Lo scritto esce senza titolo, perché il padrone del blog è attualmente “distratto” per così dire da altre incombenze. Gli avrei suggerito due titoli, “Un perdente di successo” e “L’isola dei cani”, per lasciargli la responsabilità di decidere. F.P.
Per iniziare a capirci, occorre tener presente che i suoni che escono di bocca come parole possono avere significato diverso a diverse latitudini e longitudini, così come hors in Italia non fa pensare certo al cavallo, così “isola”, nel nostro caso, è ciascuna popolazione che si è data liberamente delle regole, indipendentemente dal fatto che i confini del suo territorio siano bagnati o asciutti, mentre “penisola” è un’isola anch’essa che, come nave in porto, è indiscutibilmente ancorata e assicurata ben strettamente con “altro”, in modo tale che ne vengono pregiudicati i movimenti.
Mi pare significativo il parallelo dell’Italia con l’Europa.
Allo stesso modo è “cane” ogni individuo con più o meno zampe che si ritrova un guinzaglio al collo con terminale in mani altrui, talché ogni volta che altri muove la mano il “cane” muove la testa per dire sì ovvero no, secondo bisogno.
Quando un “cane” simula di aver perso il guinzaglio, dice di se stesso di essere un “responsabile”.
In conseguenza di queste precisazioni, non è detto che nell’isola dei cani vivano solamente dei quadrupedi latranti, ma vi prosperano anche bipedi che guaiscono e nutrono tribù di pulci che, anche nell’isola, sono parassiti saltellanti, identici in tutto e per tutto al conosciuto.
Quanto al “perdente di successo” niente da spiegare se non il fatto che il perdente sono io, Maggiore Polli dei Servizi Segreti Deviati, colui che ha giocato a essere contro una prima volta, l’ha confermato con fatuità una seconda, s’è ostinato per una terza, rovinando in tal modo la statistica di gradimento del Premier che si è fermata al 99, 999 per cento. Sono diventato così il ricercato n. 1, oggetto di ludibrio e di sarcasmo, comunque l’incompreso che non si è arreso e che, per forza di cose, è diventato celebre quando il Capo del Governo dell’Isola confezionò un Decreto Legge ad personam, esiliandomi per incompatibilità ambientale.
Non so chi abbia parlato di corsi e ricorsi della storia, forse Macchiavelli, forse Gatto Bravo del Vico dei Miracoli, ma sta di fatto che l’Isola dei cani era serrata in una morsa che non lasciava ai suoi abitatori altra speranza se non quella di prendere la via dell’espatrio volontario. I problemi, è presto detto, erano quelli di un’economia che ristagnava, che non cresceva significativamente da lustri, insomma non si produceva la ricchezza necessaria per stare alla pari con le economie delle isole e penisole viciniori; s’aggiunga un debito pubblico colossale, uno Stato come piovra che ha ramificato i suoi tentacoli ovunque, i mille lacci e laccioli che impediscono lo sviluppo dell’impresa privata. A non dire del sindacato che aveva codificato anche il tempo necessario per andare al gabinetto dei dipendenti, o della pletora di leggi, qualcuno diceva un milione ma solo così per sentito dire, perché nell’Isola nessuno si era dato la briga di quantificarle, anche perché nessuno, neanche il Premier, sapeva contare tanto senza tema di sbagliarsi. Per questo passò la notizia di più di un milione e la gente per fortuna si accontentò, non avendo in mente quanto fosse grossa la cifra.
Non sto a dilungarmi oltre, poiché mi sembra di aver esposto una situazione apprezzabilmente nota e comprensibile ai più, che è quello che importa. I meno infatti, per definizione, in democrazia non contano, al massimo danno fastidio.
Non dico come il Premier arrivò al potere, perché l’importante è arrivarci e rimanerci, per fare le cose che vanno fatte. E Lui le fece per davvero, diagnosticando in prima persona che ciò che mancava nell’Isola non era solamente il pane o l’osso quotidiano, ma specialmente l’ottimismo: “Se noi cominciamo a spendere da domani, i consumi s’incrementeranno, la produzione avrà uno shock e scatterà in avanti e con essa il PIL, cioè la ricchezza prodotta. E quando noi avremo più ricchezza, potremo spendere e consumare ancora di più, nulla ci sarà precluso del necessario prima, del superfluo poi. Senza contare che ci sarà lavoro a sufficienza per tutti”.
Così parlò il nuovo Premier e così poi accadde realmente: la gente spese, la produzione salì, il PIL scattò in alto e tutti, nel giro di pochi anni, poterono considerarsi benestanti o comunque in procinto o in grado di diventarlo. La gente andava al lavoro così ottimista che la produttività crebbe con uno sprint da centometrista, ciò che permise di ridurre l’orario di lavoro prima, i giorni di lavoro poi.
I sindacalisti furono messi in cassa integrazione, qualcuno s’inventò un ufficio studi, molti preferirono tornare in fabbrica o in ufficio.
Il trend di crescita della produttività seguitò inarrestabile, non fu più necessaria tanta forza lavoro quotidiana, si ripartì il carico su tutta la popolazione attiva che non intendeva rassegnarsi ad andare in pensione neppure al compimento del 40° anno di lavoro effettivo. Fu per questa ragione che i sindacati, quelli residui, furono incoraggiati a inventarsi, come rimedio temporaneo all’eccesso di produttività, qualche festa nazionale, qualche ponte feriale e quanto altro potesse tenere i lavoratori lontani dai posti di lavoro. Si arrivò, infine, a stabilire per Decreto Legge che per ogni anno solare a ciascun lavoratore spettassero 50 settimane di ferie, festività comprese, e 2 di lavoro. Ci fu chi la prese abbastanza bene, specialmente nel nord dell’Isola, ma capitò che, specialmente al sud, qualcuno ne fece una malattia, non riuscendo a rassegnarsi ad un numero così considerevole di settimane di ferie. Fiorì il mercato nero delle giornate di lavoro, veniva ricompensato in danaro o in natura chiunque cedesse ad altri il diritto al lavoro. Naturalmente ha pensato giusto chi ha supposto che chi comprava le settimane di lavoro altrui non riceveva salario straordinario, ma doveva fare la mancia al caposervizio perché chiudesse un occhio nel vederlo al lavoro più del pattuito contrattuale. Non ostante questi arrangiamenti fra persone, il Governo era preoccupato perché subentrò nella popolazione una frustrazione da dolce far niente, subito rubricata come “sindrome del mangia e grattati”. Non si trovarono pillole a calmare l’ansia da lavoro finito, la Chiesa stessa venne in aiuto elevando agli onori degli altari un confratello salesiano che per dieci anni di seguito regalò per intero il suo pacchetto di settimane di lavoro annuali.
Si rividero infine i sindacati che dai loro uffici studi tirarono fuori la proposta di L.S.I, cioè i “Lavori Socialmente Inutili”, da somministrare ai malati più ansiosi sotto stretto controllo medico.
Risolto l’annoso problema del lavoro per tutti e della crescita del PIL, il Premier attese all’impervia grana rappresentata dall’eccesso di Stato, dall’eccesso di debito dello Stato, dall’eccesso di penetrazione delle grinfie dello Stato nelle questioni private della vita dei cittadini. Non ricordo se fu per l’idea felice che partorì a tal proposito che il Premier si meritò il premio Bobel, ma con Decreto legge abolì lo Stato, il suo debito, la penetrazione nel privato, comprando lo Stato a sue spese insieme al debito e organizzando in pompa magna non un funerale di stato ma il funerale dello Stato.
Quanto alla semplificazione normativa, diede incarico al ministro più puro e più duro e questi rispose in meno di un anno semplificando e abolendo oltre duecentomila leggi, decreti, circolari, ordinanze e quant’altro.
“Bene! – lo confortò il Premier – Ma ancora non basta. È come se tu da un Decalogo ne abbia tirato fuori un Ottalogo. Bisogna fare di più!”.
Fu così che l’Ottalogo divenne, per decreto, prima un Ettalogo, poi ancora un Esalogo, quindi un Pentalogo.
“Bene, - gli confidò ancora il Premier – ma non basta. Togli dalla circolazione tutto ciò che tu non capisci!”.
L’ordine era stato perentorio, repentina ed intrigante la risposta dello staff del ministro: fu emesso un decreto con un solo articolo, composto da un solo comma, breve quanto un SMS: “Né per polpa, né per osso, morderai zampa sana a cane zoppo”.
Per poco non ci scappò la rima!
Il più era fatto, il programma realizzato, il contratto col suo popolo onorato, constatò il Premier con qualche linea di soddisfazione che lo prese come una febbrile gioia.
I più pignoli pensano che un intero capitolo della convivenza sociale non era stato neppure sfiorato dall’azione riformatrice del Premier: il capitolo spinoso che si chiama Giustizia.
Invece fu il primo impiccio ad essere risolto alla radice con un ragionamento che non fa una piega. Chiese al suo ministro, proditoriamente perché nella materia nessuno aveva sofferto quanto lui medesimo, di chi fosse la colpa delle lungaggini delle sentenze. Dei tribunali, tagliò corto il ministro e, il giorno dopo, fu confezionato un Decreto in cui si cancellava ogni tribunale dell’Isola, ogni Cancelleria, ogni Pretura o Corte d’Assise o di Cassazione o comunque denominata. Per gli Affari di Giustizia egli stesso si assunse l’onere di emettere sentenze ogni sabato sera nel suo Palazzo, alla domenica in tribuna nell’intervallo delle partite.
Il Premier, su precisa richiesta del ministro delle Pari Opportunità, concesse che si potesse adire in appello a fronte di una sua sentenza, giusto per tener bassa la tensione con la Corte di Giustizia dell’Aia, che egli rinominò come Corte della Stia. Non si ebbe mai una sentenza in appello che differisse da quella di primo grado poiché, com’è logico pensare, il Premier non amava smentire se stesso.
Ancora qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che la vita nell’Isola dei cani era sì piuttosto agiata, ma priva di colore, di cultura e di mondanità. Bene, non lo faccia perché la cantonata sta proprio davanti a lui come un Gennargentu.
La prima fan del premier era stata una cagna non da poco. Si chiamava Kirita ed era stata Ministro per i Rapporti Interpersonali col precedente capo di Governo, un cane della Pampa a nome …
L’on. Kirita, che per il nome fa pensare ad ascendenze giapponesi, era isolana di nascita e non di adozione e contribuì a mitizzare la figura del capo, con cui non solo s’intratteneva nelle delizie del talamo, ma gli procurava “carne fresca” per le sue notti insonni. Fu per decreto introdotto lo ius primae fregolae e le cagnette vergini, all’alba del loro primo languore, venivano raccolte in ritiro dentro strutture appositamente create, come da noi usa per i bambini della Prima Comunione, e istruite per sostanziare le serate del Premier. Non mi dilungherò oltre, perché si potrà lasciar correre la fantasia quanto si vuole, ma non si supererà la realtà delle storie individuali.
Purtroppo, com’è scritto per le vicende degli uomini e dei cani, c’è sempre uno stop alla fine della via. Che il Premier sia trapassato è cosa certa; come non sarò io a dirlo, benché ne sia informato e in qualche modo vi abbia contribuito insieme alla ministra Kirita, perché i Servizi Segreti, anche se Deviati, come spesso accade, lanciano il sasso e nascondono la mano.
Non vorrei lasciare prima di aver detto che nell’Isola dei Cani i morti vengono dirupati e che ad aspettarli tra i flutti ci sono i loro cugini pesci, più noti come pesci-cani, i quali risultano assai democratici nel riservare identico trattamento ai cani, ai responsabili e finanche ai Premier.
(tratto da una storia del 1998, pubblicata nel 2000, scaricabile gratuitamente in pdf in sardo o in italiano cliccando a fianco nei link dei libri debadas)
Talmente attuale da non sembrar vero
RispondiEliminaSuppongo sia stata lei, a dar ragione alle date. Il mio è del 1998, certificato in tipografia nel 2000.
RispondiEliminail suo L'isola dei cani è in inglese del 2001 (Isle of Dogs), in italiano del 2002 (Mondadori).
Ma, sorpresa!, vi è un titolo del del XVII secolo, di cui non ricordo più l'autore, né ho cognizione dell'argomento. Sempre che non si riferisca alla penisola dell'East End di Londra che è chiamata appunto Islo of dogs.
Ma le differenze fra me e la Patricia, in campo letterario voglio dire, sono ben altre, essendo io al massimo un perdente di successo.
Infine, è stata una bella combinazione.
Signor Pilloni,mentre aprivo il blog,speravo che lei avesse scritto qualcosa e sono stata esaudita,ma,in questo periodo,ho un tale male dell'anima,che riesco solo a dirle grazie.Riesce a scrivere,con grande poesia,su argomenti tanto tristi e squallidi.Grazie ancora.
RispondiEliminaSignor Pilloni,se tutti i perdenti fossero come Lei,saremmo in una Italia di vincitori.Ho letto ieri che la Sardegna sta per essere invasa da costruzioni sulle nostre splendide coste,come hanno fatto i sardi a farsi imbabolare da questa specie di uomo?
RispondiEliminaSignora Grazia, onestamente non lo so come si fanno imbambolare i sardi.
RispondiEliminaAnzi, onestamente non so neppure se stiamo per cementificare le coste.
Lo sa che è difficile credere ai giornali, anche a quelli che sono contro quelli contro i quali siamo anche noi, ma per ragioni del tutto differenti.
"Lo sa che è difficile credere ai giornali, anche a quelli che sono contro quelli contro i quali siamo anche noi, ma per ragioni del tutto differenti."Signor Pilloni,non posso che darle ragione.
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