Sarà durissima da ingoiare, ma adulti e vecchi
dovremmo rassegnarci a restituire ai nostri figli e nipoti quel che lo Stato (e
noi per la parte che ci tocca) ha sperperato in diversi lustri. Dovremo
rassegnarci, indipendentemente dal fatto che individualmente o come gruppi
familiari abbiamo partecipato ad aumentare il debito pubblico. Molti dei tagli
alla spesa annunciati saranno duri, altri ingiusti, altri malamente
sopportabili. Ma ce ne sono di intollerabili per il loro carico ideologico,
come quelli minacciati contro gli elementi di democrazia linguistica di cui più
volte anche su questo blog si è scritto. Con quei tagli non si risparmia se non
qualche briciola, ma si rischia di distruggere un clima di tolleranza e di
pacifica convivenza fra lingue e nazionalità diverse della Repubblica, clima
che si è costruito in decenni di battaglie culturali e politiche.
Il “risparmio”, la “lotta agli sprechi” sono
categorie in sé affatto condivisibili. Ma spesso nascondono, sia nella politica
sia nei media che le agitano, un odio ottusamente giacobino nei confronti delle
autonomie territoriali, linguistiche, culturali. I professionisti
dell’anti-casta, cui pure va il merito di aver fatto i conti in tasca ai ceti
politici, alla fine non riescono più neppure a velare quale sia il loro sogno:
il ritorno ad un centralismo napoleonico, quello del Risorgimento e del suo
figliolo il Fascismo, che mai del tutto vinto, con la Costituzione era stato
almeno scalfitto. Le pulci fatte alle autonomie regionali, quelle speciali
soprattutto, e a quelle locali, ai loro costi, hanno poco a che fare con
l’economia e molto con la statolatria e la diffidenza per l’autogoverno.
Uno dei padri fondatori dell’anti-casta, Sergio
Rizzo, scrivendo del riordino delle Province afferma che esso “non verrà deciso dall’esecutivo, ma dalle
autonomie locali, cioè dalle stesse Province. Un po’ come dare al cappone il
potere di scegliere come e in quale modo celebrare il Natale”. Del
“risparmio” a gente così non può fregargliene di meno: quel che vogliono è che
sia l’esecutivo centralizzato a decidere quando e come immolare i capponi, cioè
i cittadini nell’idea che se ne è fatta. Del resto, sono i professionisti
dell’anti-casta che hanno pompato, fino a far fare una magra figura a Mario
Monti, la campagna per il commissariamento della Regione siciliana con la falsa
previsione di un suo prossimo fallimento per via degli sprechi perpetrati.
La lotta agli sprechi nella pubblica
amministrazione, giusta per l’amor del cielo, è arrivata a tale punto di
paranoia che, come mi è capitato di leggere qualche giorno fa, un altro
giornalista dello stesso stampo e cordata ha indicato fra i motivi della crisi
economica in Catalogna il fatto che lì si spendono soldi per tradurre in
catalano libri scritti i altre lingue e che molti altri euro vengono dilapidati
per fare radio e televisione in catalano. Tempo fa, nell’agosto del 2009, L’Espresso
scrisse cose simili contro il “dialetto friulano” e un mese dopo fu la volta del
Corriere
della sera, seguiti poi da La Repubblica e da La Stampa. In tutti gli
articoli, lo scandalo è che per tutelare e promuovere il friulano si spendevano
soldi.
Sono passati due anni e i burocrati che allignano
nel governo Monti sottraggono la politica all’imbarazzo di ridurre ai minimi
termini quella democrazia linguistica che i giornali avevano appena intaccato,
con pressapochismo e fornendo notizie false e tendenziose.
Nel decreto di Revisione della spesa e nel disegno
di legge di ratifica della Carta europea delle lingue sardo, friulano e
occitano sono ridotti a dialetti. Ed ecco che su questa trovata si sdraia una
giornalista di Libero,
Cristina Lodi. Si spendono soldi per il “dialetto friulano”, persino per
tradurre il Vangelo nella “parlata locale” e poi si vede che per treni e strade
“siamo alla Preistoria”.
Il sardo, in questa kermesse dell’ignoranza
finalizzata, è trattato sul Corriere della sera del 28 scorso con meno
arroganza, ma con una approssimazione impressionante. Mi ritrovo in quanto
scrive Roberto Bolognesi, I
bugiardi della sera.