di Efisio Loi
“De Mortuis nihil
nisi bonum”! “Su babbu mannu” se n’è andato. La perdita è grossa: averne ai
nostri giorni di Sardi così. Non ripeterò qui i riconoscimenti dovuti al
Professore e alla sua opera dall’intera Sardegna. Sarà una gara a chi è più
lilliano. Per quel che può valere, sono persuaso di non dire cose sul suo conto
che egli, oggi, rifiuterebbe.
Che Lilliu ne abbia
dette di grosse, ci sono buoni motivi per crederlo. Quella che “strùmpada unu
cuadhu currendi” è “il nuraghe-fortezza”. Non torniamo, per carità,
sull’argomento, diciamo solamente che, considerare settemila (qualcuno si
spinge fino a nove-diecimila) torri nuragiche come fortezze, equivale a
dichiarare i Sardi (se si può dire) nuragici un pochino paranoici. Neanche al
culmine della guerra fredda c’erano tanti silos per missili nucleari in U.S.A e
in U.R.S.S. considerati assieme.
Il paragone non
sembri azzardato, “mutatis mutandis”, una società che si muniva di tante
fortezze doveva vivere sul filo del rasoio, né più né meno che i due blocchi
contrapposti nella seconda metà del novecento. Con la differenza che Stati
Uniti e Unione Sovietica vivevano nell’equilibrio del terrore senza mettere
mano alla “pistola” in uno scontro diretto, mentre i nostri del Bronzo, secondo
i “militaristi”, se le davano di santa ragione, un giorno sì e l’altro pure,
altrimenti giustificare tutto quello spreco di “macchine da guerra” sarebbe
difficile.
Lilliu ha fondato
una scuola e per di più era un uomo politico anche se non più in attività; ormai
era arrivato ai cento, una bella vita, c’è da augurarla a tutti. Come tutti i
caposcuola ha tracciato una strada difficile da abbandonare per chi gli è
venuto dietro. Una strada tracciata è indubbiamente più comoda e meno
pericolosa da percorrere che non una da aprirsi da sé, come lui fece. Per stare
alla sua attività, lo Studio delle Cose Arcaiche, non si può negare che il suo
assunto di base, cosa sia il nuraghe, non abbia segnato tutto il procedere
della sua ricerca e quella dei suoi allievi.
Una terza cosa era
Lilliu: cattolico. Indubbiamente un cattolico “adulto”, ben prima di Prodi ma
di quella scuola. Nel suo lavoro e nella politica cercò sempre di scindere i
due terreni, quello della fede e quello della ragione: era un laico a tutto
tondo, cattolico adulto appunto. Che c’entri qualcosa il pensiero religioso di
Giovanni Lilliu con la scrittura dei nuragici e con la “costante resistenziale”
che infiammano questo e altri blog, il Baruminese sarebbe il primo a negarlo.
Un cattolico
“adulto” è un uomo al passo coi tempi, e i tempi di Lilliu erano quelli del
secondo dopoguerra e immediatamente successivi. La strada se l’è fatta lì,
negli anni cinquanta e sessanta nella temperie della Repubblica uscita dalla
Resistenza. Vedere la sua Sardegna, “barandilla de mares e de chelos”, come la
bella addormentata nel bosco gli faceva ribollire il sangue e “interrogandone
gli avelli” cercava di estrarne il filtro magico della Rinascita. Nelle assise
internazionali di Archeologia, la Sardegna nel Mediterraneo faceva la figura
della parente povera. La fortezza nuragica, lo splendido isolamento, lo spirito
guerriero, la sete di libertà, già adombrate precedentemente, avevano bisogno
di prendere sostanza in un disegno unitario. Il Professore fu l’uomo giusto al
momento giusto: caposcuola e politico, cercò di dare ai Sardi qualcosa in cui
credere. Ma era uomo di Scienza e la scienza si fonda su dati “positivi”, su
certezze acquisite
Perché Lilliu non
ha preso in considerazione la scrittura nuragica? Perché, dirà la sua Scuola,
il suo “piccone” o, se preferite, la sua picchetta o spazzolino, non si è mai
imbattuto in essa, correlata ad alcunché di nuragico. Ora, è risaputo che non
c’è peggior sordo di chi non vuol sentire ma, parafrasando, si può
tranquillamente aggiungere che non ci sia peggior cieco di chi non vuol vedere.
Quando il Gran Sardo, e lo possiamo dire perché era Sardo ed è stato un Grande,
incominciò il suo “discorso” sulla Sardegna antica e sugli antichi sardi,
alcune certezze sembravano assodate.
Di tavolette con i
cunei impressi ne sono stati trovati magazzini pieni in Mesopotamia e nelle
aree limitrofe; in Egitto e in tutti i maggiori musei del mondo, i geroglifici
si mostrano in tutta la loro abbondanza e magnificenza. E il lineare A, e il
lineare B, e gli alfabeti consonantici o con le vocali, in altre sponde del
Mediterraneo hanno visto la luce. La scrittura da noi l’hanno portata i Fenici.
Fieri, bellicosi, resistenti, ma illetterati si era, in quei tempi lontani.
Si è detto prima
della apparente estraneità fra il credo religioso di Giovanni Lilliu,
assolutamente privato, e la sua “costruzione” del mito fondante. Come poteva,
un “cattolico adulto” come lui, vedere dei templi in quelli che un militare
piemontese, nella sua devianza professionale, aveva definito castelli? Templi
pagani magari, ma sempre opere monumentali legate alla sacralità; e il nostro
era di Marmilla non di sagrestia. Immaginate la reazione del Professore, se le
cose fossero andate diversamente, al ritrovamento di un documento nuragico con
la scritta “JHV”? il Padre Eterno della terra di Canaan, qualche secolo prima
dell’Esodo, in terra di Sardegna?
Qualcuno si è
lamentato della sua presenza giudicata ingombrante e di ostacolo al progredire
della ricerca, una dittatura quasi, dell’Accademia, nei confronti della libertà
di studio. Non si è considerato che se di dittatura si è trattato, è stata
dittatura dei suoi epigoni. Lui è stato uno di quei “giganti” sulle cui spalle
mettiamo i nostri piedi. Dicevo prima che cercò di dare ai Sardi qualcosa in
cui credere, se non gli è riuscito, di chi la colpa?