martedì 27 settembre 2011

Sugli “Archeologi pugilatori”

di Massimo Pittau

Rispondo innanzi tutto a due miei amici che, dopo il mio intervento precedente, mi hanno telefonato.

1) Uno mi ha detto che il «paramano» della spada si chiama «elsa» e non «guaina». Ha ragione, io ero distratto.

2) Il secondo mi chiesto che cosa io pensi del bronzetto di Dorgali, che raffigura un individuo che si mette sul capo un oggetto pieghevole e che per primo è stato definito «Pugilatore», che si starebbe difendendo dai colpi dell’avversario ponendosi sul capo lo scudo. Io comincio col far notare che uno scudo di guerriero è sempre qualcosa di rigido, mentre non è mai flessibile e debole come un panno. In secondo luogo premetto che tutti, dico tutti i bronzetti nuragici hanno un esclusivo valore religioso, dato che non erano altro che ex voto che i fedeli donavano a una divinità o per chiedere una grazia o per ringraziarla per averla già concessa. Secondo me il bronzetto di Dorgali raffigua un fedele che, accostandosi alla divinità, si mette sul capo un panno in segno di deferenza alla divinità stessa. Esattamente come facevano i sacerdoti etruschi, latini e anche di popoli orientali quando effettuavano un sacrificio o entravano in un tempio. Anche nell’ambito del Cristianesimo, fino a un cinquantennio fa, le donne che entravano in una chiesa si mettevano in testa almeno una pezzuola.

3) Evidentemente gli “archeologi pugilatori” nostrani (cominciamo a chiamarli in codesto modo) non hanno mai visto, neppure in televisione, un incontro di pugilato. Se l’avessero visto, avrebbero notato che, quando un pugile si trova in difficoltà di fronte all’avversario, si copre con entrambi i guantoni il viso e il collo – che sono i suoi punti deboli -, mentre nessuno mai si copre il capo con uno o due guantoni per ripararsi da pugni che nessun pugile ha mai dato picchiando dall’alto in basso sulla sommità del capo dell’avversario.

4) L’architetto Franco Laner, facendo semplicemente il suo mestiere, ha dimostrato che le statue di pietra o marmo possono resistere al peso soltanto a patto che questo cada in senso perfettamente perpendicolare; tanto è vero che tutti i Giganti di Monte Prama hanno le due gambe perfettamente perpendicolari e parallele. E invece il Laboratorio di restauro di Sassari dove sono ancora le statue, ha esposto due grandi disegni di due guerrieri che hanno le gambe divaricate, ossia né parallele né perpendicolari, tanto che sembra che facciano la pipì e temano di sporcarsi i calzari. Inoltre la ricostruzione effettuata di qualche statua non solamente falsifica l’esatta direzione delle linee dei frammenti, ma va pure contro le leggi della statica, rispetto a supposti scudi che, se fossero stati veramente tali, sarebbero crollati per il loro grande peso.

Infine i guerrieri dei due disegni hanno un elmo fornito di due lunghissime corna, che sembrano zanne di elefante. Ma come sarebbe stato possibile questo con la friabile pietra arenaria di cui sono fatte tutte le statue?

5) Fanco Laner ha fatto un accenno benevolo alla mia solita “ironia”, ma non è stato esatto in questo; la mia non è “ironia”, bensì è “mortificazione”, grande mortificazione di fronte alle balordaggini che migliaia di alunni delle scuole sarde e centinaia di turisti forestieri odono tutte le volte che entrano in un museo o visitano un sito archeologico della Sardegna, con l’illustrazione delle guide imbeccate dagli archeologi ufficiali: la balordaggine dei “guerrieri pugilatori”, la balordaggine dei pugilatori che si difendono con lo scudo flessibile, la balordaggine delle prese di luce e d’aria dei nuraghi spacciate per “feritoie” attraverso cui i Nuragici avrebbero “sparato le loro frecce e i loro proiettili”, la balordaggine della “garitta della sentinella” che avrebbe atteso, all’ingresso del nuraghe, che vi entrassero i nemici per ucciderli uno dopo l’altro.
E lo ripeto: ma i Nuragici erano degli “imbecilli” oppure ....?

lunedì 26 settembre 2011

L’isola dei demòni

di Mikkelj Tzoroddu


Sollecitato dalla fantasia dell’egregio Pilloni, mi sono dovuto documentare sul mondo delle isole. Ne ho identificato una, davvero interessante e piena di sorprese, diversa da quella, così copiosamente fornita di particolari, descritta da Francu. O forse è la stessa? Forse cambia soltanto il punto d’osservazione? Di questa isola (circondata da tante altre) voglio intanto descrivere la nascita. Nel momento in cui essa emise il primo vagito esistevano di già tante isole, ben formate in tutta la loro possanza ed essenza, da moltissimi secoli e quindi fornite di meccanismi ben collaudati, quali il senso dello stato, il rispetto delle leggi da parte di tutti, un innato senso civico, il rispetto del prossimo. La sfortuna della nostra isola, che fu poi chiamata l’isola dei biscotti (duri come pietre), fu di non esser nata isola e di non poterlo mai diventare. Però, essa aveva prinzeugen, il nobile cavaliere, che andò a combattere in difesa di una isola vera (adagiata sulle sponde di un bellissimo fiume blu) dall’assalto di altri isolani, davvero mostruosi e pressoché imbattibili nel corpo a corpo, avendo il dono di possedere otto mani: infatti in poco più di mille anni avevano conquistato un’isola grande quanto la metà del mondo. Ora, accadde che nella circostanza, questi ottomani venissero sconfitti proprio dal grandissimo soldato della nascente isola dei biscotti. Allora, riconoscente, la isola vera (insieme alle altre che governavano il mondo) concesse all’isola del soldato (governata dal cugino), di possedere la più grande isola del mediterraneo, la quale dopo un passato fra i più fulgidi che si ricordi a memoria d’uomo paleolitico, era caduta in depressione. Ma, il vero regalo per l’isola dei biscotti (i quali di li a poco avrebbero preso il nome di savoiardi) era costituito dal fatto che la più grande isola del mediterraneo portava in dote un titolo che l’isola dei biscotti non si sarebbe mai nemmeno sognata di possedere. Esso, era titolo esclusivo delle più grandi isole: il regno. Fu così che l’isola del nulla, pardon, dei biscotti, divenne regno con il nome di isola più grande del mediterraneo. Ora, si sa che nella storia e nella vita le scorciatoie portano disastri, infatti, questi regali non erano sufficienti a rendere l’isola dei biscotti un’isola all’altezza delle altre. Mancava tutta l’esperienza plurisecolare maturata in tutte le discipline umanistiche e scientifiche, di già sostanzioso bagaglio delle vere isole. Per questo motivo si verificò ciò che vediamo accadere nelle aule universitarie, ove una persona senza meriti venga posta ad elargire l’insegnamento che non è in grado di riversare: il meschino è continua vittima dei lazzi di discenti e colleghi e persino dei sagaci lettori che si avventurino nella lettura del contenuto ameno di loro libri. Anche la nostra isola dal titolo posticcio, fu vittima dei soprusi delle isole vere e ciò accade ancora oggi a distanza di tre secoli. Nel frattempo, la nuova isola “regno” si evolse, ebbe i suoi movimenti e, ad un certo punto vi prese il sopravvento una congrega conosciuta come i falsi e cortesi. 

domenica 25 settembre 2011

Emporio fenicio di Tharros: still missing

di Stella del Mattino e della Sera
Continuano senza successo le ricerche dell’ emporio fenicio di Tharros. Nonostante gli encomiabili sforzi degli scavatori, di oggi di ieri e di sempre, l’ ostinato mercatino non salta fuori. Difficile valutare spinose questioni: c’ era concorrenza o sinergia con quello di sant’ Imbenia del lunedì? O era forse consorziato con quello di Nurdole? Gli scienziati non si pronunciano. Il coinvolgimento dei centri summenzionati pare innegabile, ne fa testo il ritrovamento in entrambi di due scarabei egizi, come ci racconta Raimondo “Momo” Zucca, in una intervista esclusiva:  “Questo emporio fenicio di Tharros dovrebbe essere responsabile della diffusione nel «cantone» nuragico del Campidano di San Marco de Sinis del prestigioso scaraboide della tomba XXV di Monte Prama, uno dei pochi aegyptiaká attestati in centri indigeni sardi, assieme agli scarabei egizi  dell’empórion di Sant’Imbenia e del santuario nuragico di Nurdole-Orani”.  Io: “Ma quale emporio fenicio di Tharros, se ancora non lo avete localizzato?” . Zucca:” Appare plausibile che lo scalo portuale tharrense si debba individuare nel bacino occidentale della laguna di Mistras, delimitato dalla lingua sabbiosa di Sa Mistraredda.  Se tale situazione di scalo rimontasse, come è possibile, già all’Età del Bronzo Recente-Finale e alla Prima Età del Ferro, apparirebbe possibile ricercare l’empórion fenicio in ambito indigeno a monte del bacino occidentale di Mistras.” Io: “Ma non le pare azzardato sostenere che lo scarabeo di Monti Pramma, di recente ridatato al XII-XI secolo, sia stato diffuso da un emporio di cui non conoscete l’ esistenza? E non le pare strano che sia stato trovato uno scarabeo egizio nel santuario nuragico di Nurdole?”. Zucca “No”.
Nel frattempo si intensifica l’ azione del GCS&A (gruppo Cialtroni Sardi & Affini), contro il renaming del golfo di Oristano in “Golfo dei Fenici”. Essi si dicono in particolar modo esterrefatti dalla cartina del “ popolamento del Sinis nella seconda metà del II millennio a.C. (carta a sinistra) e nei
primi secoli del I millennio a.C. (carta a destra) “ di recente pubblicata in Tharros Felix IV. Il GCS&A ha inviato una lettera di protesta al sindaco di Tharros richiedendo, su solide basi cartografiche, il renaming dell’ area in “Bimare dei Nuraghi”. Come finirà?

venerdì 23 settembre 2011

Il rame e la rigenerazione della vita


di Giorgio Valdes

L’introduzione della lavorazione del rame in Sardegna si fa risalire al 2800/2700 a.C. circa e pertanto in corrispondenza della fine del neolitico recente e della cultura di Ozieri.
I Pelasgi chiamavano il rame pacur o bacur, parole che non presentano alcuna affinità con il termine sardo ràmini o con quelli in uso tempo fa, come:  ràmine, arramini, ramu (dal vocabolario del canonico Giovanni Spano), ma che possono invece ricollegarsi alla parola tardo latina cuprum (precedentemente chiamato aes), che rimanda all’isola di Cipro, uno dei più importanti luoghi di estrazione, talché i romani usavano chiamare il metallo proveniente da quell’isola come aes cyprium o aes cuprum.
E’ opinione diffusa, specie tra i cultori del classicismo ad ogni costo, che la parola rame origini dal latino parlato aramen, a sua volta derivato dalla citata parola aes.
Ma a parte la radice aes, da dove è saltato fuori il suffisso ramen?
Non solo, ma è credibile che i sardi, i quali conoscevano questo metallo e la sua lavorazione quanto meno dagli inizi del terzo millennio a.C., non gli avessero assegnato alcun nome, aspettando che fossero i latini ad attribuirglielo, più di 2000 anni più tardi ?
Si tratta ovviamente di una tesi poco credibile e quindi, per prospettare un’ipotesi più realistica sull’origine del vocabolo, occorre fare una piccola digressione, osservando che nello stesso periodo della  presunta comparsa in Sardegna di questo metallo, in Egitto terminava il periodo predinastico ed iniziava quello dell’Antico Regno  (III dinastia).

giovedì 22 settembre 2011

SENZA TITOLO

di Francu Pilloni

Lo scritto esce senza titolo, perché il padrone del blog è attualmente “distratto” per così dire da altre incombenze. Gli avrei suggerito due titoli, “Un perdente di successo” e “L’isola dei cani”, per lasciargli la responsabilità di decidere. F.P.

Per iniziare a capirci, occorre tener presente che i suoni che escono di bocca come parole possono avere significato diverso a diverse latitudini e longitudini, così come hors in Italia non fa pensare certo al cavallo, così “isola”, nel nostro caso, è ciascuna popolazione che si è data liberamente delle regole, indipendentemente dal fatto che i confini del suo territorio siano bagnati o asciutti, mentre “penisola” è un’isola anch’essa che, come nave in porto, è indiscutibilmente ancorata e assicurata ben strettamente con “altro”, in modo tale che ne vengono pregiudicati i movimenti.
Mi pare significativo il parallelo dell’Italia con l’Europa.
Allo stesso modo è “cane” ogni individuo con più o meno zampe che si ritrova un guinzaglio al collo con terminale in mani altrui, talché ogni volta che altri muove la mano il “cane” muove la testa per dire sì ovvero no, secondo bisogno.
Quando un “cane” simula di aver perso il guinzaglio, dice di se stesso di essere un “responsabile”.
In conseguenza di queste precisazioni, non è detto che nell’isola dei cani vivano solamente dei quadrupedi latranti, ma vi prosperano anche bipedi che guaiscono e nutrono tribù di pulci che, anche nell’isola, sono parassiti saltellanti, identici in tutto e per tutto al conosciuto.
Quanto al “perdente di successo” niente da spiegare se non il fatto che il perdente sono io, Maggiore Polli dei Servizi Segreti Deviati, colui che ha giocato a essere contro una prima volta, l’ha confermato con fatuità una seconda, s’è ostinato per una terza, rovinando in tal modo la statistica di gradimento del Premier che si è fermata al 99, 999 per cento. Sono diventato così il ricercato n. 1, oggetto di ludibrio e di sarcasmo, comunque l’incompreso che non si è arreso e che, per forza di cose, è diventato celebre quando il Capo del Governo dell’Isola confezionò un Decreto Legge ad personam, esiliandomi per incompatibilità ambientale.

Origine del toponimo Bonarcado

di Massimo Pittau

Bonarcado (Bonárcado) (villaggio del Montiferro in provincia di Oristano). L’abitante Bonarcadesu.-

Se non conoscessimo le forme che questo toponimo ha avuto in epoca medioevale, sarebbe impossibile a chiunque prospettarne una etimologia esatta. Ebbene, queste forme sono Bonarcanto, Bonarchanto, Bonarkanto, Bonarckanto del Condaghe di Santa Maria di Bonarcado(ad es. num. 172), le quali riportano con sicurezza al greco bizantino Panáchrantos «Tutta pura, Purissima, Immacolata», attributo della Vergine Maria, la quale è venerata in un piccolo santuario del villaggio, che risale all'epoca bizantina (LCSB 34).
Per il vero questo vocabolo greco-bizantino, non più compreso dai Sardi, è stato da loro sottoposto a una paretimologia ed interpretato come Monarcatu«Monarcato» (perfino il citato condaghe è intitolato in questo modo) e Bon'accattu «buon accatto o ritrovamento» (DICS I 117), quest'ultima denominazione riferita alla leggenda del rinvenimento del simulacro della Vergine fra i cespugli che circondano il santuario.-
Ovviamente il villaggio è citato numerosissime volte nel condaghe che prende nome dal santuario, anche come Bonarcatu, Vonarcatu, Bonarcadu, ecc. E numerose volte è pure ricordato nel Codex Dilomaticus Sardiniae (CDS)e nel Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna (CDSS). Ancora parecchie volte è citato fra le parrocchie della diocesi di Arborea che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS). Ed ovviamente è citato nella Chorographia Sardiniae (194.13) di G. F. Fara (anni 1580-1589) come oppidum Bonarcadi.**

**Estratto dall'opera di M. Pittau, "I Toponimi della Sardegna (2)" - I Macrotoponimi, Sassari 2011, Edit. EDES (pagg. 785-786).

martedì 20 settembre 2011

Pugilatori con lo scudo in testa!

di Franco Laner


Massimo Pittau ed io pensiamo che i Giganti di Monte Prama siano telamoni.
Il professore ha sviluppato l sua tesi in una pubblicazione “Il Sardus Pater e i guerrieri di Monte Prama”, Edes ed., Sassari, 2008. La mia è un capitolo di “Sa ‘ena”, ed. Condaghes, Cagliari, 2011, che presenterò a Cagliari fra due settimane, il 30 settembre.
Lui arriva alla sua idea con ragionamento storico e ricerca sulle fonti, ma anche con intuizione. La mia, che prende spunto dalla sua, è sostenuta da semplici ragioni di gravità, o se vogliamo da considerazioni che appartengono alla mia disciplina.
Figura 1: Perseo con testa di Medusa di 
Antonio Canova. Mi scuso col mio conterraneo 
di indurre a guardare l’arte con l’occhio 
dell’ingegnere.
Una statua di pietra deve fare i conti con la resistenza del materiale. La pietra resiste ottimamente a compressione, ma a trazione è poco affidabile e vulnerabile e perciò la composizione della figura ha dei vincoli fisici che debbono essere rispettati, proprio perché la gravità non fa sconti! Ed alcune delle sue parti si possono rompere. Una statua è una “struttura” ed il suo artefice deve possedere forti nozioni di statica!
Ovvio, se il materiale è bronzo, problemi non ce ne sono, vedi i Bronzi di Riace. E la Statua della Libertà di New York? Sta su, specie il braccio con la fiaccola, perché Eiffel, sì proprio Gustave Eiffel, quello della Torre parigina o delle Chiuse di Panama o dei leggiadri ponti sul Garabit, ha progettato e calcolato l’ossatura di ferro della statua.
Bene, i Guerrieri hanno lo scudo e i frammenti ritrovati indicano che il gomito ha contatto con lo scudo. Bisogna allora escludere che un braccio possa sostenere lo scudo. Lo scudo è spesso più di 5cm, quindi pesante, impossibile da reggere!
Quale l’espediente dello scultore?
Mi sia permessa ora una breve digressione che ho elaborato bloccato come per magia osservando la statua di Perseo con la testa della Medusa scolpito dal Canova (1). Il braccio che solleva la testa piena di serpenti è teso, la testa deve essere esibita!

lunedì 19 settembre 2011

Mastino chiede tempo

di Roberto Bolognesi

Attilio Mastino, Rettore Magnifico dell’Università di Sassari, finalmente, ammette che la sua università non è in grado di tenere tutti i corsi di formazione degli insegnanti, usando il sardo come lingua veicolare: http://www.francopiga.it/francopiga/index.php/uri-ss-arvada-2011/533-uri-2011-attilio-mastino-2.html

“Manca la competenza del sardo” dei docenti, ammette onestamente Mastino e chiede comprensione e tempo per preparare docenti e materiale.

È un passo avanti, bisogna ammetterlo, in quella che lo stesso Mastino ha definito una “guerra”. Guerra contro chi? Contro il piano triennale per la lingua e la cultura sarda, è chiaro.

Insomma, l’ateneo turritano sembra avviato sulla strada del riconoscimento del fatto che le leggi—perfino quelle regionali—vanno rispettate perfino da loro.

Un bel passo avanti rispetto a quella pretesa di prendersi i quattrini dei contribuenti sardi per farsi gli affari loro, che ancora all’inizio dell’estate costituiva lo sfacciato leitmotiv dei nostri eroi.

Rimane un punto da chiarire.
Il piano triennale che i Sassaresi vogliono venga emendato per venire loro incontro, è quello 2008-2010. Cioè, I Sassaresi hanno avuto ben tre anni di tempo per prepararsi, ma non  l’hanno fatto.

Che fare?

Visto che, oltretutto, Mastino rivendica orgogliosamente la legittimità dei corsi di “Botanica vegetale della Sardegna” e di “Filosofia amorale degli atenei della Sardegna”, direi che sia davvero ora di insegnare a questi signori quello che perfino Berlusconi è costretto a imparare in questi giorni.

Le leggi e le regole vanno rispettati.

Et alors: “Les jeux sont faits. Rien ne va plus!”

domenica 18 settembre 2011

Cantos fimus in Sardinna sende mannos

di Mikkelj Tzoroddu

Sulla popolazione della Sardegna
Pensiamo che ben pochi conoscano il metodo privo di qualsiasi base storica e demografica adottato per ottenere il numero degli abitanti dell’isola, per l’epoca romana. Proprio in questa luce, disapproviamo con asprezza il contenuto di tutti i testi storici moderni che riportano risibili dati come 150.000 e 300.000, perché frutto di una scopiazzatura che solo un pigro scolaro ha il coraggio di riportare.
Infatti, tutto risale a Carlo Giulio Beloch, che 120 anni addietro nella sua Bevolkerung suppone per la Sardegna allo scadere dell’ultimo millennio a.C., 250-300.000 abitanti.
Ma altri autori, prima dello studioso prussiano, stilarono una loro ipotesi sulla consistenza abitativa della nostra isola per lo stesso periodo. Il primo che ricordiamo fu F. Gemelli che calcolò con 50 pagine di varie argomentazioni, tra cui quella relativa alla produzione del grano, in 1,8 milioni, gli abitanti dell’isola.
Tale dato fu accettato anche dal Manno e suffragato in essa da pertinenti argomentazioni. Successivamente P. Castiglioni prendendo, prima del Beloch, come riferimento di calcolo, gli 80.000 di Tiberio Gracco, ma avendo considerato quella cifra doversi riferire solo a due delle cinque popolazioni dell’isola, sfruttando parametri moltiplicatori diversi, ricavava una popolazione di 3 milioni di abitanti.
Anche E. Pais dedicò alcune pagine all’argomento, ma non azzardò calcoli e dedusse il dato di cui stiamo discorrendo, rifacendosi ad indicazioni di Diodoro e Seneca, sulle quali ritiene di approssimare la popolazione della Corsica a 100.000 anime (falsando il risultato aritmetico, perché il dato ch’egli ricava è pari a sessantamila) deducendo che, poiché ai suoi tempi esiste un rapporto di 1/3 fra gli abitanti di Corsica e Sardegna, nell’età romana la seconda dovesse assommare una popolazione di 300.000 persone. Tale metodica approssimativa, del sardo-piemontese, si spiega in questi termini: egli non apprezzò il lavoro del Beloch infatti, nei riguardi della Bevolkerung dichiara: «peccato che in quest’opera le congetture, talora eccessive, predominino sui dati positivi e sicuri», ma nello stesso tempo, ritenne prudente condividere il dato del Prussiano. Pertanto egli condusse una diversa riflessione ma, abbiamo visto, anch’egli per il tramite di “congetture, talora eccessive”. P. Meloni, rilascia due dati, il primo, che prende dal prussiano, indica essere «grosso modo 300.000 abitanti», per il secondo va in ricalco del procedimento del Pais, pur mantenendo la coerenza aritmetica venuta meno al suo modello ed infatti ha un risultato pari a 150.000. A. Mastino, esprime a sua volta un dato che reputa: «al di sotto dei 300.000 abitanti», con chiara indicazione del dato belochiano.


sabato 17 settembre 2011

Il 25 a Oristano la riunione dei leader indipendentisti che per anni si sono divisi senza produrre riforme. Ce la faranno?

di Adriano Bomboi  (www.sanatzione.eu)

Il 25 settembre si riuniranno ad Oristano i movimenti indipendentisti che hanno aderito al progetto di convergenza nazionale proposto il 27 aprile scorso a Thiesi da A Manca pro s’Indipendentzia.

Si tratta di Sardigna Natzione, IRS, PAR.I.S., ProgReS e naturalmente AMPI.

Si tratta di un momento importante che ci auguriamo porti proficui risultati. Ma, nonostante le importanti battaglie portate avanti nel corso degli anni da questi leader, dobbiamo constatare i seguenti limiti:
1) Chi parla di unità sono in diversi casi gli stessi dirigenti indipendentisti responsabili delle divisioni politiche e delle tensioni sorte all’interno dell’autonomismo e dell’indipendentismo Sardo nell’ultimo decennio.
2) Chi parla di pluralismo sono gli stessi dirigenti di movimenti che portano avanti, divisi, programmi politici pressoché identici. 3) Chi parla di unità sono gli stessi dirigenti indipendentisti non votati dal Popolo Sardo e non eletti in alcun consesso sociale, e pertanto politicamente spogliati del diritto di parlare in vece dell’isola nel momento in cui evitano il confronto con terze personalità e forze politiche operanti in Sardegna a tutela degli interessi della collettività. 4) Di conseguenza chi parla di unità sono gli stessi dirigenti politici che hanno volontariamente eluso dal dibattito tutte le principali forze sardiste, tra cui il Partito Sardo d’Azione (promoter della mozione indipendentista in Consiglio regionale che ha riavviato il dibattito sulle riforme), Rossomori e Fortza Paris. 5) Chi parla di unità sono gli stessi dirigenti indipendentisti che eludono dal dibattito un potenziamento delle forze sindacali a tutela della Sardegna, tra cui la Confederazione Sindacale Sarda. 6) Chi parla di unità sono gli stessi dirigenti indipendentisti che non hanno mai proposto una bozza di riforma istituzionale della Sardegna. 7) Chi parla di unità non è stato investito da alcuna benedizione divina nel poter parlare a nome dell’indipendentismo sardo, in quanto questi ormai estesosi ben oltre gli angusti spazi di movimenti che hanno lavorato poco ed insufficientemente per riformare se stessi prima che le istituzioni dell’isola.
Il rischio di autoreferenzialità da parte di tali sigle è manifestatamente elevato, ci si augura che il 25 venga quantomeno siglato un accordo di base affinché prendano forma nuove ipotesi di collaborazione nel quadro delle principali vertenze dell’isola. Un nulla di fatto non farebbe che confermare la necessità di superare classi dirigenti autoproclamatesi detentrici di battaglie che da sole non possono portare avanti.
Grazie.

Nuraghi dimenticati e leggende che offendono la storia

di Giorgio Valdes

Leggo alla pagina 2 della Nuova Sardegna di ieri, 30 Agosto, dell’occasione mancata di inserire i nuraghi tra i patrimoni Unesco dell’Umanità.
Vengono poi rappresentati come offensivi della storia, sia la proposta di legge Nurat avanzata dai Riformatori, sia alcuni spot promozionali (www.gtnstudios.com ), pluripremiati nei concorsi nazionali riservati ai professionisti della pubblicità, ma con il difetto di non piacere a Michela Murgia.
Ho partecipato ai lavori preparatori di quelli che vengono indicati come mega-spot (voglio pensare che il mega si riferisca alla loro qualità, perché il loro costo non ha assolutamente niente di mega) ed ho anche collaborato alla stesura del ddl Nurat, di cui si parla molto, ma difficilmente se ne comprendono i fini e le opportunità che potrebbero derivare da una sua conversione in legge.
In merito al primo articolo, il fatto stesso che si proponga la sostituzione del patrimonio nuragico con quello proveniente dal periodo fenicio punico, è la palese dimostrazione del tiepido interesse che mostra il mondo accademico locale nei confronti dell’epoca più rilevante della nostra civiltà, quando l’isola svolgeva un ruolo egemone nel Mediterraneo (lo afferma anche il professor Ugas), al contrario dei periodi successivi che ci hanno visto dominati, o bene andando colonizzati.
Al contrario, la scarsa passione nei confronti della colonizzazione fenicio punica e della dominazione romana, trova la sua più evidente espressione nell’inesistente interesse che Cagliari ha sempre dimostrato verso la necropoli di Tuvixeddu, perennemente esorcizzata come luogo di degrado e di perdizione (sino a quando qualcuno ha deciso che il mondo intero non poteva farne a meno) e dell’anfiteatro romano, già discarica a cielo aperto ed oggi in predicato di ritornare tale.
Ben diverso sarebbe proporre l’intero nostro patrimonio megalitico, vera icona identitaria della Sardegna, come patrimonio dell’umanità, ma occorrerebbe essere estremamente determinati e convinti, cosa di cui dubito fortemente ed il contenuto del vostro articolo me lo conferma.
Per quanto riguarda la “donna svolazzante” che appare in uno dei due filmati richiamati nell’articolo, essa vuole certamente simboleggiare la dea madre, ma se qualcuno volesse riconoscersi un elfo è ovviamente liberissimo di farlo, senza che ciò sposti di una riga il giudizio espresso dalla giuria del più importante concorso italiano riservato ai professionisti della pubblicità, che ha assegnato al filmato dieci premi, tra cui quello per il miglior spot istituzionale italiano, soprattutto per la sua intrinseca capacità di suscitare emozioni.

sabato 10 settembre 2011

Una lumaca ci svela le rotte della navigazione neolitica

di Atropa Belladonna

Figura 1: siti di distribuzione e campionamento per Tudorella sulcata
La filogeografia è una disciplina relativamente nuova: associando la distribuzione geografica di determinati individui alla genealogia di alcuni geni selezionati da essi, si propone di studiare i possibili processi storici che hanno condotto, nel corso dei millenni, a tale particolare distribuzione. La filogeografia statistica fa, dal 2002 circa, un passo in più: evitando il più possibile conclusioni ad hoc e soggettivamente plausibili, adatta i metodi della statistica demografica alla filogeografia, allo scopo di giungere a conclusioni il più possibile oggettive. Una tale scienza moderna è finita inevitabilmente su una delle più moderne riviste accademiche, PLoS One, completamente free access, il cui unico criterio per la pubblicazione è la rigorosità degli esperimenti riportati.  E ci è finita portandovi la possibile storia dell' antica navigazione da e verso "la più grande delle isole del Mediterraneo: la Sardegna. Ricercatori francesi e tedeschi, colpiti dalla anomala distribuzione di una lumachina terrestre, Tudorella sulcata, in alcune aree mediterranee (Figura 1), hanno deciso di ricostruire la storia della sua origine e dispersione. Per stare tranquilli hanno usato come marcatori sia un gene mitocondrale che uno nucleare, oltre ad informarsi meticolosamente sulle abitudini di vita di questo animaletto terrestre. Abitudini che non giustificano la loro diffusione se non per mezzo di vettori di navigazione umana. Il tutto iniziò circa 8000 anni fa, millennio più millennio meno. L' analisi statistica supporta l 'intuizione visiva immediata: il modello derivato dai dati suggerisce una espansione dalla Sardegna verso Algeria prima e Francia poi. Delle lumache, s' intende: ma quali uomini le trasportarono? posso soggiungere che siamo un pò prima dei "so-called Phoenicians"?

Jesse R, Véla E, Pfenninger M (2011) Phylogeography of a Land Snail Suggests Trans-Mediterranean Neolithic Transport. PLoS ONE 6(6): e20734.

mercoledì 7 settembre 2011

Il convegno di Domus de Maria

di Leonardo Melis





IL CONVEGNO di DOMUS de MARJ(A).. L'intero programma.
I canonici E l'eretico: MINOJA, BERNARDINI, STIGLITZ, PERRA&C.. VS LEONARDO MELIS

martedì 6 settembre 2011

A proposito del nuraghe Tzricotu

di Giorgio Valdes

Mi limito ad osservare che il nuraghe Tzricotu si inserisce in un compendio che, a parte la presenza di Monti Prama, mi aveva particolarmente incuriosito sia per il numero di nuraghi che per la loro collocazione planimetrica.
Il 17 Settembre 2010 avevo pubblicato su questo blog alcune considerazioni sulla pianificazione territoriale in epoca nuragica, conseguente ad una mia indagine effettuata su tutti i fogli IGM della Sardegna
Foglio IGM 528 IV di “S.Salvatore” 
Il foglio 528 IV di “S.Salvatore”, che comprende anche il nuraghe in questione, fornisce probabilmente uno degli esempi più evidenti di quanto da me riferito in merito agli allineamenti e consente anche di ipotizzare la posizione di altri probabili manufatti megalitici  lungo le linee di collegamento dei nuraghi (tutti allineati a gruppi non inferiori a tre) o lungo le loro prosecuzioni, considerato che i fogli IGM riportano complessivamente poco più di 3.100 nuraghi, quantità di gran lunga inferiore rispetto a quella stimata.
Alcune di queste direttrici si incrociano peraltro in punti  singolari di grande interesse, come “Punta Pirastu”, Punta “Conc’Ailloni” e “Punta Urachi”, dove è probabile che esistano altri resti nuragici non segnalati sulle carte IGM.
Racconto tutto questo perché, come si potrà notare nella porzione della citata mappa IGM che allego (mi scuso per la qualità ma è stata  fotografata in modo dilettantesco), gli allineamenti che ho indicato in rosso definiscono un compendio abbastanza circoscritto e “nuragicamente denso”, che meriterebbe un’indagine puntuale ed accurata proprio in corrispondenza delle predette direttrici e dei relativi punti di intersezione.
Indagine che probabilmente consentirebbe di portare alla luce interessanti reperti, che si aggiungerebbero ai guerrieri di Monti Prama ed alle tavolette di Ziricottu o Tziricotu. 

domenica 4 settembre 2011

Altro che pintadera, è un gomitolo!

di Franco Laner

Stamane, privatamente, un frequentatore del Blog di Pintore mi ha chiesto spiegazione di un riferimento poco chiaro che ho fatto a proposito di un abbaglio che ho preso sulla pintadera.
Ho usato un esempio personale in un mio recente intervento sulle tavolette di Tziricotu postato da Atropa Belladonna per dire come sia facile prendersi troppo sul serio, anche quando gli elementi di conoscenza appaiano inequivocabili. Ecco la questione.
Fig.1 Dal libro “Etruschi” di Antonella 
Magagnino, ed White Star, Vercelli
Nel capitolo 7 del mio recente libro “Sa ‘ena” , quello sulle pintadere, ho riportato un cratere etrusco (Figura 1) dov’ è raffigurata –così pensavo- una pintadera. La scena nuziale rientrava nella mia convinzione che le pindarere marchiassero il pane delle feste, ma soprattutto non trovavo alcuna differenza fra la pintadera quadripartita fotografata da Cannas al Louvre (Figura 2) o la Teti o l’uguale Orroli (due sole sono le pintadere uguali fin’ora trovate in Sardegna) e quella del vaso.
Quale interessante coincidenza e quale conferma alle mie supposizioni!
Fig. 2 Pintadera iraniana, 
Louvre, fotografata da Cannas
Avevo chiesto aiuto ad alcuni specialisti (un prof di Bologna ed uno di Napoli) per saperne di più, ma non ebbi risposta né sull’oggetto, né sulla sua simbologia. Ho rivisto casualmente un paio di mesi fa lo stesso simbolo su di un cratere pugliese (Figura 3) e ne ho parlato con Daniel Sotgia, altro blogger di Pintore.
Anche lui incuriosito, si è rivolto all’università di Padova e le archeologhe Baggio e Salvatori gli hanno risposto che sono gomitoli di lana. Qualcuno pensa anche che siano palle, comunque di lana o stoffa. Quest’oggetto appare frequentemente in associazione con figure di giovani donne, assieme allo specchio, a cofanetti, stole…Schneider Hermann spiega che la palla potrebbe avere il significato del passaggio dall’adolescenza alla maturità sessuale: le palle indicano i giochi che bisogna abbandonare.
Fig. 3 Cratere proveniente da una colonia pugliese 
della Magna Grecia, IV sec. a. Cr., British Museum, 
da Storica, pag. 24, maggio 2011
L’episodio di Nausicaa ed Ulisse è significativo. La principessa si era recata al mare per lavare le vesti in vista delle prossime nozze, quando incontra, appunto giocando a palla, il naufrago Ulisse.
Innamorato della mia idea, ho ripreso a cercare, non convinto che il cerchio quadripartito con chevron fosse una palla o un gomitolo! A darmi la mazzata definitiva è stato un vaso apulo del Pittore di Dario, v. particolare 4, ridisegnato da Bendinelli, 1919, in cui si vede chiaramente come l’oggetto sia una sfera, non un piano!
Fig. 4 Particolare di un vaso apulo 
della cerchia del Pittore 
di Dario (da Bendinelli,1919)




Gomitolo (es filo per uscire dal labirinto) o palla, entrambi comunque di valore simbolico, forse non hanno alcuna attinenza con la pintadera…
Certo, sono deluso, ma anche convinto che la ricerca debba contemplare l’insuccesso, specie se si lavora con umiltà e col confronto. I navigatori solitari oggi non ci sono più!