Non conosco di persona il presidente della Regione, ma se sono vere le cose che contro di lui scrive Marcello Madau su Il Manifesto sardo, urge che qualcuno me lo faccia conoscere perché ho una gran voglia di stringergli la mano. Scrive Madau: “… l’invito del Presidente della Regione Sardegna alla ‘nazione sarda’ non crea problemi sociali e lascia intatto il potere del nuovo padrone coloniale, suo personalissimo dominus, Silvio Berlusconi. Codificando non a caso – come mostra la prolusione nazionalista di Cappellacci proprio in occasione di Sa Die de Sa Sardigna - la deriva qualunquista implicita nel mettere al primo posto la questione nazionale piuttosto che quella di classe, nazionale e internazionale.”
Certo, quell’accenno a Cappellacci come maggiordomo di Berlusconi deve essere un avanzo rimasto fra i denti nella abbuffata di propaganda elettorale, e, altrettanto certamente, ci deve esser stato in Madau un corto circuito fra “nazionale” e “statale”: da un lato rimprovera il presidente di aver messo “al primo posto la questione nazionale” e dall’altro, qualche parola più in là, lo rimprovera di aver sottaciuto quella “di classe, nazionale (!) e internazionale”. Ma il concetto è chiaro.
Cappellacci avrebbe sostenuto, nella sua “prolusione nazionalista” nel Parlamento sardo sa die de sa Sardigna, che per il popolo sardo la “contraddizione primaria” è quella nazionale. Sarebbe in ottima compagnia con il teorico del Partito Comunista Indocinese Le Duan, con Franz Fanon nonché con i grandi pensatori dei movimenti anticolonialisti. Ma non credo che Cappellacci sia l’ultimo dei terzomondisti, parola invisa ai comunisti di una volta e non so se anche di Madau.
È noto che, durante la lotta di resistenza contro i francesi, Ho ci minh considerò primaria la “contraddizione nazionale” e per questo si alleò anche con i mandarini vietnamiti che, dal punto di vista “di classe”, avrebbero dovuto essere nemici. Lo diventarono, ma solo dopo le truppe francesi furono sconfitte e scacciate. Altra storia e, lo dice un vecchio stimatore dei vietmin, la dimostrazione che nel mondo comunista la gratitudine non è merce di largo consumo. Ma è davvero altra storia.
Resta il fatto che se è giusta l’interpretazione di Madau della “prolusione nazionalista” del presidente della Regione sarda (Regione sarda, non Regione Sardegna, né più né meno di come si parla di Repubblica italiana, non di Repubblica Italia), per la nazione sarda si aprono prospettive inaspettate e insperate. Se la contraddizione che va per prima risolta è quella fra la nazione sarda e lo stato (come del resto è implicito nella volontà di adottare un nuovo statuto speciale), questo vuol dire che a questa risoluzione dovranno essere chiamati tutti i sardi, al di là delle “classi”. In altre parole si prefigura una mobilitazione di popolo, una unità di popolo che fu nei momenti più alti di riconquista dell’autonomia.
Ecco perché mi andrebbe di stringere la mano al presidente Cappellacci, speranzoso che abbia visto bene Marcello Madau. Il quale, guarda un po’ le ricorrenze della storia, mi richiama alla mente la polemica che il Pci (e il Psi) scatenarono subito dopo la guerra contro l’imminente autonomia della Sardegna. Mi sembra di leggere pagine avvizzite dal tempo degli opuscoli comunisti e socialisti, dove si poteva leggere, ad esempio, che l’autonomia sarda rischiava di isolare le masse dei contadini sardi dal proletariato settentrionale e – eccoci qua – di “permettere alle varie clientele professionali, ai gruppi locali di rafforzare il proprio dominio, riducendo i lavoratori sardi in uno stato di soggezione feudale”.
Si trattava di conquistare mica l’indipendenza, ma quel po’ di autonomia che ci ritroviamo. Dal 1945, quando queste bestialità furono scritte, sono passati 64 anni. Pensare che ancora oggi quello schema induca a ragionamenti simili, con l’aggiunta che il nazionalismo sardo sarebbe “una deriva qualunquista” in quanto non classista, è davvero deprimente.
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