giovedì 17 febbraio 2011

Quel nazionalismo ‘non-nazionalista’ di chi avversa Cesare Casula

di Adriano Bomboi (*)

Poveri Sardi. Che avranno fatto di così male per meritarsi un certo indipendentismo? In fondo volevano solo vivere in pace. Alcuni credettero seriamente che la rinuncia all’antica “autonomia” del Regno di Sardegna avrebbe sviluppato prosperità per la nostra terra. Alcuni cambiarono idea giudicando la faccenda un errore capitale, altri vi aderirono per interesse. Parecchi altri invece morirono sui campi di battaglia per l’Italia. Altri ancora porteranno alla nascita dell’odierno indipendentismo il quale, ammantato com’è di nazionalismo post-romantico, tende a rimuovere la nostra controversa storia per anteporre il mito del Sardo sempre sfruttato e sempre soggiogato da un autonomismo che l’ha spinto verso l’Italia.
Questo neo-nazionalismo Sardo non se ne fa una ragione: non accetta che siano esistiti ed esistano Sardi che credono all’ideale della nazione italiana (per quanto artificiosamente e forzatamente sia nata). Questa fascia di Sardi deve per forza di cose essere o “serva” o “ammaliata” da non meglio precisati spettri sardisto-autonomisti contigui alla galassia del nazionalismo italiano.
In ragione di questa ideologia, che si avrebbe addirittura la pretesa di definire “elaborazione culturale”, si è così giunti all’attacco verso il lavoro dello storico Francesco Cesare Casula, il quale ha solo avuto la “colpa” di delineare l’evoluzione dell’antico Regno di Sardegna fino, in età contemporanea, al Regno d’Italia. Metteremo anche noi i suoi libri al rogo sulla falsariga del nazionalsocialismo? E che c’azzeca (come direbbe qualcuno) il fatto che sia stata l’elite piemontese a pilotare gli eventi politici del risorgimento - piuttosto che i sardi - con la realtà oggettiva di migliaia di conterranei che hanno comunque creduto da oltre un secolo in quelle istituzioni?
Mesi fa a Bono, con riferimento alle idee di Franciscu Sedda, Alessandro Mongili ha dichiarato:

In realtà si imputa ai sardi di essere colpevoli di una situazione perfettamente normale, cioè di essere consapevoli della situazione ma non della natura della situazione (Sassatelli 2000, 15), di essere presi in una situazione data e di non essere (stati) in grado di superarla. Si imputa a Michelangelo Pira di avere detto che “dopo tutto siamo Italiani”, ma si chiudono gli occhi di fronte al fatto che dopo più di duecento anni noi non possiamo non essere anche italiani, cioè gli si imputa il fatto di avere riconosciuto che la nostra situazione è ambigua nel presente storico. In altre parole, si imputa ai sardi di essere in un presente storico ibrido e ambiguo, e di non radicarsi solamente in un’origine pura e al 100% sarda. Si tratta di una posizione indifendibile perché nega la concretezza dell’esistere a favore di una idealità dell’essere, mai attingibile, mai verificabile, mai descrivibile. Se è vero che ci sono casi estremi, che alcuni generalizzano, in cui “si decide di essere italiani con fredda ragione” (Dettori 2009) è pur sempre vero che le persone concrete devono descrivere la loro vita ricorrendo principalmente a motivazioni ammesse nei discorsi condivisi con gli altri (Sassatelli 2000, 19), cioè nelle narrazioni esistenti e circolanti nel momento in cui si vive.
E’ proprio l’ambiguità della nostra identità sarda e italiana in modi disuguali ma coesistenti, insomma è proprio la nostra diversità che non è pensabile e dicibile facilmente, proprio perché non si fonda su posizioni narrative, ma sulla concretezza della nostra storia, di tutta la nostra storia, anche di quella della dipendenza, dell’ibridizzazione con altre culture e con altre identità, e su meccaniche di dominio che hanno teso a ripulire la Sardegna dalle sue diversità, accomunandole in una costruzione identitaria con il segno meno da abbattere.”

In verità già Connor qualche decennio prima nei suoi studi sul nazionalismo segnalava quanto la visione della nazione non fosse che un sentimento, basato tuttavia in molti casi su un costrutto territoriale ben distinto (lingua, storia, ecc). Sedda insomma per poter argomentare le sue ragioni politiche è costretto paradossalmente a cercare nel mito una parte della sua architettura ideologica quando ciò, nel liberal-nazionalismo, non è assolutamente necessario.
Nel 2005, molto provocatoriamente, contro quell'indipendentismo romantico e di derivazione marxista che (da un lato) ometteva questa realtà pluri-identitaria dei Sardi e (dall'altro) si rivelava per conseguenza incapace di comunicare col suo tessuto sociale, elaborammo una idea politica definita “non-nazionalista” e progressista, ma non riconducibile ai classici canoni della destra o della sinistra. Sul modello di alcuni progetti laburisti di derivazione anglosassone: vedi.
La cosa triste non è stato sentire i medesimi principi a Cagliari il 13 febbraio ben 5 anni dopo, quanto il fatto che il processo di snazionalizzazione degli elementi endemici al nostro territorio, segnalato da vari osservatori (come i membri del Comitadu pro sa Limba Sarda), non solo non si è arrestato, ma è stato accompagnato proprio da una politica indipendentista la cui “elaborazione culturale” non aveva ponderatamente valutato gli esiti di un eccessiva idealizzazione del proprio contesto abitato. Si è così giunti al paradosso di negare non solo la realtà: ovvero l'esistenza di tutti quei Sardi che hanno creduto e credono all'Italia (attaccando chi ne ha argomentato la “genesi istituzionale” come F.C. Casula), ma si è persino arrivati a re-inventare il concetto stesso di nazionalismo Sardo che in realtà lascia ben poco sul terreno dell'idea di nazione Sarda e paventa una generica società progressista, per di più coltivata sulla base di indirizzi e canoni linguistici italiani. La sintesi è che in Sardegna oggi non abbiamo più solo una popolazione munita di una identità ibrida, ma abbiamo anche un indipendentismo ibrido, esattamente l'opposto di cui abbiamo bisogno per invertire, a seguito di un processo riformista, quel baratro sociale entro il quale si stanno incamminando gli elementi stessi di ciò che hanno contraddistinto la possibilità di parlare di nazione sarda.

(*) U.R.N. Sardinnya.

10 commenti:

  1. “[…] mi è parso naturale che una storia della Sardegna dovesse principalmente essere una storia dei Sardi, anche quando caddero in soggezione, non già dei loro dominatori, come era stato fatto in precedenza.”
    Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, U. Mursia editore, Milano, 1977, pag. 5.

    Su chi importat, a sos congruos, est cumprendere de itte semus faeddande, de cale istoria e de chie.
    Dipendet da ibue l’abbaidas e da s’idea chi tenes de s’istoria sarda.

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  2. Sul tema, segnalo: "Storia Sarda o Storia Nazionale Sarda?": http://www.sanatzione.eu/2009/12/storia-sarda-o-storia-nazionale-sarda/

    Bomboi Adriano

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  3. Ci sono indipendentisti che dicono di essere "inclusivi", ossia aperti, e che invece sono tremendamente chiusi.
    Condivido l'analisi di A.Bomboi, e quella di A.Mongili.
    Per essere inclusivi occorre riuscire coinvolgere anche quei sardi che si ritengono italiani prima che sardi e coloro, come Marcello Fois, che definiscono l'Italia come nostra "madrepatria". Idea un tantino retrò e antistorica.
    Mi sembra nata vecchia anche l'idea del ProgReS. I comunisti, nel secondo dopoguerra, parlavano di democrazia progressiva mentre assassinavano fascisti e non. Per loro in quel momento era strategico parlare di democrazia progressiva o progressista per la conquista del potere e la successiva instaurazione della loro dittatura del proletariato.
    E così che chi si ritiene migliore si autodefinisce anche progressista. Non verrà da queste idee il riscatto della nostra terra.

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  4. Anche l'ANSA oggi non si fa timori a parlare di "prosecuzione del Regno di Sardegna": http://www.ansa.it/web/notizie/canali/inviaggio/news/2011/02/18/visualizza_new.html_1585907182.html

    Bomboi Adriano

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  5. OCCHIO PERÒ!!!
    Regno di Sardegna ≠ Regno dei Sardi
    Quindi (giusta o sbagliata che sia la teoria di Casula) spero che nessuno mi parli dei Sardi fondatori d’Italia.

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  6. Scusate, pensavo si vedesse meglio, comunque il segno ≠ del precedente commento significa "diverso".

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  7. Ci sono ANCHE Sardi che hanno fatto l'Italia. Non tutti, non la maggior parte. Non nella spedizione dei mille. In seguito tanti altre migliaia di Sardi hanno creduto all'Italia. E' molto semplice. Se la storia, anzi, se la realtà spaventa sia i nazionalisti italiani che una parte dei nazionalisti Sardi (progres) penso che non siamo ancora abbastanza maturi e che non abbiamo le idee chiare in merito a quale nazione vorremmo indipendente. E la confusione suona molto strana, specie se arriva dalle parti di chi da anni si è sempre dichiarato gandhista ed inclusivo.

    Su U.R.N. Sardinnya già dal 2006 avevamo abbandonato la patacca dell'idea "Progressisti" (pur non rinnegando le innovazioni comunicative comunque introdotte e che sono servite) perché era piena di contraddizioni. Bisogna avere il coraggio di ammettere anche gli errori se si vuole crescere. Oggi purtroppo i nazionalisti arborensi usano la lingua sarda solo come appendice esotica dei loro interventi, al posto di farla divenire un elemento centrale. Il problema di questo indipendentismo è che da un lato sogna una sardità pura ed anti-autonomista al 100%, ma dall'altro ne rimuove i contenuti. Segno che non si ha ancora ordine ed evoluzione nella propria concettualità. E da Sedda questo modo di procedere non lo comprendo perché è un valente ricercatore e divulgatore di cui andare fieri. Ma la Sardegna non è la Scozia dopotutto, quì abbiamo ancora elementi endemici marcati e se ci interessa veramente il benessere collettivo che una sovranità potrebbe portarci bisogna capire che di Sardegna non possiamo tenere solo il nome ma bisogna battersi anche per i suoi tratti, come la lingua.

    Quest'indipendentismo è stato all'evidenza italianizzato e quindi non capisce che la lingua non è tanto un fattore culturale ma un problema di diritti umani che riguarda anche la componente sardofona del nostro territorio, non solo l'ambito utilitaristico o politico della specialità in se. Se i tratti di questa nazione non li tutela l'indipendentismo (Sardo?), chi ci deve pensare?

    Bomboi Adriano

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  8. E chi lo mette in dubbio?
    Intendevo di non individuarli come i suoi FONDATORI sfruttando la teoria di Casula.
    Poi, certo, tante migliaia di sardi hanno creduto e credono all'Italia (che scoperta!). Altrimenti saremmo già indipendenti.

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  9. Il discorso fatto dai non-iRS è più sottile....
    Chi ha da capire avrà capito...

    Bomboi Adriano

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  10. Sara!
    Io già ho capito.
    E ho capito che spesso sono proprio delle sottigliezze che ci fregano!

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