Ho sempre pensato, e a volte detto, di amare l'Italia, intesa come penisola, ma di non avere alcuna stima dello Stato italiano. La prima è una straordinaria raccolta di paesaggi incantevoli, di bellissimi lasciti dei popoli che l'hanno abitata, di nazioni dagli spiriti diversi, e anche di brutture, naturalmente, ma non più che in altre parti. Ma non stimo questo Stato, forse perché la sua natura di stato unitario è truffaldina, frutto di imbrogli e di aggressioni che, accaduti oggi, avrebbero suscitato forti reazioni internazionali. Anche per questo lo Stato nazione è in crisi, non solo quello italiano (il belga sta molto peggio) ma anche l'italiano.
Fatto sta, il suo declino non può essere arrestato dagli enfatici richiami all'unità nazionale che altro non è se non la pretesa della Nazione italiana, che pure esiste nel sentimento di chi sente di farne parte, di sovrapporsi alle nazioni non italiane, dalla sarda alla sudtirolese. Né credo questa decadenza potrà essere bloccata e invertita dal federalismo che timidamente si affaccia, troppo timidamente per essere efficace.
La parte nord dell'ex Regno di Sardegna, insieme all'ex Lombardo Veneto è proiettata verso la secessione, prima dolce attraverso un federalismo asimmetrico, come lo chiede la Confindustria e la Regione Lombardia, e infine istituzionale, se il primo non sarà sufficiente. L'ex Regno delle due Sicilie, conquistato manu militari dal Regno di Sardegna con appoggi interni di élites locali, è oggi spaventato dal federalismo fiscale che, per non trasformarsi in una débacle economica e sociale, ha bisogno di forti finanziamenti da parte dello Stato centrale e di nuove classi dirigenti capaci di resistere alla seduzione dell'assistenzialismo. Ma le spinte a far da sé, soprattutto nella Sicilia più ricca, sono sempre più forti e sempre più decise a fare da sé. Gli ex stati del Centro, mediamente ben amministrati da Pci e discendenti, sono probabilmente i soli ad essere indifferenti alle due voglie e/o necessità di secessione. In Sardegna c'è sta stata la settimana scorsa una specie di sondaggio sulla desiderabilità dell'indipendenza. 28 consiglieri regionali hanno detto di no, 21 hanno detto sì o forse, 29 erano assenti. Se gli indipendentisti non possono cantar vittoria, le vestali della “unità nazionale” non saranno certo in festa.
Quel che potrà sembrare un esercizio di fanta-geopolitca è solo una sintesi delle preoccupazioni che da un po' di tempo a questa parte si leggono negli articoli di commentatori e politologi. Preoccupazioni che vanno crescendo mano a mano che la politica italiana dà il peggio (o il meglio, secondo i punti di vista) di se stessa di fronte alla crisi dello Stato, confusa con la crisi di governo di cui illusoriamente si pensa che finita questa finito il declino dello Stato. La cosiddetta “unità nazionale” è nuda davanti ai comportamenti della politica. E se le apposizioni, con la loro appendice finiana, giocano alla guerriglia parlamentare e urbana, amoreggiando strumentalmente con gli studenti e i ricercatori, la maggioranza evoca lo spettro di manovre mediatiche e internazionali tese a deprimere il buon nome dello Stato italiano.
Fra queste manovre dovrebbe esserci la pubblicazione su un sito svedese di documenti compromettenti per almeno due governi, uno di centrosinistra, quello di Prodi, e l'attuale di centrodestra. Avrebbero, entrambi, fatto cose di cui è meglio non sapere. Si continua, insomma, a confondere cause ed effetti, fingendo di credere che, mandato a casa Berlusconi o confermato al governo, lo Stato italiano riconquisterà quel “sentimento nazionale” che si è perduto strada facendo. E di infingimento in infingimento, ecco ieri risuonare nella manifestazione della Cgil un grido: “Il nostro Paese non merita questa classe politica”. Già, chi sa chi la ha mandata al potere? Si è autopartorita o è “il nostro Paese” ad averla eletta?
PS – Ieri c'è stata a Cagliari la marcia pro s'indipendèntzia. Qualcuno che non ci fosse, sa per caso come è andata? Con l'arrogante consapevolezza che una cosa non raccontata non esiste, oggi i giornali non dedicano una riga alla manifestazione. Solo in Internet girano video e foto, a confermare che ormai la libertà di stampa gira quasi esclusivamente dalle parti di chi non fa giornali ma informazione.
Che non parlino della marcia i giornali nazionali non lo capisco ma è meno accettabile il silenzio dei quotidiani sardi. Può darsi che questo silenzio indichi paura,non vi sembra?Chi sono i proprietari dei giornali sardi? Sicuramente sono continentali.In questo blog si passa da momenti di grande calore,vedi i commenti precedenti,ad un grande sconforto per ciò che ho letto ora.Poveri noi sardi ma semus tostorrudos meda,meda ed andiamo avanti.
RispondiEliminaEst gai Grassiè. Si sos zornales de Sardigna, a comintzare dae s'Unione (de propriedade sarda e dirizida dae unu sardu), sichinde cun sa Nuova (inue mere e direttore sun continentales), s'ìstana a sa muda, ite podimus pretender dae sos zornales continentales? Non penso chi lu facan pro timoria; lu fachen pro indiferentzia. In pacas paraulas de tzertas novas non de lis affuttit nudda. Ista tranquilla, cando ochien a calicunu, tando za arrivan, che muscas macheddas, cun telecameras e macchinas fotograficas, pro poder narrer chi sos sardos, a sa moda de Niceforo, sunu una razza de delinquentes.
RispondiEliminaLa marcia di Sabato 27-11-2010, partita da S.Elia e dalla Fiera, è stata una passeggiata pacifica di qualche centinaia di persone che hanno nel cuore la sorte della nostra martoriata isola. Il pacifico corteo (alla fine ci hanno fatto i complimenti anche le autorità di Polizia) camminando sotto una pioggia che non ha fatto demordere alcun partecipante, ha evidenziato il fatto che i partiti indipendentisti sardi devono relazionarsi ai loro elettori imitandoli. L'unione che si è manifestata tra i vari movimenti e gruppi di persone che non si conoscevano, ha reso partecipe ciascun manifestante della grande missione di libertà ed affrancamento da un Italia che sempre più si sta manifestando per quel che è realmente, soltanto un carrozzone di intrallazzi, di cui sinceramente la Sardegna non ha bisogno.
RispondiEliminaCon l’obiettivo finale dell’indipendenza, ciascun manifestante è arrivando in piazza Matteotti, dove megafono libero ha consentito ai partecipanti di dialogare e suggerire le proprie idee. Poi scambio di indirizzi, mail e numeri di telefono, nuovi contatti tra sardi stanchi di non vedersi rappresentati dalla miriade di partitini. Noi abbiamo ascoltato il nostro cuore e spontaneamente ci siamo alzati, noi alla prima marcia per l’indipendenza c’eravamo, adesso assieme decidiamo di agire, per il bene del nostro futuro. Giuseppe Carta
Grazie signor Larentu e signor Carta dei vostri scritti,ho sempre bisogno di un pò di calore nel mio cuore e voi mi avete dato tanto conforto,gli ideali, per me,sono cibo per l'anima.Meda grassie.Anche dalla Toscana seguo le vostre lotte e vi sono vicino,perchè la mia sardità è sempre più forte e,con questo blog,ancor di più.
RispondiEliminamancari sos zornales non tenzent in contu sas peleas nostras in s'idea de torrare a sa sardidade, ca sa rinuntzia nos at battiu solu dispiagheres e malamutria, semus andande adainnanti. Sa chida passada no semus abbarraos a sa Die pro s'indipendentzia. In Sassari, ammanitzada de sa rivista Camineras, ddu est istau s'incontru po allegare de riforma de s'Istatutu sardu (de su chi apo cumprendiu, tenes arresone tue ZFPintore a non ti fidare de s'isseperu de s'assemblea costituente, nande chi si cheret azzappare sa Luna no tenimus mancu unu culilughe).
RispondiEliminaIn Porto Torres, s'est faeddau de sa chistione de su dirittu a pretendere de s'Istadu sa bonifica de sos velenos chi ant 'ettau in terra cando che fuitsa Petrolchimica, su titulu de s'incontru: "Turritani contro l'inquinamento - Bonifiche come diritto di vita".
Custu po abbarrare a su chi risultat a mimi.
Po meritu de tantos sardos
Mi spiace caro Carta, ma pur approvando chiaramente le buone intenzioni, sul metodo c'è molto da dire, e certamente da fare. Una marcia "spontanea" per l'indipendenza, con tanto di slogan a base di "day", invito su facebook, una data che dovrebbe diventare, secondo le intenzioni, "fatidica": no, non mi pare questo il modo migliore.
RispondiEliminaIl fatto che la la Polizia abbia fatto i complimenti non significa proprio niente, anzi... "una passizada, bonos bonos, mancu ca bi fian!" Dunque quasi inutile, purtroppo. Ci vuol altro.
Non sarebbe meglio d'ora in poi cercare in ogni modo di coinvolgere tutte le altre organizzazioni (politiche, sociali, culturali...) che si pongono gli stessi obiettivi? E puntare ad esempio sulla stessa "Die de sa Sardigna"? La stessa battaglia per lo Statuto (un Comitato ha redatto "sa Carta Noa") propone obiettivi simili o attinenti a quelli dell'indipendenza. Meglio forse impegnare le energie per unire le forze.
Auguri di buon lavoro.
E cando mai sos zorronales an tentu contu se sa sardidade e de sa limba? E nois semus andados a dainatis su matessi chena timorias o dudas. Pro cumprender ite cherzo narrer bos contos cust'assempru. In s'istiu de su 2006, sa die chi su romanzu in limba sarda "dona Mallena" at binchidu su primu premiu in su cuncursu "Casteddu de sa fae" de Posada, ideadu dae su buadu de su pintore mannu Mauru Deledda, sa Nuova sardegna pro "dona Mallena" at iscrittu chimbe rigas in sa pazina provinztiale e pro unu romanzu in limba italiana (galu a bessire) iscrittu dae unu "famoso romanziere sardo ", in sa pazina culturale l'an pubricadu unu capitulu intreu. Gai est Atzò. Custu modu de facher de su podere "mediaticu" in Sardigna non nos as isporadu trint'annos fachet e mai nos at a isposare ne oe nen pro su cras benidore, finas chi b'abarrat bios omines che a nois
RispondiEliminada Francesco Cesare Casula
RispondiEliminaQuando leggo articoli come questo mi si apre il cuore alla speranza. «Allora – mi dico – anche in Sardegna c’è gente che pensa; che trasforma un dato apparentemente storico in un grimaldello politico…». Non si tratta di una fisima o dell’affermazione di una curiosa teoria; si tratta della vera identità sarda, quella che insieme alla lingua, alle tradizioni, alla storia antica e moderna dice al popolo della penisola italiana che senza i nostri padri nuragici, senza le nostre miserie, le nostre zanzare, i nostri banditi, le nostre divisioni interne, ecc. ecc., loro sarebbero ancora «un volgo disperso che nome non ha». Se non è dirompente questo assunto non so cosa lo potrebbe essere… Grazie Gianfranco.
Caro signor Michele, il mio scritto intendeva descrivere il senso di unione che occorre trovare tra sardi che la pensano alla stessa maniera sull’indipendenza della Sardegna, proprio come lei sembra auspicare. L’indipendenza o libertà, la si può trovare con l’unione dei singoli, dei movimenti, dei partiti indipendentisti, è a questo che bisogna assolutamente auspicare. Bisogna iniziare una nuova fase di aggregazione politica con tutte le differenze che ogni singolo, ogni movimento, ogni partito indipendentista porta nella sua lotta, ma con l’obiettivo comune dell’indipendenza, della libertà. Tante persone diverse che si impegnano per raggiungere lo stesso obiettivo possiedono una forza dirompente, e il fatto che i partitini maggiori si siano tenuti fuori dalla festa (perché è stata una festa di protesta) la dice lunga sulle possibilità che tutt’ora abbiamo di riuscire nell’impresa, perché tale è il nome del nostro viaggio. Caro signor Michele, l’unica cosa che posso suggerire è che è meglio apprezzare gli sforzi fatti da ogni singolo indipendentista che contrastarne l’azione evidenziando i suoi plausibili errori di percorso. Ringrazio Gianfranco e il suo sito.
RispondiEliminaCaro signor Michele, il mio scritto intendeva descrivere il senso di unione che occorre trovare tra sardi che la pensano alla stessa maniera sull’indipendenza della Sardegna, proprio come lei sembra auspicare. L’indipendenza o libertà, la si può trovare con l’unione dei singoli, dei movimenti, dei partiti indipendentisti, è a questo che bisogna assolutamente auspicare. Bisogna iniziare una nuova fase di aggregazione politica con tutte le differenze che ogni singolo, ogni movimento, ogni partito indipendentista porta nella sua lotta, ma con l’obiettivo comune dell’indipendenza, della libertà. Tante persone diverse che si impegnano per raggiungere lo stesso obiettivo possiedono una forza dirompente, e il fatto che i partitini maggiori si siano tenuti fuori dalla festa (perché è stata una festa di protesta) la dice lunga sulle possibilità che tutt’ora abbiamo di riuscire nell’impresa, perché tale è il nome del nostro viaggio. Caro signor Michele, l’unica cosa che posso suggerire è che è meglio apprezzare gli sforzi fatti da ogni singolo indipendentista che contrastarne l’azione evidenziando i suoi plausibili errori di percorso. Ringrazio Gianfranco e il suo sito.
RispondiEliminaSi dice, ma pare che sia proprio vero, che il cuculo deponga le sue uova in nidi altrui, di preferenza uccellini di taglia minore come conchimorus. Ci pensa la legittima proprietaria poi a covare e a nutrire anche l'intruso il quale, essendo di stazza più grossa, finisce per buttare fuori dal nido i fratellastri e rimanere l'unico ad avere le attenzioni dei falsi genitori.
RispondiEliminaLo Stato italiano, di cui si celebreranno a mesi i 150 anni dalla nascita, può essere considerato un "cuculo"?
Non c'è chi non veda che si tratta di un paragone scherzoso, perché se si dovesse parlare non di "schiusa della cova" ma di "nascita" dello Stato Italiano da parte di un altro organismo, si dovrebbe considerare che la partoriente è morta nel giorno stesso della nascita del figlio.
La madre, il vecchio Regno di Sardegna, è stata poi espulsa dal nido della storia da suo figlio, tanto che nei libri scolastici si parla più spesso di Piemonte che di Regno sardo.
E questo è appunto un comportamento da cuculo.
Ora, dice Gianfranco con analisi lucida, si aggira sulla Penisola un cuculo che non sa dove deporre l'uovo.
Anche su conchimoru (capinera, cincia e quanti altri), nel suo piccolo, ha una sua dignità e non è detto che debba subire l'imbroglio e la prepotenza in eterno.
Questo pare sia il senso della storia patria, come mai l'ho insegnata ai miei scolari.
Del resto, cosa di cui sono convinto da tempo, nessuno è perfetto.