Non è dato sapere che fine abbia fatto
l’emendamento che il deputato
sardo Federico Palomba ha con successo proposto ai suoi colleghi senatori perché si eviti la strampalata
discriminazione della lingua sarda. Nel decreto sulla Revisione della spesa, un
burocrate ministeriale (pare funzionario specializzato in bilanci) ha distinto
le lingue di minoranza fra quelle tutelate perché “di madre lingua straniera” e
quelle non tutelate perché dialetti. Tutto, in merito, tace. Sorte diversa
sembra esser stata riservata alla lingua friulana: la Commissione cultura del
Senato, su proposte del Leghista Mario Pittoni ha approvato alla unanimità il
parere poi consegnato al Governo.
I commissari (nessun sardo, visto che i senatori
della Sardegna di tutto si occupano tranne che di cultura) ricordano che la
legge statale 482 di tutela delle lingue di minoranza non fa distinzione fra di
esse, come invece ha stabilito prima il burocrate e poi il ministro che ha
presentato quella norma psichedelica. C’è da sperare che il richiamo al buon
senso e alla lettera della L 482 prevalga sulla tentazione di far passare,
attraverso una incolta e antiscientifica affermazione, il tentativo di ridurre
la democrazia linguistica a questione di rapporti fra stati. Altrimenti, è
ovvio che toccherà alla Corte costituzione decidere se burocrati e tecnici al
governo hanno la facoltà di mettersi sotto i piedi una legge dello Stato e la
Costituzione.
In tutta questa vicenda, a fare la figura degli
indifferenti se non peggio sono i deputati e i senatori sardi, con la lodevole
eccezione di Palomba che pur non essendo senatore, non ci ha pensato due volte
a chiedere al suo collega siciliano, senatore Giambrone, di farsi difensore del
sardo. Del resto, non migliore sorte era stata riservata dai parlamentari che
ci rappresentano in Italia al sollecito fatto loro dall’assessore regionale
della Cultura affinché vigilassero per evitare lo scempio che della Carta
europea delle lingue vogliono fare il Governo e, in particolare, il ministro
degli Esteri. (Vedi il testo della lettera
di Milia, riportato nel blog di Paolo Maninchedda).
La seconda e l’ottava commissioni del Consiglio
regionale (si occupano fra l’altro delle politiche comunitarie e di diritto
allo studio) hanno approvato alla unanimità la richiesta al Governo sardo e ai
parlamentari “a proporre in sede di
conversione del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 “Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” gli
opportuni correttivi all’articolo 14, comma 16, affinchè vada necessariamente
eliminato il riferimento alla “minoranza di lingua madre straniera”
ripristinando l’interpretazione originaria di tale disposizione che consentiva,
anche alla Regione Sardegna, l’applicazione della deroga prevista dal comma 5
anche alle altre minoranze linguistiche storiche tutelate dalla legge n.
482/99, tra le quali sono ricomprese il catalano e il sardo”.
E sempre all’unanimità hanno dato una sveglia sia
al presidente della Regione sia ai parlamentari sardi a Roma con l’invito “a vigilare e a porre in essere tutte le
opportune iniziative, in sede di approvazione in Parlamento del disegno di
legge n. 5118/XVI, affinché la lingua sarda possa vedere garantiti i massimi
livelli di salvaguardia e promozione in ogni settore della vita economica e
sociale, con particolare riguardo all’ambito dell’istruzione e
dell’informazione, in modo tale da consentire una sua piena ed effettiva tutela
in considerazione del valore storico, identitario e culturale della stessa”.
In un momento in cui la lingua sarda, e insieme ad
essa la stessa identità nazionale, sono prese di mira credo valga la pena
segnalare quanto scrive il sardista Paolo Maninchedda nel suo sito: “[…] una cosa mi è chiara: oggi abbiamo
importanti intellettuali impegnati nella studio, nella tutela, nella promozione
e nella diffusione della lingua sarda, ma abbiamo un basso tasso di resa
politica della “questione lingua” ai fini dell’indipendenza. Il difetto è
evidentemente di chi fa politica e quindi anche mio.”
Menomale che esistono politici come Palumbo e Manichedda che sanno di essere sardi e cercano di tutelare la nostra lingua,sì lingua non dialetto.L'istinto è di mandare a ramengo i politici sardi così indifferenti e troppo presi dai loro interessi ma,sopratutto, a prostrarsi al potere centrale,Mi auguro che i sardi,attraverso il voto,li puniscano ed eleggano persone con la schiena dritta.
RispondiEliminaPecato che Palomba sia responsabile come tutti gli altri parlamentari sardi di orrende nefandezze, vedi la devastazione del territorio sardo per la ricerca dell'oro.
RispondiEliminaComunque qualsiasi cosa facciano per la politica sarda è troppo tardi, oramai solo l'indipendenza totale ci potrà salvare.
Ma chi ha ragione, l'idealista ZFP o l'uomo disincantato bentuesusu sul politico Palomba? C'è un'altra possibilità:un ravvedimento da parte di Palomba.Le vie del signore sono infinite.
RispondiEliminaLe vie del Signore, cara Grazia, saranno pure infinite, ma sicuramente poco praticate.
RispondiEliminaSignor Francu,ha ragione ma l'ho detto in senso ironico.Se le vie del signore fossero praticate non ci troveremmo in una situazione così drammatica.
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