C’è un proverbio sardo che dice: “In s’àrvore ruta cada unu bi faghet frasca”. Gli amici dell’ex presidente cominciano a fare fascine dall’albero Renato Soru ancora fresco di caduta. Uno di questi è lo storico Aldo Accardo, discepolo di Girolamo Sotgiu e intellettuale di spicco della sinistra sarda. Lo fa in una intervista con il bravo Carlo Figari sull’Unione sarda di oggi, usando parole di insolita durezza: “Il mondo della cultura non può essere governato con un'impostazione di tipo dirigistico, non può accettare che si decidano i programmi in modo autocratico... Tanta carta (progetti, leggi, decreti) prodotta dall'assessorato, spazio a costosi festival letterari gestiti dalla pattuglia di scrittori amici (in prima fila nella campagna elettorale), occupazione manu militari di spazi sdemanializzati”.
Un oppositore al governo Soru non avrebbe potuto esprimersi con altrettanta lucida riprovazione. Peccato che queste pubbliche critiche vengano alla luce solo ad elezioni avvenute e perse dallo schieramento cui Accardo storicamente ha fatto riferimento. Le avesse fatte prima, quando la cultura ufficiale, per convinzione o per convenienza, era tutta dalla parte di Soru, forse alcuni dei misfatti ora imputati potevano essere evitati.
Su questo blog, insignificante formichina di fronte alla poderosa macchina da guerra che si è inventata per esempio la “nouvelle vague letteraria sarda” per gli scrittori amici e una ricca libreria digitale regionale per gli editori amici, alcune delle cose denunciate da Accardo sono state scritte e messe a volare come les feuilles mortes se ramassent à la pelle.
Alcuni titoli:
La superiorità antropologica della nouvelle vague
Passaparola alla Corte di Madrid
"Isole delle storie" SpA: importazione linna pintada
Nessuno le ha mai raccolte. Solo un po’ di fastidio da parte di chi, essendo bravo scrittore per investitura di partito, non capiva perché qualcuno obiettasse a che i soldi andassero ai migliori. O qualche telefonata da parte di chi si sentiva ingiustamente posto fuori dalla “nouvelle vague” o dalla lista degli autori da festival letterario.
Io spero che questa pacchia sia finita, che la Regione torni a dialogare con gli editori, che la letteratura sarda in sardo possa uscire dalla clandestinità (nella libreria digitale regionale, tanto per fare un esempio, c’è solo una decina di romanzi in sardo contro le migliaia in italiano e tutti, ma proprio tutti, i libri degli scrittori amici), che la tessera di partito o la fedeltà al capo non siano più certificazione di bravura in tutti i domini della cultura.
Così, anche la brutta sensazione che Accardo sia andato a far fascine dall’albero caduto sarà fugata. E la sua denuncia sarà di aiuto per uscire da quel clima di dirigismo e di autocrazia che ha descritto.
sabato 28 febbraio 2009
E dagli al Rom
di Alberto Areddu
Presa com’è dalla decretazione d’urgenza che focalizza tutta l’attenzione sui più efferati fatti di cronaca nera, la pubblica opinione come prevedibile, dopo l’intemerata di Bucarest, e le conseguenti pubblicità indottamente benevole, sta trasferendosi dal più generico slogan del “dagli al romeno/rumeno” al più specifico “dagli al rom”, che può andare bene anche a Bucarest da secoli coll’irrisolto problema dell’integrazione della poco duttile minoranza gitana.
Ma se andiamo a guardare bene i visi degli arrestati, in realtà ci accorgiamo che tra questi ci sono oltre a rom, autentici daco-misi (di filiazione tracia) e molti visi italici, perché la Romania, il cui nome non deriva dalla parola “rom” (in gitano ‘uomo, marito’) bensì da “Roma caput mundi”, quando si chiamava Dacia, fu letteralmente violentata dalle squadracce di Traiano nel 115 d.C. e ripopolata in parte da delinquenti e in parte da mercanti originari del centro Italia, proprio laddove più alto si leva oggi il grido che “se ne devono annà”.
La Romania è forse qui per presentare, a nemesi storica, un qualche conto delle passate efferatezze? Forse, ma fa tuttavia sapere il ministro degli Interni del paese balcanico, che il 40% dei pregiudicati e delinquenti dichiarati del suo paese, ha preso oggi residenza in Italia, e non riesce a spiegarsi il motivo. Ma vuoi vedere che qualcuno ha sparso la voce tra loro che magari esisteva sulla faccia della terra, un paese dove il 50 % del prodotto interno non viene dichiarato al fisco; dove i reati passano in giudicato, perché zeppo di Azzeccagarbugli e incartamenti polverosi; dove le carceri sono piene di vecchi delinquenti (italiani) e preferiscono tenerti fuori; dove c’è un ministroide che salta da una coalizione all’altra (e ora sta al posto giusto) per far uscire quanti più delinquenti dalle patrie galere (chiaro: è cattolico e ha il cuoricino buono); ma soprattutto -sia santificato il signore- dove risiede un loro lontano parente, tale Silviu Berulescu, che come Mitridate per cinque anni si è autoimmunizato da qualsiasi accusa e che veleggia ognor in Sardegna col suo Tigellio personale, votatissimo dai locali che ne apprezzano i comuni valori staturali ?
Sì è stato questo che ha riversato sulle sponde d’Italia migliaia di Rom, di daco-misi, e di oriundi de Roma, per il sapere del loro parente solidale nei principi. “Forse che lui non scopa tutte quelle che trova per strada? allora scopiamoci qualcuna di queste italiane "curve”. Si son detti sacrosantamente i nostri migranti balcanici. E poi benevolmente si son aggiunti: “Ma io cinque anni mica ci voglio stare in Italia, me ne faccio quattro e poi me ne torno”. Brave, sante persone: anche i saldi c’hanno fatto. Loro.
Presa com’è dalla decretazione d’urgenza che focalizza tutta l’attenzione sui più efferati fatti di cronaca nera, la pubblica opinione come prevedibile, dopo l’intemerata di Bucarest, e le conseguenti pubblicità indottamente benevole, sta trasferendosi dal più generico slogan del “dagli al romeno/rumeno” al più specifico “dagli al rom”, che può andare bene anche a Bucarest da secoli coll’irrisolto problema dell’integrazione della poco duttile minoranza gitana.
Ma se andiamo a guardare bene i visi degli arrestati, in realtà ci accorgiamo che tra questi ci sono oltre a rom, autentici daco-misi (di filiazione tracia) e molti visi italici, perché la Romania, il cui nome non deriva dalla parola “rom” (in gitano ‘uomo, marito’) bensì da “Roma caput mundi”, quando si chiamava Dacia, fu letteralmente violentata dalle squadracce di Traiano nel 115 d.C. e ripopolata in parte da delinquenti e in parte da mercanti originari del centro Italia, proprio laddove più alto si leva oggi il grido che “se ne devono annà”.
La Romania è forse qui per presentare, a nemesi storica, un qualche conto delle passate efferatezze? Forse, ma fa tuttavia sapere il ministro degli Interni del paese balcanico, che il 40% dei pregiudicati e delinquenti dichiarati del suo paese, ha preso oggi residenza in Italia, e non riesce a spiegarsi il motivo. Ma vuoi vedere che qualcuno ha sparso la voce tra loro che magari esisteva sulla faccia della terra, un paese dove il 50 % del prodotto interno non viene dichiarato al fisco; dove i reati passano in giudicato, perché zeppo di Azzeccagarbugli e incartamenti polverosi; dove le carceri sono piene di vecchi delinquenti (italiani) e preferiscono tenerti fuori; dove c’è un ministroide che salta da una coalizione all’altra (e ora sta al posto giusto) per far uscire quanti più delinquenti dalle patrie galere (chiaro: è cattolico e ha il cuoricino buono); ma soprattutto -sia santificato il signore- dove risiede un loro lontano parente, tale Silviu Berulescu, che come Mitridate per cinque anni si è autoimmunizato da qualsiasi accusa e che veleggia ognor in Sardegna col suo Tigellio personale, votatissimo dai locali che ne apprezzano i comuni valori staturali ?
Sì è stato questo che ha riversato sulle sponde d’Italia migliaia di Rom, di daco-misi, e di oriundi de Roma, per il sapere del loro parente solidale nei principi. “Forse che lui non scopa tutte quelle che trova per strada? allora scopiamoci qualcuna di queste italiane "curve”. Si son detti sacrosantamente i nostri migranti balcanici. E poi benevolmente si son aggiunti: “Ma io cinque anni mica ci voglio stare in Italia, me ne faccio quattro e poi me ne torno”. Brave, sante persone: anche i saldi c’hanno fatto. Loro.
venerdì 27 febbraio 2009
Si depit intendi s'utilesa de sa lingua sarda
de Pàulu Pisu
Saludi a totus, custa est sa primu borta chi interbèngiu in custu blog.
Sa chistioni est de importu mannu e sigumenti candu si fuèddat de lìngua sarda apu imparau a fueddai (e a scri e a ascurtai puru) in lìngua sarda, insaras provu a ddu nai in sardu.
Primu de totu iat a essi unu grandu sbàlliu cussu de si firmai a is laureaus po s'imparu de sardu e cultura sarda, ca ddu scideus ca funt pròpiu issus chi prus de is atrus ant sunfriu de cussu chi deu nau "lingidura de su ciorbeddu" cun sa lìngua de Danti e Petrarca, no est nexi insoru certu, no seu narendu custu, ma abàrrat su fatu ca a limitai a issus sa possibilidadi de essi professoris/imparadori de lìngua e cultura sarda at a fai de manera de serrai is gennas a medas chi laureaus mancai no funt ma podint teni una cuscièntzia e mancai una connoscèntzia assumancu paris, de sa lìngua (ca est cussa chi si fuèddat e si scrit e nou s'archeologia linguìstica cumenti calincunu creit).
Certu su problema de sa formadura de is classis docentis est mannu, e tòcat de seguru a balantzai, a istrinai dinai, ma intantu tòcat a nai ca chi no seus ipòcritas e frassus calincuna cosa si podit fai chene spendi giai-giai mancu unu soddu, bàstat sceti a ddu bolli. Su comunu de Arzachena una pariga de mesis fai at bandiu unu cuncursu po assumi unus cantu Vìgilis Urbanus e at pediu sa connoscèntzia obligatòria de sa lìngua de su logu, gadduresa. Pensai it'iat a sutzèdi chi unu provedimentu de custa genia ddu pighessint po totu is cuncursus pùblicus de s'ìsula.
In pagu tempus is famìllias iant a torrai luegus a imparai sa lìngua a is fillus (assumancu cussas anca sa lìngua est ancora connota, ma chi depeus crei a sa circa sotziolinguìstica fata de pagu de s'universidadi funt ancora medas). Ma s'iant a podi fai medas atras cosas de importu mannu diaveras sene spendi mancu unu soddu. Tòcat a s'arregordai ca sa lìngua, calisisiat lìngua, primu de etotu no s'imparat in scola ma in domu (e sa televisioni podit agiudai meda), a sa scola spètat s'òpera de dda legitimai, de curregidura e indiritzu.
Sa lìngua, calisisiat lìngua podit abarrai bia, cresci e amanniai sceti chi est ùtili e sa populatzioni dda depit intendi custa utilesa achinou no at a serbiri pròpiu a nudda a dda portai in scola. E no si pighit a esèmpiu po su est stètiu fatu po s'inglesu, po caridadi de Deus. Ma poita credeis chi fillus nostus, su prus de is bortas a s'acabu de is cincu annus de is elementaris no imparint giai nudda de inglesu, bortas medas impàrant calincuna cosa chi candu bàndat beni assimbìllat sceti a s'inglesu.
Deu creu diaveras ca po imparai una cosa a un'atru, calisisiat cosa, tòcat in antis a dda sciri, e no bollu aciungi atra cosa. E lasseiddus stai in paxi a cussu pagus operadoris linguìsticus de lìngua sarda e pensai a totu is fainas chi benint fatas po sa lìngua italiana candu custa no tenit pròpiu nisciunu abisòngiu de essi promòvia.
Saludi a totus, custa est sa primu borta chi interbèngiu in custu blog.
Sa chistioni est de importu mannu e sigumenti candu si fuèddat de lìngua sarda apu imparau a fueddai (e a scri e a ascurtai puru) in lìngua sarda, insaras provu a ddu nai in sardu.
Primu de totu iat a essi unu grandu sbàlliu cussu de si firmai a is laureaus po s'imparu de sardu e cultura sarda, ca ddu scideus ca funt pròpiu issus chi prus de is atrus ant sunfriu de cussu chi deu nau "lingidura de su ciorbeddu" cun sa lìngua de Danti e Petrarca, no est nexi insoru certu, no seu narendu custu, ma abàrrat su fatu ca a limitai a issus sa possibilidadi de essi professoris/imparadori de lìngua e cultura sarda at a fai de manera de serrai is gennas a medas chi laureaus mancai no funt ma podint teni una cuscièntzia e mancai una connoscèntzia assumancu paris, de sa lìngua (ca est cussa chi si fuèddat e si scrit e nou s'archeologia linguìstica cumenti calincunu creit).
Certu su problema de sa formadura de is classis docentis est mannu, e tòcat de seguru a balantzai, a istrinai dinai, ma intantu tòcat a nai ca chi no seus ipòcritas e frassus calincuna cosa si podit fai chene spendi giai-giai mancu unu soddu, bàstat sceti a ddu bolli. Su comunu de Arzachena una pariga de mesis fai at bandiu unu cuncursu po assumi unus cantu Vìgilis Urbanus e at pediu sa connoscèntzia obligatòria de sa lìngua de su logu, gadduresa. Pensai it'iat a sutzèdi chi unu provedimentu de custa genia ddu pighessint po totu is cuncursus pùblicus de s'ìsula.
In pagu tempus is famìllias iant a torrai luegus a imparai sa lìngua a is fillus (assumancu cussas anca sa lìngua est ancora connota, ma chi depeus crei a sa circa sotziolinguìstica fata de pagu de s'universidadi funt ancora medas). Ma s'iant a podi fai medas atras cosas de importu mannu diaveras sene spendi mancu unu soddu. Tòcat a s'arregordai ca sa lìngua, calisisiat lìngua, primu de etotu no s'imparat in scola ma in domu (e sa televisioni podit agiudai meda), a sa scola spètat s'òpera de dda legitimai, de curregidura e indiritzu.
Sa lìngua, calisisiat lìngua podit abarrai bia, cresci e amanniai sceti chi est ùtili e sa populatzioni dda depit intendi custa utilesa achinou no at a serbiri pròpiu a nudda a dda portai in scola. E no si pighit a esèmpiu po su est stètiu fatu po s'inglesu, po caridadi de Deus. Ma poita credeis chi fillus nostus, su prus de is bortas a s'acabu de is cincu annus de is elementaris no imparint giai nudda de inglesu, bortas medas impàrant calincuna cosa chi candu bàndat beni assimbìllat sceti a s'inglesu.
Deu creu diaveras ca po imparai una cosa a un'atru, calisisiat cosa, tòcat in antis a dda sciri, e no bollu aciungi atra cosa. E lasseiddus stai in paxi a cussu pagus operadoris linguìsticus de lìngua sarda e pensai a totu is fainas chi benint fatas po sa lìngua italiana candu custa no tenit pròpiu nisciunu abisòngiu de essi promòvia.
giovedì 26 febbraio 2009
Golfo dei Fenici: è fatta, grazie a Bondi e Onida
La copertina del dépliant con cui si annunciava la nascita del parco archeologico del Golfo dei Fenici
di * * *
Caro Pintore,
non ho quasi mai condiviso la sua passione per la cosiddetta “scrittura nuragica” per ora mai dimostrata e, con i presupposti che lei acriticamente accoglie, indimostrabile. E, sia pure su un piano diverso, ho trovato eccessiva la sua preoccupazione che il Golfo di Oristano fosse destinato a cambiare il nome in Golfo dei Fenici. Con Francesco Cubeddu, anche io ero propenso a credere che si trattasse di una innocua propaganda turistica.
Dico ero, perché leggo oggi sui quotidiani sardi che il battesimo del Golfo dei Fenici è ufficiale. Secondo il ministro Bondi “nel progetto del parco archeologico del Golfo dei Fenici archeologia, storia e natura si integrano in un dialogo costante che potrebbe fare di questa area un vero e proprio polo di attrazione scientifico culturale con l'effetto di incrementare il turismo legato all'archeologia” riporta L’Unione, virgolettando una lettera del ministri. E scrive la Nuova Sardegna che, a dire del presidente della Provincia, Onida “il progetto Phoneix che vuole istituire il parco archeologico del golfo dei Fenici, costituisce un tassello fondamentale per la crescita culturale del territorio”.
Dunque è fatta: non subito magari per senso del pudore, ma nel tempo sulle carte geografiche troveremo scritto “Golfo dei Fenici” per indicare un luogo in cui la presenza dei fenici è una minuscola parentesi nella storia di uno dei luoghi più importanti della identità sarda, storia cominciata con l’esportazione dell’ossidiana di Monte Arci almeno nel VI millennio aC, sviluppatasi in periodo nuragico arcaico, continuata nell’età del ferro, segnata dalla resistenza contro l’impero romano a Cornus, dallo sviluppo secolare del Giudicato di Arborea, per stare solo all’antichità.
Non ho condiviso i pur intriganti articoli di Massimo Pittau, tesi a mostrare come i fenici quasi neppure siano passati di lì, ma dal nulla è fenicio al tutto è fenicio, sarà pur possibile ristabilire la verità dei fatti.
Temo però che con questo dominio del centro destra, a Roma, a Cagliari e ad Oristano, i fatti storici siano l’ultima delle preoccupazioni. Lei ha supposto che qualcuno abbia suggerito a Berlusconi la sciocchezza sui nuraghi magazzini per mercanzie varie, quasi per diminuire l’enormità della corbelleria. Chi ha suggerito a Bondi e a Onida questa ulteriore sciocchezza sul Golfo dei fenici?
Ho paura, caro Pintore, che tempi molto brutti si preparano, con il centro destra, per i beni culturali sardi che saranno ridotti a gadget da mettere sul mercato turistico. Incapaci come saranno di valorizzare, perché no?, anche ai fini di un turismo colto, la storia sarda nella sua enorme complessità, i nuovi mercanti del tempio cercheranno di vendere immagini che hanno più richiamo internazionale, come i fenici, appunto. Per loro la strada è già spianata: i fenici sono conosciuti in tutto il mondo; per far conoscere il resto della storia sarda ci vuole uno scatto di autostima e di radicamento che non mi pare proprio essere nel bagaglio del centrodestra isolano e non solo.
Pochi anni dopo la creazione della Costa Smeralda, le carte topografiche riportavano il bel nome di Monti di Mola. Poco a poco, questo è sparito ed adesso sulle carte geografiche c’è solo Costa Smeralda. E in quell’impeto di autodistruzione della memoria che è proprio a molti sardi, non ricordo quale squadretta di calcio di un paese gallurese è definita la “squadra smeraldina”. Spero proprio che un giorno quelli dell’Oristano calcio non siano chiamati “giocatori fenici”.
Un’ultima considerazione: ho letto qua e là che il presidente della Provincia di Oristano, Pasquale Onida, sarebbe in predicato per diventare assessore regionale della Cultura. Se le premesse stanno nell’operazione “Golfo dei Fenici” stiamo freschi.
Caro * * *,
io temo che la sua indignazione circa il “Golfo dei Fenici” (che è anche la mia) nasca con una buona dose di furore ideologico per la vittoria del centrodestra in Sardegna. Se è una malignità, mi scusi. Però non posso non rilevare che di questa questione, su questo blog, in Facebook e in decine di altri siti, si è cominciato a parlare Soru regnante. Malignità anche pensare che l’operazione (ripeto, sbagliata) Golfo dei Fenici sarebbe stata meno grave se cogestita da un governo di centrosinistra? [gfp]
di * * *
Caro Pintore,
non ho quasi mai condiviso la sua passione per la cosiddetta “scrittura nuragica” per ora mai dimostrata e, con i presupposti che lei acriticamente accoglie, indimostrabile. E, sia pure su un piano diverso, ho trovato eccessiva la sua preoccupazione che il Golfo di Oristano fosse destinato a cambiare il nome in Golfo dei Fenici. Con Francesco Cubeddu, anche io ero propenso a credere che si trattasse di una innocua propaganda turistica.
Dico ero, perché leggo oggi sui quotidiani sardi che il battesimo del Golfo dei Fenici è ufficiale. Secondo il ministro Bondi “nel progetto del parco archeologico del Golfo dei Fenici archeologia, storia e natura si integrano in un dialogo costante che potrebbe fare di questa area un vero e proprio polo di attrazione scientifico culturale con l'effetto di incrementare il turismo legato all'archeologia” riporta L’Unione, virgolettando una lettera del ministri. E scrive la Nuova Sardegna che, a dire del presidente della Provincia, Onida “il progetto Phoneix che vuole istituire il parco archeologico del golfo dei Fenici, costituisce un tassello fondamentale per la crescita culturale del territorio”.
Dunque è fatta: non subito magari per senso del pudore, ma nel tempo sulle carte geografiche troveremo scritto “Golfo dei Fenici” per indicare un luogo in cui la presenza dei fenici è una minuscola parentesi nella storia di uno dei luoghi più importanti della identità sarda, storia cominciata con l’esportazione dell’ossidiana di Monte Arci almeno nel VI millennio aC, sviluppatasi in periodo nuragico arcaico, continuata nell’età del ferro, segnata dalla resistenza contro l’impero romano a Cornus, dallo sviluppo secolare del Giudicato di Arborea, per stare solo all’antichità.
Non ho condiviso i pur intriganti articoli di Massimo Pittau, tesi a mostrare come i fenici quasi neppure siano passati di lì, ma dal nulla è fenicio al tutto è fenicio, sarà pur possibile ristabilire la verità dei fatti.
Temo però che con questo dominio del centro destra, a Roma, a Cagliari e ad Oristano, i fatti storici siano l’ultima delle preoccupazioni. Lei ha supposto che qualcuno abbia suggerito a Berlusconi la sciocchezza sui nuraghi magazzini per mercanzie varie, quasi per diminuire l’enormità della corbelleria. Chi ha suggerito a Bondi e a Onida questa ulteriore sciocchezza sul Golfo dei fenici?
Ho paura, caro Pintore, che tempi molto brutti si preparano, con il centro destra, per i beni culturali sardi che saranno ridotti a gadget da mettere sul mercato turistico. Incapaci come saranno di valorizzare, perché no?, anche ai fini di un turismo colto, la storia sarda nella sua enorme complessità, i nuovi mercanti del tempio cercheranno di vendere immagini che hanno più richiamo internazionale, come i fenici, appunto. Per loro la strada è già spianata: i fenici sono conosciuti in tutto il mondo; per far conoscere il resto della storia sarda ci vuole uno scatto di autostima e di radicamento che non mi pare proprio essere nel bagaglio del centrodestra isolano e non solo.
Pochi anni dopo la creazione della Costa Smeralda, le carte topografiche riportavano il bel nome di Monti di Mola. Poco a poco, questo è sparito ed adesso sulle carte geografiche c’è solo Costa Smeralda. E in quell’impeto di autodistruzione della memoria che è proprio a molti sardi, non ricordo quale squadretta di calcio di un paese gallurese è definita la “squadra smeraldina”. Spero proprio che un giorno quelli dell’Oristano calcio non siano chiamati “giocatori fenici”.
Un’ultima considerazione: ho letto qua e là che il presidente della Provincia di Oristano, Pasquale Onida, sarebbe in predicato per diventare assessore regionale della Cultura. Se le premesse stanno nell’operazione “Golfo dei Fenici” stiamo freschi.
Caro * * *,
io temo che la sua indignazione circa il “Golfo dei Fenici” (che è anche la mia) nasca con una buona dose di furore ideologico per la vittoria del centrodestra in Sardegna. Se è una malignità, mi scusi. Però non posso non rilevare che di questa questione, su questo blog, in Facebook e in decine di altri siti, si è cominciato a parlare Soru regnante. Malignità anche pensare che l’operazione (ripeto, sbagliata) Golfo dei Fenici sarebbe stata meno grave se cogestita da un governo di centrosinistra? [gfp]
mercoledì 25 febbraio 2009
Atlante linguìsticu de Unesco: ite isbàlliu
dae inSardu
S'Unesco at presentadu in Parigi su 19 de freàrgiu sa versione eletrònica de s'editzione noa de s'Atlante de sas limbas in perìgulu de su mundu. Si tratat de un'istrumentu numèricu interativu chi cuntenet datos atualizados de prus de 2.500 limbas in perìgulu e s'at a pòdere cumpretare, currègere o atualizare in manera costante gràtzias a sos cuntributos de sos utentes.
Sighi a lèghere
S'Unesco at presentadu in Parigi su 19 de freàrgiu sa versione eletrònica de s'editzione noa de s'Atlante de sas limbas in perìgulu de su mundu. Si tratat de un'istrumentu numèricu interativu chi cuntenet datos atualizados de prus de 2.500 limbas in perìgulu e s'at a pòdere cumpretare, currègere o atualizare in manera costante gràtzias a sos cuntributos de sos utentes.
Sighi a lèghere
I paradossi editoriali delle fanzine sarde
di Alberto Areddu
In realtà è davvero poco paradossale, basta pensarci un attimo e del rebus troviamo la soluzione. Secondo un costume che ha preso piede sui grossi newspapers continentali, di cui le nostre fanzine sono tributarie culturali oltre che economiche, quando le tirature iniziano ad andare male, ecco che prendono ad ammannire qualche fialetta che diluisca almeno per un po' di tempo l'infedeltà del lettore, e dopo qualche penoso gadget, o il magazine subculturato, arrivano a offrirti una intera collana di libri (di cui solitamente il primo della serie è a gratis e gli altri te li paghi, se vuoi, a parte).
Così, sotto campagna elettorale, la fanzine pubblicata in Sassari, evidentemente non più sorretta dal bollettino necrologico provinciale, ha offerto ai suoi lettori, la vera quintessenza della civiltà in Sardegna: ben 14 volumi dedicati ai nostri maggiori delinquenti: ladri, stupratori, assassini, briganti, abigeatari, rapitori (per fare qualche nome tra quelli noti: Stocchino, Paulis, Tandeddu), che fin che indietro si può andare con la "retentiva", hanno ingentilito il fosco panorama delle cronache isolane, e che sono entrati nella memoria collettiva.
Inutile dire che tali sofisticherie, roba per palati buoni, come è giusto che sia, vadano a ruba. Perché questi, come i morti del suo paese, per il lettore sardo, sono roba sua, antichi araldi di un malrealizzato senso di giustizia, e passi che hanno stuprato, trucidato, squartato, dirupato, dato a cani e porci, in realtà i nostri fuorilegge (chiamiamoli così) sono dei malinterpretati Robin Hood di cui inorgoglirci (e così fa il sassarese Cossiga, orgoglioso dei suoi cronologicamente non lontanissimi parenti delinquenziali d'Anglona). Io non so sinceramente se, si dovesse scoprire un giorno che Totò Riina, Totuccio Contorno, o ancora Provenzano possedevano uno zio di Sardegna, il nostro lettore si inorgoglirebbe ancora, visto che i sardi tendenzialmente si inorgogliscono di tutto ciò che sia sardo, sardizzato (Giggi Rivva) o con l’alone di sardità (pensiamo alla telenovela editoriale sulle supposte origini isolane del tiranno Peron). E lo so qualcuno allora mi obietterebbe: "E beneminde, Areddu! Cussos mafiosos sunu, sos nostros fini eroes populares!"
E' forse per questo sottile ragionare, che quando esposi a responsabili editoriali, allocati nella città della fanzine (e non solo in quella), l'ipotesi che c'erano delle somiglianze non vaghe tra Paleosardi e Albanesi (era il 2006, quando i Rumeni in Italia e in Sardegna stavano appena arrivando), mi guardarono, e a ragione, con la bocca storta, come a pensare: "tu ci stai venendo a dire che noi, giganti del pensiero, saremmo parenti di gente che è nata delinquente?".
Ecco sciolto il paradosso: la roba di casa nostra, anche dei nostri delinquenti, va venduta al colto e all'inclita (campeggiano enormi tomi nelle librerie delle loro eroiche imprese), quella di fuori, figlia di una razza disonesta, che se ne resti a casa sua, e non ci insudici il nostro orgoglioso, ineguagliabile, millenario prognatismo!
In realtà è davvero poco paradossale, basta pensarci un attimo e del rebus troviamo la soluzione. Secondo un costume che ha preso piede sui grossi newspapers continentali, di cui le nostre fanzine sono tributarie culturali oltre che economiche, quando le tirature iniziano ad andare male, ecco che prendono ad ammannire qualche fialetta che diluisca almeno per un po' di tempo l'infedeltà del lettore, e dopo qualche penoso gadget, o il magazine subculturato, arrivano a offrirti una intera collana di libri (di cui solitamente il primo della serie è a gratis e gli altri te li paghi, se vuoi, a parte).
Così, sotto campagna elettorale, la fanzine pubblicata in Sassari, evidentemente non più sorretta dal bollettino necrologico provinciale, ha offerto ai suoi lettori, la vera quintessenza della civiltà in Sardegna: ben 14 volumi dedicati ai nostri maggiori delinquenti: ladri, stupratori, assassini, briganti, abigeatari, rapitori (per fare qualche nome tra quelli noti: Stocchino, Paulis, Tandeddu), che fin che indietro si può andare con la "retentiva", hanno ingentilito il fosco panorama delle cronache isolane, e che sono entrati nella memoria collettiva.
Inutile dire che tali sofisticherie, roba per palati buoni, come è giusto che sia, vadano a ruba. Perché questi, come i morti del suo paese, per il lettore sardo, sono roba sua, antichi araldi di un malrealizzato senso di giustizia, e passi che hanno stuprato, trucidato, squartato, dirupato, dato a cani e porci, in realtà i nostri fuorilegge (chiamiamoli così) sono dei malinterpretati Robin Hood di cui inorgoglirci (e così fa il sassarese Cossiga, orgoglioso dei suoi cronologicamente non lontanissimi parenti delinquenziali d'Anglona). Io non so sinceramente se, si dovesse scoprire un giorno che Totò Riina, Totuccio Contorno, o ancora Provenzano possedevano uno zio di Sardegna, il nostro lettore si inorgoglirebbe ancora, visto che i sardi tendenzialmente si inorgogliscono di tutto ciò che sia sardo, sardizzato (Giggi Rivva) o con l’alone di sardità (pensiamo alla telenovela editoriale sulle supposte origini isolane del tiranno Peron). E lo so qualcuno allora mi obietterebbe: "E beneminde, Areddu! Cussos mafiosos sunu, sos nostros fini eroes populares!"
E' forse per questo sottile ragionare, che quando esposi a responsabili editoriali, allocati nella città della fanzine (e non solo in quella), l'ipotesi che c'erano delle somiglianze non vaghe tra Paleosardi e Albanesi (era il 2006, quando i Rumeni in Italia e in Sardegna stavano appena arrivando), mi guardarono, e a ragione, con la bocca storta, come a pensare: "tu ci stai venendo a dire che noi, giganti del pensiero, saremmo parenti di gente che è nata delinquente?".
Ecco sciolto il paradosso: la roba di casa nostra, anche dei nostri delinquenti, va venduta al colto e all'inclita (campeggiano enormi tomi nelle librerie delle loro eroiche imprese), quella di fuori, figlia di una razza disonesta, che se ne resti a casa sua, e non ci insudici il nostro orgoglioso, ineguagliabile, millenario prognatismo!
martedì 24 febbraio 2009
Sa limba del centro destra
di Micheli Pinna
Nel programma del Partito sardo d’Azione, condiviso dalla coalizione del centro destra e, ovviamente, dal presidente Cappellacci, è dichiarato l’impegno per introdurre l’insegnamento del sardo nella scuola dell’obbligo. Va da se che il programma di una componente della coalizione condiviso dalla coalizione e dal presidente che se ne fa garante e ne diventa l’attore principale, diventa (lo spero!) programma di tutta la coalizione.
In tal senso, credo, che questo punto programmatico introdotto dal Partito sardo d’azione dovrà esser una parte centrale del programma del centro destra. Un punto che, sicuramente, dovrà caratterizzare le ragioni peculiari di una coalizione che si configura di centro-destra e sardista. Il sardismo della coalizione guidata da Cappellacci che si proietta, certamente, verso uno sviluppo economico autonomo del territorio isolano ed individua i suoi punti di forza nel rilancio dell’impresa, nella tutela dell’ambiente, nel rilancio del turismo, nella soluzione di alcuni problemi, vere e proprie emergenze, nascenti dal mondo giovanile, e non (occuppazione, studio, povertà,) non può sottrarsi, alla creazione di una nuova coscienza autonomistica e indipendentista dei sardi che, in parallelo alla partecipazione per la riscrittura di un nuovo statuto di sovranità, deve trovare l’humus naturale nella cultura, nella lingua, nella storia, nella conoscenza territoriale di un popolo di cui i giovani dovranno imparare, nei banchi della scuola, ad essere fieri ed orgogliosi.
Che la Sardegna parli inglese, ma anche spagnolo francese ed altro, nel mondo odierno è sacrosanto. Ma senza che i sardi, in primo luogo, parlino sardo e conoscano la storia e la cultura della loro terra, ogni lingua straniera e ogni confronto con il mondo, senza consapevolezza di se stessi, sarà vano e posticcio. In Sardegna alla scuola delle “tre i”: inglese, informatica, impresa, dovrà essere aggiunta un’altra letttera. Ovvero la lettera “S”. Dovrà essere in primo luogo scuola Sarda. Lingua, storia, geografia, arte, tradizioni popolari, cosi come previsto dalla 26 del 97, ma in termini istituzionali. Questa giunta dovrà avere il merito storico di passare dalla fase sperimentale dei progetti che, in tutti questi anni, sono stati portati avanti, più o me bene, ad una fase di istituzionalizzazione curricolare delle discipline sardologiche.
È chiaro che tutto questo comporta sia una fase di concertazione con il governo centrale e con la sovrintendenza scolastica regionale per tarare sia il monte ore da dedicare a queste discipline, sia per definire i curricula, sia per stabilire i protocolli formativi degli insegnanti. Già, perché il problema della formazione degli insegnanti è il nodo della questione. Si tratterà di varare un piano di formazione rivolto ai giovani laureati sardi. Come è stato fatto per la formazione di centinaia di insegnanti per l’insegnamento dell’inglese nella scuola elementare dovrà essere fatto, con modalità da studiare, per l’insegnamento del sardo. Chi formerà i docenti? E’ questo un altro punto da valutare. Le università isolane? Le agenzie private? Gli esperti riconosciuti? Le diverse componenti menzionate in sinergia tra di loro? Quali saranno i criteri della certificazione? Ed infine, ma non perché sia l’ultimo dei problemi, quello delle risorse.
Come dire: per passare dalle enunciazioni programmatiche alla loro realizzazione, da fare ce n’è. Per quanto ci riguarda, come esperti e come tecnici, nonché come sostenitori politici di questa maggioranza, siamo a disposizione per il modesto contributo che potremmo dare.
Nel programma del Partito sardo d’Azione, condiviso dalla coalizione del centro destra e, ovviamente, dal presidente Cappellacci, è dichiarato l’impegno per introdurre l’insegnamento del sardo nella scuola dell’obbligo. Va da se che il programma di una componente della coalizione condiviso dalla coalizione e dal presidente che se ne fa garante e ne diventa l’attore principale, diventa (lo spero!) programma di tutta la coalizione.
In tal senso, credo, che questo punto programmatico introdotto dal Partito sardo d’azione dovrà esser una parte centrale del programma del centro destra. Un punto che, sicuramente, dovrà caratterizzare le ragioni peculiari di una coalizione che si configura di centro-destra e sardista. Il sardismo della coalizione guidata da Cappellacci che si proietta, certamente, verso uno sviluppo economico autonomo del territorio isolano ed individua i suoi punti di forza nel rilancio dell’impresa, nella tutela dell’ambiente, nel rilancio del turismo, nella soluzione di alcuni problemi, vere e proprie emergenze, nascenti dal mondo giovanile, e non (occuppazione, studio, povertà,) non può sottrarsi, alla creazione di una nuova coscienza autonomistica e indipendentista dei sardi che, in parallelo alla partecipazione per la riscrittura di un nuovo statuto di sovranità, deve trovare l’humus naturale nella cultura, nella lingua, nella storia, nella conoscenza territoriale di un popolo di cui i giovani dovranno imparare, nei banchi della scuola, ad essere fieri ed orgogliosi.
Che la Sardegna parli inglese, ma anche spagnolo francese ed altro, nel mondo odierno è sacrosanto. Ma senza che i sardi, in primo luogo, parlino sardo e conoscano la storia e la cultura della loro terra, ogni lingua straniera e ogni confronto con il mondo, senza consapevolezza di se stessi, sarà vano e posticcio. In Sardegna alla scuola delle “tre i”: inglese, informatica, impresa, dovrà essere aggiunta un’altra letttera. Ovvero la lettera “S”. Dovrà essere in primo luogo scuola Sarda. Lingua, storia, geografia, arte, tradizioni popolari, cosi come previsto dalla 26 del 97, ma in termini istituzionali. Questa giunta dovrà avere il merito storico di passare dalla fase sperimentale dei progetti che, in tutti questi anni, sono stati portati avanti, più o me bene, ad una fase di istituzionalizzazione curricolare delle discipline sardologiche.
È chiaro che tutto questo comporta sia una fase di concertazione con il governo centrale e con la sovrintendenza scolastica regionale per tarare sia il monte ore da dedicare a queste discipline, sia per definire i curricula, sia per stabilire i protocolli formativi degli insegnanti. Già, perché il problema della formazione degli insegnanti è il nodo della questione. Si tratterà di varare un piano di formazione rivolto ai giovani laureati sardi. Come è stato fatto per la formazione di centinaia di insegnanti per l’insegnamento dell’inglese nella scuola elementare dovrà essere fatto, con modalità da studiare, per l’insegnamento del sardo. Chi formerà i docenti? E’ questo un altro punto da valutare. Le università isolane? Le agenzie private? Gli esperti riconosciuti? Le diverse componenti menzionate in sinergia tra di loro? Quali saranno i criteri della certificazione? Ed infine, ma non perché sia l’ultimo dei problemi, quello delle risorse.
Come dire: per passare dalle enunciazioni programmatiche alla loro realizzazione, da fare ce n’è. Per quanto ci riguarda, come esperti e come tecnici, nonché come sostenitori politici di questa maggioranza, siamo a disposizione per il modesto contributo che potremmo dare.
domenica 22 febbraio 2009
Sas atitadoras de sardismu e autonomia
“Il sardismo è morto, l’autonomia pure” tocat a mortu un’artìculu de “L’altra voce”.
Belle chi sa pelea eletorale siat agabada, b’at a chie pessat chi sa propaganda siat a gradu de mudare sas cosas. Su sardismu est mortu? Si podet dare, ma petzi in cudda realidade virtuale chi faghet cala in sos disìgios. Sos partidos e sos moimentos chi s’intendent parte de su sardismu ispainadu, del sardismo diffuso, sos chi ant postu sas raighinas issoro petzi in Sardigna bastant prus de su 20 pro chentu de s’eletoradu.
Si ponimus s’unu a costàgiu de s’àteru si podet bìdere chi custos partidos e moimentos (Psd’az, Fortza paris, Uds, Insieme per l’autonomia, Riformatori sardi, Rossomori) ant a pònnere in su Parlamentu sardu o 17 o 18 deputados, chi sunt pagu prus o mancu su 22 pro chentu de sos 80 cussigeris. Non so ponende in contu Irs e Sardigna natzione chi no ant a èssere in Parlamentu petzi pro neghe issoro, pro s’avesu chi tenent de fàghere còrdulas de musca bastante de non s’aunire.
Cal’est tando sa chistione? Craru, su tzentrusinistra e sos cantores suos cussìderant sardistas e autonomistas petzi sos alliados issoro Rossomori, sos àteros o sunt traitores o sunt teracos de Berlusconi o ambasduas sas cosas. Su sardismus e s’autonomismu o sunt paris cun su Pd (e in tempos colados cun Pci, Pds, Ds) o sunt che a nemos, o galu pejus “di destra”, chi pro issos no est unu logu de sa polìtica, ma unu frastimu, un’irrocu. Est custu partidu chi seberat sos fideles dae sos infideles, su chilivru de su sardismu est isse chi lu manìgiat.
“Sos sardistas sunt istados semper de manca” s’est intesu narende in sa propaganda de su tzentrusinistra, mai s’est intesu s’imbesse, chi su tzentrusinistra est istadu, nessi una bia, sardista. Dae cue sunt essidas sa botzadura de su referendum pro sa base de sa Maddalena, s’impostada dae palas de unu botu segretu contra a sa prima lege pro sa limba sarda, sa curcuriga integrada a su Partidu sardu dae Prodi pro sa lege chi faveddaiat de soverania sarda, e gasi e gasi.
Unu pagu de autocrìtica non diat noghere. Pd e alliados si diant gasi pedire pro it’est chi su belle totu su sardismu s’est istracadu de li donare sàmbene e miuddu a chie mancu l’ant carculadu e pro ite at isseberadu de bastare a chie, tenende ancas conca e coro in Sardinna, lu garantint de prus. Dae custa ala est essidu s’apògiu a una Carta fundamentale de sa Sardigna, “Istatutu novu de sa natzione sarda” chi, semper a cando at a èssere aprovadu, li diat dare a s’Isula totu sos poderes e totu sas cumpetèntzias chi li bisòngiant. Dae custa ala est còmpridu s’aprovu de sos deghe puntos de su programma de su Psd’az.
In sa trampa de “sa traitoria sardista” nch’est rutu finas s’amicu corale Roberto Bolognesi, iscriende in Diariulimba chi su de su Partidu sardu est istadu un “cambiamento di alleanze”. Pro su chi pesso de lu connòschere, Bolognesi no est de sos chi intre su beru e su partidu issèberat su partidu. E duncas credo chi in su Rennu de Olanda in uve istat siat istadu malamente informadu: su Psd’az est istadu in s’opositzione de su guvernu de Renato Soru e duncas no at bortuladu peruna alliàntzia. S’unica bia, a su chi m’amento, chi at apretadu su guvernu de Soru a fàghere una cosa sardista est cando at fatu pònnere sas paràulas “soverania sarda” in una lege. Su guvernu de Prodi l’at botzada pròpiu pro custas allegas: sa soverania est de s’Istadu, at naradu Prodi. E sos partidos de manca a sa muda.
No at a èssere de badas chi su presidente de sa Provìntzia de Casteddu, Graziano Milia, at ghetadu a su Pd suo un’apellu pro chi si bortet in unu partidu identitàriu. Su chi, a bi so ca, no est.
Belle chi sa pelea eletorale siat agabada, b’at a chie pessat chi sa propaganda siat a gradu de mudare sas cosas. Su sardismu est mortu? Si podet dare, ma petzi in cudda realidade virtuale chi faghet cala in sos disìgios. Sos partidos e sos moimentos chi s’intendent parte de su sardismu ispainadu, del sardismo diffuso, sos chi ant postu sas raighinas issoro petzi in Sardigna bastant prus de su 20 pro chentu de s’eletoradu.
Si ponimus s’unu a costàgiu de s’àteru si podet bìdere chi custos partidos e moimentos (Psd’az, Fortza paris, Uds, Insieme per l’autonomia, Riformatori sardi, Rossomori) ant a pònnere in su Parlamentu sardu o 17 o 18 deputados, chi sunt pagu prus o mancu su 22 pro chentu de sos 80 cussigeris. Non so ponende in contu Irs e Sardigna natzione chi no ant a èssere in Parlamentu petzi pro neghe issoro, pro s’avesu chi tenent de fàghere còrdulas de musca bastante de non s’aunire.
Cal’est tando sa chistione? Craru, su tzentrusinistra e sos cantores suos cussìderant sardistas e autonomistas petzi sos alliados issoro Rossomori, sos àteros o sunt traitores o sunt teracos de Berlusconi o ambasduas sas cosas. Su sardismus e s’autonomismu o sunt paris cun su Pd (e in tempos colados cun Pci, Pds, Ds) o sunt che a nemos, o galu pejus “di destra”, chi pro issos no est unu logu de sa polìtica, ma unu frastimu, un’irrocu. Est custu partidu chi seberat sos fideles dae sos infideles, su chilivru de su sardismu est isse chi lu manìgiat.
“Sos sardistas sunt istados semper de manca” s’est intesu narende in sa propaganda de su tzentrusinistra, mai s’est intesu s’imbesse, chi su tzentrusinistra est istadu, nessi una bia, sardista. Dae cue sunt essidas sa botzadura de su referendum pro sa base de sa Maddalena, s’impostada dae palas de unu botu segretu contra a sa prima lege pro sa limba sarda, sa curcuriga integrada a su Partidu sardu dae Prodi pro sa lege chi faveddaiat de soverania sarda, e gasi e gasi.
Unu pagu de autocrìtica non diat noghere. Pd e alliados si diant gasi pedire pro it’est chi su belle totu su sardismu s’est istracadu de li donare sàmbene e miuddu a chie mancu l’ant carculadu e pro ite at isseberadu de bastare a chie, tenende ancas conca e coro in Sardinna, lu garantint de prus. Dae custa ala est essidu s’apògiu a una Carta fundamentale de sa Sardigna, “Istatutu novu de sa natzione sarda” chi, semper a cando at a èssere aprovadu, li diat dare a s’Isula totu sos poderes e totu sas cumpetèntzias chi li bisòngiant. Dae custa ala est còmpridu s’aprovu de sos deghe puntos de su programma de su Psd’az.
In sa trampa de “sa traitoria sardista” nch’est rutu finas s’amicu corale Roberto Bolognesi, iscriende in Diariulimba chi su de su Partidu sardu est istadu un “cambiamento di alleanze”. Pro su chi pesso de lu connòschere, Bolognesi no est de sos chi intre su beru e su partidu issèberat su partidu. E duncas credo chi in su Rennu de Olanda in uve istat siat istadu malamente informadu: su Psd’az est istadu in s’opositzione de su guvernu de Renato Soru e duncas no at bortuladu peruna alliàntzia. S’unica bia, a su chi m’amento, chi at apretadu su guvernu de Soru a fàghere una cosa sardista est cando at fatu pònnere sas paràulas “soverania sarda” in una lege. Su guvernu de Prodi l’at botzada pròpiu pro custas allegas: sa soverania est de s’Istadu, at naradu Prodi. E sos partidos de manca a sa muda.
No at a èssere de badas chi su presidente de sa Provìntzia de Casteddu, Graziano Milia, at ghetadu a su Pd suo un’apellu pro chi si bortet in unu partidu identitàriu. Su chi, a bi so ca, no est.
sabato 21 febbraio 2009
La dea dell'amore di Nuraghe Pitzinnu
di Herbert Sauren
“Considero la pietra antica, arcaicizzante, ma non arcaica del 2° millennio, la trovo autentica, scolpita nell’antichità, ma è un oggetto d’arte rurale. Vorrei attribuirla al culto della dea dell’amore e della fertilità, senza pretendere un culto in un tempio di una capitale o reale”. È quanto scrive nell’articolo inviato a questo blog l’epigrafista tedesco Herbert Sauren, il quale fa della scritta sul masso trovato nei pressi di Nuraghe Pitzinnu una lettura molto diversa da quella che ne dette il professor Gigi Sanna su questo stesso blog.
Il testo completo è leggibile nel mio sito e da qui scaricabile in pdf
“Considero la pietra antica, arcaicizzante, ma non arcaica del 2° millennio, la trovo autentica, scolpita nell’antichità, ma è un oggetto d’arte rurale. Vorrei attribuirla al culto della dea dell’amore e della fertilità, senza pretendere un culto in un tempio di una capitale o reale”. È quanto scrive nell’articolo inviato a questo blog l’epigrafista tedesco Herbert Sauren, il quale fa della scritta sul masso trovato nei pressi di Nuraghe Pitzinnu una lettura molto diversa da quella che ne dette il professor Gigi Sanna su questo stesso blog.
Il testo completo è leggibile nel mio sito e da qui scaricabile in pdf
venerdì 20 febbraio 2009
E poi a Monti Prama ci sarebbe un santuario che...
di Gigi Sanna
Ho scritto, già nel 2004, che sui cosiddetti ‘guerrieri’ di Monti Prama (che data la diversa tipologia dei manufatti sarà bene chiamare semplicemente ‘statue’) si è incentrata da subito, sin dai primi studi, l’attenzione dei più, mentre la discussione sul ritrovamento ha appena sfiorato (praticamente, da quello che so, con il solo studio informativo di G. Lilliu) un altro e non certo secondario argomento archeologico – culturale: quello del tempio di Monti Prama, ovvero del grandioso monumento in cui quelle statue si trovavano, verisimilmente raggruppate.
Insomma si è parlato tanto del contenuto e pochissimo o niente del contenitore. Insieme al sottoscritto, questo aspetto, ritenuto evidentemente minore o irrilevante e pertanto trascurato della ricerca scientifica, lo aveva rimarcato in quegli stessi anni, nella sua prestigiosa e consolidata rivista (Quaderni Oristanesi, 2005, 53/54, Aprile pp. 103 -117) uno noto studioso del Medio Evo, archeologo e storico dell’arte, il compianto Giorgio Farris. Questi, oltre che a dare il suo, direi abituale, contributo in termini di critica estetica (basta leggersi solo la finissima interpretazione sugli occhi ‘solari’ delle statue) si chiedeva e chiedeva con forza come fosse fatto quel tempio; già sulla scorta di quanto lo stesso Lilliu aveva detto riguardo all’esistenza nel sito di un luogo di culto con colonne simili a quelle delle barchette nuragiche.
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Ho scritto, già nel 2004, che sui cosiddetti ‘guerrieri’ di Monti Prama (che data la diversa tipologia dei manufatti sarà bene chiamare semplicemente ‘statue’) si è incentrata da subito, sin dai primi studi, l’attenzione dei più, mentre la discussione sul ritrovamento ha appena sfiorato (praticamente, da quello che so, con il solo studio informativo di G. Lilliu) un altro e non certo secondario argomento archeologico – culturale: quello del tempio di Monti Prama, ovvero del grandioso monumento in cui quelle statue si trovavano, verisimilmente raggruppate.
Insomma si è parlato tanto del contenuto e pochissimo o niente del contenitore. Insieme al sottoscritto, questo aspetto, ritenuto evidentemente minore o irrilevante e pertanto trascurato della ricerca scientifica, lo aveva rimarcato in quegli stessi anni, nella sua prestigiosa e consolidata rivista (Quaderni Oristanesi, 2005, 53/54, Aprile pp. 103 -117) uno noto studioso del Medio Evo, archeologo e storico dell’arte, il compianto Giorgio Farris. Questi, oltre che a dare il suo, direi abituale, contributo in termini di critica estetica (basta leggersi solo la finissima interpretazione sugli occhi ‘solari’ delle statue) si chiedeva e chiedeva con forza come fosse fatto quel tempio; già sulla scorta di quanto lo stesso Lilliu aveva detto riguardo all’esistenza nel sito di un luogo di culto con colonne simili a quelle delle barchette nuragiche.
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giovedì 19 febbraio 2009
Ma sos Zigantes, de dereta o de manca sunt?
Si dimandat Francu Pilloni in custu blog: “Cappellacci hat nau chi po su G8 de Sa Maddalena preferit is gigantis de Monti Prama a is Brunzus de Riace! Sa de duas una: o dda pensat comente tui, o puru su Guvernadori nou liggit custu Blog”. Su beru est fortzis un’àteru: s’istima de sa cultura sarda (e de sa limba) no est ne de dereta ne de manca, si non de una sensibilidade pessonale. Si podet dare puru chi in sas allegas de su presidente novu bi siat finas birgòngia pro su malu fàghere de chie at mantesu istichidas pro trinta annos e prus sos Zigantes. E de chie, galu oe, est in cherta de minimare s’importu de s’iscoberta fata in su 1974 dae unu massàiu in Monti Prama.
Sighi a lèghere
PS – Singialo duos grupos chi in Facebook sunt gollende firmas pro sos Zigantes de Monti Prama
I giganti di Monti Prama al G8
Esponiamo alla Maddalena per il G8 i giganti di Monti Prama
Sighi a lèghere
PS – Singialo duos grupos chi in Facebook sunt gollende firmas pro sos Zigantes de Monti Prama
I giganti di Monti Prama al G8
Esponiamo alla Maddalena per il G8 i giganti di Monti Prama
mercoledì 18 febbraio 2009
Un'eccellente situazione di sardità
Che la sardità sia stata il filo conduttore della campagna elettorale è un dato incontrovertibile. Non sono poi tanti, a stare agli spot visti in Tv, i candidati che hanno cercato voti cantonali, quelli che si sono proposti come “difensori del territorio” (depravata parola di nuovo conio che tende a cancellare persino il nome della regione della Sardegna cui si appartiene) o paladini del proprio vicinato (“Ho un solo interesse da difendere”, l’Ogliastra, o la Gallura, o il Sulcis). C'è insomma una sardità come status distintivo e come idea di identità.
Quanto al sardismo, coscienza del fare sardità, le cose sono andate meglio del prevedibile: si è diffuso trasversalmente (tenga pazienza Gavino Sale se lo intruppo in un concetto che gli dispiace, ma qui si parla di sardismo come capacità di autodeterminarsi). A parte il 3,7 raggiunto dai movimenti indipendentisti, che non saranno rappresentati per via di una legge sciagurata, penso al Psd’az, ad Insieme per l’autonomia, all’Uds, ai Riformatori sardi, a Fortza paris, ai Rossomori, a qualcosa come 16 o 17 deputati regionali, ciò che mai si è realizzato nei 60 anni e rotti di autonomia.
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Quanto al sardismo, coscienza del fare sardità, le cose sono andate meglio del prevedibile: si è diffuso trasversalmente (tenga pazienza Gavino Sale se lo intruppo in un concetto che gli dispiace, ma qui si parla di sardismo come capacità di autodeterminarsi). A parte il 3,7 raggiunto dai movimenti indipendentisti, che non saranno rappresentati per via di una legge sciagurata, penso al Psd’az, ad Insieme per l’autonomia, all’Uds, ai Riformatori sardi, a Fortza paris, ai Rossomori, a qualcosa come 16 o 17 deputati regionali, ciò che mai si è realizzato nei 60 anni e rotti di autonomia.
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martedì 17 febbraio 2009
Sardegna, provincia dell'Afganistan
Come ormai succede solo in Afganistan, ci vorranno ancora quindici giorni per conoscere i risultati definitivi ed ufficiali delle elezioni sarde. Con questo di differente: che in Afganistan c’è guerra e da moltissimi villaggi sperduti le notizie viaggiano a dorso di mulo e non con i bit dei computer. In questo momento (11.20 di martedì 17) mancano 154 sezioni per la circoscrizione regionale, 339 per quelle provinciali, 461 per l’aggiudicazione dei seggi ai candidati.
Chiaro nulla cambierà per i canditati alla Presidenza (Cappellacci ha vinto, Soru, Sale, Balia e Sollai hanno perso), poco cambierà nell’attribuzione delle loro percentuali, qualcosa cambierà nel numero dei voti per i partiti e per le loro coalizioni. Ma ancora, mancando il risultato definitivo, non potremo sapere chi andrà nel Parlamento sardo. A chi andranno i tre seggi del Partito sardo, i due di Rifondazione, i due del Movimento per le autonomie, il seggio dei Rossomori e così via dicendo.
Questo è il prodotto della pessima legge elettorale voluta nel 1999 dal primo governo D’Alema, subita dal centro-destra nella penultima legislatura e dal centro-sinistra nella legislatura appena finita. Né l’uno schieramento né l’altro hanno voluto o saputo esercitare la potestà che la Regione aveva ed ha di fare una legge elettorale diversa da quella voluta dal governo D’Alema. Tutti, o quasi, considerandola pessima, tutti, o quasi, pensando: “Se però vinciamo noi, anche la pessima legge ci torna comoda”.
E che sia pessima, a parte l’aver precipitato la Sardegna in Afganistan, lo dimostra il risultato dell’Irs, straordinario sul piano dell’immagine, inutile al fine dell’attribuzione di seggi. Il 3,1 per cento varrebbe due o tre seggi e una presenza non banale nel Parlamento sardo. E, invece, quelli dell’Irs non ci saranno. Ed è un peccato.
Chiaro nulla cambierà per i canditati alla Presidenza (Cappellacci ha vinto, Soru, Sale, Balia e Sollai hanno perso), poco cambierà nell’attribuzione delle loro percentuali, qualcosa cambierà nel numero dei voti per i partiti e per le loro coalizioni. Ma ancora, mancando il risultato definitivo, non potremo sapere chi andrà nel Parlamento sardo. A chi andranno i tre seggi del Partito sardo, i due di Rifondazione, i due del Movimento per le autonomie, il seggio dei Rossomori e così via dicendo.
Questo è il prodotto della pessima legge elettorale voluta nel 1999 dal primo governo D’Alema, subita dal centro-destra nella penultima legislatura e dal centro-sinistra nella legislatura appena finita. Né l’uno schieramento né l’altro hanno voluto o saputo esercitare la potestà che la Regione aveva ed ha di fare una legge elettorale diversa da quella voluta dal governo D’Alema. Tutti, o quasi, considerandola pessima, tutti, o quasi, pensando: “Se però vinciamo noi, anche la pessima legge ci torna comoda”.
E che sia pessima, a parte l’aver precipitato la Sardegna in Afganistan, lo dimostra il risultato dell’Irs, straordinario sul piano dell’immagine, inutile al fine dell’attribuzione di seggi. Il 3,1 per cento varrebbe due o tre seggi e una presenza non banale nel Parlamento sardo. E, invece, quelli dell’Irs non ci saranno. Ed è un peccato.
domenica 15 febbraio 2009
Peccato. I Giganti di Monti Prama sono barbari
Non è tanto interessante sapere se al G8 della Maddalena saranno messi in mostra gli splendidi bronzi di Riace, quanto capire perché siano stati scelti come emblema della cultura europea. Trovo, anche, interessante la reazione di gran parte della popolazione di Reggio Calabria, di resistenza al trasferimento in Sardegna delle statue trovate casualmente nel mare di Riace dove naufragò la nave che dalla Grecia le portava forse a Roma. Segno che cittadini e classi dirigenti reggini sentono i bronzi parte della loro identità.
A noi sardi, di regola, non viene neppure detto che nostre opere di grandissimo pregio stanno per varcare il mare. L’ultima volta che è successo, l’esportazione riguardò la Stele di Nora che viaggiò a Parigi e lì soggiornò per mesi, senza che neppure il Governo regionale sapesse alcunché. La Soprintendenza archeologica ci tolse persino la possibilità di mettere in discussione lo spostamento.
Già, perché sono stati scelti i due bronzi greci? Non sono – oramai lo ammettono anche quanti tennero in un inquietante limbo per trenta anni i Giganti di Monti Prama – le statue più antiche: la statuaria nuragica li precedono di almeno tre secoli, forse cinque. Detto così, soprattutto se riferito al passato, non sembrano gran cosa cinque e tre secoli. Ma se pensiamo che tre secoli fa, la Sardegna era ancora un regno di Spagna, che i Savoia neppure sapevamo cosa fossero, qualcosa di più possiamo comparare.
I bronzi non sono più antichi né più belli. Ma loro sono classici e i nostri Giganti no, loro sono barbari. Non sia mai che i barbari possano antecedere i classici, che un’isola possa aver sviluppato una civiltà capace di tanta arte statuaria prima che la statuaria sia ufficialmente inventata nella culla della civiltà, la Grecia. Vedendo i nostri Giganti, gli otto Grandi della terra potrebbero chieder conto al governo italiano (questo e tutti quelli che in trent’anni l’hanno preceduto) come mai sia stata nascosta alla comunità internazionale una scoperta che sconvolge anche le loro certezze.
No, tutto sommato meglio così. Viva il classicismo.
PS – Ai sardi che hanno già annunciato manifestazioni contro il G8: buttatela in cultura e nei vostri cortei o sit-in piazzate riproduzioni a grandezza naturale dei nostri Grandi. Le televisioni che riprenderanno la vostra contestazione mostreranno al mondo le Statue di Monti Prama. Qualcuno, nel mondo, chiederà che cosa siano e le inevitabili risposte copriranno di ridicolo chi le ha tenute nascoste per tanto tempo.
A noi sardi, di regola, non viene neppure detto che nostre opere di grandissimo pregio stanno per varcare il mare. L’ultima volta che è successo, l’esportazione riguardò la Stele di Nora che viaggiò a Parigi e lì soggiornò per mesi, senza che neppure il Governo regionale sapesse alcunché. La Soprintendenza archeologica ci tolse persino la possibilità di mettere in discussione lo spostamento.
Già, perché sono stati scelti i due bronzi greci? Non sono – oramai lo ammettono anche quanti tennero in un inquietante limbo per trenta anni i Giganti di Monti Prama – le statue più antiche: la statuaria nuragica li precedono di almeno tre secoli, forse cinque. Detto così, soprattutto se riferito al passato, non sembrano gran cosa cinque e tre secoli. Ma se pensiamo che tre secoli fa, la Sardegna era ancora un regno di Spagna, che i Savoia neppure sapevamo cosa fossero, qualcosa di più possiamo comparare.
I bronzi non sono più antichi né più belli. Ma loro sono classici e i nostri Giganti no, loro sono barbari. Non sia mai che i barbari possano antecedere i classici, che un’isola possa aver sviluppato una civiltà capace di tanta arte statuaria prima che la statuaria sia ufficialmente inventata nella culla della civiltà, la Grecia. Vedendo i nostri Giganti, gli otto Grandi della terra potrebbero chieder conto al governo italiano (questo e tutti quelli che in trent’anni l’hanno preceduto) come mai sia stata nascosta alla comunità internazionale una scoperta che sconvolge anche le loro certezze.
No, tutto sommato meglio così. Viva il classicismo.
PS – Ai sardi che hanno già annunciato manifestazioni contro il G8: buttatela in cultura e nei vostri cortei o sit-in piazzate riproduzioni a grandezza naturale dei nostri Grandi. Le televisioni che riprenderanno la vostra contestazione mostreranno al mondo le Statue di Monti Prama. Qualcuno, nel mondo, chiederà che cosa siano e le inevitabili risposte copriranno di ridicolo chi le ha tenute nascoste per tanto tempo.
sabato 14 febbraio 2009
Nessun dramma: sono solo elezioni
Quale che sia, il risultato delle elezioni di domani non sarà traumatico per i sardi, non ostante gli apocalittici presentimenti e annunci delle opposte tifoserie. Sarà traumatico, questo sì, per Veltroni o per Berlusconi, come dirò più in là. E comunque, forse, segnalerà che non è più il caso di prendere la Sardegna come “laboratorio” di esperimenti politici in cui gli interessi dei sardi sono una questione collaterale.
Al di là delle differenze, quasi sempre più nominalistiche che sostanziali, i programmi dei due candidati con maggiori chance e degli altri tre che lottano per la maggiore rappresentanza possibile sono improntati ad un economicismo che solo in parte è frutto della crisi che viviamo e vivremo e, invece, in gran parte a una convinzione radicata, ideologica. Anche parole evocative come “sogno”, “sorriso”, “nazione”, “indipendenza” sono incardinate su inattuali presupposti di sviluppo economico infinito.
In quale cornice questo sviluppo dovrebbe esserci, è detto attraverso parole d’ordine che sembrano alternative: contare su noi stessi, alleanza Sardegna-Italia, indipendenza nazionale, indipendenza repubblicana. Sembrano solo, però. Perché manca il presupposto indispensabile: come realizzare quel che ora sono solo parole d’ordine, un discorso chiaro su quali siano gli strumenti. Tralasciando la questione indipendenza comunque declinata, perché l’unico strumento pacifico possibile è la conquista del 50,1 per cento per promuovere un referendum, le altre due prospettive sono legate a una profonda revisione del rapporto fra Sardegna e Italia che non può essere fondata solo su parametri economici, anzi economicisti.
C’è bisogno, innanzitutto, di una coscienza diffusa della necessità di una Carta costituzionale sarda che attribuisca alla Sardegna tutti i poteri e le competenze di cui c’è bisogno, in materia economica e fiscale naturalmente, ma soprattutto in materia di lingua, beni culturali, beni ambientali. E su questo, tutti i programmi, gli uni forse perché aspettano l’indipendenza gli altri perché divisi trasversalmente fra sardisti e italianisti, sono carenti. La questione della lingua sarda è significativa: basta leggere o sentire le interviste ai candidati presidenti di cui i media in questi ultimi giorni hanno abbondato: la lingua sarda è sparita, non se ne parla proprio, neanche per rapidi sfuggenti accenni.
È come se tutti si siano piegati al vecchio luogo comune secondo cui “ci sono cose più importanti da fare”. Nei programmi, sia Soru sia Cappellacci sia Sollai sia Sale (questo sarà reso noto ad elezioni concluse) ne parlano, ma mentre tutti gli aspetti economici sono oggetto di campagna elettorale, questo della lingua no. Sembra che, insomma, chiunque vinca anche della lingua si occuperà, ma se c’è tempo.
Non ci sarà alcun dramma per i sardi, insomma, chiunque vinca. Le ricette economiche, con enfasi posta qui piuttosto che là, se attuate cambieranno o non cambieranno la Sardegna a seconda dell’andamento della crisi internazionale. La battaglia per la lingua avrà dei risultati più o meno buoni a seconda dell’impegno che ci porrà il movimento cresciuto in questi anni anche – è onesto dirlo – per il riscontro che esso ha avuto nell’azione di governo di Soru.
Il risultato, dicevo, sarà drammatico per uno dei due schieramenti maggiori, secondo chi vince. Berlusconi da un lato e Veltroni dall’altro hanno voluto trasformare la Sardegna in un test sperimentale sulla loro politica italiana. Si sono scontrati nell’Isola certo anche su questioni nostre, ma prevalentemente su questioni che interessano noi sardi solo di riflesso e ci hanno sollecitato a schierarsi con uno o con l’altro principe in contesa alla Corte di Madrid.
Il capo del governo in carica e quello ombra (e con loro il corteo di ministri effettivi e ombra) hanno messo in gioco la loro solidità: se vince Cappellacci, per Veltroni saranno guai seri; se vince Soru, lo stesso capiterà a Berlusconi. Per fortuna dei sardi, a governarci non sarà né l’uno né l’altro, ma un nostro connazionale. (Molto meglio, per inciso, se avranno a che fare con una pattuglia di indipendentisti). E da qui – ma questo è solo un mio modesto auspicio – forse nascerà l’esigenza che, nel futuro, nessuno si azzardi a indicare il suo candidato “locale” e lascino noi sardi a decidere tutto, ma proprio tutto. Se non vorranno che la sconfitta del loro candidato sia anche la propria sconfitta.
Al di là delle differenze, quasi sempre più nominalistiche che sostanziali, i programmi dei due candidati con maggiori chance e degli altri tre che lottano per la maggiore rappresentanza possibile sono improntati ad un economicismo che solo in parte è frutto della crisi che viviamo e vivremo e, invece, in gran parte a una convinzione radicata, ideologica. Anche parole evocative come “sogno”, “sorriso”, “nazione”, “indipendenza” sono incardinate su inattuali presupposti di sviluppo economico infinito.
In quale cornice questo sviluppo dovrebbe esserci, è detto attraverso parole d’ordine che sembrano alternative: contare su noi stessi, alleanza Sardegna-Italia, indipendenza nazionale, indipendenza repubblicana. Sembrano solo, però. Perché manca il presupposto indispensabile: come realizzare quel che ora sono solo parole d’ordine, un discorso chiaro su quali siano gli strumenti. Tralasciando la questione indipendenza comunque declinata, perché l’unico strumento pacifico possibile è la conquista del 50,1 per cento per promuovere un referendum, le altre due prospettive sono legate a una profonda revisione del rapporto fra Sardegna e Italia che non può essere fondata solo su parametri economici, anzi economicisti.
C’è bisogno, innanzitutto, di una coscienza diffusa della necessità di una Carta costituzionale sarda che attribuisca alla Sardegna tutti i poteri e le competenze di cui c’è bisogno, in materia economica e fiscale naturalmente, ma soprattutto in materia di lingua, beni culturali, beni ambientali. E su questo, tutti i programmi, gli uni forse perché aspettano l’indipendenza gli altri perché divisi trasversalmente fra sardisti e italianisti, sono carenti. La questione della lingua sarda è significativa: basta leggere o sentire le interviste ai candidati presidenti di cui i media in questi ultimi giorni hanno abbondato: la lingua sarda è sparita, non se ne parla proprio, neanche per rapidi sfuggenti accenni.
È come se tutti si siano piegati al vecchio luogo comune secondo cui “ci sono cose più importanti da fare”. Nei programmi, sia Soru sia Cappellacci sia Sollai sia Sale (questo sarà reso noto ad elezioni concluse) ne parlano, ma mentre tutti gli aspetti economici sono oggetto di campagna elettorale, questo della lingua no. Sembra che, insomma, chiunque vinca anche della lingua si occuperà, ma se c’è tempo.
Non ci sarà alcun dramma per i sardi, insomma, chiunque vinca. Le ricette economiche, con enfasi posta qui piuttosto che là, se attuate cambieranno o non cambieranno la Sardegna a seconda dell’andamento della crisi internazionale. La battaglia per la lingua avrà dei risultati più o meno buoni a seconda dell’impegno che ci porrà il movimento cresciuto in questi anni anche – è onesto dirlo – per il riscontro che esso ha avuto nell’azione di governo di Soru.
Il risultato, dicevo, sarà drammatico per uno dei due schieramenti maggiori, secondo chi vince. Berlusconi da un lato e Veltroni dall’altro hanno voluto trasformare la Sardegna in un test sperimentale sulla loro politica italiana. Si sono scontrati nell’Isola certo anche su questioni nostre, ma prevalentemente su questioni che interessano noi sardi solo di riflesso e ci hanno sollecitato a schierarsi con uno o con l’altro principe in contesa alla Corte di Madrid.
Il capo del governo in carica e quello ombra (e con loro il corteo di ministri effettivi e ombra) hanno messo in gioco la loro solidità: se vince Cappellacci, per Veltroni saranno guai seri; se vince Soru, lo stesso capiterà a Berlusconi. Per fortuna dei sardi, a governarci non sarà né l’uno né l’altro, ma un nostro connazionale. (Molto meglio, per inciso, se avranno a che fare con una pattuglia di indipendentisti). E da qui – ma questo è solo un mio modesto auspicio – forse nascerà l’esigenza che, nel futuro, nessuno si azzardi a indicare il suo candidato “locale” e lascino noi sardi a decidere tutto, ma proprio tutto. Se non vorranno che la sconfitta del loro candidato sia anche la propria sconfitta.
venerdì 13 febbraio 2009
Unu contu su cumìtziu, àteru s'impinnu
Ah, ite cosa bella sa gioventura. Pessant, sos giòvanos, chi totu cumintzat in su mamentu chi issos s’abigiant chi una cosa càpitat. E gasi, sos amigos de Diariulimba, aende intesu chi Renato Soru at faeddadu in sardu in su cumìtziu in Sèneghe, iscrivent: “Un’àteru tabù linguìsticu ispèrdidu dae Renato Soru. Sa prima bia chi si faghet unu comìtziu in sardu in totu s'istòria polìtica autonomista.”
A parte sos chi apo fatu deo, finas cado so istadu candidadu a sa Presidèntzia in su 1998, dia pòdere numenare meda comìtzios fatos in sardu in sas biddas dae polìticos de cada gasta, sardistas, comunistas, democristianos, mescamente de pustis chi in su 1976 est cumintzada sa pelea pro su bilinguìsmu. Ne tabù est rutu pro sa prima bia, ne pro sa prima bia, duncas, b’at istadu unu cumìtziu in sardu.
Mancari gasi, e ponende a un’ala un’ènfasi canteddu imanniada e pagu respetosas de sos chi no ant isetadu su 2009 pro impreare su sardu, su chi at fatu Soru in Sèneghe est de importu. E est unu singiale chi, dae como in susu, tocat leare a sa sèria sa chistione de sa limba sarda in totu sos mèdios de comunicàtzione. Una cosa normale, unu sardu chi faveddat in sardu, est còmprida oe a sos tìtulos de sos giornales chi, in custa barantena de dies de pelea eletorale, mai ant faveddadu de sa limba sarda comente de una chistione chi interessat sos sardos finas che eletores.
Mai, in sas intervistas a sos candidados presidentes, fatas pro cotidianos e pro sas televisiones, sos giornalistas ant fatu una dimanda de comente pessant de pònnere fronte a s’isvilupu de su sardu. Mai. Est una birgòngia. Benevènnidu duncas su comìtziu in sardu de Sèneghe chi at apretadu sos giornales a pònnere a pare limba sarda e polìtica, a nàrrere, infines, chi sa de sa limba est chistione polìtica.
Su chi ant amìtidu, sena si nde sabire, sos chi ant catzadu sa limba sarda dae sa sìntesi de su programma de Soru publigadu in internet (sa foto). Cando dae un’allega curtza che a custa: “Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia, la sua musica”, si nche dogant “la sua lingua” e “la sua musica”, no est de badas. Mariantonietta narat chi est unu “pibincume” a singiulare una cosa de gasi, Alessandro Mongili chi est istada una “svista” (chi oe chi est oe, però, galu no est istada remediada, su chi cheret nàrrere chi pròpiu “svista” no est).
Sos àteros candidados no ant iscumissu unu sisinu pro sa limba in sos comìtzios issoro e, a pàrrere meu, ant isballiadu. Si podent (e si devent) criticare pro custu. Soru eja, medas bias. E duncas est a isse chi li cheret chircada coerèntzia. In sa sìntesi chi fia numenende, coerèntzia non bi nd’at. B’at una “rimozione”, gasi e totu comente “rimozione” b’est in su fatu chi in su programma de medas pàginas, in sas 26 rigas dedicadas a sa limba sarda non b’at perunu impinnu a torrare a presentare sa proposta de lege de polìtica linguìstica chi su guvernu sardu at aproadu in capitulo mortis de sa legisladura.
De sas duas una: o ant bintu sos chi nch’ant fatu catzare dae sa sìntesi de programma sa limba sarda e chi sunt a primma posta contra a s’idea de una lege de polìtica linguìstica (e sunt inchietos a fera finas pro su bìculu de programma postu in sas 26 rigas numenadas) o Soru, otentu su resurtadu eletorale chi b’at a àere pro more finas de s’apògiu de custos inimigos de su sardu, nche los at a allacanare. O de gosi o de gasi, m’ant a perdonare sos chi parant che prendas su chi su guvernu de Soru at fatu sos annos colados pro sa limba: non bi pòngio afigu.
Si una polìtica linguìstica sèria e rigorosa no interessat sos candidados presidentes, cheret nàrrere chi s’issèberu l’apo a fàghere cussiderende àteru.
A parte sos chi apo fatu deo, finas cado so istadu candidadu a sa Presidèntzia in su 1998, dia pòdere numenare meda comìtzios fatos in sardu in sas biddas dae polìticos de cada gasta, sardistas, comunistas, democristianos, mescamente de pustis chi in su 1976 est cumintzada sa pelea pro su bilinguìsmu. Ne tabù est rutu pro sa prima bia, ne pro sa prima bia, duncas, b’at istadu unu cumìtziu in sardu.
Mancari gasi, e ponende a un’ala un’ènfasi canteddu imanniada e pagu respetosas de sos chi no ant isetadu su 2009 pro impreare su sardu, su chi at fatu Soru in Sèneghe est de importu. E est unu singiale chi, dae como in susu, tocat leare a sa sèria sa chistione de sa limba sarda in totu sos mèdios de comunicàtzione. Una cosa normale, unu sardu chi faveddat in sardu, est còmprida oe a sos tìtulos de sos giornales chi, in custa barantena de dies de pelea eletorale, mai ant faveddadu de sa limba sarda comente de una chistione chi interessat sos sardos finas che eletores.
Mai, in sas intervistas a sos candidados presidentes, fatas pro cotidianos e pro sas televisiones, sos giornalistas ant fatu una dimanda de comente pessant de pònnere fronte a s’isvilupu de su sardu. Mai. Est una birgòngia. Benevènnidu duncas su comìtziu in sardu de Sèneghe chi at apretadu sos giornales a pònnere a pare limba sarda e polìtica, a nàrrere, infines, chi sa de sa limba est chistione polìtica.
Su chi ant amìtidu, sena si nde sabire, sos chi ant catzadu sa limba sarda dae sa sìntesi de su programma de Soru publigadu in internet (sa foto). Cando dae un’allega curtza che a custa: “Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia, la sua musica”, si nche dogant “la sua lingua” e “la sua musica”, no est de badas. Mariantonietta narat chi est unu “pibincume” a singiulare una cosa de gasi, Alessandro Mongili chi est istada una “svista” (chi oe chi est oe, però, galu no est istada remediada, su chi cheret nàrrere chi pròpiu “svista” no est).
Sos àteros candidados no ant iscumissu unu sisinu pro sa limba in sos comìtzios issoro e, a pàrrere meu, ant isballiadu. Si podent (e si devent) criticare pro custu. Soru eja, medas bias. E duncas est a isse chi li cheret chircada coerèntzia. In sa sìntesi chi fia numenende, coerèntzia non bi nd’at. B’at una “rimozione”, gasi e totu comente “rimozione” b’est in su fatu chi in su programma de medas pàginas, in sas 26 rigas dedicadas a sa limba sarda non b’at perunu impinnu a torrare a presentare sa proposta de lege de polìtica linguìstica chi su guvernu sardu at aproadu in capitulo mortis de sa legisladura.
De sas duas una: o ant bintu sos chi nch’ant fatu catzare dae sa sìntesi de programma sa limba sarda e chi sunt a primma posta contra a s’idea de una lege de polìtica linguìstica (e sunt inchietos a fera finas pro su bìculu de programma postu in sas 26 rigas numenadas) o Soru, otentu su resurtadu eletorale chi b’at a àere pro more finas de s’apògiu de custos inimigos de su sardu, nche los at a allacanare. O de gosi o de gasi, m’ant a perdonare sos chi parant che prendas su chi su guvernu de Soru at fatu sos annos colados pro sa limba: non bi pòngio afigu.
Si una polìtica linguìstica sèria e rigorosa no interessat sos candidados presidentes, cheret nàrrere chi s’issèberu l’apo a fàghere cussiderende àteru.
giovedì 12 febbraio 2009
"Golfo dei fenici": un'operazione di marketing
di Francesco Cubeddu
Caro Gianfranco,
intervengo in merito alla questione del “Golfo dei Fenici”, come ben sai sono tutt’altro che feniciomane ma, non per questo, ho da ridire sulle ricerche che riguardano gli insediamenti fenici in Sardegna, numerosi e documentati anche nel Golfo di Oristano. Quello che non riesco a capire è questa presunta intenzione di alcuni archeologi di cambiare, addirittura, il nome al Golfo di Oristano ribattezzandolo “dei Fenici”.
Tutto è partito dal convegno tenutosi a novembre ed intitolato, appunto, con la frase incriminata; convegno che aveva lo scopo di trovare un’intesa tra gli amministratori dei territori che si affacciano nel Golfo di Oristano e cercare i fondi necessari per far decollare il progetto di un parco archeologico che si occupi di coordinare la ricerca e la gestione dei siti fenici che ricadono nell’area interessata.
Per quanto ne so a nessuno è mai venuto in mente di cambiare il nome geografico del Golfo di Oristano, la denominazione “dei Fenici” era semplicemente funzionale al programma del convegno punto e basta. Se poi si voglia rimarcare la notevole propensione di certi archeologi a vedere solo fenicio e a ricondurre tutto a questo popolo di navigatori e commercianti, trascurando il fatto che molti dei loro insediamenti, in Sardegna, insistono su precedenti siti nuragici e che insediamenti di “mercanti sardi” (così testualmente sono chiamati nelle pubblicazioni che ho avuto modo di leggere a firma di studiosi spagnoli e portoghesi) risalenti al secondo ed al primo millennio avanti cristo sono stati rinvenuti in territorio spagnolo e portoghese, per non parlare di quelli del Mediterraneo orientale (Komòs a Creta) ecc., praticamente in tutto il Mediterraneo ed oltre, compresa la costa occidentale della penisola iberica bagnata dall’Atlantico, allora sono perfettamente d’accordo.
Qualcuno potrebbe ancora raccontare la favola che i nuragici non erano in grado di navigare e che, magari, si servissero per i loro commerci marittimi di “traghetti” fenici, o battenti altre bandiere (sennò come si spiegano questi siti nuragici fuori dall'isola?) cosa che ritengo assai improbabile ma, qualora fosse dimostrata, dimostrerebbe solo che i “mercanti sardi” avevano raggiunto un tale livello di benessere da poter evitare i lavori pesanti!
Caro Gianfranco,
intervengo in merito alla questione del “Golfo dei Fenici”, come ben sai sono tutt’altro che feniciomane ma, non per questo, ho da ridire sulle ricerche che riguardano gli insediamenti fenici in Sardegna, numerosi e documentati anche nel Golfo di Oristano. Quello che non riesco a capire è questa presunta intenzione di alcuni archeologi di cambiare, addirittura, il nome al Golfo di Oristano ribattezzandolo “dei Fenici”.
Tutto è partito dal convegno tenutosi a novembre ed intitolato, appunto, con la frase incriminata; convegno che aveva lo scopo di trovare un’intesa tra gli amministratori dei territori che si affacciano nel Golfo di Oristano e cercare i fondi necessari per far decollare il progetto di un parco archeologico che si occupi di coordinare la ricerca e la gestione dei siti fenici che ricadono nell’area interessata.
Per quanto ne so a nessuno è mai venuto in mente di cambiare il nome geografico del Golfo di Oristano, la denominazione “dei Fenici” era semplicemente funzionale al programma del convegno punto e basta. Se poi si voglia rimarcare la notevole propensione di certi archeologi a vedere solo fenicio e a ricondurre tutto a questo popolo di navigatori e commercianti, trascurando il fatto che molti dei loro insediamenti, in Sardegna, insistono su precedenti siti nuragici e che insediamenti di “mercanti sardi” (così testualmente sono chiamati nelle pubblicazioni che ho avuto modo di leggere a firma di studiosi spagnoli e portoghesi) risalenti al secondo ed al primo millennio avanti cristo sono stati rinvenuti in territorio spagnolo e portoghese, per non parlare di quelli del Mediterraneo orientale (Komòs a Creta) ecc., praticamente in tutto il Mediterraneo ed oltre, compresa la costa occidentale della penisola iberica bagnata dall’Atlantico, allora sono perfettamente d’accordo.
Qualcuno potrebbe ancora raccontare la favola che i nuragici non erano in grado di navigare e che, magari, si servissero per i loro commerci marittimi di “traghetti” fenici, o battenti altre bandiere (sennò come si spiegano questi siti nuragici fuori dall'isola?) cosa che ritengo assai improbabile ma, qualora fosse dimostrata, dimostrerebbe solo che i “mercanti sardi” avevano raggiunto un tale livello di benessere da poter evitare i lavori pesanti!
mercoledì 11 febbraio 2009
Nel programma di Soru nessuna censura, solo una svista
di Alessandro Mongili
Dear Giuanne Frantziscu,
arguisci malissimo. Ho collaborato alla stesura del programma de "La Sardegna che cambia", so bene che si tratta solo di una svista quella a cui ti riferisci. La percentuale di ex Pci fra noi è bassa e la vera novità è quella rappresentata da una nuova generazione che si presenta alla politica senza sapere neanche che cos'era il Psd'a ma amando la lingua sarda più delle generazioni precedenti.
Tutti concordiamo sulla difesa della limba e il nostro punto di riferimento sono sia il Piano triennale che, ovviamente, il ddl approvato a metà dicembre. Soru ha rischiato e si è impegnato molto sulla lingua sarda perché, semplicemente, ci crede, come tutti noi anche se non abbiamo il vostro pedigree militante. Ci crediamo perché crediamo in noi stessi, in noi Sardi, ci amiamo come gente, come individui pure. Come dice Antonio Pintus, si tratta solo di un rimando giornalistico che è pure abbastanza instabile e non fa testo.
Il ddl contiene misure specifiche che fanno parte degli atti di governo, che tutti possiamo consultare, esattamente come tanti altri ddl della Giunta Soru in un numero elevato di temi (ambiente, sanità, ecc.) che come spesso accade non sono stati ripresi parola per parola in un Programma destinato ad essere letto il più possibile (per cui di 120 pagine) e non poteva essere portato a Venti volumi e a migliaia di pagine.
Preoccupatevi piuttosto di non riconsegnare la Sardegna a chi sulla lingua sarda fa battute razziste e ridacchia e disprezza ogni sardità che non sia folklore. Non capisco tutto questo credito a loro e tutto questo pibincùmine per noi.
Salude e gràtzias pro sù chi faghes, massimamente pro s'archeologia chi est prus importante de sù chi nde pothant pensare is balossos
Mon cher Alessandro (perdona, ma sono troppo vecchio per essere di scuola anglosassone, sono franco-resistente). Parli di "voi" e "noi" come fossimo truppe nemiche, anziché gente che cerca di fare il più che può per la lingua sarda e la Sardegna in genere. "Noi" non consegneremo la Sardegna a nessuno così come "voi" non siete un baluardo interposto a questa consegna.
Nel mio modesto ruolo di cronista di quel che accade, solo ho rilevato l'esistenza di una curiosa (vogliamo dire così?) censura della parola "lingua" (e dell'altra, "musica"). Tu sostieni che si tratta di una svista e io ti stimo troppo per pensare che tu abbia piegato a ragioni elettorali la verità dei fatti. Permettimi però di sottolineare che si tratta di un lapsus curioso: spariscono la parola "lingua" e "musica" e non altre. Apprezzo la resistenza che deve esserci stata contro la trasformazione di "musica" in "folclore". Freud, forse, avrebbe una spiegazione.
Ah, in quanto al Ddl che, tu sai, apprezzo, perché non ne è annunciata la ripresentazione in caso di vittoria o la presentazione di una proposta di legge in caso contrario?
Ha da passà a nuttata e, al mattino, credo non ci sarà più, tra gli amanti (proprio nel senso di antzeddos) della Sardegna il "noi" e il "voi". [gfp]
Dear Giuanne Frantziscu,
arguisci malissimo. Ho collaborato alla stesura del programma de "La Sardegna che cambia", so bene che si tratta solo di una svista quella a cui ti riferisci. La percentuale di ex Pci fra noi è bassa e la vera novità è quella rappresentata da una nuova generazione che si presenta alla politica senza sapere neanche che cos'era il Psd'a ma amando la lingua sarda più delle generazioni precedenti.
Tutti concordiamo sulla difesa della limba e il nostro punto di riferimento sono sia il Piano triennale che, ovviamente, il ddl approvato a metà dicembre. Soru ha rischiato e si è impegnato molto sulla lingua sarda perché, semplicemente, ci crede, come tutti noi anche se non abbiamo il vostro pedigree militante. Ci crediamo perché crediamo in noi stessi, in noi Sardi, ci amiamo come gente, come individui pure. Come dice Antonio Pintus, si tratta solo di un rimando giornalistico che è pure abbastanza instabile e non fa testo.
Il ddl contiene misure specifiche che fanno parte degli atti di governo, che tutti possiamo consultare, esattamente come tanti altri ddl della Giunta Soru in un numero elevato di temi (ambiente, sanità, ecc.) che come spesso accade non sono stati ripresi parola per parola in un Programma destinato ad essere letto il più possibile (per cui di 120 pagine) e non poteva essere portato a Venti volumi e a migliaia di pagine.
Preoccupatevi piuttosto di non riconsegnare la Sardegna a chi sulla lingua sarda fa battute razziste e ridacchia e disprezza ogni sardità che non sia folklore. Non capisco tutto questo credito a loro e tutto questo pibincùmine per noi.
Salude e gràtzias pro sù chi faghes, massimamente pro s'archeologia chi est prus importante de sù chi nde pothant pensare is balossos
Mon cher Alessandro (perdona, ma sono troppo vecchio per essere di scuola anglosassone, sono franco-resistente). Parli di "voi" e "noi" come fossimo truppe nemiche, anziché gente che cerca di fare il più che può per la lingua sarda e la Sardegna in genere. "Noi" non consegneremo la Sardegna a nessuno così come "voi" non siete un baluardo interposto a questa consegna.
Nel mio modesto ruolo di cronista di quel che accade, solo ho rilevato l'esistenza di una curiosa (vogliamo dire così?) censura della parola "lingua" (e dell'altra, "musica"). Tu sostieni che si tratta di una svista e io ti stimo troppo per pensare che tu abbia piegato a ragioni elettorali la verità dei fatti. Permettimi però di sottolineare che si tratta di un lapsus curioso: spariscono la parola "lingua" e "musica" e non altre. Apprezzo la resistenza che deve esserci stata contro la trasformazione di "musica" in "folclore". Freud, forse, avrebbe una spiegazione.
Ah, in quanto al Ddl che, tu sai, apprezzo, perché non ne è annunciata la ripresentazione in caso di vittoria o la presentazione di una proposta di legge in caso contrario?
Ha da passà a nuttata e, al mattino, credo non ci sarà più, tra gli amanti (proprio nel senso di antzeddos) della Sardegna il "noi" e il "voi". [gfp]
Golfo dei Fenici: "Ora lo dice anche Onida. Che tristezza"
di Agostino Mulleri
Caro Pintore,
prima è stato Berlusconi a definire i nuraghi una sorta di silos per mercanzie varie. Adesso è il presidente della Provincia di Oristano, Onida, a voler mettere il nuraghe Losa – lo stesso che ha ispirato l’uscita di Berlusconi – nel “Parco dei Fenici”. Ma che cos’ha questo centro destra contro la civiltà nuragica? Possibile che voglia cancellarne l'originalità e unicità, per continuare ad affermare che tutto ciò che di bello c'è in Sardegna per forza viene da fuori?
Sono rimasto basito, leggendo su L’Unione, questa dichiarazione di Onida che riguarda il Parco archeologico dei Fenici e che riporto integralmente: «Il parco archeologico è una novità in assoluto», spiega ancora il presidente Onida. «Non più un sito archeologico che viene colto e sottolineato come aspetto di grande rilievo culturale di un singolo paese ma un sistema che abbraccia tutto il territorio, partendo dal Golfo dei Fenici con Neapolis, Othoca, Tharros, per arrivare a San Vero Milis e all'insediamento di Cornus. E naturalmente ai siti archeologici dell'interno: Losa, Paulilatino, Fordongianus, Laconi e le Marmille».
Ho letto sul suo blog gli interessanti articoli del prof. Pittau sulle cosiddette città fenicie che fenicie non erano e sulla sua ira per il nome di Golfo dei Fenici dato al golfo di Oristano. Adesso, non solo si regalano ai fenici e al loro parco monumenti sicuramente nuragici come Losa e quelli compresi nell’agro di Paulilatino, ma il vergognoso nome di “Golfo dei Fenici” ottiene addirittura una sanzione istituzionale.
Di fronte a un obrorio del genere, resto stupefatto e provo una rabbia impotente. Sono stato fra i firmatari su Facebook di Su mare de Aristanis no est fenitzu. Forse bisognerebbe rilanciare le sottoscrizioni: non servirà forse a far cambiare idea a chi è deciso a svendere la nostra storia, ma almeno facciamoci sentire.
Che ne dice?
Caro Mulleri, se fosse vero che la Provincia di Oristano ha, come lei dice, dato una sanzione istituzionale a quel Golfo dei Fenici che sembrò ad alcuni più una trovata pubblicitaria che altro, sarebbe una cosa grave. Ma ancora spero che si tratti solo di una approssimazione giornalistica. Capita, a volte, nella fretta di scrivere. Ma, prudenzialmente, forse è il caso che lei contatti i suoi amici di Facebook. Io farò lo stesso con i miei amici. [gfp]
La foto del Golfo di Oristano è tratta dall'album di Francesco Cubeddu
Caro Pintore,
prima è stato Berlusconi a definire i nuraghi una sorta di silos per mercanzie varie. Adesso è il presidente della Provincia di Oristano, Onida, a voler mettere il nuraghe Losa – lo stesso che ha ispirato l’uscita di Berlusconi – nel “Parco dei Fenici”. Ma che cos’ha questo centro destra contro la civiltà nuragica? Possibile che voglia cancellarne l'originalità e unicità, per continuare ad affermare che tutto ciò che di bello c'è in Sardegna per forza viene da fuori?
Sono rimasto basito, leggendo su L’Unione, questa dichiarazione di Onida che riguarda il Parco archeologico dei Fenici e che riporto integralmente: «Il parco archeologico è una novità in assoluto», spiega ancora il presidente Onida. «Non più un sito archeologico che viene colto e sottolineato come aspetto di grande rilievo culturale di un singolo paese ma un sistema che abbraccia tutto il territorio, partendo dal Golfo dei Fenici con Neapolis, Othoca, Tharros, per arrivare a San Vero Milis e all'insediamento di Cornus. E naturalmente ai siti archeologici dell'interno: Losa, Paulilatino, Fordongianus, Laconi e le Marmille».
Ho letto sul suo blog gli interessanti articoli del prof. Pittau sulle cosiddette città fenicie che fenicie non erano e sulla sua ira per il nome di Golfo dei Fenici dato al golfo di Oristano. Adesso, non solo si regalano ai fenici e al loro parco monumenti sicuramente nuragici come Losa e quelli compresi nell’agro di Paulilatino, ma il vergognoso nome di “Golfo dei Fenici” ottiene addirittura una sanzione istituzionale.
Di fronte a un obrorio del genere, resto stupefatto e provo una rabbia impotente. Sono stato fra i firmatari su Facebook di Su mare de Aristanis no est fenitzu. Forse bisognerebbe rilanciare le sottoscrizioni: non servirà forse a far cambiare idea a chi è deciso a svendere la nostra storia, ma almeno facciamoci sentire.
Che ne dice?
Caro Mulleri, se fosse vero che la Provincia di Oristano ha, come lei dice, dato una sanzione istituzionale a quel Golfo dei Fenici che sembrò ad alcuni più una trovata pubblicitaria che altro, sarebbe una cosa grave. Ma ancora spero che si tratti solo di una approssimazione giornalistica. Capita, a volte, nella fretta di scrivere. Ma, prudenzialmente, forse è il caso che lei contatti i suoi amici di Facebook. Io farò lo stesso con i miei amici. [gfp]
La foto del Golfo di Oristano è tratta dall'album di Francesco Cubeddu
martedì 10 febbraio 2009
Il sardo cancellato dal programma di Soru. Ch'è successo?
La lingua sarda è come sparita dalla campagna elettorale. Nelle interviste sui giornali, nelle televisioni c'è, anche in chi in cuor suo dice di tenere al sardo, una rimozione che deve avere una ragione. Anche se io non riesco ad immaginarla, se non con un esercizio di dietrologia cui non voglio abbandonarmi.
Sta di fatto che la rimozione interessa anche il campione della lingua sarda, l'ex presidente della Regione che poche ore prima di abbandonare ha fatto approvare dal suo governo un disegno di legge sulla politica linguistica della Sardegna. Un buon progetto di legge, certo migliorabile, ma buono. Peccato che è stato presentato fuori limite massimo, di modo che il Parlamento sardo non potesse neppure prenderlo in considerazione.
Fino al 29 gennaio, quando se ne è parlato in questo blog, nel programma di Soru era scritto: "Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia, la sua musica. Lo sviluppo della Sardegna non può che partire dall’identità...". Una maniera, pur troppo succinta, per affermare la volontà di affrontare la questione nel nuovo Parlamento sardo.
Da qualche giorno, anche questo minimo impegno è sparito. Oggi si legge solamente: "Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua storia. Lo sviluppo della Sardegna che vogliamo parte da un progetto identitario...". Un progetto in cui la lingua non è neppure citata. Che cosa è successo? Ha ripreso vigore la tesi di alcuni compagni di viaggio, secondo cui la lingua è un epifenomeno della cultura?
Sta di fatto che la rimozione interessa anche il campione della lingua sarda, l'ex presidente della Regione che poche ore prima di abbandonare ha fatto approvare dal suo governo un disegno di legge sulla politica linguistica della Sardegna. Un buon progetto di legge, certo migliorabile, ma buono. Peccato che è stato presentato fuori limite massimo, di modo che il Parlamento sardo non potesse neppure prenderlo in considerazione.
Fino al 29 gennaio, quando se ne è parlato in questo blog, nel programma di Soru era scritto: "Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia, la sua musica. Lo sviluppo della Sardegna non può che partire dall’identità...". Una maniera, pur troppo succinta, per affermare la volontà di affrontare la questione nel nuovo Parlamento sardo.
Da qualche giorno, anche questo minimo impegno è sparito. Oggi si legge solamente: "Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua storia. Lo sviluppo della Sardegna che vogliamo parte da un progetto identitario...". Un progetto in cui la lingua non è neppure citata. Che cosa è successo? Ha ripreso vigore la tesi di alcuni compagni di viaggio, secondo cui la lingua è un epifenomeno della cultura?
lunedì 9 febbraio 2009
Caso Englaro: ah, s'io fossi Dio
di Francu Pilloni
“S’i fosse fuoco - scrisse Cecco Angiolieri otto secoli fa – arderei ‘l mondo!”
S’io fossi Dio, unico Dio, mi chiamassero pure Iavè, Allah, Manitou, Grande Spirito, Animalonga, Animalada, Babbai, Chichitu…, mi dimetterei, abdicherei, mi farei da una parte fregandomene di dove va il mondo, che rotoli o saltelli, si ammacchi si gonfi collassi, rallenti si fermi, qualsiasi cosa faccia, gli accada. Sono stanco di essere stato tirato per la giacca, vivo eternamente a petto nudo per evitare, mi scoccia tremendamente non solo e non tanto che si violino le regole, ma che si prenda burla di me.
Faccio un esempio concreto: ho dato ad ogni uomo una bicicletta? “Pedala!, ho detto, con le tue gambe potenti, fede e ragione, guidala con gli occhi della speranza e della carità”. A che spettacolo assisto? Un sacco gente, uomini e donne, pedala con una gamba sola, la fede, e le mani della carità e della speranza non sul manubrio a guidare, ma sugli occhi a velare!
Dove ho sbagliato? Perché tenta gente si mette in coda alla prima bandiera che passa?
Leggi tutto
Carissimo Franco, in tutti questi mesi di tragedia privata e di pubblici arruolamenti in milizie l'una contro l'altra armate, non ho detto una parola sul caso di Eluana Ongaro. Per rispetto e, soprattutto, perché non sapevo come buttar fuori i dubbi che cacciavano le certezze che cacciavano i dubbi. Ti ringrazio perché hai di nuovo messo a correre i dubbi e le certezze.
Non mi capita spesso di essere d'accordo con Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera. Oggi ne sposo anche le virgole. E se non è capitato di leggerlo, a te e a chi ci segue, qui lo ripropongo.
“S’i fosse fuoco - scrisse Cecco Angiolieri otto secoli fa – arderei ‘l mondo!”
S’io fossi Dio, unico Dio, mi chiamassero pure Iavè, Allah, Manitou, Grande Spirito, Animalonga, Animalada, Babbai, Chichitu…, mi dimetterei, abdicherei, mi farei da una parte fregandomene di dove va il mondo, che rotoli o saltelli, si ammacchi si gonfi collassi, rallenti si fermi, qualsiasi cosa faccia, gli accada. Sono stanco di essere stato tirato per la giacca, vivo eternamente a petto nudo per evitare, mi scoccia tremendamente non solo e non tanto che si violino le regole, ma che si prenda burla di me.
Faccio un esempio concreto: ho dato ad ogni uomo una bicicletta? “Pedala!, ho detto, con le tue gambe potenti, fede e ragione, guidala con gli occhi della speranza e della carità”. A che spettacolo assisto? Un sacco gente, uomini e donne, pedala con una gamba sola, la fede, e le mani della carità e della speranza non sul manubrio a guidare, ma sugli occhi a velare!
Dove ho sbagliato? Perché tenta gente si mette in coda alla prima bandiera che passa?
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Carissimo Franco, in tutti questi mesi di tragedia privata e di pubblici arruolamenti in milizie l'una contro l'altra armate, non ho detto una parola sul caso di Eluana Ongaro. Per rispetto e, soprattutto, perché non sapevo come buttar fuori i dubbi che cacciavano le certezze che cacciavano i dubbi. Ti ringrazio perché hai di nuovo messo a correre i dubbi e le certezze.
Non mi capita spesso di essere d'accordo con Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera. Oggi ne sposo anche le virgole. E se non è capitato di leggerlo, a te e a chi ci segue, qui lo ripropongo.
Elezioni barbariche: ma ha da passà 'a nuttata
Ne ho viste tante di campagne elettorali, in oltre cinquanta anni che voto, da farmi diventare uomo di mondo, restio a meravigliarmi della crudezza delle accuse incrociate. La faccia di Garibaldi (Fronte popolare) che rovesciata si trasformava in quella di Stalin, i manifesti con lo Scudo crociato sormontati da enormi forchette (dc=forchettoni), e poi i comunisti che mangiavano i bambini, i Dc dal governo assassino e via via.
A parte il gusto non proprio raffinato di chi, su Facebook, augura a Berlusconi un infarto, o il blog di Di Pietro che definisce l’avversario un nazista e, di converso, le accuse di vetero-comunismo lanciate sui Democratici, le nuove tecnologie nella comunicazione non aggiungono molte novità, al di fuori del mezzo impiegato. Tanto, finite le elezioni, non credo che l’accusa di nazismo da un lato e di stalinismo dall’altro avrà lo sbocco naturale, consono a tali denunce: la resistenza armata e la guerra civile fra fazioni naziste e fazioni staliniste.
La novità sta nel fatto che a suscitare principalmente l’incarognimento non sono elezioni governative riguardanti tutta la Repubblica, ma le elezioni politiche in Sardegna, vale a dire in una parte della Repubblica. La Sardegna, insomma, è...
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A parte il gusto non proprio raffinato di chi, su Facebook, augura a Berlusconi un infarto, o il blog di Di Pietro che definisce l’avversario un nazista e, di converso, le accuse di vetero-comunismo lanciate sui Democratici, le nuove tecnologie nella comunicazione non aggiungono molte novità, al di fuori del mezzo impiegato. Tanto, finite le elezioni, non credo che l’accusa di nazismo da un lato e di stalinismo dall’altro avrà lo sbocco naturale, consono a tali denunce: la resistenza armata e la guerra civile fra fazioni naziste e fazioni staliniste.
La novità sta nel fatto che a suscitare principalmente l’incarognimento non sono elezioni governative riguardanti tutta la Repubblica, ma le elezioni politiche in Sardegna, vale a dire in una parte della Repubblica. La Sardegna, insomma, è...
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domenica 8 febbraio 2009
Tranquilli, la bandiera sarda non è ad Arcore
di Gigi Sanna
Amici sardisti (e non): tranquilli. Calmo Sollai e anche tu tranquillo Efisio, anche se hai rischiato il linciaggio. Non per Berlusconi certo (che può essere sostituito da Soru o da quant’altri che i sardisti detestano) ma perché i simboli non si trattano a pesci in faccia. Calma perché la bandiera ad Arcore proprio non c’è e i Sardi se la sono cavata per un pelo. La storia documentaria, quella che prima era preistoria e si vorrebbe ancora tale da qualcuno, ci dice infatti che i Sardi ‘padri’ hanno avuto ben altra bandiera. Un albero con chioma, fusto e radici ben in vista. Quello dell’IRS, per intenderci.
Attenzione. Non dovete pensare che mi sia messo a fare propaganda (e di quella subdola per giunta), per Sale e per il suo movimento. Faccio solo umilmente da servitore della verità, di quella che man mano, giorno dopo giorno, sta faticosamente venendo alla luce. Una verità ‘sulla’ e ‘della’ Sardegna che è, in quanto tale, patrimonio di tutti. E’ inutile dire che avrei desiderato parlarne con più calma e con più spazio di questo argomento, ovvero nelle sedi più opportune, riguardando esso i miei studi sulla scrittura nuragica e chi di quella scrittura era particolare oggetto di attenzione.
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Amici sardisti (e non): tranquilli. Calmo Sollai e anche tu tranquillo Efisio, anche se hai rischiato il linciaggio. Non per Berlusconi certo (che può essere sostituito da Soru o da quant’altri che i sardisti detestano) ma perché i simboli non si trattano a pesci in faccia. Calma perché la bandiera ad Arcore proprio non c’è e i Sardi se la sono cavata per un pelo. La storia documentaria, quella che prima era preistoria e si vorrebbe ancora tale da qualcuno, ci dice infatti che i Sardi ‘padri’ hanno avuto ben altra bandiera. Un albero con chioma, fusto e radici ben in vista. Quello dell’IRS, per intenderci.
Attenzione. Non dovete pensare che mi sia messo a fare propaganda (e di quella subdola per giunta), per Sale e per il suo movimento. Faccio solo umilmente da servitore della verità, di quella che man mano, giorno dopo giorno, sta faticosamente venendo alla luce. Una verità ‘sulla’ e ‘della’ Sardegna che è, in quanto tale, patrimonio di tutti. E’ inutile dire che avrei desiderato parlarne con più calma e con più spazio di questo argomento, ovvero nelle sedi più opportune, riguardando esso i miei studi sulla scrittura nuragica e chi di quella scrittura era particolare oggetto di attenzione.
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sabato 7 febbraio 2009
Ministro Bondi: dove sono i reperti etruschi?
Signor ministro Sandro Bondi,
non credo che lei vedrà questo articolo e, del resto, sono quasi sicuro che non gliene accennerà la Soprintendenza sarda, quando lunedì sarà ad Arzechena. Da tempo rifiuta di ricevere questo blog: “it was rejected by the recipient domain” è la sentenza comunicata da Google per i miei tentativi di informarla che qui si parla di essa e ad essa si pongono domande. Gli struzzi non saprebbero fare di meglio. Può darsi che lo farà qualcuno degli oltre quattromila lettori più o meno fissi.
Se fosse informato dell’arroganza soprintendenziale, credo avrebbe di che riflettere su una domanda che un centinaio di persone su Facebook rivolge da tempo: “Che fine hanno fatto i reperti etruschi del Lago Omodeo?”. Sequestrati dai carabinieri ad Allai per disposizione della Soprintendenza, questi reperti sono spariti nel nulla. L’oblio dura da più di un anno, esattamente dal giorno del sequestro, il 20 gennaio dello scorso anno.
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non credo che lei vedrà questo articolo e, del resto, sono quasi sicuro che non gliene accennerà la Soprintendenza sarda, quando lunedì sarà ad Arzechena. Da tempo rifiuta di ricevere questo blog: “it was rejected by the recipient domain” è la sentenza comunicata da Google per i miei tentativi di informarla che qui si parla di essa e ad essa si pongono domande. Gli struzzi non saprebbero fare di meglio. Può darsi che lo farà qualcuno degli oltre quattromila lettori più o meno fissi.
Se fosse informato dell’arroganza soprintendenziale, credo avrebbe di che riflettere su una domanda che un centinaio di persone su Facebook rivolge da tempo: “Che fine hanno fatto i reperti etruschi del Lago Omodeo?”. Sequestrati dai carabinieri ad Allai per disposizione della Soprintendenza, questi reperti sono spariti nel nulla. L’oblio dura da più di un anno, esattamente dal giorno del sequestro, il 20 gennaio dello scorso anno.
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M'avanza un voto: chiedetelo e vi sarà dato
di Francu Pilloni
Mi sono accorto, a dieci giorni dalle elezioni, che mi avanza un voto, il mio.
Non mi serve, ma non lo voglio buttare (è nuovo, amai usato, con garanzia integra, da timbrare), quindi lo do via, lo vendo, anzi lo regalo a chi me lo chiede. Al primo che me lo chiede, in ordine cronologico, di destra o di sinistra, di centro, di sopra, di sotto, non ho preferenze.
Unica condizione: me lo si deve chiedere, come dire?, ufficialmente, coram populo, come dicevano a Roma quando il Colosseo si riempiva di gente.
È una burla, pensa già qualcuno, che so, uno dei tanti candidati messi là a riempire le liste, volontari di questa messinscena democratica che sono le elezioni di ogni ordine e grado e che comunque danno sostanza alla forma e forma alla sostanza le quali, soffrendo ambedue di zoppia perniciosa, si reggono l’una con l’altra. Questa è la democrazia, ma di meglio non c’è.
Invece no, è una cosa piuttosto seria. Si vedano le condizioni che pongo:
a) richieste: nessuna. Infatti a me non interessa se il richiedente verrà eletto o non verrà eletto (a lui certamente sì); non interessa se, nel caso venga eletto, contribuisca a fare maggioranza anche spostandosi dal gruppo o dalla lista, o pregiudichi la maggioranza abbandonandola per qualsiasi ragione. Faccia a suo piacere. Per me va tutto bene. Non gli chiederò conto dei voti dati o negati a qualsivoglia disegno di legge, delle proposte di legge che appronterà se ne appronterà, degli ordini dl giorno e di tutto l’altro che prevede la procedura consigliare. Non m’interessa e non gli chiederò conto se sarà nominato assessore o membro di una o più commissioni: faccia secondo la sua coscienza o secondo il suo privato interesse. Non m’interessa. E non m’interessa neppure se è contro o a favore della lingua e della cultura sarda, se è contro o a favore della LSC. Insomma, ha capito che non avrà nessun mio condizionamento, né alcuna rimostranza su quello che deciderà di fare o non fare? Ecco, se ha capito sin qua, trarrà la logica deduzione che io non vorrò essere in nessun caso, per nessuna ragione, in nessun luogo o situazione, essere tirato in ballo, chiamato, contattato da lei o per suo conto da chicchessia... sino alle prossime elezioni.
b) Offerta: solo il voto di preferenza o quello di lista o ambedue. È chiaro che non mi assumo alcuna responsabilità se col mio voto pregiudico la vittoria o facilito la sconfitta di qualcuno degli altri candidati, siano semplici consiglieri o governatori. All’uopo, per dimostrarle che sono una persona seria, si sappia, prima che qualcuno inoltri la richiesta, che io sono andato a votare regolarmente tutta la vita, a destra o a manca, secondo le situazioni o gli amici che avevo in lista. Si sappia altresì che, alle politiche, nell’ultima tornata ho votato Veltroni, nella penultima ho votato Berlusconi, nella precedente ancora ho votato Rutelli, e prima ancora Berlusconi e ancora prima Ochetto. Alle regionali ho votato per Pili la volta scorsa, per Palomba quell’altra. Analogamente ho fatto con i sindaci del mio comune. Se si è capito l’andazzo, io non ne azzecco una dal tempo dell’onorevole Efisio Corrias: lo votai (la prima volta che votavo, mi scrisse anche una lettera a casa!) nei primi anni sessanta, fu eletto, divenne anche presidente. Non è che io porti sfiga per dire, cioè dove voto io non cresce più l’erba. Magari fosse così. Si pensi a quanto pagherebbero il mio voto! Soru sarebbe disposto a tanto, pur di farmi votare Capellacci, figuriamoci Berlusconi per Soru! Quantomeno mi farebbe sottosegretario subito, in attesa delle elezioni europee! Ma non è così, purtroppo per me. Ecco perché mi avanza quel voto: perché è inutile. Quanto vale un voto inutile? Zero. Per questo lo regalo.
E se lo chiede, anche a un senegalese perché, fra l’altro, non sono neppure razzista.
Mi sono accorto, a dieci giorni dalle elezioni, che mi avanza un voto, il mio.
Non mi serve, ma non lo voglio buttare (è nuovo, amai usato, con garanzia integra, da timbrare), quindi lo do via, lo vendo, anzi lo regalo a chi me lo chiede. Al primo che me lo chiede, in ordine cronologico, di destra o di sinistra, di centro, di sopra, di sotto, non ho preferenze.
Unica condizione: me lo si deve chiedere, come dire?, ufficialmente, coram populo, come dicevano a Roma quando il Colosseo si riempiva di gente.
È una burla, pensa già qualcuno, che so, uno dei tanti candidati messi là a riempire le liste, volontari di questa messinscena democratica che sono le elezioni di ogni ordine e grado e che comunque danno sostanza alla forma e forma alla sostanza le quali, soffrendo ambedue di zoppia perniciosa, si reggono l’una con l’altra. Questa è la democrazia, ma di meglio non c’è.
Invece no, è una cosa piuttosto seria. Si vedano le condizioni che pongo:
a) richieste: nessuna. Infatti a me non interessa se il richiedente verrà eletto o non verrà eletto (a lui certamente sì); non interessa se, nel caso venga eletto, contribuisca a fare maggioranza anche spostandosi dal gruppo o dalla lista, o pregiudichi la maggioranza abbandonandola per qualsiasi ragione. Faccia a suo piacere. Per me va tutto bene. Non gli chiederò conto dei voti dati o negati a qualsivoglia disegno di legge, delle proposte di legge che appronterà se ne appronterà, degli ordini dl giorno e di tutto l’altro che prevede la procedura consigliare. Non m’interessa e non gli chiederò conto se sarà nominato assessore o membro di una o più commissioni: faccia secondo la sua coscienza o secondo il suo privato interesse. Non m’interessa. E non m’interessa neppure se è contro o a favore della lingua e della cultura sarda, se è contro o a favore della LSC. Insomma, ha capito che non avrà nessun mio condizionamento, né alcuna rimostranza su quello che deciderà di fare o non fare? Ecco, se ha capito sin qua, trarrà la logica deduzione che io non vorrò essere in nessun caso, per nessuna ragione, in nessun luogo o situazione, essere tirato in ballo, chiamato, contattato da lei o per suo conto da chicchessia... sino alle prossime elezioni.
b) Offerta: solo il voto di preferenza o quello di lista o ambedue. È chiaro che non mi assumo alcuna responsabilità se col mio voto pregiudico la vittoria o facilito la sconfitta di qualcuno degli altri candidati, siano semplici consiglieri o governatori. All’uopo, per dimostrarle che sono una persona seria, si sappia, prima che qualcuno inoltri la richiesta, che io sono andato a votare regolarmente tutta la vita, a destra o a manca, secondo le situazioni o gli amici che avevo in lista. Si sappia altresì che, alle politiche, nell’ultima tornata ho votato Veltroni, nella penultima ho votato Berlusconi, nella precedente ancora ho votato Rutelli, e prima ancora Berlusconi e ancora prima Ochetto. Alle regionali ho votato per Pili la volta scorsa, per Palomba quell’altra. Analogamente ho fatto con i sindaci del mio comune. Se si è capito l’andazzo, io non ne azzecco una dal tempo dell’onorevole Efisio Corrias: lo votai (la prima volta che votavo, mi scrisse anche una lettera a casa!) nei primi anni sessanta, fu eletto, divenne anche presidente. Non è che io porti sfiga per dire, cioè dove voto io non cresce più l’erba. Magari fosse così. Si pensi a quanto pagherebbero il mio voto! Soru sarebbe disposto a tanto, pur di farmi votare Capellacci, figuriamoci Berlusconi per Soru! Quantomeno mi farebbe sottosegretario subito, in attesa delle elezioni europee! Ma non è così, purtroppo per me. Ecco perché mi avanza quel voto: perché è inutile. Quanto vale un voto inutile? Zero. Per questo lo regalo.
E se lo chiede, anche a un senegalese perché, fra l’altro, non sono neppure razzista.
venerdì 6 febbraio 2009
Glozel, uno scandalo che non finisce mai
di Gigi Sanna
Se si è arrivati ad un vero e proprio scandalo, come ognuno avrà notato da questo Blog, a proposito dell’atteggiamento di una certa ‘parte’ dell’archeologia (parte dico: chè io non sono solito fare di ogni erba un fascio) e di una certa (dico ‘certa’) Sovrintendenza sulla documentazione scritta nuragica, uno scandalo ancora maggiore, stante la incredibile durata di esso, è quello dell’Accademia scientifica (con aggiunta delle maggiori istituzioni culturali francesi, comprese quelle museali) sul caso Glozel. Qui si toccano davvero le vette dell’assurdo, tanto da screditare, a causa di una enorme macchia che imbratta irreparabilmente pagine immacolate, un intero sistema di ricerca che pure, in campo storico, archeologico e linguistico, ha dato nel tempo delle altissime prove di serietà e di obiettività impareggiabili. E non c’è bisogno di parlarne perché dovrei parlare delle opere dei mostri sacri francesi della scienza mondiale del secolo scorso.
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Se si è arrivati ad un vero e proprio scandalo, come ognuno avrà notato da questo Blog, a proposito dell’atteggiamento di una certa ‘parte’ dell’archeologia (parte dico: chè io non sono solito fare di ogni erba un fascio) e di una certa (dico ‘certa’) Sovrintendenza sulla documentazione scritta nuragica, uno scandalo ancora maggiore, stante la incredibile durata di esso, è quello dell’Accademia scientifica (con aggiunta delle maggiori istituzioni culturali francesi, comprese quelle museali) sul caso Glozel. Qui si toccano davvero le vette dell’assurdo, tanto da screditare, a causa di una enorme macchia che imbratta irreparabilmente pagine immacolate, un intero sistema di ricerca che pure, in campo storico, archeologico e linguistico, ha dato nel tempo delle altissime prove di serietà e di obiettività impareggiabili. E non c’è bisogno di parlarne perché dovrei parlare delle opere dei mostri sacri francesi della scienza mondiale del secolo scorso.
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giovedì 5 febbraio 2009
Caro Sollai, è sicuro che i 4 mori sian solo suoi?
Caro avvocato Sollai,
visto che si è assunto il gravoso compito di rappresentare e tutelare la bandiera dei Quattro mori (tanto più gravoso in quanto nessuno glielo ha affidato) vorrei pregarla di fare ai sardi e a me un grosso piacere. Dato che è (o vi è diretto) ad Arcore per farsi restituire la bandiera dei Quattro mori consegnata al [metta lei qui l'aggettivo che ritiene appropriato] Berlusconi dal segretario nazionale del Psd'az, vorrei darle un po' di indirizzi presso cui ritirare bandiere sarde consegnate senza chiedere la sua preventiva autorizzazione.
Scendendo da Arcore, si fermi a Bologna dal professor Romano Prodi al quale, al solito senza il suo permesso, fu consegnata la bandiera dei Quattro mori quando a Cagliari rappresentò la Commissione europea di cui era presidente. E se la faccia restituire.
Ancora un po' più giù, deviando verso la Maremma, si fermi all'indirizzo che le invierò per sms: in una locanda gestita da continentali, troverà una bandiera dei Quattro mori che, con leggerezza lo ammetto, ebbi l'ardire di regalare ai titolari, senza chiederle l'autorizzazione. E la riporti in patria. Da lì vada a Roma: dentro al Quirinale, dovrebbe esserci ancora una sua bandiera che fu regalata, al solito a sua insaputa, all'allora presidente della Repubblica, Cossiga. E se la riprenda.
Infine a Cagliari. Dovrebbe trovare, nella sede che fu dei Ds, il simbolo con cui questo partito si presentò alle elezioni del 2004. Vedrà che, senza suo permesso, i Ds misero i Quattro mori insieme alla Quercia. Se li faccia ridare. E invalidi le elezioni del 2004 per palese appropriazione indebita.
Sempre a Cagliari, faccia poi un salto alla Presidenza del Consiglio regionale, presso cui dovrebbero giacere cofanetti damascati contenenti la bandiera sarda. Non vorrei che il presidente ancora in carica e quello futuro continuassero a donare la bandiera di cui Ella è titolare a qualunque straniero di rango renda loro visita. Li ritiri tutti, per l'amor del cielo. Si eviti futuri e più lunghi giri di recupero.
So benissimo che per lei le istituzioni e i partiti italiani sono ugualmente avversari, ma, evidentemente, qualcuno è più uguale degli altri, soprattutto se il suo cuore batte a sinistra. Questi, insomma, sono dei nemici veniali. Altrimenti, il viaggio che la prego di allungare, l'avrebbe fatto da molto tempo.
PS - Non le pare che ridurre l'indipendentismo e il nazionalismo a folclore allo stato puro danneggi l'immagine di serietà che Sardigna natzione si è conquistata in tutti questi anni?
visto che si è assunto il gravoso compito di rappresentare e tutelare la bandiera dei Quattro mori (tanto più gravoso in quanto nessuno glielo ha affidato) vorrei pregarla di fare ai sardi e a me un grosso piacere. Dato che è (o vi è diretto) ad Arcore per farsi restituire la bandiera dei Quattro mori consegnata al [metta lei qui l'aggettivo che ritiene appropriato] Berlusconi dal segretario nazionale del Psd'az, vorrei darle un po' di indirizzi presso cui ritirare bandiere sarde consegnate senza chiedere la sua preventiva autorizzazione.
Scendendo da Arcore, si fermi a Bologna dal professor Romano Prodi al quale, al solito senza il suo permesso, fu consegnata la bandiera dei Quattro mori quando a Cagliari rappresentò la Commissione europea di cui era presidente. E se la faccia restituire.
Ancora un po' più giù, deviando verso la Maremma, si fermi all'indirizzo che le invierò per sms: in una locanda gestita da continentali, troverà una bandiera dei Quattro mori che, con leggerezza lo ammetto, ebbi l'ardire di regalare ai titolari, senza chiederle l'autorizzazione. E la riporti in patria. Da lì vada a Roma: dentro al Quirinale, dovrebbe esserci ancora una sua bandiera che fu regalata, al solito a sua insaputa, all'allora presidente della Repubblica, Cossiga. E se la riprenda.
Infine a Cagliari. Dovrebbe trovare, nella sede che fu dei Ds, il simbolo con cui questo partito si presentò alle elezioni del 2004. Vedrà che, senza suo permesso, i Ds misero i Quattro mori insieme alla Quercia. Se li faccia ridare. E invalidi le elezioni del 2004 per palese appropriazione indebita.
Sempre a Cagliari, faccia poi un salto alla Presidenza del Consiglio regionale, presso cui dovrebbero giacere cofanetti damascati contenenti la bandiera sarda. Non vorrei che il presidente ancora in carica e quello futuro continuassero a donare la bandiera di cui Ella è titolare a qualunque straniero di rango renda loro visita. Li ritiri tutti, per l'amor del cielo. Si eviti futuri e più lunghi giri di recupero.
So benissimo che per lei le istituzioni e i partiti italiani sono ugualmente avversari, ma, evidentemente, qualcuno è più uguale degli altri, soprattutto se il suo cuore batte a sinistra. Questi, insomma, sono dei nemici veniali. Altrimenti, il viaggio che la prego di allungare, l'avrebbe fatto da molto tempo.
PS - Non le pare che ridurre l'indipendentismo e il nazionalismo a folclore allo stato puro danneggi l'immagine di serietà che Sardigna natzione si è conquistata in tutti questi anni?
mercoledì 4 febbraio 2009
Il "sardismo diffuso" si diffonde. Ed è un bene
Appare evidente che in questa campagna elettorale che volge alla fine, la “questione sardista” ha acquistato una centralità che negli anni aveva perso. Non penso tanto alla sardità, che è uno status esistenziale carsico (emerge o si nasconde a seconda del grado di autostima che di sé si ha), quanto proprio all’affermazione positiva della coscienza di sé.
La sardità si manifesta nel modo di vestire, nella musica sarda che fa da sottofondo ad alcuni spot elettorali di parti politiche fra loro avversarie e soprattutto nella rivendicazione che tutti (o quasi) fanno dell’essere sardi. Per il sardismo la questione è diversa: qui si parla di coscienza.
Paradossalmente intacca anche chi sente il bisogno di dichiararsi antisardista (“Addio ai fantasmi. Critica del sardismo” è il titolo della conferenza di un leader indipendentista). Contrariamente a molti cari amici, non solo non mi angustia il fatto che il Partito sardo si sia diviso fra i due schieramenti che hanno le maggiori possibilità di governare la Sardegna, ma anzi mi pare un normale fare chiarezza intorno alle diverse sensibilità. Che non sono quelle che ruotano intorno ad obsolete categorie di “destra” e di “sinistra”, quanto piuttosto a visioni “democratiche” o “liberali”. (I due aggettivi sono virgolettati perché nessuno degli schieramenti si definirebbe antidemocratico o antiliberale).
L’importante – è solo un mio punto di vista, chiaro – è che, quale che sia lo schieramento che vinca, porterà al suo interno poco o molto di sardismo; non una polivalente sardità di cui nessuno è disposto ad ammettere di poter fare a meno, ma proprio il sardismo.
Durante la campagna elettorale, fatta per guadagnare consensi spesso senza badare alla verità delle cose, si sta sentendo di tutto, relativamente alla “questione sardista” che evidentemente è sentita più centrale di quanto i numeri possano dire. C’è, così, chi introduce l’inedita categoria politica di “s’ischiffu” per la scelta del Psd’az che, essendo il sardismo “un fantasma”, poco dovrebbe angustiarlo. C’è chi vuol fare un viaggio fino ad Arcore per riprendersi una bandiera, quella del Psd’az donata a Berlusconi, che non è sua, rischiando la brutta figura della appropriazione indebita.
E c’è chi, fresca di militanza nel Psd’az, pensa che la storia cominci con la sua adesione e si inventa una storia che non c’è stata. Il Partito sardo “sempre” di sinistra afferma, senza neppure avere una pallida idea di che cosa dicesse la sinistra del Psd’az alleato della Dc. La quale Dc, per propria comodità e a babbo morto, è oggi detta non di destra; si legga, chi oggi lo afferma, che cosa della Dc diceva, per dire, “Il lavoratore”.
Povero Psd’az, etichettato di destra, di sinistra, di centro a seconda delle sue alleanze e la contiguità o la lontananza dal Pci prima e dagli eredi di quel partito poi. In realtà – e questa non è una dichiarazione di voto né un’apologia della sua politica, semplicemente una oggettiva constatazione – il Partito sardo ha fatto la scelta che un partito nazionale sardo è obbligato a fare: rompere con la sindrome di Stoccolma che lo ha inchiodato dal 1989 alla pregiudiziale scelta di schieramento e attuare una politica di alleanze secondo l’adesione di altri al proprio programma.
In Catalogna, presa a modello da quanti pure contestano la scelta del Psd’az, è quello che storicamente fanno i partiti nazionalisti. Così, ad esempio, Erc, Sinistra repubblicana catalana, partito non solo indipendentista ma repubblicano in una Monarchia, non prova “ischiffu” ad allearsi con il Partito socialista cui va benissimo la Monarchia.
Ma, ripeto, siamo in campagna elettorale e Machiavelli impera. Quando la sbronza sarà finita e la capacità di intelligere riaffiorerà, in molti si accorgeranno che il Parlamento sardo sarà diverso, più sardista di quello che ci siamo lasciati alle spalle. Chiunque vinca.
La sardità si manifesta nel modo di vestire, nella musica sarda che fa da sottofondo ad alcuni spot elettorali di parti politiche fra loro avversarie e soprattutto nella rivendicazione che tutti (o quasi) fanno dell’essere sardi. Per il sardismo la questione è diversa: qui si parla di coscienza.
Paradossalmente intacca anche chi sente il bisogno di dichiararsi antisardista (“Addio ai fantasmi. Critica del sardismo” è il titolo della conferenza di un leader indipendentista). Contrariamente a molti cari amici, non solo non mi angustia il fatto che il Partito sardo si sia diviso fra i due schieramenti che hanno le maggiori possibilità di governare la Sardegna, ma anzi mi pare un normale fare chiarezza intorno alle diverse sensibilità. Che non sono quelle che ruotano intorno ad obsolete categorie di “destra” e di “sinistra”, quanto piuttosto a visioni “democratiche” o “liberali”. (I due aggettivi sono virgolettati perché nessuno degli schieramenti si definirebbe antidemocratico o antiliberale).
L’importante – è solo un mio punto di vista, chiaro – è che, quale che sia lo schieramento che vinca, porterà al suo interno poco o molto di sardismo; non una polivalente sardità di cui nessuno è disposto ad ammettere di poter fare a meno, ma proprio il sardismo.
Durante la campagna elettorale, fatta per guadagnare consensi spesso senza badare alla verità delle cose, si sta sentendo di tutto, relativamente alla “questione sardista” che evidentemente è sentita più centrale di quanto i numeri possano dire. C’è, così, chi introduce l’inedita categoria politica di “s’ischiffu” per la scelta del Psd’az che, essendo il sardismo “un fantasma”, poco dovrebbe angustiarlo. C’è chi vuol fare un viaggio fino ad Arcore per riprendersi una bandiera, quella del Psd’az donata a Berlusconi, che non è sua, rischiando la brutta figura della appropriazione indebita.
E c’è chi, fresca di militanza nel Psd’az, pensa che la storia cominci con la sua adesione e si inventa una storia che non c’è stata. Il Partito sardo “sempre” di sinistra afferma, senza neppure avere una pallida idea di che cosa dicesse la sinistra del Psd’az alleato della Dc. La quale Dc, per propria comodità e a babbo morto, è oggi detta non di destra; si legga, chi oggi lo afferma, che cosa della Dc diceva, per dire, “Il lavoratore”.
Povero Psd’az, etichettato di destra, di sinistra, di centro a seconda delle sue alleanze e la contiguità o la lontananza dal Pci prima e dagli eredi di quel partito poi. In realtà – e questa non è una dichiarazione di voto né un’apologia della sua politica, semplicemente una oggettiva constatazione – il Partito sardo ha fatto la scelta che un partito nazionale sardo è obbligato a fare: rompere con la sindrome di Stoccolma che lo ha inchiodato dal 1989 alla pregiudiziale scelta di schieramento e attuare una politica di alleanze secondo l’adesione di altri al proprio programma.
In Catalogna, presa a modello da quanti pure contestano la scelta del Psd’az, è quello che storicamente fanno i partiti nazionalisti. Così, ad esempio, Erc, Sinistra repubblicana catalana, partito non solo indipendentista ma repubblicano in una Monarchia, non prova “ischiffu” ad allearsi con il Partito socialista cui va benissimo la Monarchia.
Ma, ripeto, siamo in campagna elettorale e Machiavelli impera. Quando la sbronza sarà finita e la capacità di intelligere riaffiorerà, in molti si accorgeranno che il Parlamento sardo sarà diverso, più sardista di quello che ci siamo lasciati alle spalle. Chiunque vinca.
domenica 1 febbraio 2009
Una Browning pro se defèndere dae sa limba sarda
No est coladu de badas in custa terra s'autore de unu drama tedescu, disconnotu a su prus de sa gente, si no esseret pro un'allega abarrada in s'amentu: "Cando intendo narende cultura, nche catzo sa segura a sa Browning mea". In dies de oe, pro unos giornalistas sardos, su ditzu diat dèvere èssere canteddu mudadu: "Cando intendo narende limba sarda...".
Càpitat chi in Facebook, dae carchi mese tropas mannas e minores de sardos si sunt postas a iscrivere in sardu e de limba sarda. Carchi una de custas tropas, pro chie a Facebook no lu abitat, e si nde podat sabire:
Deu fueddu in sardu fintzas cun sa genti disconnota e cun issa! (149 iscritos)
Il Sardo come lingua e non come dialetto (129 iscritos)
Amparamus sa literadura sarda (190 iscritos)
I speak Sardinian, Kistionu su sardu (624 iscritos)
Semus totu bandidos barbaritzinos (78 iscritos)
Minchia si dice Nùoro e non Nuòro cazz!!! (1745 iscritos)
Dominiu puntuSRD / .srd (179 iscritos)
Su mare de Aristanis no est fenitzu (96 iscritos)
Open source in Sardu (85 iscritos)
Il sardo nel T9 dei cellulari (1424 iscritos)
Limbasarda (194 iscritos)
Vogliamo una versione di Facebook in sardo (750 iscritos)
Sceglieremo un partito che promuova la lingua sarda (463 iscritos)
Dignità alla lingua sarda, vergogna ai folcloristi (293 iscritos)
In prus de custas tropas, un'àteru muntone chi deo no abito ca nemos mi nd'at fatu ischire. Est de cada sorte unu fenòmenu de importu mannu. Polìticu e sotziale. Mizas e mizas de pessones ant imparadu a impreare su web pro fàghere un'operatzione de crèschida de sa limba sarda chi finas a como fiat a poderiu de sa polìtica (chi totora ziraiat sa cara), de sos giornales chi faghiant che a su pessonazu de su drama tedescu, de sa sienda culturale chi no nde cheriat s'intesa. De sa chistione de sa limba sarda, in fines, pariat si nde fiant interessende petzi unu grustu minore de intelletuales. Su chi est capitende in Facebook (e in sos blogs, in sos zassos internet) est cosa nova.
E ite càpitat tando. Chi s'Unione sarda de oe, pro nàrrere, li dèdicat a sos sardos in Facebook un'artìculu e de custu fatu novu (de importu pro unu giornalista chi, ischende fòghere s'arte sua, de sas novidades si devet abizare) mancu faveddat. Isperamus chi siat petzi ca non si nde sapidu, finas si so timende chi apa tentu sa reatzione chi fia narende. Chi cando intendet narende limba sarda, non tenende ne Browning ne àtera revoltella in manos, impreet un'àtera arma possente: su mudore e sa tzensura.
Pro si defèndere: siat puru chi aforitendesi sa limba, una die finas sos giornalistas che a isse devant imparare su sardu.
Càpitat chi in Facebook, dae carchi mese tropas mannas e minores de sardos si sunt postas a iscrivere in sardu e de limba sarda. Carchi una de custas tropas, pro chie a Facebook no lu abitat, e si nde podat sabire:
Deu fueddu in sardu fintzas cun sa genti disconnota e cun issa! (149 iscritos)
Il Sardo come lingua e non come dialetto (129 iscritos)
Amparamus sa literadura sarda (190 iscritos)
I speak Sardinian, Kistionu su sardu (624 iscritos)
Semus totu bandidos barbaritzinos (78 iscritos)
Minchia si dice Nùoro e non Nuòro cazz!!! (1745 iscritos)
Dominiu puntuSRD / .srd (179 iscritos)
Su mare de Aristanis no est fenitzu (96 iscritos)
Open source in Sardu (85 iscritos)
Il sardo nel T9 dei cellulari (1424 iscritos)
Limbasarda (194 iscritos)
Vogliamo una versione di Facebook in sardo (750 iscritos)
Sceglieremo un partito che promuova la lingua sarda (463 iscritos)
Dignità alla lingua sarda, vergogna ai folcloristi (293 iscritos)
In prus de custas tropas, un'àteru muntone chi deo no abito ca nemos mi nd'at fatu ischire. Est de cada sorte unu fenòmenu de importu mannu. Polìticu e sotziale. Mizas e mizas de pessones ant imparadu a impreare su web pro fàghere un'operatzione de crèschida de sa limba sarda chi finas a como fiat a poderiu de sa polìtica (chi totora ziraiat sa cara), de sos giornales chi faghiant che a su pessonazu de su drama tedescu, de sa sienda culturale chi no nde cheriat s'intesa. De sa chistione de sa limba sarda, in fines, pariat si nde fiant interessende petzi unu grustu minore de intelletuales. Su chi est capitende in Facebook (e in sos blogs, in sos zassos internet) est cosa nova.
E ite càpitat tando. Chi s'Unione sarda de oe, pro nàrrere, li dèdicat a sos sardos in Facebook un'artìculu e de custu fatu novu (de importu pro unu giornalista chi, ischende fòghere s'arte sua, de sas novidades si devet abizare) mancu faveddat. Isperamus chi siat petzi ca non si nde sapidu, finas si so timende chi apa tentu sa reatzione chi fia narende. Chi cando intendet narende limba sarda, non tenende ne Browning ne àtera revoltella in manos, impreet un'àtera arma possente: su mudore e sa tzensura.
Pro si defèndere: siat puru chi aforitendesi sa limba, una die finas sos giornalistas che a isse devant imparare su sardu.