La discussione aperta da Gabriele Ainis su questo blog mi fa tornare alla mente un articolo che scrissi per L'Unione sarda e che il giornale a cui collaboravo pubblicò 1l 24 agosto 1994. Aveva per titolo "Revolucion e cemento / Nùgoro no est prus Nùgoro". Si trattava della risposta a un articolo di un caro amico, anch'egli emigrato in Piemonte (a Torino per la precisione), uscito qualche giorno prima sullo stesso giornale.
Me lo sono ritrovato e lo propongo ai lettori del blog. Senza alcun commento.
Leggevate Il ponte e Belfagor, Il Contemporaneo e Società , i libri delle Meduse e dei Coralli, voi che transumavate dai paesi delle zone interne al liceo 'Asproni' di Nuoro. Proprio come noi in tràmuda più lunga, dalle brume interiori della Baronia e dalle rabbie umiliate della barbarìa verso le tempeste dei licei continentali, per voi pascolatori bradi che sentivate strettissime le pasture nuoresi e per noi allevatori stanziali angosciati dae sos tancados fiorentini, gli anni delle 'aperture al mondo'. E intanto, mentre noi angosciavamo lassù e voi qui giù, lassù un futuro ministro festeggiava (1960 o giù di lì) nella villa in collina il suo primo miliardo e qui giù i chiuditori progettavano e attuavano il sacco di Nuoro, anch'essi concretizzando le loro 'aperture al mondo'. Al mondo dei Quarto Oggiaro e dei Pero e delle tante altre periferie urbane, tutte uguali e tutte angosciose; anch'essi, a modo loro, desiderosi di cosmopolitismo. E, visto che, nella loro cultura urbanistica, Nuoro non poteva assomigliare a Praga, che almeno si ispirasse a Cinisello Balsamo. La nostra compagna di scuola, futura figlia di ministro, ci aveva invitato alla festa del primo miliardo. L'ovvietà non dà scandalo e poiché la proprietà è (era?) un furto, che indecenza sarà mai un miliardo anziché un milione? Si divertì molto la corte del futuro ministro alle minacce di palingenesi rivoluzionaria e qualche signora abbozzò persino un brivido di cortese terrore. La giustizia è (era?) di classe e figurati se valeva la pena di chiedere a irrintracciabili babbi di Di Pietro di organizzare una retata da settanta ottanta miliardi a prezzi di allora.
La nostra compagna di scuola, ricordo, era intonatissima cantando con noi 'Addio Lugano bella ' e 'E con le budella dell'ultimo prete impiccheremo l'ultimo re'. Che giovani simpatici; la prossima volta ci parlerete ancora della dittatura del proletariato, eh?
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Gentile sig Pintore,
RispondiEliminainutile sottolineare che siamo d’accordo. Stupito? No, naturalmente, e perché dovrebbe? A quanto pare siamo interessati entrambi al recupero della nostra identità di sardi (e non solo Lei ed io). Si tratterebbe di comprendere se sia opportuno inseguire le fanfaluche pseudostoriche di una passata grandezza per rivendicarla oggi, con la certezza di essere trasformati tutti, e per davvero, nei pastori pelliti dell’immaginario che lei adombra, o sia meglio riflettere sulla storia vera per trarne insegnamento, come del resto suggeriva correttamente il prof Pittau nel blog. Detto in altri termini, Le chiedo quale strategia vincente sarebbe quella di urlare che i cattivoni nascondono i falli di pietra allo scopo di umiliare la nostra identità nazionale: cessate le urla ci sentiamo più forti? Più belli? Più intelligenti? Più sardi?
O non è vero che ci mostriamo più ridicoli?
Possibile che rileggendo le veementi (e spesso sgrammaticate) proteste non Le sia mai venuto da ridere? Non se l’immagina il tetro archeologo che riceve la telefonata dal Minculpop e si reca nottetempo, pala in mano, a San Vero per sotterrare l’inquietante e pericolosissimo pene?
Guardi, Lei nel suo articolo (che nostalgia quel respiro epico che adesso si usa meno) solleva due questioni interessanti: il vivere quotidiano con un occhio alla propria identità, e la protervia di chi farebbe soldi anche sul corpo dei propri figli. Non le confonda. Non c’è una sardità sempre buona e un indistinto “altro” cattivo che vuole sopprimerla. La speculazione edilizia, il malcostume, la corruzione, la piccineria e tutto il resto che riesce a immaginare (di negativo), trovano cittadinanza ovunque, isole comprese, e non sarà il primo pseudointellettuale abborracciato - che sogna di imperi scomparsi migliaia di anni addietro - a cancellarli cianciando a sproposito di popoli invitti e fieri.
Lei non tollera chi non ha rispetto per il nostro passato? La applaudo: neppure io! E le dirò di più: non sopporto chi mette in ridicolo la nostra storia per vendere quattro fogli di carta, mendicare un rimborso spese da pochi euro o inventarsi una strada da fantaintellettuale non avendo le capacità per aspirare ad essere un intellettuale vero.
Glielo dico diversamente: se davvero avesse bisogno una storia inventata (ma perché poi?), almeno si scelga qualcuno che sia capace di farlo decentemente, possibilmente senza sbagliare tre congiuntivi ogni due e senza finire a parlare di Atlantide, Templari, Rennes-le-Chateau, l’arca dell’alleanza ed altre piacevolezze come queste. Come ho avuto modo di dire (ricevendo volentieri una gran mole di insulti) la storia sarda e Indiana Jones sono due cose differenti, non confondiamole.
Discuterei volentieri di industrializzazione, visto che Lei parla di Ottana e di modernità, ma mi pare OT (se non La disturba l’uso del lessico corrente nel web). Suggerisco solamente (e assai modestamente) un argomento di riflessione: noi sardi (senza eccepire coloro che tuonano contro il vile straniero sfruttatore, e posto che la categoria abbia senso) siamo del tutto vergini, oppure abbiamo (avuto) le nostre brave responsabilità? E queste ultime, se ci sono (state), quante volte sono (state) contrabbandate sotto la bandiera della strenua difesa dell’interesse nazionale?
Cordialmente.
Gabriele Ainis