Che cosa c'entrano la
revisione della spesa e la necessità di rimettere a posto i conti
pubblici con la revoca di diritti civili e la annullamento della
democrazia linguistica? Evidentemente nulla, visto che l'eventuale
risparmio risultante sarebbe ridicolo. E dall'impatto devastante come
lo sarebbe abolire il voto con il pretesto di risparmiare soldi. Lo
stesso governo Monti bada bene a non abrogare il diritto alla salute,
alla giustizia, all'istruzione pur in mezzo a tagli drastici delle
spese necessarie all'esercizio di questi diritti. Per le lingue
minorizzate si è scelta la soluzione radicale, salvando dalla
mannaia solo quelle che sono protette da trattati internazionali e
dimostrando, così, che il risparmio è l'ultima delle
preoccupazioni.
Del resto, lo stesso
succede per acquisizioni che si davano come conquistate per sempre:
autonomie comunali e regionali giorno per giorno sotto attacco con
l'aiuto dei professionisti dell'anti-casta, qualunquisticamente
impegnati a ridicolizzare ogni espressione di autogoverno. Gente che
va in deliquio davanti al federalismo statunitense (con stati che
prevedono la possibilità di assassinare i delinquenti e altri no),
strabuzza gli occhi incredula davanti al simil-federalismo della
sanità in Italia e condiziona l'opinione pubblica. A tutte queste
aberrazioni conduce la cultura giacobina che alligna nella politica,
nella intellighenzia e nella stampa nazionalista granditaliana,
quelle che scambiano la retorica patriottarda della celebrazione
dell'unità d'Italia per una unità reale e condivisa.
La spaventosa crisi
economica induce parte dell'opinione pubblica – e non solo in
Italia – a considerare un male minore la messa in mora dei diritti
civili. Non sembra vero al giacobinismo di ogni colore che il governo
tecnico si sia assunto il compito di fare, in questo ambito almeno,
il “lavoro sporco” che i politici giacobini non sono stati e non
sono in grado di fare. Ne è dimostrazione il fatto che le politiche
attive di accentramento non suscitano se non flebili e nient affatto
convinti mugugni. Sbaglierò, ma i partiti della maggioranza
montiana, con maggiore o minore consapevolezza, sono grati ai
ministri tecnici per il tentativo che fanno di ridare una sistemata
centralista allo Stato-Nazione che, come dimostra la crisi attuale, è
in discussione ovunque anche se non ovunque con la stessa intensità.
Un articolo su questi temi
della giovane studiosa americana Marcia Christoff Kurapovnva sul Wall
Street Journal, ha indotto Il Corriere della sera
ad intervistarla. La studiosa, che mette in rapporto il “fallimento”
dello Stato greco con il fatto che lo Stato italiano “non
funziona”, dice che a lei
“pare che gli italiani abbiano paura delle imposizioni
dello Stato centrale”. Del
resto “l'unità dell'Italia la capisco ancora meno di
quella della Grecia, che almeno fu determinata dal disfacimento
dell'impero Ottomano”. Secondo
Kurapovna, per la quale “l'idea di
one-size-fits-all, di una politica che vada bene per
l'intero Paese, è sbagliata”,
la soluzione è quella della Italia delle regioni: “Il
primo passo necessario, probabilmente, sarebbe la separazione fra il
Nord e il Sud”. Cita, come
modello, “l'esempio del Sud Tirolo”
(“Alto Adige, ndr”, traduce italianissimamente l'intervistatore,
forse ignorando che Sud Tirolo è nome usato nella Costituzione):
“Quando ogni regione si auto-organizza, le cose
riprendono a funzionare, come lì. Quando si dà uno stop alle
interferenze e alle imposizioni di Roma, intesa come centro dello
Stato, l'innovazione e la crescita lievitano, scompare la paura dello
Stato”.
Certo,
è solo una studiosa e si tratta solo di un articolo sia pure su due
giornali di prestigio, ma è segno, credo non minimo, che la retorica
unitarista è messa in forse anche in ambienti che non ti aspetteresti. Ho l'impressione
che nei circoli politici ed economici che contano la questione della
crisi dello Stato-Nazione sia all'ordine del giorno più di quanto
fuori di essi appaia. L'implosione della Lega illude i sacerdoti del
“un popolo, una nazione, una lingua” che con la scomparsa di
Bossi sia stata sepolta la cosiddetta “questione settentrionale”.
Altrettanto illusi sono costoro del fatto che il Meridione della
Penisola e la Sicilia siano un compost di mafie, sperperi,
borbonismo, clientelismo e che la questione sarda sia un simpatico
miscuglio di folclorismo e irredentismo, controllato e controllabile
dalle succursali locali di Roma e Arcore.
I
cervelli più fini del nazionalismo italiano (non tutti sono La
Russa, Scalfari, Casini, Stella e compagnia cantante) sanno benissimo
che così non è e che se rimedio c'è allo sfascio dello
Stato-Nazione, questo sta in una Costituzione materiale carata
sull'emergenza. Alla inevitabile cessione futura di sovranità
all'Europa rispondere con una accentuazione del centralismo statale a
detrimento dei comuni e delle Regioni (le Province sembrano ormai
sistemate); al richiamo dell'Europa fatto all'Italia perché
finalmente rispetti le sue minoranze linguistiche, rispondere con una
legge gattopardesca che limiti la tutela alle lingue protette dagli
stati di riferimento (l'Austria per il tedesco, per esempio) e
affossi quelle che, non avendo dietro di sé un esercito, non pongono
problemi. Naturalmente gli autori del colpo di mano conoscono i loro
polli e fidano nel fatto che, per esempio, la politica sarda non farà
certo le barricate: a destra perché c'è ben altro a cui pensare, a
sinistra perché mica si può mettere in marrania Mario Monti per una
cosa tanto marginale; al centro perché la lingua non procura voti;
nel mondo indipendentista, parlamentare ed extra, perché ancora non
si è ben capito se e in che modo la lingua giocherà un ruolo nelle
politiche della sovranità.
Non ho
mai pensato che le magnifiche sorti e progressive avranno sempre la
meglio sui tentativi del potere di costruirsi intorno una società ad
hoc. Sono però moderatamente fiducioso nel fatto che prima di essere
sepolta, una lingua sia in grado di mobilitare chi la parla. E sono
contemporaneamente spaventato dall'idea che domani anche in Sardegna
la battaglia di resistenza sia costretta a non badare a spese, come è
successo in Corsica e nel Paese basco.
Anche se qualcuno penserà che sono ruffiana,e non me ne imorta nulla,dico:bravo ZFP.Questa volta,approvo,in toto,quello che ha scritto.
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