente ancora una volta di Atlantide, il continente scomparso.
Solo che noi, per non farci mancare nulla, discutiamo anche del pene scomparso, così, tanto per mostrare che non ci frega nessuno.
Ma sì, andiamo: che importa se il presidente del consiglio ci informa che noi non esistiamo? L’Italia non vuole essere uno stato multietnico, e non che sia una novità, certo, si tratta di cose risapute, tanto che ormai non fanno notizia, neppure per noi. Non preoccupiamoci troppo...
Poi accendo la tele e, per caso, vedo la faccia da strudel di D’Alema che finalmente si indigna: noi siamo già uno stato multietnico, tuona! Non ci posso credere: ha detto una cosa di sinistra (Nanni sarà svenuto!).
Bravo! Finalmente! Non ci avrà pensato Soru, ma insomma... Adesso speriamo che Massimo lo chiami e gli spieghi cosa significa multietnico: in fondo quei due dovrebbero andare d’accordo, trattandosi dei campioni mondiali di antipatia e supponenza, magari si sentono spesso per scambiarsi le migliori strategie per perdere voti.
Figurarsi! Ma quando mai! D’Alemino non ha la più pallida idea dell’esistenza di una nazione sarda, e non gliene frega assolutamente niente: al massimo penserà ai rumeni, ai somali, ai nigeriani, ai bulgari... e che dire dei bielorussi e degli ucraini? E gli abhkazi?
E poi, pensandoci bene: ma perché dovrebbe accorgersene lui visto che non ce ne siamo accorti neppure noi?
Noi siamo occupati a ritirarci a Monti Pramma e mandare le letterine di protesta a Bruxelles, protesta che avrà lo stesso impatto di quella dei guerrieri Toubou che si chiudono fieri dentro la Guelta di Archey!
E chi cazzo sarebbero i Toubou? Si dirà. E dove cazzo sarebbe la Guelta di Archey?
Appunto: mutatis mutandis è esattamente ciò che penseranno a Bruxelles. Si cambieranno le mutande e non si prenderanno neanche la briga di digitare T-o-u-b-o-u su Google.
Ma sì, quasi quasi a Monti Pramma ci andrei anch’io, se non fosse che Leo Shardana non c’è, accidenti, ed è un peccato perché io adoro il cabaret. Gli altri comici mi piacciono meno: battute fiacche, ripetitive, prive di mordente, sempre le stesse, troppo spesso scritte da altri, tra Milano e Ponte di Legno.
Mi accontenterò di Colorado Cafè: ci sono tre cabarettisti sardi, che non saranno bravi come Leo Shardana (lui è inarrivabile!), ma almeno non hanno la pretesa di essere presi sul serio. Chissà se almeno loro si sono accorti che non esistono, e chissà se uno che non esiste può accorgersi di non esistere...
Misteri della logica, ma neppure questo è importante: che ci fotte della logica? Tanto noi andiamo a Monti Pramma e aspettiamo che il senatore abbia votato e venga pure lui a fare il proprio sketch. Nel frattempo, mandiamo le letterine a Bruxelles... in limba.
Mica ci fregano così, a noi...
mercoledì 20 maggio 2009
Reperti etruschi: 16 mesi di silenzio maleducato
Fanno oggi 16 mesi dal giorno che i carabinieri hanno sequestrato nel comune di Allai il materiale archeologico trovato nel Lago Omodeo. Si tratta di una decina di ciottoli iscritti, fra cui il bellissimo dischetto qui riprodotto, che il professor Gigi Sanna individuò come etruschi. Su questo blog e in Facebook ci si è lungamente interrogati su che fine abbiano fatto i reperti che i carabinieri consegnarono alla Soprintendenza archeologica, la stessa, per altro, che li avevano mandati a fare il sequestro.
Della questione, un gruppo di cittadini frequentatori di Facebook e di questo blog interessò il Ministero dei beni culturali con una lettera del 12 gennaio di quest’anno. La segreteria del ministro Bondi rispose il 16 marzo con questa lettera:
Qualche giorno dopo, di questa lettera parlò anche L’Unione sarda con un lungo articolo che riepilogava la vicenda. Questo per dire che la Soprintendenza non può far finta di non sapere. Sa, eccome. Ma il silenzio continua e comincia ad essere non solo insopportabile, ma anche maleducato nei confronti dei cittadini che, in quanto contribuenti, pagano gli stipendi dei suoi funzionari.
Della questione, un gruppo di cittadini frequentatori di Facebook e di questo blog interessò il Ministero dei beni culturali con una lettera del 12 gennaio di quest’anno. La segreteria del ministro Bondi rispose il 16 marzo con questa lettera:
Mi riferisco alla questione da Lei evidenziata all’On.le Ministro riguardante i ciottoli del lago
Omodeo nel Comune di Allai.
Desidero comunicarLe al riguardo che la vicenda è all’attenzione della Procura della Repubblica di
Oristano e non mi è possibile, al momento, fornirLe chiarimenti in proposito.
Tuttavia Lei ed i firmatari della mail potrete richiedere notizie direttamente alla suddetta Procura.
Con i più cordiali saluti.
F.to FrancescaTemperini - Segretario Particolare Ministro.
Qualche giorno dopo, di questa lettera parlò anche L’Unione sarda con un lungo articolo che riepilogava la vicenda. Questo per dire che la Soprintendenza non può far finta di non sapere. Sa, eccome. Ma il silenzio continua e comincia ad essere non solo insopportabile, ma anche maleducato nei confronti dei cittadini che, in quanto contribuenti, pagano gli stipendi dei suoi funzionari.
martedì 19 maggio 2009
No caro Cannas, un deputato europeo è possibile
di Piergiorgio Massidda
Caro Pintore,
leggo nel suo blog della contestazione simbolica delle Europee che il sig. Cannas vuole attuare a Monte Prama. Come negare che si tratti di un gesto fortemente evocativo di una passione identitaria e, se vogliamo, di rivendicazione di un diritto europeo che ci deriva anche dal fatto che la Sardegna è sede di tanta civiltà?
Ciò non toglie che egli parta da una premessa sbagliata: i sardi non potranno eleggere nessun deputato come 5 anni fa. È vero esattamente il contrario. Al massimo potrebbe essere vero che i sardi non potranno eleggere alcun candidato che abbia il gradimento del sig. Cannas, ma questo è un altro paio di maniche. Potrà piacere o dispiacere, ma la democrazia è quella cosa che consente la elezione di chi ha voti per essere eletto.
Al momento attuale, solo due partiti in Sardegna hanno i voti sufficienti a eleggere almeno un deputato europeo: il mio partito, il Pdl (di cui sono senatore), e quello democratico. Noi abbiamo fatto la scelta di candidare un solo sardo nella lista della circoscrizione insulare, quella che comprende un milione e settecento mila sardi e 5 milioni e cinquanta mila siciliani. In questa scelta c’è la volontà di consentire ai sardi di concentrare le loro preferenze sulla candidata sarda e, come è consuetudine, sul capolista. La prima preferenza ha il significato di affermazione autonomista, la seconda quello di rafforzare il partito.
Se gli elettori di centrodestra si comportassero così, non ci sarebbe dubbio circa la elezione di un parlamentare sardo. I candidati siciliani avranno a disposizione, certo, un bacino elettorale tre volte più grande, ma dovranno dividerselo in sette. In teoria, anche il Pd avrebbe analoghe opportunità, ma quel partito ha scelto la strada di candidare due persone per raccogliere il maggior numero di consensi possibile alla lista. Ma proprio il fatto che sono in due diminuisce, se non proprio della metà, certo considerevolmente, la possibilità che almeno uno ce la faccia.
Il signor Cannas, dunque, sbaglia sostenendo che nessun sardo, ancora una volta, potrà rappresentarci a Strasburgo. Se egli dà valore alla rappresentanza sarda in Europa, è in errore. Se da valore solo al fatto che la rappresentanza deve corrispondere alle sue preferenze politiche, allora ha ragione. Ma non si tratta più di un discorso di identità e di sardità: è un’altra cosa.
A Monti Prama farò di tutto per venirci comunque. Dopo aver contribuito ad eleggere, lo spero vivamente, una sarda che a Lula, dove è nata e fatto il sindaco dopo dieci anni di mancate elezioni, ha mostrato di essere una vera balente. Va da sé che questo risultato importante potrà essere raggiunto solo se gli elettori sardi useranno lo strumento delle preferenze, così come consente la legge. Altrimenti, ancora una volta, sarà un miraggio. E non per colpa della legge che, certo, va cambiata e al più presto, ma che non può essere presa come alibi.
Caro Pintore,
leggo nel suo blog della contestazione simbolica delle Europee che il sig. Cannas vuole attuare a Monte Prama. Come negare che si tratti di un gesto fortemente evocativo di una passione identitaria e, se vogliamo, di rivendicazione di un diritto europeo che ci deriva anche dal fatto che la Sardegna è sede di tanta civiltà?
Ciò non toglie che egli parta da una premessa sbagliata: i sardi non potranno eleggere nessun deputato come 5 anni fa. È vero esattamente il contrario. Al massimo potrebbe essere vero che i sardi non potranno eleggere alcun candidato che abbia il gradimento del sig. Cannas, ma questo è un altro paio di maniche. Potrà piacere o dispiacere, ma la democrazia è quella cosa che consente la elezione di chi ha voti per essere eletto.
Al momento attuale, solo due partiti in Sardegna hanno i voti sufficienti a eleggere almeno un deputato europeo: il mio partito, il Pdl (di cui sono senatore), e quello democratico. Noi abbiamo fatto la scelta di candidare un solo sardo nella lista della circoscrizione insulare, quella che comprende un milione e settecento mila sardi e 5 milioni e cinquanta mila siciliani. In questa scelta c’è la volontà di consentire ai sardi di concentrare le loro preferenze sulla candidata sarda e, come è consuetudine, sul capolista. La prima preferenza ha il significato di affermazione autonomista, la seconda quello di rafforzare il partito.
Se gli elettori di centrodestra si comportassero così, non ci sarebbe dubbio circa la elezione di un parlamentare sardo. I candidati siciliani avranno a disposizione, certo, un bacino elettorale tre volte più grande, ma dovranno dividerselo in sette. In teoria, anche il Pd avrebbe analoghe opportunità, ma quel partito ha scelto la strada di candidare due persone per raccogliere il maggior numero di consensi possibile alla lista. Ma proprio il fatto che sono in due diminuisce, se non proprio della metà, certo considerevolmente, la possibilità che almeno uno ce la faccia.
Il signor Cannas, dunque, sbaglia sostenendo che nessun sardo, ancora una volta, potrà rappresentarci a Strasburgo. Se egli dà valore alla rappresentanza sarda in Europa, è in errore. Se da valore solo al fatto che la rappresentanza deve corrispondere alle sue preferenze politiche, allora ha ragione. Ma non si tratta più di un discorso di identità e di sardità: è un’altra cosa.
A Monti Prama farò di tutto per venirci comunque. Dopo aver contribuito ad eleggere, lo spero vivamente, una sarda che a Lula, dove è nata e fatto il sindaco dopo dieci anni di mancate elezioni, ha mostrato di essere una vera balente. Va da sé che questo risultato importante potrà essere raggiunto solo se gli elettori sardi useranno lo strumento delle preferenze, così come consente la legge. Altrimenti, ancora una volta, sarà un miraggio. E non per colpa della legge che, certo, va cambiata e al più presto, ma che non può essere presa come alibi.
Fenici: popolo, regione, lingua o che cosa?
di Herbert Sauren
Caro Gianfranco,
leggo nel tuo blog ancora una discussione concernente la interminabile diatriba sui Fenici. Sappiamo che questo temine viene dal greco. Non è certo se esso voglia designare un popolo, una regione, una lingua o tutti e tre. Nondimeno, il re assiro Sinacherib, intorno al 700 aC, parla del paese Hatti, nel rapporto sulla sua campagna militare.
Vorrei si facesse attenzione all’aspetto linguistico che il dizionario di Hoftijzer / Jongeling esprime (pagg. X-XI) e che ha descritto una situazione abbastanza complessa. Sarebbe meglio parlare di iscrizioni di questa o quella città, come per esempio Byblos, Saida, Tyr, come si fa per l’antichità del II millennio, come per esempio Ebla, Ugarit, etc.
Caro Gianfranco,
leggo nel tuo blog ancora una discussione concernente la interminabile diatriba sui Fenici. Sappiamo che questo temine viene dal greco. Non è certo se esso voglia designare un popolo, una regione, una lingua o tutti e tre. Nondimeno, il re assiro Sinacherib, intorno al 700 aC, parla del paese Hatti, nel rapporto sulla sua campagna militare.
Vorrei si facesse attenzione all’aspetto linguistico che il dizionario di Hoftijzer / Jongeling esprime (pagg. X-XI) e che ha descritto una situazione abbastanza complessa. Sarebbe meglio parlare di iscrizioni di questa o quella città, come per esempio Byblos, Saida, Tyr, come si fa per l’antichità del II millennio, come per esempio Ebla, Ugarit, etc.
Nella foto: Un brano del dizionario di Hoftijzer / Jongeling
Europee: il giorno troviamoci a Monti Prama
di Giorgio Cannas
Per le prossime elezioni europee, i Sardi non potranno eleggere nessun deputato, come del resto 5 anni fa. Perciò, io e gia tanti amici, abbiamo deciso di non votare questa infamia.
Faremo una copia della tessera elettorale e la invieremmo al Parlamento Europeo. Il giorno delle votazioni ci ritroveremmo tutti a Monti Prama nel Sinis, luogo simbolo della grande Civiltà Nuragica. Sulla sommità, in cui era edificato il tempio degli splendidi Giganti innalzeremmo la bandiera della Sardegna a sventolare alta, quella dell'UE sara a mezza asta.
Si invitano tutti i Sardi a partecipare; ognuno potra portare la propria bandiera, simbolo, vessillo ecc.. per manifestare il proprio dissenso.
Per le prossime elezioni europee, i Sardi non potranno eleggere nessun deputato, come del resto 5 anni fa. Perciò, io e gia tanti amici, abbiamo deciso di non votare questa infamia.
Faremo una copia della tessera elettorale e la invieremmo al Parlamento Europeo. Il giorno delle votazioni ci ritroveremmo tutti a Monti Prama nel Sinis, luogo simbolo della grande Civiltà Nuragica. Sulla sommità, in cui era edificato il tempio degli splendidi Giganti innalzeremmo la bandiera della Sardegna a sventolare alta, quella dell'UE sara a mezza asta.
Si invitano tutti i Sardi a partecipare; ognuno potra portare la propria bandiera, simbolo, vessillo ecc.. per manifestare il proprio dissenso.
lunedì 18 maggio 2009
Una strada? No, a Sisine solo una bufala e qualche infamia
La notizia non era vera, ma “le voci” erano troppo ghiotte per farsi sfuggire l’opportunità di dare un colpo di maglio alla politica ambientale di Cappellacci e del suo padrone Berlusconi: il comune di centrodestra di Baunei sta distruggendo una delle perle del Mediterraneo. “Le ruspe aprono una strada per Cala Sisine”, ha titolato – come si vede nella foto – un giornale. Alla fine dello scempio, le auto potranno arrivare sulla spiaggia.
Uno degli insonni indignati per mestiere subito pontifica e minaccia, mica per aver controllato, solo per aver letto il grido di allarme mediatico. E già annuncia una “informativa” alla Commissione europea e alla Procura della Repubblica di Lanusei. La notizia della strada per Sisine sbarca su Facebook e l’ira funesta degli indignati senza riposo si scatena, va da sé, contro gli abitanti di Baunei e, già che ci sono, contro Cappellacci e Berlusconi. Ecco un piccolo florilegio:
“Che brutti pezi di merdaaaaaaaaaaaaaaa e la cosa piu asurda è che i sardi hanno votato quello liiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii(non tt is ardi ovviamente)”; “vergognissima! procurad''e moderare..”; “Baunesi, dove cazzo siete?!!!!!!”; “vergogna,vergogna,vergogna.”, “mi vien da piangere”, “..Cari amici Sardi; quanti di voi hanno votato Cappellacci/Berlusconi ?? La Lario ha ragione "quell'uomo è malato".. qlcn altro nella storia nn c'era troppo con la testa ma qs nn ha impedito milioni di persone ad eseguire i suoi ordini... C'è solo da sperare che il SUO complesso di onnipotenza sia limitato e provinciale come tutti gli italiani che si riconoscono in lui”, “Ke skifo... Bruciategli la ruspa!”, “Se tutto fosse vero sarebbe semplicemente vergognoso! Bisognerebbe in coro dire :grazie caro governatore ! Lei si che tutela il nostro patrimonio naturale.”, “questo è perkè abbiamo il ns bravissimo governatore....GRAZIE CAPPELLACCI!!! SEI IL NS EROE!!!”, “stanno rovinando la mia terra! il mio mare! mi si spezza il cuore :( accidenti a chi li ha votati! avevamo il miglior presidente della regione che si potesse desiderare!!! io questo autolesionismo dei sardi non lo capisco: ci rinuncio!”, “Ma il popolo Sardo cosa cavolo ha davanti agli occhi? non solo le fette di salame......o credono davvero che Berlusconi sia il Messia tanto atteso e che alla fine li farà camminare tutti sulle acque?”, “Sottovalutate che con una strada sarà più agevole portarvi delle betoniere e consentire un ampliamento del 20% della spiaggia con una gettata di cemento: e non lo chiamate un vantaggio? Retrogradi!”, “I sardi hanno votato Berlusconi,Cappellacci e' solo il patetico fantoccio ai suoi ordini...consegnandogli l'isola sapevano a cosa andavano incontro e lo hanno fatto lo stesso e pure contenti!!”, “La guida di Cappellacci alla regione comincia a produrre i suoi effetti!!!! che scempio!!!!! mi sento disperata anch'io!!!!!!!!!!!!!!!!”.
Bene, la notizia era semplicemente scandalistica. Fondata su un fatto vero, il Comune ha ripulito di detriti e di alberi abbattuti, una vecchia e conosciuta carrareccia che, fra l’altro è sbarrata ben prima della spiaggia, la notizia è stata montata cinicamente. Poco importa se per ragioni di piaggeria politica, per imprudenza o per noncuranza dei danni che la fola avrebbe potuto provocare all’immagine di Baunei e dei suoi abitanti. Che si tratti di una bugia l’hanno detto i bauneesi, e questo è normale, ma l’ha constatata anche il presidente sardo di Legambiente, Vincenzo Tiana che ha fatto l’unica cosa da fare: andare di persona a verificare. Ciò che dovrebbero fare i giornalisti appena appena rispettosi del proprio mestiere.
Tiana ha verificato che tutto era normale e che quel mostro violentatore dell’ambiente proprio non esisteva. Della verifica di Legambiente ha parlato, in un titolo in una pagina interna, un altro giornale; chi ha sollevato lo scandalo se ne è guardato bene. E mentre quella della “strada per Cala Sisine” continua a viaggiare nella rete suscitando l’ovvia reazione di chi ama la Sardegna, la notizia che strada non ce ne sarà non “fa notizia”.
Il dramma, per Baunei e per i suoi abitanti che non hanno da imparare cultura ambientale da nessuno, è che la sua immagine resterà compromessa chi sa per quanto. E nessuno pagherà per il piacere molto personale (almeno spero) di chi usa la penna come una clava.
Uno degli insonni indignati per mestiere subito pontifica e minaccia, mica per aver controllato, solo per aver letto il grido di allarme mediatico. E già annuncia una “informativa” alla Commissione europea e alla Procura della Repubblica di Lanusei. La notizia della strada per Sisine sbarca su Facebook e l’ira funesta degli indignati senza riposo si scatena, va da sé, contro gli abitanti di Baunei e, già che ci sono, contro Cappellacci e Berlusconi. Ecco un piccolo florilegio:
“Che brutti pezi di merdaaaaaaaaaaaaaaa e la cosa piu asurda è che i sardi hanno votato quello liiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii(non tt is ardi ovviamente)”; “vergognissima! procurad''e moderare..”; “Baunesi, dove cazzo siete?!!!!!!”; “vergogna,vergogna,vergogna.”, “mi vien da piangere”, “..Cari amici Sardi; quanti di voi hanno votato Cappellacci/Berlusconi ?? La Lario ha ragione "quell'uomo è malato".. qlcn altro nella storia nn c'era troppo con la testa ma qs nn ha impedito milioni di persone ad eseguire i suoi ordini... C'è solo da sperare che il SUO complesso di onnipotenza sia limitato e provinciale come tutti gli italiani che si riconoscono in lui”, “Ke skifo... Bruciategli la ruspa!”, “Se tutto fosse vero sarebbe semplicemente vergognoso! Bisognerebbe in coro dire :grazie caro governatore ! Lei si che tutela il nostro patrimonio naturale.”, “questo è perkè abbiamo il ns bravissimo governatore....GRAZIE CAPPELLACCI!!! SEI IL NS EROE!!!”, “stanno rovinando la mia terra! il mio mare! mi si spezza il cuore :( accidenti a chi li ha votati! avevamo il miglior presidente della regione che si potesse desiderare!!! io questo autolesionismo dei sardi non lo capisco: ci rinuncio!”, “Ma il popolo Sardo cosa cavolo ha davanti agli occhi? non solo le fette di salame......o credono davvero che Berlusconi sia il Messia tanto atteso e che alla fine li farà camminare tutti sulle acque?”, “Sottovalutate che con una strada sarà più agevole portarvi delle betoniere e consentire un ampliamento del 20% della spiaggia con una gettata di cemento: e non lo chiamate un vantaggio? Retrogradi!”, “I sardi hanno votato Berlusconi,Cappellacci e' solo il patetico fantoccio ai suoi ordini...consegnandogli l'isola sapevano a cosa andavano incontro e lo hanno fatto lo stesso e pure contenti!!”, “La guida di Cappellacci alla regione comincia a produrre i suoi effetti!!!! che scempio!!!!! mi sento disperata anch'io!!!!!!!!!!!!!!!!”.
Bene, la notizia era semplicemente scandalistica. Fondata su un fatto vero, il Comune ha ripulito di detriti e di alberi abbattuti, una vecchia e conosciuta carrareccia che, fra l’altro è sbarrata ben prima della spiaggia, la notizia è stata montata cinicamente. Poco importa se per ragioni di piaggeria politica, per imprudenza o per noncuranza dei danni che la fola avrebbe potuto provocare all’immagine di Baunei e dei suoi abitanti. Che si tratti di una bugia l’hanno detto i bauneesi, e questo è normale, ma l’ha constatata anche il presidente sardo di Legambiente, Vincenzo Tiana che ha fatto l’unica cosa da fare: andare di persona a verificare. Ciò che dovrebbero fare i giornalisti appena appena rispettosi del proprio mestiere.
Tiana ha verificato che tutto era normale e che quel mostro violentatore dell’ambiente proprio non esisteva. Della verifica di Legambiente ha parlato, in un titolo in una pagina interna, un altro giornale; chi ha sollevato lo scandalo se ne è guardato bene. E mentre quella della “strada per Cala Sisine” continua a viaggiare nella rete suscitando l’ovvia reazione di chi ama la Sardegna, la notizia che strada non ce ne sarà non “fa notizia”.
Il dramma, per Baunei e per i suoi abitanti che non hanno da imparare cultura ambientale da nessuno, è che la sua immagine resterà compromessa chi sa per quanto. E nessuno pagherà per il piacere molto personale (almeno spero) di chi usa la penna come una clava.
sabato 16 maggio 2009
Noi mastrucati, voi cosmopoliti
La discussione aperta da Gabriele Ainis su questo blog mi fa tornare alla mente un articolo che scrissi per L'Unione sarda e che il giornale a cui collaboravo pubblicò 1l 24 agosto 1994. Aveva per titolo "Revolucion e cemento / Nùgoro no est prus Nùgoro". Si trattava della risposta a un articolo di un caro amico, anch'egli emigrato in Piemonte (a Torino per la precisione), uscito qualche giorno prima sullo stesso giornale.
Me lo sono ritrovato e lo propongo ai lettori del blog. Senza alcun commento.
Leggevate Il ponte e Belfagor, Il Contemporaneo e Società , i libri delle Meduse e dei Coralli, voi che transumavate dai paesi delle zone interne al liceo 'Asproni' di Nuoro. Proprio come noi in tràmuda più lunga, dalle brume interiori della Baronia e dalle rabbie umiliate della barbarìa verso le tempeste dei licei continentali, per voi pascolatori bradi che sentivate strettissime le pasture nuoresi e per noi allevatori stanziali angosciati dae sos tancados fiorentini, gli anni delle 'aperture al mondo'. E intanto, mentre noi angosciavamo lassù e voi qui giù, lassù un futuro ministro festeggiava (1960 o giù di lì) nella villa in collina il suo primo miliardo e qui giù i chiuditori progettavano e attuavano il sacco di Nuoro, anch'essi concretizzando le loro 'aperture al mondo'. Al mondo dei Quarto Oggiaro e dei Pero e delle tante altre periferie urbane, tutte uguali e tutte angosciose; anch'essi, a modo loro, desiderosi di cosmopolitismo. E, visto che, nella loro cultura urbanistica, Nuoro non poteva assomigliare a Praga, che almeno si ispirasse a Cinisello Balsamo. La nostra compagna di scuola, futura figlia di ministro, ci aveva invitato alla festa del primo miliardo. L'ovvietà non dà scandalo e poiché la proprietà è (era?) un furto, che indecenza sarà mai un miliardo anziché un milione? Si divertì molto la corte del futuro ministro alle minacce di palingenesi rivoluzionaria e qualche signora abbozzò persino un brivido di cortese terrore. La giustizia è (era?) di classe e figurati se valeva la pena di chiedere a irrintracciabili babbi di Di Pietro di organizzare una retata da settanta ottanta miliardi a prezzi di allora.
La nostra compagna di scuola, ricordo, era intonatissima cantando con noi 'Addio Lugano bella ' e 'E con le budella dell'ultimo prete impiccheremo l'ultimo re'. Che giovani simpatici; la prossima volta ci parlerete ancora della dittatura del proletariato, eh?
Leggete tutto
Me lo sono ritrovato e lo propongo ai lettori del blog. Senza alcun commento.
Leggevate Il ponte e Belfagor, Il Contemporaneo e Società , i libri delle Meduse e dei Coralli, voi che transumavate dai paesi delle zone interne al liceo 'Asproni' di Nuoro. Proprio come noi in tràmuda più lunga, dalle brume interiori della Baronia e dalle rabbie umiliate della barbarìa verso le tempeste dei licei continentali, per voi pascolatori bradi che sentivate strettissime le pasture nuoresi e per noi allevatori stanziali angosciati dae sos tancados fiorentini, gli anni delle 'aperture al mondo'. E intanto, mentre noi angosciavamo lassù e voi qui giù, lassù un futuro ministro festeggiava (1960 o giù di lì) nella villa in collina il suo primo miliardo e qui giù i chiuditori progettavano e attuavano il sacco di Nuoro, anch'essi concretizzando le loro 'aperture al mondo'. Al mondo dei Quarto Oggiaro e dei Pero e delle tante altre periferie urbane, tutte uguali e tutte angosciose; anch'essi, a modo loro, desiderosi di cosmopolitismo. E, visto che, nella loro cultura urbanistica, Nuoro non poteva assomigliare a Praga, che almeno si ispirasse a Cinisello Balsamo. La nostra compagna di scuola, futura figlia di ministro, ci aveva invitato alla festa del primo miliardo. L'ovvietà non dà scandalo e poiché la proprietà è (era?) un furto, che indecenza sarà mai un miliardo anziché un milione? Si divertì molto la corte del futuro ministro alle minacce di palingenesi rivoluzionaria e qualche signora abbozzò persino un brivido di cortese terrore. La giustizia è (era?) di classe e figurati se valeva la pena di chiedere a irrintracciabili babbi di Di Pietro di organizzare una retata da settanta ottanta miliardi a prezzi di allora.
La nostra compagna di scuola, ricordo, era intonatissima cantando con noi 'Addio Lugano bella ' e 'E con le budella dell'ultimo prete impiccheremo l'ultimo re'. Che giovani simpatici; la prossima volta ci parlerete ancora della dittatura del proletariato, eh?
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venerdì 15 maggio 2009
Nucleare: dacci il nostro allarme quotidiano
Che ne sarebbe di certi giornalisti senza l’allarme quotidiano? E pazienza se funziona anche come aiuto dato al partito di riferimento. La trichinellosi ad Orgosolo sta per contagiare l’intero parco porci della Sardegna. E la colpa di chi è se non della perfida Dirindin che non nulla fa per contrastare l’imminente epidemia? E la pandemia di aviaria, che evoca lo spettro dei ventimilioni di morti della Spagnola, e quella dell’influenza suina, di chi è la colpa? E mica interessano, queste pandemie, solo posti lontani: anche in Sardegna ci sono dei casi, non possiamo essere da meno: altrimenti i lettori non si allarmano e, al Bar dello sport, non individuano le precise responsabilità del tale ministro o del tal assessore.
C’è una splendida canzone di Georges Brassens che sfotte questo provincialismo: “C’est pas seulement à Paris / Que le crime fleurit / Nous, au village aussi, l’on a /De beaux assassinat”. Come sarebbe a dire che l’influenza porcina ignora il mio bacino di lettori, non sia mai: anche noi, in Sardegna, abbiamo la nostra bella influenza. Non è vero, tutto rientra, ma il procurato allarme ha fatto i suoi guasti e sedimentato un perenne stato di allarme.
Capita ora che, come si sa, il governo italiano abbia deciso, e un ramo del Parlamento approvato, di installare quattro centrali nucleari in Italia. La scelta dei siti è tutta da decidere, ma c’è chi è sicuro che la Sardegna sia luogo di una, due, tre o quattro centrali. E già le sistema, suscitando allarme in chi ancora crede che i giornali informino. Tutto nasce dalla audizione, da parte di una commissione parlamentare, di uno dei massimi vulcanologi e sismologi italiani, al quale viene posta la domanda: quali sarebbero, dal punto di vista di un sismologo, i siti più adatti. Nella risposta compare, come è ovvio, anche la Sardegna: non c’è altro luogo come la nostra isola immune dai terremoti.
Questo parere tecnico diventa, nell’immaginario, un disegno di legge se non addirittura una decisione. Se al tecnico del mio comune chiedessi quale sia il luogo più bello in cui costruire la mia casa, non è dubbio che concorderebbe con me: Punta niedda, un piccolo incantevole promontorio nel Golfo di Orosei. Ma la possibilità che il Comune mi conceda, sempre che avessi i soldi, di costruire su Punta niedda, sarebbe molto meno che zero. Quello del sismologo consultato è, si parva licet, come il parere del tecnico comunale. Perché si faccia legge ha bisogno di una decisione politica.
Ma tanto basta per scatenare, meno di un mese dalle europee, l’azione di soccorso ad una opposizione che, purtroppo, manca di idee ma non di indignazioni. Di fronte all’allarme, la reazione della politica sarda è unanime, sembra di leggere le pagine di Facebook dedicate all’allarme nucleare. L’azione di soccorso di cui dicevo è ben esemplificata dal titolone del sito della Nuova: “Centrali nucleari, esplode il caso / "no" da opposizione e sindacati”. Dal che si deduce che solo l’opposizione e i sindacati sono contrari, non la maggioranza.
Si dà il caso che così non sia. L’opposizione al nucleare è, come direbbe il mio amico Gigi Sanna, di tutte le penne multicolori delle tribù sarde. Che senso ha, se non nella logica di una piccola propaganda politica, nascondere la straordinarietà di una comunanza di intenti di tutte le forze politiche sarde? Lasciando da parte una urgenza di schieramento, questa opposizione trasversale dovrebbe dare a tutti la certezza (vogliamo dire la possibilità?) che, se mai il governo italiano decidesse di smentire il suo impegno a non nuclearizzare la Sardegna, si troverebbe di traverso non solo la stragrande maggioranza dei sardi ma anche i loro ceti politici.
A chi conviene nascondere o anche solo sottovalutare questa unità di intenti?
C’è una splendida canzone di Georges Brassens che sfotte questo provincialismo: “C’est pas seulement à Paris / Que le crime fleurit / Nous, au village aussi, l’on a /De beaux assassinat”. Come sarebbe a dire che l’influenza porcina ignora il mio bacino di lettori, non sia mai: anche noi, in Sardegna, abbiamo la nostra bella influenza. Non è vero, tutto rientra, ma il procurato allarme ha fatto i suoi guasti e sedimentato un perenne stato di allarme.
Capita ora che, come si sa, il governo italiano abbia deciso, e un ramo del Parlamento approvato, di installare quattro centrali nucleari in Italia. La scelta dei siti è tutta da decidere, ma c’è chi è sicuro che la Sardegna sia luogo di una, due, tre o quattro centrali. E già le sistema, suscitando allarme in chi ancora crede che i giornali informino. Tutto nasce dalla audizione, da parte di una commissione parlamentare, di uno dei massimi vulcanologi e sismologi italiani, al quale viene posta la domanda: quali sarebbero, dal punto di vista di un sismologo, i siti più adatti. Nella risposta compare, come è ovvio, anche la Sardegna: non c’è altro luogo come la nostra isola immune dai terremoti.
Questo parere tecnico diventa, nell’immaginario, un disegno di legge se non addirittura una decisione. Se al tecnico del mio comune chiedessi quale sia il luogo più bello in cui costruire la mia casa, non è dubbio che concorderebbe con me: Punta niedda, un piccolo incantevole promontorio nel Golfo di Orosei. Ma la possibilità che il Comune mi conceda, sempre che avessi i soldi, di costruire su Punta niedda, sarebbe molto meno che zero. Quello del sismologo consultato è, si parva licet, come il parere del tecnico comunale. Perché si faccia legge ha bisogno di una decisione politica.
Ma tanto basta per scatenare, meno di un mese dalle europee, l’azione di soccorso ad una opposizione che, purtroppo, manca di idee ma non di indignazioni. Di fronte all’allarme, la reazione della politica sarda è unanime, sembra di leggere le pagine di Facebook dedicate all’allarme nucleare. L’azione di soccorso di cui dicevo è ben esemplificata dal titolone del sito della Nuova: “Centrali nucleari, esplode il caso / "no" da opposizione e sindacati”. Dal che si deduce che solo l’opposizione e i sindacati sono contrari, non la maggioranza.
Si dà il caso che così non sia. L’opposizione al nucleare è, come direbbe il mio amico Gigi Sanna, di tutte le penne multicolori delle tribù sarde. Che senso ha, se non nella logica di una piccola propaganda politica, nascondere la straordinarietà di una comunanza di intenti di tutte le forze politiche sarde? Lasciando da parte una urgenza di schieramento, questa opposizione trasversale dovrebbe dare a tutti la certezza (vogliamo dire la possibilità?) che, se mai il governo italiano decidesse di smentire il suo impegno a non nuclearizzare la Sardegna, si troverebbe di traverso non solo la stragrande maggioranza dei sardi ma anche i loro ceti politici.
A chi conviene nascondere o anche solo sottovalutare questa unità di intenti?
mercoledì 13 maggio 2009
E Dio creò Silvificus e poi, pare, Ainis
di Francu Pilloni
Il Dio di tutti fece il cielo e la terra. Poi continuò, giorno dopo giorno, a fare un sacco di altre cose, compreso l’uomo a cui soffiò l’alito della vita. Quindi si riposò perché in illo tempore le cose da fare erano relativamente poche, e avanzava del tempo per tirare il fiato.
Ma oggi è ancora così?
Si pensi a quanti cinesini e cinesine deve sfornare il povero (si fa per dire!) Dio ogni santo (naturalmente) giorno; si aggiungano i tanti indiani di qua e di là dell’oceano e anche i pochi italianucci, ivi compresi quelli di Sardegna.
Ah, che lavoro improbo, se non avesse pensato a meccanizzare il tutto con un ciclo continuo!
Ma Dio è Dio e può permettersi qualche sfizio, beato lui!, quando gli viene il ghiribizzo.
Un giorno infatti si disse: “Facciamo un essere molto più uguale a noi!”.
E siccome Lui è inconfutabilmente maschio, essendo Dio Padre maschio per antonomasia, Dio Figlio per suo volere, Dio Spirito per le sue opere, prese un po’ d’impasto e fece un essere che fosse maschio almeno il doppio degli altri maschi, piazzandogli gli attributi di genere sia davanti che dietro. Scelse quattro ghiandole da testosterone fra le tante che aveva arrotolato, gli soffiò l’alito della vita scompigliandogli i pochi capelli, e disse: “Fiat Silvificus”.
E Silvificus fu.
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Il Dio di tutti fece il cielo e la terra. Poi continuò, giorno dopo giorno, a fare un sacco di altre cose, compreso l’uomo a cui soffiò l’alito della vita. Quindi si riposò perché in illo tempore le cose da fare erano relativamente poche, e avanzava del tempo per tirare il fiato.
Ma oggi è ancora così?
Si pensi a quanti cinesini e cinesine deve sfornare il povero (si fa per dire!) Dio ogni santo (naturalmente) giorno; si aggiungano i tanti indiani di qua e di là dell’oceano e anche i pochi italianucci, ivi compresi quelli di Sardegna.
Ah, che lavoro improbo, se non avesse pensato a meccanizzare il tutto con un ciclo continuo!
Ma Dio è Dio e può permettersi qualche sfizio, beato lui!, quando gli viene il ghiribizzo.
Un giorno infatti si disse: “Facciamo un essere molto più uguale a noi!”.
E siccome Lui è inconfutabilmente maschio, essendo Dio Padre maschio per antonomasia, Dio Figlio per suo volere, Dio Spirito per le sue opere, prese un po’ d’impasto e fece un essere che fosse maschio almeno il doppio degli altri maschi, piazzandogli gli attributi di genere sia davanti che dietro. Scelse quattro ghiandole da testosterone fra le tante che aveva arrotolato, gli soffiò l’alito della vita scompigliandogli i pochi capelli, e disse: “Fiat Silvificus”.
E Silvificus fu.
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"I fenici non esistono": e fu subito censura
di Mikkelj Tzoroddu
Ci è capitato d’esser andati (circa venti giorni addietro) su un Forum posizionato in un sito che è incentrato su varie tematiche riguardanti la Sardegna. Visionati gli argomenti trattati, abbiamo scelto di soffermarci su una discussione intitolata “I Fenici: bellicosi invasori o pacifici mercanti?”. Gli interventi vertevano, more solito, intorno alla qualità dei risultati prodotti dalla civiltà fenicia in Sardegna e sulla consistenza e diversità dell’apporto dei Cartaginesi, succeduti ai primi nel dominio della stessa isola.
In considerazione dei risultati acquisiti sul tema (nella nostra azione di ricerca indipendente), abbiamo deciso di dare il nostro contributo a quella interessante discussione, scrivendo il nostro parere in merito, a ridosso di un discettare fra due frequentatori che ricordiamo chiamarsi l’uno Alfonso, l’altro Maurizio Feo. Ci esprimemmo approssimativamente in questo modo:
Gentili Signore e Signori, siamo molto lieti di darvi due grossi dispiaceri:
1- i Fenici non sono mai esistiti. Si evince ciò facendo una attenta analisi degli studi licenziati dagli autori che si sono occupati dell’argomento negli ultimi ottanta anni, in particolar modo di quelli del “Papa”, Sabatino Moscati, che non riuscì a dimostrare chi fossero i Fenici, pur avendo recato violenza al dizionario della lingua italiana ed avendo richiesto l’aiuto di altri studiosi, alcuni dei quali offrirono un aiuto o disastroso o finanche menzognero
2- i Cartaginesi furono sempre sconfitti da tutti i popoli con cui entrarono in conflitto, avendolo fatto i Sardi due volte (con Mazeus e con i due Magonidi), i Nordafricani, i Sicani, i Sicelioti una volta ciascuno, nell’arco di tempo che va dal 550 al 480 a.C. Si raggiunge tale risultato attraverso una precisa analisi dell’epitome di Giustino che, dopo la uccisione di Asdrubale e la distruzione del suo esercito, fa intendere essere ormai inevitabile la sconfitta dei restanti Punici e del loro secondo inesperto comandante.
Dopo pochi giorni siamo andati a vedere quali reazioni avesse provocato il nostro intervento su quella discussione ove si argomentava quasi con fare accademico. Essendo la nostra dimestichezza nel “navigare” certo scadente, dopo molto penare ci siamo però accorti che della discussione non v’era più traccia. Continuando nella ricerca ci accorgemmo che il moderatore ed alcuni ospiti si domandavano come ciò fosse stato possibile ed essere esso un avvenimento scandaloso; essi provavano anche a tracciare una identità degli hakers, scambiandosi pareri per conoscere il momento del misfatto e cercando di ricostruire la intera discussione. Ebbene essa fu poi realmente ricostruita e riattivata: ma era mancante del nostro contributo! (dobbiamo aggiungere, ad onor del vero, che mancava anche il dialogo fra quei tali Alfonso e Maurizio Feo ma, col senno del poi, abbiamo reputato ciò un ingenuo artifizio di copertura).
Ci risultò ancora più stupefacente, pur nell’anomalia dell’accadimento, che proprio la nostra proposta di discussione fosse stata cancellata: l’unica veramente dirompente fra quelle che, a mala pena, ricordiamo.
Ebbene ci siamo dovuti soffermare e considerare (lo ammettiamo, con una certa audacia indagatoria) se il contenuto delle nostre affermazioni, certo rivoluzionario - verso la impostazione di un pensiero obsoleto ed ormai sterilizzato al punto da non essere più in grado, da decenni, di fornire alcunché di nuovo - fosse la causa di tale tentativo di tacitare la voce, di certo non autorevole, di un famoso sconosciuto.
Ci è capitato d’esser andati (circa venti giorni addietro) su un Forum posizionato in un sito che è incentrato su varie tematiche riguardanti la Sardegna. Visionati gli argomenti trattati, abbiamo scelto di soffermarci su una discussione intitolata “I Fenici: bellicosi invasori o pacifici mercanti?”. Gli interventi vertevano, more solito, intorno alla qualità dei risultati prodotti dalla civiltà fenicia in Sardegna e sulla consistenza e diversità dell’apporto dei Cartaginesi, succeduti ai primi nel dominio della stessa isola.
In considerazione dei risultati acquisiti sul tema (nella nostra azione di ricerca indipendente), abbiamo deciso di dare il nostro contributo a quella interessante discussione, scrivendo il nostro parere in merito, a ridosso di un discettare fra due frequentatori che ricordiamo chiamarsi l’uno Alfonso, l’altro Maurizio Feo. Ci esprimemmo approssimativamente in questo modo:
Gentili Signore e Signori, siamo molto lieti di darvi due grossi dispiaceri:
1- i Fenici non sono mai esistiti. Si evince ciò facendo una attenta analisi degli studi licenziati dagli autori che si sono occupati dell’argomento negli ultimi ottanta anni, in particolar modo di quelli del “Papa”, Sabatino Moscati, che non riuscì a dimostrare chi fossero i Fenici, pur avendo recato violenza al dizionario della lingua italiana ed avendo richiesto l’aiuto di altri studiosi, alcuni dei quali offrirono un aiuto o disastroso o finanche menzognero
2- i Cartaginesi furono sempre sconfitti da tutti i popoli con cui entrarono in conflitto, avendolo fatto i Sardi due volte (con Mazeus e con i due Magonidi), i Nordafricani, i Sicani, i Sicelioti una volta ciascuno, nell’arco di tempo che va dal 550 al 480 a.C. Si raggiunge tale risultato attraverso una precisa analisi dell’epitome di Giustino che, dopo la uccisione di Asdrubale e la distruzione del suo esercito, fa intendere essere ormai inevitabile la sconfitta dei restanti Punici e del loro secondo inesperto comandante.
Dopo pochi giorni siamo andati a vedere quali reazioni avesse provocato il nostro intervento su quella discussione ove si argomentava quasi con fare accademico. Essendo la nostra dimestichezza nel “navigare” certo scadente, dopo molto penare ci siamo però accorti che della discussione non v’era più traccia. Continuando nella ricerca ci accorgemmo che il moderatore ed alcuni ospiti si domandavano come ciò fosse stato possibile ed essere esso un avvenimento scandaloso; essi provavano anche a tracciare una identità degli hakers, scambiandosi pareri per conoscere il momento del misfatto e cercando di ricostruire la intera discussione. Ebbene essa fu poi realmente ricostruita e riattivata: ma era mancante del nostro contributo! (dobbiamo aggiungere, ad onor del vero, che mancava anche il dialogo fra quei tali Alfonso e Maurizio Feo ma, col senno del poi, abbiamo reputato ciò un ingenuo artifizio di copertura).
Ci risultò ancora più stupefacente, pur nell’anomalia dell’accadimento, che proprio la nostra proposta di discussione fosse stata cancellata: l’unica veramente dirompente fra quelle che, a mala pena, ricordiamo.
Ebbene ci siamo dovuti soffermare e considerare (lo ammettiamo, con una certa audacia indagatoria) se il contenuto delle nostre affermazioni, certo rivoluzionario - verso la impostazione di un pensiero obsoleto ed ormai sterilizzato al punto da non essere più in grado, da decenni, di fornire alcunché di nuovo - fosse la causa di tale tentativo di tacitare la voce, di certo non autorevole, di un famoso sconosciuto.
martedì 12 maggio 2009
Il consenso scientifico non si cerca su un blog
di Gabriele Ainis
Gentile sig Pintore,
Le dovevo una risposta. Per almeno due buoni (per me) motivi. Il primo, un fatto di cortesia: visto che Lei è stato così gentile da indirizzarmi un post. Il secondo che, nonostante l’evidente distanza nelle rispettive posizioni, siamo oggettivamente interessati all’argomento della nostra identità nazionale e, considerato che Lei ha deciso di aprire un blog per parlare (anche) di questo, credo valga la pena confrontarsi in merito.
La mia insistenza nel sollecitare una Sua motivata presa di posizione (di cui non mi scuso, ne avevo bisogno) dipende dal fatto che trovandoLa così manifestamente incline alla salvaguardia dell’identità nazionale sarda, mi chiedevo per quale motivo difendesse atteggiamenti che, a mio avviso, portano nella direzione opposta, e precisamente a un indebolimento della possibilità (remota) della sua affermazione.
Leggi tutto
Gentile sig Pintore,
Le dovevo una risposta. Per almeno due buoni (per me) motivi. Il primo, un fatto di cortesia: visto che Lei è stato così gentile da indirizzarmi un post. Il secondo che, nonostante l’evidente distanza nelle rispettive posizioni, siamo oggettivamente interessati all’argomento della nostra identità nazionale e, considerato che Lei ha deciso di aprire un blog per parlare (anche) di questo, credo valga la pena confrontarsi in merito.
La mia insistenza nel sollecitare una Sua motivata presa di posizione (di cui non mi scuso, ne avevo bisogno) dipende dal fatto che trovandoLa così manifestamente incline alla salvaguardia dell’identità nazionale sarda, mi chiedevo per quale motivo difendesse atteggiamenti che, a mio avviso, portano nella direzione opposta, e precisamente a un indebolimento della possibilità (remota) della sua affermazione.
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Egregio sig. Ainis
Nella mia casella di posta elettronica, c’è una simpatica gara per scoprire chi si celi dietro “Gabriele Ainis”. Tutto muove da una considerazione che viene male a dire infondata: “Uno che scrive così, con tanto background culturale e simile capacità di organizzare il pensiero, non può essere sconosciuto ai motori di ricerca. E invece lo è”. E allora chi suggerisce di anagrammare nome e cognome, chi di leggere il suo cognome all’incontrario (Ainis = Sinia, a genus of butterfly in the family Lycaenidae, o Sini A., Antonio, Alessando…, tutti ben presenti in Google); e chi propone: e se invece dell’arcangelo Gabriele, si trattasse dell’arcangelo Michele. In quest’ultimo caso, molte cose tornerebbero: proprietà di linguaggio nella scrittura, crudezza polemica, etc.
Insomma, il suo irrompere in questo blog non è passato inosservato. Peccato che, dal mio punto di vista, il dialogo fra lei e me qui si debba interrompere (può continuare con gli altri, naturalmente). Sa? Quando ho letto: “… nonostante Lei sia un simpatizzante dell’archeologia misteriosa (ne fa fede il banner di Forgione)…”, ho capito che non c’è futuro in questo dialogo.
Lo dico per gli altri lettori, perché credo che i suoi pre-giudizi siano tanto amorevolmente coltivati che mi spiacerebbe intaccarli: personalmente non credo alla “archeologia misteriosa”; credo invece che troppi, e spesso ingiustificati, siano i misteri intorno alla archeologia. In questo blog, 173 articoli (e relativi commenti) si occupano di archeologia, e misteriosi comportamenti in questo campo sono spesso denunciati. Uno dei primissimi post (Come cancellare la civiltà nuragica, del dicembre 2007) chiedeva chi avesse autorizzato la costruzione di un complesso residenziale e produttivo nella vallata di Locoe (Orgosolo) a ridosso delle splendide domos de jana di Calavriche.
Se il sig. Ainis non riesce a distinguere fra “archeologia misteriosa” e misteri nella gestione archeologica non so che farci. Ma c’è, nel mio blog, un link al sito di Forgione, dice. Sì, come ce ne sono a blog che personalmente ritengo stimolanti di associazioni di emigrati, di un movimento di sinistra, di un senatore di centrodestra, di un assessore sardista e così via dicendo. Questo fatto dovrebbe far fede che io sono simpatizzante della sinistra, della destra, del Psd’az e di chi sa che altro? Non solo amante degli Ufo, ma anche dissociato, se non proprio mentalmente e politicamente confuso. Via, è un po’ troppo. [gfp]
lunedì 11 maggio 2009
Caro Psd'az, la nazione non è un'opinione
di Adriano Bomboi
Quali sono le priorità del Partito Sardo d'Azione? Antoni Simon-Mossa riteneva la corrente Autonomia inadeguata: a fine anni ‘60 sosteneva infatti che essa aveva fatto perdere 20 anni al Popolo Sardo per la tutela dell’identità e lo sviluppo economico. Questo nonostante alcune innegabili migliorie al nostro territorio che la Repubblica Italiana non poteva eludersi di apportare se voleva ambire ad entrare nel consesso degli stati più avanzati.
Che cosa dovremmo dire oggi? Forse che aveva torto? Io non me la sento.
E’ tempo di fare l’inventario nel magazzino della memoria collettiva: Che cosa è rimasto del “Popolo Sardo” menzionato dalla carta statutaria del 1948? Episodi come quello di Pratobello sembrano appartenere ad un mondo lontano a cui in fin dei conti, non ci sembra di appartenere.
Esiste una discreta fascia di popolazione che si sente italiana a tutti gli effetti, un’altra che tiene il piede in due staffe (e che politicamente spesso determina la vittoria di un polo italiano sull’altro) ed una minoritaria che ha preservato e diffuso una “missione natzionalista” che nei fatti ha ancora scarsa progettualità e quindi applicazione pratica.
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Quali sono le priorità del Partito Sardo d'Azione? Antoni Simon-Mossa riteneva la corrente Autonomia inadeguata: a fine anni ‘60 sosteneva infatti che essa aveva fatto perdere 20 anni al Popolo Sardo per la tutela dell’identità e lo sviluppo economico. Questo nonostante alcune innegabili migliorie al nostro territorio che la Repubblica Italiana non poteva eludersi di apportare se voleva ambire ad entrare nel consesso degli stati più avanzati.
Che cosa dovremmo dire oggi? Forse che aveva torto? Io non me la sento.
E’ tempo di fare l’inventario nel magazzino della memoria collettiva: Che cosa è rimasto del “Popolo Sardo” menzionato dalla carta statutaria del 1948? Episodi come quello di Pratobello sembrano appartenere ad un mondo lontano a cui in fin dei conti, non ci sembra di appartenere.
Esiste una discreta fascia di popolazione che si sente italiana a tutti gli effetti, un’altra che tiene il piede in due staffe (e che politicamente spesso determina la vittoria di un polo italiano sull’altro) ed una minoritaria che ha preservato e diffuso una “missione natzionalista” che nei fatti ha ancora scarsa progettualità e quindi applicazione pratica.
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domenica 10 maggio 2009
Che bello se avesse ragione "Il Manifesto sardo"
Non conosco di persona il presidente della Regione, ma se sono vere le cose che contro di lui scrive Marcello Madau su Il Manifesto sardo, urge che qualcuno me lo faccia conoscere perché ho una gran voglia di stringergli la mano. Scrive Madau: “… l’invito del Presidente della Regione Sardegna alla ‘nazione sarda’ non crea problemi sociali e lascia intatto il potere del nuovo padrone coloniale, suo personalissimo dominus, Silvio Berlusconi. Codificando non a caso – come mostra la prolusione nazionalista di Cappellacci proprio in occasione di Sa Die de Sa Sardigna - la deriva qualunquista implicita nel mettere al primo posto la questione nazionale piuttosto che quella di classe, nazionale e internazionale.”
Certo, quell’accenno a Cappellacci come maggiordomo di Berlusconi deve essere un avanzo rimasto fra i denti nella abbuffata di propaganda elettorale, e, altrettanto certamente, ci deve esser stato in Madau un corto circuito fra “nazionale” e “statale”: da un lato rimprovera il presidente di aver messo “al primo posto la questione nazionale” e dall’altro, qualche parola più in là, lo rimprovera di aver sottaciuto quella “di classe, nazionale (!) e internazionale”. Ma il concetto è chiaro.
Cappellacci avrebbe sostenuto, nella sua “prolusione nazionalista” nel Parlamento sardo sa die de sa Sardigna, che per il popolo sardo la “contraddizione primaria” è quella nazionale. Sarebbe in ottima compagnia con il teorico del Partito Comunista Indocinese Le Duan, con Franz Fanon nonché con i grandi pensatori dei movimenti anticolonialisti. Ma non credo che Cappellacci sia l’ultimo dei terzomondisti, parola invisa ai comunisti di una volta e non so se anche di Madau.
È noto che, durante la lotta di resistenza contro i francesi, Ho ci minh considerò primaria la “contraddizione nazionale” e per questo si alleò anche con i mandarini vietnamiti che, dal punto di vista “di classe”, avrebbero dovuto essere nemici. Lo diventarono, ma solo dopo le truppe francesi furono sconfitte e scacciate. Altra storia e, lo dice un vecchio stimatore dei vietmin, la dimostrazione che nel mondo comunista la gratitudine non è merce di largo consumo. Ma è davvero altra storia.
Resta il fatto che se è giusta l’interpretazione di Madau della “prolusione nazionalista” del presidente della Regione sarda (Regione sarda, non Regione Sardegna, né più né meno di come si parla di Repubblica italiana, non di Repubblica Italia), per la nazione sarda si aprono prospettive inaspettate e insperate. Se la contraddizione che va per prima risolta è quella fra la nazione sarda e lo stato (come del resto è implicito nella volontà di adottare un nuovo statuto speciale), questo vuol dire che a questa risoluzione dovranno essere chiamati tutti i sardi, al di là delle “classi”. In altre parole si prefigura una mobilitazione di popolo, una unità di popolo che fu nei momenti più alti di riconquista dell’autonomia.
Ecco perché mi andrebbe di stringere la mano al presidente Cappellacci, speranzoso che abbia visto bene Marcello Madau. Il quale, guarda un po’ le ricorrenze della storia, mi richiama alla mente la polemica che il Pci (e il Psi) scatenarono subito dopo la guerra contro l’imminente autonomia della Sardegna. Mi sembra di leggere pagine avvizzite dal tempo degli opuscoli comunisti e socialisti, dove si poteva leggere, ad esempio, che l’autonomia sarda rischiava di isolare le masse dei contadini sardi dal proletariato settentrionale e – eccoci qua – di “permettere alle varie clientele professionali, ai gruppi locali di rafforzare il proprio dominio, riducendo i lavoratori sardi in uno stato di soggezione feudale”.
Si trattava di conquistare mica l’indipendenza, ma quel po’ di autonomia che ci ritroviamo. Dal 1945, quando queste bestialità furono scritte, sono passati 64 anni. Pensare che ancora oggi quello schema induca a ragionamenti simili, con l’aggiunta che il nazionalismo sardo sarebbe “una deriva qualunquista” in quanto non classista, è davvero deprimente.
Certo, quell’accenno a Cappellacci come maggiordomo di Berlusconi deve essere un avanzo rimasto fra i denti nella abbuffata di propaganda elettorale, e, altrettanto certamente, ci deve esser stato in Madau un corto circuito fra “nazionale” e “statale”: da un lato rimprovera il presidente di aver messo “al primo posto la questione nazionale” e dall’altro, qualche parola più in là, lo rimprovera di aver sottaciuto quella “di classe, nazionale (!) e internazionale”. Ma il concetto è chiaro.
Cappellacci avrebbe sostenuto, nella sua “prolusione nazionalista” nel Parlamento sardo sa die de sa Sardigna, che per il popolo sardo la “contraddizione primaria” è quella nazionale. Sarebbe in ottima compagnia con il teorico del Partito Comunista Indocinese Le Duan, con Franz Fanon nonché con i grandi pensatori dei movimenti anticolonialisti. Ma non credo che Cappellacci sia l’ultimo dei terzomondisti, parola invisa ai comunisti di una volta e non so se anche di Madau.
È noto che, durante la lotta di resistenza contro i francesi, Ho ci minh considerò primaria la “contraddizione nazionale” e per questo si alleò anche con i mandarini vietnamiti che, dal punto di vista “di classe”, avrebbero dovuto essere nemici. Lo diventarono, ma solo dopo le truppe francesi furono sconfitte e scacciate. Altra storia e, lo dice un vecchio stimatore dei vietmin, la dimostrazione che nel mondo comunista la gratitudine non è merce di largo consumo. Ma è davvero altra storia.
Resta il fatto che se è giusta l’interpretazione di Madau della “prolusione nazionalista” del presidente della Regione sarda (Regione sarda, non Regione Sardegna, né più né meno di come si parla di Repubblica italiana, non di Repubblica Italia), per la nazione sarda si aprono prospettive inaspettate e insperate. Se la contraddizione che va per prima risolta è quella fra la nazione sarda e lo stato (come del resto è implicito nella volontà di adottare un nuovo statuto speciale), questo vuol dire che a questa risoluzione dovranno essere chiamati tutti i sardi, al di là delle “classi”. In altre parole si prefigura una mobilitazione di popolo, una unità di popolo che fu nei momenti più alti di riconquista dell’autonomia.
Ecco perché mi andrebbe di stringere la mano al presidente Cappellacci, speranzoso che abbia visto bene Marcello Madau. Il quale, guarda un po’ le ricorrenze della storia, mi richiama alla mente la polemica che il Pci (e il Psi) scatenarono subito dopo la guerra contro l’imminente autonomia della Sardegna. Mi sembra di leggere pagine avvizzite dal tempo degli opuscoli comunisti e socialisti, dove si poteva leggere, ad esempio, che l’autonomia sarda rischiava di isolare le masse dei contadini sardi dal proletariato settentrionale e – eccoci qua – di “permettere alle varie clientele professionali, ai gruppi locali di rafforzare il proprio dominio, riducendo i lavoratori sardi in uno stato di soggezione feudale”.
Si trattava di conquistare mica l’indipendenza, ma quel po’ di autonomia che ci ritroviamo. Dal 1945, quando queste bestialità furono scritte, sono passati 64 anni. Pensare che ancora oggi quello schema induca a ragionamenti simili, con l’aggiunta che il nazionalismo sardo sarebbe “una deriva qualunquista” in quanto non classista, è davvero deprimente.
sabato 9 maggio 2009
Atlantide: per me, Platone pensava all'attuale Tunisia
di Pierluigi Montalbano
Buongiorno,
in questi mesi si è parlato e scritto del mito di Atlantide, e un noto studioso, proprio in questi giorni, relazionerà in quel di Oristano sulla certezza che Atlantide non fu la Sardegna. Preferisco non commentare questa iniziativa perché ritengo che ogni individuo deve essere libero di dire ciò che pensa (in riferimento alla cultura) in ogni dove e in ogni quando, a condizione di non ledere diritti o libertà altrui.
Ho dunque deciso di offrire una mia visione degli scritti di Platone (ed Erodoto) inserendo un commento di una ventina di pagine in un libro (il cui argomento principale è ben altro) che... chissà se mai pubblicherò. Per gli amici del blog propongo una sintetica analisi e offro il fianco alle eventuali critiche che pioveranno. La ricerca dell'isola atlantidea costituisce un bel rebus.
Personalmente ho interpretato Platone individuando in una zona nord-africana il territorio che sarebbe potuto essere il centro di quella civiltà. Nei pressi di Tunisi sfocia un fiume che raccoglie le acque provenienti dalla valle che si forma fra il massiccio degli Aurès a nord e quello del Tassili e dell'Ahgarr a sud. In questa enorme valle c'erano, e ci sono, dei fiumi che confluiscono in un lago nell'entroterra di Tunisi.
Penso che in antico questo lago fosse molto più grande, ma a causa di un evento naturale catastrofico (ad esempio una serie di terremoti) che ha rotto il diaframma che lo separava dal Mediterraneo si sia riversato più o meno lentamente nell'attuale tratto di costa che separa la Sicilia dalla Tunisia. Spiegherebbe parzialmente anche la storia delle colonne d'Ercole, un tempo invalicabili.
Il Mediterraneo è diviso in due bacini (orientale e occidentale) che hanno due profondità differenti e ancora oggi è possibile verificarlo in una carta delle profondità marine. Il fondale di fronte a Tunisi è stato invaso da migliaia di tonnellate di detriti arrivati con il fiume in piena che scorreva nella valle e anche questo è facilmente visibile se cliccate su Google Satellite in quelle zone.
Ma, la mia personalissima riflessione riguarda anche la Sardegna che, per i motivi che ho spiegato sopra, non poteva essere Atlantide. Tuttavia credo che il mito non riguardasse un'isola ma una serie di territori che disponevano di un grado di conoscenze superiori per i tempi: una civiltà dalla quale è partita la scintilla che ha acceso il fuoco delle civiltà mesopotamiche. Ricapitolando: un popolo evoluto che viveva in una valle africana che a causa di un cataclisma si è trovato all'asciutto!
Non potendo più vivere con scarse risorse (ovviamente i terreni non erano più coltivabili) si riversarono verso oriente navigando e toccando anche altre coste, fra le quali quella sarda, quella iberica, l'Egeo (che era asciutto e non comunicante col Mar Nero), l'Egitto e la Mesopotamia.
Nella foto: Tunis e il lago dal satellite
Buongiorno,
in questi mesi si è parlato e scritto del mito di Atlantide, e un noto studioso, proprio in questi giorni, relazionerà in quel di Oristano sulla certezza che Atlantide non fu la Sardegna. Preferisco non commentare questa iniziativa perché ritengo che ogni individuo deve essere libero di dire ciò che pensa (in riferimento alla cultura) in ogni dove e in ogni quando, a condizione di non ledere diritti o libertà altrui.
Ho dunque deciso di offrire una mia visione degli scritti di Platone (ed Erodoto) inserendo un commento di una ventina di pagine in un libro (il cui argomento principale è ben altro) che... chissà se mai pubblicherò. Per gli amici del blog propongo una sintetica analisi e offro il fianco alle eventuali critiche che pioveranno. La ricerca dell'isola atlantidea costituisce un bel rebus.
Personalmente ho interpretato Platone individuando in una zona nord-africana il territorio che sarebbe potuto essere il centro di quella civiltà. Nei pressi di Tunisi sfocia un fiume che raccoglie le acque provenienti dalla valle che si forma fra il massiccio degli Aurès a nord e quello del Tassili e dell'Ahgarr a sud. In questa enorme valle c'erano, e ci sono, dei fiumi che confluiscono in un lago nell'entroterra di Tunisi.
Penso che in antico questo lago fosse molto più grande, ma a causa di un evento naturale catastrofico (ad esempio una serie di terremoti) che ha rotto il diaframma che lo separava dal Mediterraneo si sia riversato più o meno lentamente nell'attuale tratto di costa che separa la Sicilia dalla Tunisia. Spiegherebbe parzialmente anche la storia delle colonne d'Ercole, un tempo invalicabili.
Il Mediterraneo è diviso in due bacini (orientale e occidentale) che hanno due profondità differenti e ancora oggi è possibile verificarlo in una carta delle profondità marine. Il fondale di fronte a Tunisi è stato invaso da migliaia di tonnellate di detriti arrivati con il fiume in piena che scorreva nella valle e anche questo è facilmente visibile se cliccate su Google Satellite in quelle zone.
Ma, la mia personalissima riflessione riguarda anche la Sardegna che, per i motivi che ho spiegato sopra, non poteva essere Atlantide. Tuttavia credo che il mito non riguardasse un'isola ma una serie di territori che disponevano di un grado di conoscenze superiori per i tempi: una civiltà dalla quale è partita la scintilla che ha acceso il fuoco delle civiltà mesopotamiche. Ricapitolando: un popolo evoluto che viveva in una valle africana che a causa di un cataclisma si è trovato all'asciutto!
Non potendo più vivere con scarse risorse (ovviamente i terreni non erano più coltivabili) si riversarono verso oriente navigando e toccando anche altre coste, fra le quali quella sarda, quella iberica, l'Egeo (che era asciutto e non comunicante col Mar Nero), l'Egitto e la Mesopotamia.
Nella foto: Tunis e il lago dal satellite
Come fare soldi a scuola con la cultura sarda
di Alberto Areddu
Vorrei dire la mia brevemente su come vengano devoluti (e a chi sostanzialmente vadano) i soldi per la diffusione della cultura sarda. E' notorio che la regione stanzi per la "Giornata della Sardegna" all'incirca 1000 Euro (parlo di scuole con bassa utenza) per gli istituti che richiedano di festeggiarla. L'appalto è dato a un service legato alla Regione, costituito da insegnanti fuori ruolo o che si sono delegati "per amor della sardità" a tali cose.
Cosa succede dunque? La scuola che potrebbe far tutto da sè chiama qualcuno di questi ex-insegnanti che girano nel brodolone dei fautori del volapuk corrainese, i quali nulla facendo, si beccano, alla faccia, almeno un trenta per cento dei mille euro (ripeto per una scuola di piccole dimensioni), gli altri vanno in acquisto e stampa di manifestini, in vettovaglie e qualcosa al dirigente; la scuola di fatto si occupa -con tali operazioni e tramite telefonate ai massmedia, col comodato gratuito di bidelli e volontari- della preparazione e della pubblicità che esiste il tal convegno sulla sardità; la regione, tramite il service, mette il suo imprimatur alla manifestazione.
Voi potete immaginate quante scuole approfittando dell'esistenza di tali finanziamenti, non ricorrano a tali prebende, che danno un po' di lustro ai dirigenti. Ai conferenzieri - che al limite vedono glorificato il proprio nome sul manifestino- invece non viene in tasca un belino. Quanta gente poi intervenga a tali "abbojos" è facile immaginarselo: i soliti happy fews della sardità, qualche preside amico che saltandosi scuola ha un generoso rimborso, il politico locale che strizza gli applausi per il suo accorato richiamo al fatto che la Sardegna è un'isola in mezzo al mare dimenticata e bisogna farla conoscere sopratutto ai giovani sardi (e che per l'uscita dall'ufficio si becca 150 Euro di diaria), e ovviamente gli alunni che volenti o nolenti, han saltato quel giorno (che peraltro non è neanche il 28 aprile, dacché genialmente le scuole vengon tenute chiuse in quella giornata fatidica) per stripparsi di cose di cui non gliene fotte una mazza.
Non so se avete visto un servizio di Report sugli sprechi nelle scuole, be’ questo secondo me è uno spreco lampante, gestito e avallato dalla Regione. Mi hanno recentemente invitato, come conferenziere, a una scuola, m'avessero detto che mi risarcivano la benzina ci sarei andato subito, ma posto che i soldi per l'organizzazione se li sarebbero presi quelli del detto service e il preside di tal scuola (che peraltro saputo il prezzo del mio libro non si son punto degnati di comprarmelo), secondo voi, ho fatto bene a non andarci o mi son dimostrato, per quel che son, zeneise?
Vorrei dire la mia brevemente su come vengano devoluti (e a chi sostanzialmente vadano) i soldi per la diffusione della cultura sarda. E' notorio che la regione stanzi per la "Giornata della Sardegna" all'incirca 1000 Euro (parlo di scuole con bassa utenza) per gli istituti che richiedano di festeggiarla. L'appalto è dato a un service legato alla Regione, costituito da insegnanti fuori ruolo o che si sono delegati "per amor della sardità" a tali cose.
Cosa succede dunque? La scuola che potrebbe far tutto da sè chiama qualcuno di questi ex-insegnanti che girano nel brodolone dei fautori del volapuk corrainese, i quali nulla facendo, si beccano, alla faccia, almeno un trenta per cento dei mille euro (ripeto per una scuola di piccole dimensioni), gli altri vanno in acquisto e stampa di manifestini, in vettovaglie e qualcosa al dirigente; la scuola di fatto si occupa -con tali operazioni e tramite telefonate ai massmedia, col comodato gratuito di bidelli e volontari- della preparazione e della pubblicità che esiste il tal convegno sulla sardità; la regione, tramite il service, mette il suo imprimatur alla manifestazione.
Voi potete immaginate quante scuole approfittando dell'esistenza di tali finanziamenti, non ricorrano a tali prebende, che danno un po' di lustro ai dirigenti. Ai conferenzieri - che al limite vedono glorificato il proprio nome sul manifestino- invece non viene in tasca un belino. Quanta gente poi intervenga a tali "abbojos" è facile immaginarselo: i soliti happy fews della sardità, qualche preside amico che saltandosi scuola ha un generoso rimborso, il politico locale che strizza gli applausi per il suo accorato richiamo al fatto che la Sardegna è un'isola in mezzo al mare dimenticata e bisogna farla conoscere sopratutto ai giovani sardi (e che per l'uscita dall'ufficio si becca 150 Euro di diaria), e ovviamente gli alunni che volenti o nolenti, han saltato quel giorno (che peraltro non è neanche il 28 aprile, dacché genialmente le scuole vengon tenute chiuse in quella giornata fatidica) per stripparsi di cose di cui non gliene fotte una mazza.
Non so se avete visto un servizio di Report sugli sprechi nelle scuole, be’ questo secondo me è uno spreco lampante, gestito e avallato dalla Regione. Mi hanno recentemente invitato, come conferenziere, a una scuola, m'avessero detto che mi risarcivano la benzina ci sarei andato subito, ma posto che i soldi per l'organizzazione se li sarebbero presi quelli del detto service e il preside di tal scuola (che peraltro saputo il prezzo del mio libro non si son punto degnati di comprarmelo), secondo voi, ho fatto bene a non andarci o mi son dimostrato, per quel che son, zeneise?
venerdì 8 maggio 2009
Faghimus a sa moda de Malta
de Andrea Crisponi
Est de eris sa nova, posta in su cotidianu Il Giornale di Sardegna, chi pertocat s’impreu de sa limba intro de unu cursu ufitziale de s’Universidade. A nàrrere sa veridade, a chie dae medas annos sichit s’isvilupu de sa limba sarda ischit chi no est una nova. Ma totus ischint chi sos arrèjonos, pro essèrent cunsiderados berdadéros, bisozant de unos arrembos académicos. In s’editzione de su chìmbe de maju, cumpàret unu artìculu de Franztiscu Casula chi s’impromitit de fàchere chistionare pro more de unas affirmatziones de gabbale chi pertocant su tema de sa legìtimidade de espressione e de imparònzu in limba sarda.
Su cursu, chi si nàrat Deretu de Traballu, est istadu tènnidu dae su professore Gianni Loy de sa Facultade de Scièntzias Polìticas in Casteddu. “Àteras bortas bi sunt istados esàmenes in limba, ma custu est su primu cursu imparau deretu in sardu” – at narau Loy. Tàmen, acànte de su professòr Loy, b’est puru Francu Meloni, artu dirizente amministrativu de s’ateneu casteddaiu, pragherosu de s’arbìtriu impitau ca “est importanti chi si chistionit in limba” at atrogau.
Casula si pònnet contra a cussos chi galu pòmpiant a su sardu comente a una limba petzi a grabu de “contos de foghile o peus burrumballimines”, chi narant chi “diat èssere assurdu o, in sa menzus ipòtesi, còmicu pessare de l’impreare sas faedhadas locales pro sa matematica, sa fisìca e sa filosofìa”. S’idea de Casula dat unu contributu pretziau, cunforme a s’autoridade sua, a sa batalla pro s’afirmatzione de sa limba in su dominiu acadèmicu universitariu. Impàre cun issu b’est su professòr Loy chi at simpremente cumprobadu sa possibilidade de imparàre temas “artos” in sardu.
Pro concruire s’artìculu suo, tzitande in antis Leibniz e a pustis Fishman, - su primu in contu de sa possibilidade de cada limba, mancari pòvera, de espressare totu, su sicundu in contu de sos tèrminos chi sas limbas podent imbentare mancari non bi sunt - Casula si preguntat si su sardu, comente sas àteras limbas non podat fraigare paràulas pròpias.
A lu nàrrere craru craru, custa possibilidade b’est e tocat de la picare in cunsideru. S’annu coladu apo assìstidu a una cunferèntzia chi trataiat de sa limba maltesa, dae su 2004 rapresentada in s’Unione Europea cun unu status de limba ufitziale. Su repertoriu linguisticu maltesu est trilinguisticu, cheret nàrrere chi impare cun sa raichina semìtica s’acatant s’ingresu, su frantzesu e s’italianu, impreada in ambitos diferentes. Su 90% de sa populatziòne l’impreat in domo, in iscola, traballande, e la faveddant àteros 400.000 chi istant in Australia e in Istados Unìdos. De pagu unos istudiosos ant bortau in maltesu su Petit Prince de Antoine de Saint-Exupéry. Totu custu chistionare est pro nàrrere chi pompiande in ziru pro su mundu b’at àteras populatziònes sunt afrontande sa chistiòne chene esclùdere elementos ùtiles pro s’impreu.
De su cursu de su professore Loy e mascamente de s’artìculu de su professore Casula amus a intèndere faveddande. Su chi est de importu est chi sa limba, comente ant iscumbatadu Liebniz e Fishman, potet creschere e s’annovare: pro cussu nos tocat a la faveddare a l’iscrìere in cada àmbitu e fase de sa bida.
Est de eris sa nova, posta in su cotidianu Il Giornale di Sardegna, chi pertocat s’impreu de sa limba intro de unu cursu ufitziale de s’Universidade. A nàrrere sa veridade, a chie dae medas annos sichit s’isvilupu de sa limba sarda ischit chi no est una nova. Ma totus ischint chi sos arrèjonos, pro essèrent cunsiderados berdadéros, bisozant de unos arrembos académicos. In s’editzione de su chìmbe de maju, cumpàret unu artìculu de Franztiscu Casula chi s’impromitit de fàchere chistionare pro more de unas affirmatziones de gabbale chi pertocant su tema de sa legìtimidade de espressione e de imparònzu in limba sarda.
Su cursu, chi si nàrat Deretu de Traballu, est istadu tènnidu dae su professore Gianni Loy de sa Facultade de Scièntzias Polìticas in Casteddu. “Àteras bortas bi sunt istados esàmenes in limba, ma custu est su primu cursu imparau deretu in sardu” – at narau Loy. Tàmen, acànte de su professòr Loy, b’est puru Francu Meloni, artu dirizente amministrativu de s’ateneu casteddaiu, pragherosu de s’arbìtriu impitau ca “est importanti chi si chistionit in limba” at atrogau.
Casula si pònnet contra a cussos chi galu pòmpiant a su sardu comente a una limba petzi a grabu de “contos de foghile o peus burrumballimines”, chi narant chi “diat èssere assurdu o, in sa menzus ipòtesi, còmicu pessare de l’impreare sas faedhadas locales pro sa matematica, sa fisìca e sa filosofìa”. S’idea de Casula dat unu contributu pretziau, cunforme a s’autoridade sua, a sa batalla pro s’afirmatzione de sa limba in su dominiu acadèmicu universitariu. Impàre cun issu b’est su professòr Loy chi at simpremente cumprobadu sa possibilidade de imparàre temas “artos” in sardu.
Pro concruire s’artìculu suo, tzitande in antis Leibniz e a pustis Fishman, - su primu in contu de sa possibilidade de cada limba, mancari pòvera, de espressare totu, su sicundu in contu de sos tèrminos chi sas limbas podent imbentare mancari non bi sunt - Casula si preguntat si su sardu, comente sas àteras limbas non podat fraigare paràulas pròpias.
A lu nàrrere craru craru, custa possibilidade b’est e tocat de la picare in cunsideru. S’annu coladu apo assìstidu a una cunferèntzia chi trataiat de sa limba maltesa, dae su 2004 rapresentada in s’Unione Europea cun unu status de limba ufitziale. Su repertoriu linguisticu maltesu est trilinguisticu, cheret nàrrere chi impare cun sa raichina semìtica s’acatant s’ingresu, su frantzesu e s’italianu, impreada in ambitos diferentes. Su 90% de sa populatziòne l’impreat in domo, in iscola, traballande, e la faveddant àteros 400.000 chi istant in Australia e in Istados Unìdos. De pagu unos istudiosos ant bortau in maltesu su Petit Prince de Antoine de Saint-Exupéry. Totu custu chistionare est pro nàrrere chi pompiande in ziru pro su mundu b’at àteras populatziònes sunt afrontande sa chistiòne chene esclùdere elementos ùtiles pro s’impreu.
De su cursu de su professore Loy e mascamente de s’artìculu de su professore Casula amus a intèndere faveddande. Su chi est de importu est chi sa limba, comente ant iscumbatadu Liebniz e Fishman, potet creschere e s’annovare: pro cussu nos tocat a la faveddare a l’iscrìere in cada àmbitu e fase de sa bida.
giovedì 7 maggio 2009
Terroristi? "No furono combattenti della libertà"
Il Parlamento del Sud Tirolo ha in questi giorni approvato un voto al ministro della Giustizia e al presidente della Repubblica perché sia concessa la grazia ai Freiheitskämpfer, ai combattenti della libertà sud tirolesi degli anni Sessanta. Il fatto che un organo legislativo, qual è il Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano, definisca attivisti e Freiheitskämpfer quelli che la retorica unitarista ha sempre definito terroristi, non poteva passare inosservato.
Ad aprire il fuoco di fila contro la decisione (approvata con 26 voti a favore e 7 contrari) è oggi il più grande quotidiano italiano. Ma c’è da scommettere che non resterà solitario. Ora, se rientra nella logica dello Stato che la magistratura abbia condannato chi in quegli anni ha compiuto attentati anche sanguinosi, come negare che gran parte dei sudtirolesi abbiano il diritto a considerarli non terroristi ma combattenti della libertà?
Furono anni molto brutti per quella parte del Tirolo che l’Italia si era annessa. Non è un caso che sia stato l’Onu a sovrintendere al rispetto, da parte dello Stato italiano, dell’autonomia garantita dall’Austria. Solo nel 1992, fu rilasciata dal governo di Vienna la liberatoria, segno che per più di quaranta anni, le cose non andarono tanto bene quanto affermavano i governi italiani.
Basti pensare che solo nel 2001, con la riforma del Titolo V della Costituzione, l’Alto Adige (nome che molti sudtirolesi contestano per la “connotazione fascista”) acquisterà il diritto ad avere anche il nome ufficiale di Sud Tirol. Il diritto all’autodeterminazione, che fu il cavallo di battaglia di quegli anni, fu contestato e non solo con le parole e, alla fine, fu la parte maggioritaria dei sud tirolesi a decidere di non esercitarlo, anche, se non solo, per la liberatoria concessa dall’Austria all’Italia (se non sbaglio al tempo del governo Prodi).
Recentemente, la STV, partito-stato per lunghissimi anni ha cominciato a perdere colpi a favore di quella che l’approssimazione mediatica e politica definisce estrema destra. Qualche giorno fa, è approdata alla discussione e al voto una mozione che, appunto, chiedeva ai consiglieri di pronunciarsi a favore della grazia e di invitare ministro della Giustizia e Presidente della repubblica a procedere in questo senso. Le premesse al voto scritte dai presentatori della mozione (“Che Stato è quello che vieta a chi si è battuto per la propria cultura di tornare nella sua Patria?” ha detto uno di loro) sono state respinte dalla grande maggioranza del Consiglio, la stessa che, poi, ha votato a favore dell’appello alla grazia.
Oggi il Corriere della Sera, ma c’è da giurarci altri giornali domani, si indigna per la definizione di “combattenti della libertà” data ai “terroristi”. E si preoccupa per quella che ad esso sembra “una scintilla”. Quando leggeremo le prossime indignazioni per lesa Italia, faremmo bene a trovare informazioni da altre parti. Con Internet è possibile e non costa nulla. Per esempio, si potrebbe cominciare dal resoconto sommario del dibattito nel Parlamento della Provincia autonoma di Bolzano sulla questione.
Ad aprire il fuoco di fila contro la decisione (approvata con 26 voti a favore e 7 contrari) è oggi il più grande quotidiano italiano. Ma c’è da scommettere che non resterà solitario. Ora, se rientra nella logica dello Stato che la magistratura abbia condannato chi in quegli anni ha compiuto attentati anche sanguinosi, come negare che gran parte dei sudtirolesi abbiano il diritto a considerarli non terroristi ma combattenti della libertà?
Furono anni molto brutti per quella parte del Tirolo che l’Italia si era annessa. Non è un caso che sia stato l’Onu a sovrintendere al rispetto, da parte dello Stato italiano, dell’autonomia garantita dall’Austria. Solo nel 1992, fu rilasciata dal governo di Vienna la liberatoria, segno che per più di quaranta anni, le cose non andarono tanto bene quanto affermavano i governi italiani.
Basti pensare che solo nel 2001, con la riforma del Titolo V della Costituzione, l’Alto Adige (nome che molti sudtirolesi contestano per la “connotazione fascista”) acquisterà il diritto ad avere anche il nome ufficiale di Sud Tirol. Il diritto all’autodeterminazione, che fu il cavallo di battaglia di quegli anni, fu contestato e non solo con le parole e, alla fine, fu la parte maggioritaria dei sud tirolesi a decidere di non esercitarlo, anche, se non solo, per la liberatoria concessa dall’Austria all’Italia (se non sbaglio al tempo del governo Prodi).
Recentemente, la STV, partito-stato per lunghissimi anni ha cominciato a perdere colpi a favore di quella che l’approssimazione mediatica e politica definisce estrema destra. Qualche giorno fa, è approdata alla discussione e al voto una mozione che, appunto, chiedeva ai consiglieri di pronunciarsi a favore della grazia e di invitare ministro della Giustizia e Presidente della repubblica a procedere in questo senso. Le premesse al voto scritte dai presentatori della mozione (“Che Stato è quello che vieta a chi si è battuto per la propria cultura di tornare nella sua Patria?” ha detto uno di loro) sono state respinte dalla grande maggioranza del Consiglio, la stessa che, poi, ha votato a favore dell’appello alla grazia.
Oggi il Corriere della Sera, ma c’è da giurarci altri giornali domani, si indigna per la definizione di “combattenti della libertà” data ai “terroristi”. E si preoccupa per quella che ad esso sembra “una scintilla”. Quando leggeremo le prossime indignazioni per lesa Italia, faremmo bene a trovare informazioni da altre parti. Con Internet è possibile e non costa nulla. Per esempio, si potrebbe cominciare dal resoconto sommario del dibattito nel Parlamento della Provincia autonoma di Bolzano sulla questione.
mercoledì 6 maggio 2009
Ma non s'era detto che qui non s'insulta?
di Giorgio Cannas
Caro Gianfranco,
noto con un certo disappunto che il desiderio accorato dei due amici del Blog per un uso di toni più pacati e di una dialettica costruttiva, soprattutto in tema di cultura archeologica, rischia di nuovo di finire inappagato . Mi sono riguardato tutti gli interventi che si sono succeduti a partire da quella data e ho notato che ognuno ha fatto la sua parte e si è sforzato di argomentare il più possibile e di non offendere chicchessia.
Anche certuni che nel passato hanno usato un tono che è stato bollato dal direttore del Blog di ‘veterocomunisti’, mi pare che abbiano capito definitivamente che questo non è il luogo più adatto per sbarazzarsi dell’avversario con accuse gratuite, sprezzanti e senza fondamento. Encomiabile poi è stato il garbo nella denuncia (chiamiamola in questo modo) dei giovani ricercatori del GRS a proposito dei falli (o non falli) de s’Urachi. Denuncia cui ha fatto seguito la risposta altrettanto garbata e circostanziata, anche se con certi tratti di saccenteria, del dott. Stiglitz.
Soprattutto ho potuto assistere alle battute del dialogo serrato tra il prof. Pittau ed il prof. Gigi Sanna, di due specialisti con tanto di titolo, nel corso del quale io personalmente, ma anche altri, ho potuto farmi un’opinione più precisa, molto più precisa sui motivi del contendere. Ho guardato con rispetto ogni riga della polemica. Ed io, come si sa, al pari di Gianfranco Pintore, sto dalla parte di Gigi Sanna. Anche se ho detto mille volte che ci sto con la mia testa e per miei ragionamenti, non per quelli di altri più o meno provvisti di titoli.
Certo, c’è stata qualche battuta in più e qualche nota forse stonata, ma in fondo stemperata dall’ironia e quindi accettabile, da parte di entrambi. I quali mostrano, com’è noto, sempre e comunque di avere stile. Purtroppo però i due non hanno trovato interlocutori e le loro posizioni sono rimaste, si può dire, quasi quelle di partenza. Eppure, tanto per fare un esempio, io avrei desiderato che i cosiddetti ‘specialisti’ con un po’ di coraggio si esprimessero, entrando nel merito, a proposito dell’accusa che Gigi Sanna non avrebbe tenuto conto, in maniera adeguata, dei glottologi e dei linguisti che lo hanno preceduto; oppure avrei gradito che, sempre degli specialisti, mi avessero spiegato per bene se il professore oristanese ha visto bene nella lettura dell’architrave di Bolotana.
Il nome semitico ‘sessar’ è possibile o è una congettura senza fondamento? E il nome ILI potrebbe esserci o non? E l’integrazione NUR, per i paleografi e gli epigrafisti, è legittima o non? E ancora: nell’etimologica della parola nurac, riportata nell’architrave, ha ragione Pittau con la sua interpretazione che è stata detta ‘laica’ o quella che, in seguito alle basi documentarie nuove, viene definita ‘religiosa’? Mi pare che queste cose non siano proprio dei bruscolini. Non voglio poi dilungarmi sulla questione della interpretazione fallica e taurina del nuraghe che ha visto ugualmente posizioni del tutto differenti.
Anche se un qualche intervento sulla stranissima interpretazione del complesso nuragico di Gremanu di Fonni non avrebbe guastato. Perché si deve pur pensare che centinaia e centinaia di persone abbiano visto l’’oscenità’ nuragica come cosa oggettiva e vorrebbero saperne in proposito qualche cosina in più. Mettere la testa sotto la sabbia non giova a nessuno. Altro si potrebbe dire a proposito dell’interesse culturale suscitato dagli ultimi interventi, ma preferisco non tediare chi ci vede o ci ascolta.
Dopo di essi e la risposta del prof, Pittau, quanto mai composta peraltro nei confronti di chi lo aveva maliziosamente pizzicato, ho notato però che le cose sono precipitate e che il sig. Ainis ha soffiato di nuovo sul fuoco, ha sparato ad alzo zero e reso di nuovo di tipo ‘veterocomunista’ lo stile della polemica. Già il clima lo aveva reso incandescente poco prima , oltre ogni dire, con le risposte violente ad una persona dabbene e cortese come Crisponi. Perché lo ha fatto? Perché ha visto un pericolo, serio per lui, molto serio: che persone come Stiglitz, Pittau, Sanna e giovani serissimi come quelli del GRS potessero in qualche modo interloquire con una certa serenità, lasciandolo completamente isolato.
E’ la discussione infatti che lui non vuole, lo scambio di opinioni, la dialettica democratica, il confronto pubblico, il movimento naturale della scienza. Non vuole, in poche parole il Blog così com’è e pertanto, tra l’altro, ora cerca di blandire te come conduttore ora ti attacca con ferocia inaudita. Nel far ciò cerca di ammansire gli altri, di far loro l’occhiolino, di portarli dalla sua parte con i ‘mi scusi dott. Stiglitz, ‘mi raccomando prof. Rubia’ che fanno davvero riflettere su chi si nasconda dietro questo individuo di tale caratura.
A questo punto però ti devo fare un appunto serio caro Gianfranco e ti prego di non prendertela, perché sai quanto ti stimo come giornalista libero e indipendente (e con i fatti, non con le parole). Non avevi detto forse e promesso, dopo alcuni scellerati interventi di anonimi, che avresti escluso dalla discussione coloro che non entravano nel merito e lanciavano solo insulti gratuiti tanto per screditare e intorbidare le acque?
Ti faccio un esempio del repertorio di insulti a raffica a destra e a manca: ‘traduttore di fregi’, ‘interprete di cancelli’, ‘mago Otelma’ (?), ‘poveracci’, ‘scienziati turistici’, ‘fantastoria’, ‘burletta’, ‘sciocco sconosciuto’, ‘palcoscenico da Zelig’, ‘nullità’, ‘venditori di Tzunami’, ‘capitani coraggiosi’, ‘macchiette da cabaret’. Ora ti faccio invece un esempio di ingressi specialistici nel merito da parte di questo ‘signore’: zero e sempre zero. Ma così davvero non si può! Non credi? Qualcuno se la spassa, certamente. Ma non reputi che altri, moltissimi altri, pensino che sia stata offesa, oltre ogni limite, la decenza?
Caro Giorgio,
per la verità, ho scritto che in questo blog non avrebbero avuto cittadinanza gli anonimi insultatori. E credimi che ogni mattina e ogni sera cancello le frasette anonime, di sgrammaticati insulti. Non sono più tante come una volta, per fortuna. Ma Gabriele Ainis non è anonimo: di quel che scrive condivido non molto e, soprattutto, non mi piace il suo piglio aggressivo. Ma non è anonimo, anche se cercando il suo nome e cognome in Google, trovo che compare solo in questo blog o in altri che riprendono i suoi articoli qui pubblicati. [gfp]
Caro Gianfranco,
noto con un certo disappunto che il desiderio accorato dei due amici del Blog per un uso di toni più pacati e di una dialettica costruttiva, soprattutto in tema di cultura archeologica, rischia di nuovo di finire inappagato . Mi sono riguardato tutti gli interventi che si sono succeduti a partire da quella data e ho notato che ognuno ha fatto la sua parte e si è sforzato di argomentare il più possibile e di non offendere chicchessia.
Anche certuni che nel passato hanno usato un tono che è stato bollato dal direttore del Blog di ‘veterocomunisti’, mi pare che abbiano capito definitivamente che questo non è il luogo più adatto per sbarazzarsi dell’avversario con accuse gratuite, sprezzanti e senza fondamento. Encomiabile poi è stato il garbo nella denuncia (chiamiamola in questo modo) dei giovani ricercatori del GRS a proposito dei falli (o non falli) de s’Urachi. Denuncia cui ha fatto seguito la risposta altrettanto garbata e circostanziata, anche se con certi tratti di saccenteria, del dott. Stiglitz.
Soprattutto ho potuto assistere alle battute del dialogo serrato tra il prof. Pittau ed il prof. Gigi Sanna, di due specialisti con tanto di titolo, nel corso del quale io personalmente, ma anche altri, ho potuto farmi un’opinione più precisa, molto più precisa sui motivi del contendere. Ho guardato con rispetto ogni riga della polemica. Ed io, come si sa, al pari di Gianfranco Pintore, sto dalla parte di Gigi Sanna. Anche se ho detto mille volte che ci sto con la mia testa e per miei ragionamenti, non per quelli di altri più o meno provvisti di titoli.
Certo, c’è stata qualche battuta in più e qualche nota forse stonata, ma in fondo stemperata dall’ironia e quindi accettabile, da parte di entrambi. I quali mostrano, com’è noto, sempre e comunque di avere stile. Purtroppo però i due non hanno trovato interlocutori e le loro posizioni sono rimaste, si può dire, quasi quelle di partenza. Eppure, tanto per fare un esempio, io avrei desiderato che i cosiddetti ‘specialisti’ con un po’ di coraggio si esprimessero, entrando nel merito, a proposito dell’accusa che Gigi Sanna non avrebbe tenuto conto, in maniera adeguata, dei glottologi e dei linguisti che lo hanno preceduto; oppure avrei gradito che, sempre degli specialisti, mi avessero spiegato per bene se il professore oristanese ha visto bene nella lettura dell’architrave di Bolotana.
Il nome semitico ‘sessar’ è possibile o è una congettura senza fondamento? E il nome ILI potrebbe esserci o non? E l’integrazione NUR, per i paleografi e gli epigrafisti, è legittima o non? E ancora: nell’etimologica della parola nurac, riportata nell’architrave, ha ragione Pittau con la sua interpretazione che è stata detta ‘laica’ o quella che, in seguito alle basi documentarie nuove, viene definita ‘religiosa’? Mi pare che queste cose non siano proprio dei bruscolini. Non voglio poi dilungarmi sulla questione della interpretazione fallica e taurina del nuraghe che ha visto ugualmente posizioni del tutto differenti.
Anche se un qualche intervento sulla stranissima interpretazione del complesso nuragico di Gremanu di Fonni non avrebbe guastato. Perché si deve pur pensare che centinaia e centinaia di persone abbiano visto l’’oscenità’ nuragica come cosa oggettiva e vorrebbero saperne in proposito qualche cosina in più. Mettere la testa sotto la sabbia non giova a nessuno. Altro si potrebbe dire a proposito dell’interesse culturale suscitato dagli ultimi interventi, ma preferisco non tediare chi ci vede o ci ascolta.
Dopo di essi e la risposta del prof, Pittau, quanto mai composta peraltro nei confronti di chi lo aveva maliziosamente pizzicato, ho notato però che le cose sono precipitate e che il sig. Ainis ha soffiato di nuovo sul fuoco, ha sparato ad alzo zero e reso di nuovo di tipo ‘veterocomunista’ lo stile della polemica. Già il clima lo aveva reso incandescente poco prima , oltre ogni dire, con le risposte violente ad una persona dabbene e cortese come Crisponi. Perché lo ha fatto? Perché ha visto un pericolo, serio per lui, molto serio: che persone come Stiglitz, Pittau, Sanna e giovani serissimi come quelli del GRS potessero in qualche modo interloquire con una certa serenità, lasciandolo completamente isolato.
E’ la discussione infatti che lui non vuole, lo scambio di opinioni, la dialettica democratica, il confronto pubblico, il movimento naturale della scienza. Non vuole, in poche parole il Blog così com’è e pertanto, tra l’altro, ora cerca di blandire te come conduttore ora ti attacca con ferocia inaudita. Nel far ciò cerca di ammansire gli altri, di far loro l’occhiolino, di portarli dalla sua parte con i ‘mi scusi dott. Stiglitz, ‘mi raccomando prof. Rubia’ che fanno davvero riflettere su chi si nasconda dietro questo individuo di tale caratura.
A questo punto però ti devo fare un appunto serio caro Gianfranco e ti prego di non prendertela, perché sai quanto ti stimo come giornalista libero e indipendente (e con i fatti, non con le parole). Non avevi detto forse e promesso, dopo alcuni scellerati interventi di anonimi, che avresti escluso dalla discussione coloro che non entravano nel merito e lanciavano solo insulti gratuiti tanto per screditare e intorbidare le acque?
Ti faccio un esempio del repertorio di insulti a raffica a destra e a manca: ‘traduttore di fregi’, ‘interprete di cancelli’, ‘mago Otelma’ (?), ‘poveracci’, ‘scienziati turistici’, ‘fantastoria’, ‘burletta’, ‘sciocco sconosciuto’, ‘palcoscenico da Zelig’, ‘nullità’, ‘venditori di Tzunami’, ‘capitani coraggiosi’, ‘macchiette da cabaret’. Ora ti faccio invece un esempio di ingressi specialistici nel merito da parte di questo ‘signore’: zero e sempre zero. Ma così davvero non si può! Non credi? Qualcuno se la spassa, certamente. Ma non reputi che altri, moltissimi altri, pensino che sia stata offesa, oltre ogni limite, la decenza?
Caro Giorgio,
per la verità, ho scritto che in questo blog non avrebbero avuto cittadinanza gli anonimi insultatori. E credimi che ogni mattina e ogni sera cancello le frasette anonime, di sgrammaticati insulti. Non sono più tante come una volta, per fortuna. Ma Gabriele Ainis non è anonimo: di quel che scrive condivido non molto e, soprattutto, non mi piace il suo piglio aggressivo. Ma non è anonimo, anche se cercando il suo nome e cognome in Google, trovo che compare solo in questo blog o in altri che riprendono i suoi articoli qui pubblicati. [gfp]
martedì 5 maggio 2009
Letterina minima per il professore emerito, Pittau
di Gabriele Ainis
Gentile prof. Pittau,
Le confesso di essere rimasto stupito quando, qualche tempo addietro, un frequentatore del blog che gentilmente ci ospita ha ventilato la possibilità che io fossi un parto della fertile mente del sig. Pintore. Non mi sembrava un blog sufficientemente surreale da giustificare un intervento di tal fatta, ecco tutto, l’avrei visto meglio altrove.
E invece ecco che compare un Suo intervento che è assai più sorprendente del precedente, molto più surreale, inaspettato e, sulle prime – almeno per me – affatto incomprensibile.
Potrei commentarlo a lungo, oppure non farlo del tutto (e sarebbero in molti ad essere contenti che il ‘cattivone’ sia stato giustamente coperto dalla montagna di palta spalata dal famoso docente, e sia rimasto soffocato perdendo la voce).
Se scrivo una replica – non potrà essere telegrafica e me ne scuso – è prima di tutto per rispetto. Lei mi ha chiamato in causa in termini educati e mi sentirei terribilmente scortese ad ignorarLa (mi creda se Le confido che il giudizio negativo di altri frequentatori del blog, se io tacessi, scivolerebbe sul piano inclinato della mia indifferenza o, detto in altri termini più acidi, non me ne potrebbe importar di meno).
Leggi tutto
Gentile sig. Ainis,
non ho, fino ad ora, risposto alla sua domanda sul che cosa io intenda per cultura sarda – concordare sul fatto che esista, è già un buon punto di partenza – per due ragioni principali: la prima è che pensavo, e penso, che dagli articoli scritti su questo blog e altrove venisse fuori con sufficiente chiarezza; la seconda è che non so quanto possa interessare gli altri un mio esplicito trattatello sulla cultura sarda. Ma vedo che quasi mi rimprovera di non averle risposto e mi parrebbe, a questo punto, maleducato insistere.
Immagino che lei citi Melis, Sanna e Frau come prototipi di “pochezza culturale” e non come i soli rappresentanti di tale pochezza, messi al bando i quali tutto sarebbe sistemato. Le potrei rispondere che la mia stima (il che non equivale a totale condivisione) dei tre autori gode di ottima compagnia, non solo in mezzo alla gente che li sente congeniali al proprio bisogno di mito, ma anche in mezzo a studiosi di chiara fama. Non si capirebbe, altrimenti, perché sono in giro in Europa, e non solo, per università, istituti prestigiosi, accademie. Ma so che questo non le basta, anche se non saprei perché.
Frau, Melis e Sanna (fa però male a metterli insieme, come se sostenessero un’unica tesi) sono parte integrante della cultura sarda e la illustrano per buoni motivi, alcuni interni a quel che dicono, altri di ordine maieutico. Nessuno di loro tre si è accontentato di una storia codificata: tutti e tre hanno lanciato una sfida a chi, invece, vorrebbe codificata per sempre la storia che essi hanno scritto. Dicendo, per esempio, che Su Tempiesu, manufatto del XIII secolo, ha modelli proto villanoviani, che “copiano” stili nati almeno due secoli dopo. O, ancora, sostenendo che i nuragici non avevano scrittura “perché non avevano bisogno di scrivere”.
Sarà perché penso seriamente che la cultura è un processo o non è, ma, quanto, per esempio, alla scrittura nuragica, di fronte alle decine di scritte trovate da Gigi Sanna (pubblicate in Sardoa Grammata o anche solo in questo blog) preferisco di gran lunga le sue spiegazioni al silenzio, ufficiale e tombale, che da anni circonda i ritrovamenti. Così come trovo almeno stimolante l’ipotesi di Sergio Frau secondo cui le Colonne d’Ercole furono spostate a Gibilterra in epoca a noi più vicina.
Non ho grande amore per il mito, pur sapendo quale funzione abbia avuto nella storia dell’uomo, ma nutro una disistima profonda per quanti negano per partito preso e per xenomania il fatto che la Sardegna ha avuto una storia diversa da quella descritta da xenomani. In genere per difendere, anche contro verità, rendite di posizione, quel che hanno scritto, insegnato all’Università, messo in curricola spendibili solo attraverso la ripetizione dell’errore.
Sì, caro Ainis, la cultura sarda merita di meglio di quanto offrono, e impongono, gli xenomani di ogni genia. Sia nel campo della ricerca storica sia nell’ambito della lingua e della letteratura sarde sia nel campo di una provincialissima stampa che sbava dietro qualunque imbecille arrivi dal mare. E sia – ed eccoci d’accordo – nella gestione delle Università. [gfp]
Gentile prof. Pittau,
Le confesso di essere rimasto stupito quando, qualche tempo addietro, un frequentatore del blog che gentilmente ci ospita ha ventilato la possibilità che io fossi un parto della fertile mente del sig. Pintore. Non mi sembrava un blog sufficientemente surreale da giustificare un intervento di tal fatta, ecco tutto, l’avrei visto meglio altrove.
E invece ecco che compare un Suo intervento che è assai più sorprendente del precedente, molto più surreale, inaspettato e, sulle prime – almeno per me – affatto incomprensibile.
Potrei commentarlo a lungo, oppure non farlo del tutto (e sarebbero in molti ad essere contenti che il ‘cattivone’ sia stato giustamente coperto dalla montagna di palta spalata dal famoso docente, e sia rimasto soffocato perdendo la voce).
Se scrivo una replica – non potrà essere telegrafica e me ne scuso – è prima di tutto per rispetto. Lei mi ha chiamato in causa in termini educati e mi sentirei terribilmente scortese ad ignorarLa (mi creda se Le confido che il giudizio negativo di altri frequentatori del blog, se io tacessi, scivolerebbe sul piano inclinato della mia indifferenza o, detto in altri termini più acidi, non me ne potrebbe importar di meno).
Leggi tutto
Gentile sig. Ainis,
non ho, fino ad ora, risposto alla sua domanda sul che cosa io intenda per cultura sarda – concordare sul fatto che esista, è già un buon punto di partenza – per due ragioni principali: la prima è che pensavo, e penso, che dagli articoli scritti su questo blog e altrove venisse fuori con sufficiente chiarezza; la seconda è che non so quanto possa interessare gli altri un mio esplicito trattatello sulla cultura sarda. Ma vedo che quasi mi rimprovera di non averle risposto e mi parrebbe, a questo punto, maleducato insistere.
Immagino che lei citi Melis, Sanna e Frau come prototipi di “pochezza culturale” e non come i soli rappresentanti di tale pochezza, messi al bando i quali tutto sarebbe sistemato. Le potrei rispondere che la mia stima (il che non equivale a totale condivisione) dei tre autori gode di ottima compagnia, non solo in mezzo alla gente che li sente congeniali al proprio bisogno di mito, ma anche in mezzo a studiosi di chiara fama. Non si capirebbe, altrimenti, perché sono in giro in Europa, e non solo, per università, istituti prestigiosi, accademie. Ma so che questo non le basta, anche se non saprei perché.
Frau, Melis e Sanna (fa però male a metterli insieme, come se sostenessero un’unica tesi) sono parte integrante della cultura sarda e la illustrano per buoni motivi, alcuni interni a quel che dicono, altri di ordine maieutico. Nessuno di loro tre si è accontentato di una storia codificata: tutti e tre hanno lanciato una sfida a chi, invece, vorrebbe codificata per sempre la storia che essi hanno scritto. Dicendo, per esempio, che Su Tempiesu, manufatto del XIII secolo, ha modelli proto villanoviani, che “copiano” stili nati almeno due secoli dopo. O, ancora, sostenendo che i nuragici non avevano scrittura “perché non avevano bisogno di scrivere”.
Sarà perché penso seriamente che la cultura è un processo o non è, ma, quanto, per esempio, alla scrittura nuragica, di fronte alle decine di scritte trovate da Gigi Sanna (pubblicate in Sardoa Grammata o anche solo in questo blog) preferisco di gran lunga le sue spiegazioni al silenzio, ufficiale e tombale, che da anni circonda i ritrovamenti. Così come trovo almeno stimolante l’ipotesi di Sergio Frau secondo cui le Colonne d’Ercole furono spostate a Gibilterra in epoca a noi più vicina.
Non ho grande amore per il mito, pur sapendo quale funzione abbia avuto nella storia dell’uomo, ma nutro una disistima profonda per quanti negano per partito preso e per xenomania il fatto che la Sardegna ha avuto una storia diversa da quella descritta da xenomani. In genere per difendere, anche contro verità, rendite di posizione, quel che hanno scritto, insegnato all’Università, messo in curricola spendibili solo attraverso la ripetizione dell’errore.
Sì, caro Ainis, la cultura sarda merita di meglio di quanto offrono, e impongono, gli xenomani di ogni genia. Sia nel campo della ricerca storica sia nell’ambito della lingua e della letteratura sarde sia nel campo di una provincialissima stampa che sbava dietro qualunque imbecille arrivi dal mare. E sia – ed eccoci d’accordo – nella gestione delle Università. [gfp]
lunedì 4 maggio 2009
Quando il restauro inghiotte i reperti
di Leonardo Melis
Il problema sollevato dai ragazzi del GRS su S. Vero Milis è di una attualità disarmante. L'incuria, l'abbandono e il disinteresse da parte degli Enti preposti alla conservazione e valorizzazione dei nostri tesori archeo è disarmante. Disarmante e ripetitiva in modo inimmaginabile.
Mi capita spesso, nelle mie conferenze sui Popoli del mare, di elencare queste strane sparizioni. Credetemi, sono centinaia. Basta fare un salto al museo archeologico di Cagliari (ma anche di Sassari e...) e chiedere di un oggetto preciso; vi sentirete rispondere con la fatidica frase di "Montipramica" memoria: "è in restauro"
- I famosi scarabei "egittizzanti" che poi egizi sono, qualche migliaio.
- Uno djed egizio a quattro livelli –
Il trapano (definito "spiedo") in bronzo
- LA stele di Nora, sparita lo scorso anno per almeno 7 mesi nel silenzio generale. La scomparsa fu denunciata all'Unione Sarda da Loenardo Melis a settembre e riapparve nel maggio dell'anno seguente. Dopo essere stata concessa a un museo di arti orientali di Parigi e classificata con la scritta "stele fenicia"
- Le statue egizie della tomba di Solki: le ultime notizie parlano di chiusura della tomba "per restauro"
- Le statue di Monti Prama, beh! Qui sappiamo...
- Le tavolette di Tzricotu, beh! Qui sappiamo, grazie a Gigi Sanna e altri amici dell'oristanese.
- I numerosi altri oggetti che non conosceremo mai... la giustificazione è sempre la stessa da parte di chi dovrebbe dare risposte: "Sono in restauro"... ma per quanto ancora? Quanti anni dovranno ancora passare anche per i Giganti, prima che escano dalla nuova "prigione" a Li Punti?
Il problema sollevato dai ragazzi del GRS su S. Vero Milis è di una attualità disarmante. L'incuria, l'abbandono e il disinteresse da parte degli Enti preposti alla conservazione e valorizzazione dei nostri tesori archeo è disarmante. Disarmante e ripetitiva in modo inimmaginabile.
Mi capita spesso, nelle mie conferenze sui Popoli del mare, di elencare queste strane sparizioni. Credetemi, sono centinaia. Basta fare un salto al museo archeologico di Cagliari (ma anche di Sassari e...) e chiedere di un oggetto preciso; vi sentirete rispondere con la fatidica frase di "Montipramica" memoria: "è in restauro"
- I famosi scarabei "egittizzanti" che poi egizi sono, qualche migliaio.
- Uno djed egizio a quattro livelli –
Il trapano (definito "spiedo") in bronzo
- LA stele di Nora, sparita lo scorso anno per almeno 7 mesi nel silenzio generale. La scomparsa fu denunciata all'Unione Sarda da Loenardo Melis a settembre e riapparve nel maggio dell'anno seguente. Dopo essere stata concessa a un museo di arti orientali di Parigi e classificata con la scritta "stele fenicia"
- Le statue egizie della tomba di Solki: le ultime notizie parlano di chiusura della tomba "per restauro"
- Le statue di Monti Prama, beh! Qui sappiamo...
- Le tavolette di Tzricotu, beh! Qui sappiamo, grazie a Gigi Sanna e altri amici dell'oristanese.
- I numerosi altri oggetti che non conosceremo mai... la giustificazione è sempre la stessa da parte di chi dovrebbe dare risposte: "Sono in restauro"... ma per quanto ancora? Quanti anni dovranno ancora passare anche per i Giganti, prima che escano dalla nuova "prigione" a Li Punti?
domenica 3 maggio 2009
No no, sono proprio falli (i bigotti ci perdonino)
di Gigi Sanna
Caro Gianfranco,
l’intervento dei giovani de GRS, apprezzato, come vedo, un po’ da tutte le parti, è quanto mai illuminante per far capire soprattutto questo: che sta nascendo una nuova generazione di Sardi che, fregandosene di tutto e di tutti, ci vogliono veder chiaro sulle nostre cose del passato. Ci saranno Sovrintendenze, Comuni, Carabinieri, Guardie forestali, Guardie di Finanza, ecc. a vigilare sul nostro territorio, ovvero le istituzioni, ma ci saranno anche coloro che lo faranno con la enorme passione tipica dei volontari e renderanno il più possibile visibile e aperto alla discussione, magari pubblicandolo come ora nel tuo Blog, tutto quello che in qualche modo si trascura a detrimento della valorizzazione di quel passato.
I giovani del GRS si sono comportati, nel caso specifico, quasi – come dire - da ‘agenti’ di ‘Striscia la Notizia’ e hanno costretto chi di dovere a dare delle spiegazioni, alcune convincenti, altre molto meno, del fatto che alcuni reperti archeologici (falli o non falli che fossero, mensoloni o non mensoloni, nuragici o non, romani, bizantini o longobardi) si trovassero buttati in quella maniera. Perché buttati erano, inutile negarlo. Hanno costretto anche a fare delle ‘promesse’ tanto che vedranno che quei reperti, stante la ‘garbata’, ma ferma denuncia, l’anno venturo non ci saranno più. Almeno fosse stato che qualche funzionario della Sovrintendenza di Cagliari o di Oristano si fosse mostrato altrettanto zelante, gentile e sensibile di fronte alla denuncia aperta e reiterata di Giorgio Cannas sulla scomparsa di oggetti del valore del Cosiddetto Brassard di Is Locci- Santus o del coccio nuragico con caratteri cuneiformi incisi di cui parlano sia l’archeologo Zucca sia il prof. Pettinato.
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Caro Gianfranco,
l’intervento dei giovani de GRS, apprezzato, come vedo, un po’ da tutte le parti, è quanto mai illuminante per far capire soprattutto questo: che sta nascendo una nuova generazione di Sardi che, fregandosene di tutto e di tutti, ci vogliono veder chiaro sulle nostre cose del passato. Ci saranno Sovrintendenze, Comuni, Carabinieri, Guardie forestali, Guardie di Finanza, ecc. a vigilare sul nostro territorio, ovvero le istituzioni, ma ci saranno anche coloro che lo faranno con la enorme passione tipica dei volontari e renderanno il più possibile visibile e aperto alla discussione, magari pubblicandolo come ora nel tuo Blog, tutto quello che in qualche modo si trascura a detrimento della valorizzazione di quel passato.
I giovani del GRS si sono comportati, nel caso specifico, quasi – come dire - da ‘agenti’ di ‘Striscia la Notizia’ e hanno costretto chi di dovere a dare delle spiegazioni, alcune convincenti, altre molto meno, del fatto che alcuni reperti archeologici (falli o non falli che fossero, mensoloni o non mensoloni, nuragici o non, romani, bizantini o longobardi) si trovassero buttati in quella maniera. Perché buttati erano, inutile negarlo. Hanno costretto anche a fare delle ‘promesse’ tanto che vedranno che quei reperti, stante la ‘garbata’, ma ferma denuncia, l’anno venturo non ci saranno più. Almeno fosse stato che qualche funzionario della Sovrintendenza di Cagliari o di Oristano si fosse mostrato altrettanto zelante, gentile e sensibile di fronte alla denuncia aperta e reiterata di Giorgio Cannas sulla scomparsa di oggetti del valore del Cosiddetto Brassard di Is Locci- Santus o del coccio nuragico con caratteri cuneiformi incisi di cui parlano sia l’archeologo Zucca sia il prof. Pettinato.
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Nella foto: il grande fallo a Gremanu (Fonni)