Sarà una commissione “paritetica” di studiosi e di prelati a cominciare il cammino che prima o poi porterà la lingua sarda nella liturgia, come in Sardegna già succede ad Alghero. Ma solo perché in questa città si parla il catalano e perché la Chiesa ha riconosciuto quella lingua. È stata l'assessora della Cultura, Lucia Baire, a sollevare, qualche giorno fa, la questione in una lettera all'arcivescovo di Cagliari, Mani, che le ha risposto a stretto giro di posta. Il tutto raccolto da Paolo Pillonca che ne ha parlato, con la sensibilità che lo contraddistingue, sulla Nuova Sardegna.
Come capita spesso, una persona, arrivata alla fine della sua esperienza (l'assessora non sarà riconfermata, si dice, nel nuovo governo sardo), si volta a rimpiangere le “rose che non colse”. Forse perché non le ha viste, forse perché hanno fatto di tutto per non fargliele vedere, sta di fatto che la signora Baire ha mancato molte occasioni, in materia di lingua sarda, per fare proprie le metaforiche rose che le venivano offerte. L'impiego della lingua sarda nella liturgia fu sollecitato nel mese di febbraio dal Comitadu pro sa limba sarda in un documento inviato alla stampa e, naturalmente, a chi aveva interesse a dire e fare. Nessun cenno – come si ama dire in burocrazia – di riscontro.
La Regione, per la prima volta nella storia dell'autonomia, ha riconosciuto il valore della lingua sarda (e delle altre usate in Sardegna) come motore di sviluppo economico. Ma quando si è chiesto anche all'Assessorato della cultura di provvedere a tagli nelle spese di quel “dicastero”, la prima cosa cui si pensò è di tagliare del 50 per cento il già scarso finanziamento regionale per la lingua. I giovani che lavorano negli uffici della lingua sarda fecero un sit in davanti al Consiglio regionale e su Comitadu pro sa limba sarda fu ricevuto dalla Commissione bilancio del Consiglio che all'unanimità bocciò il taglio, proprio nello stesso momento in cui l'assessora consegnava alla stampa un comunicato in cui i tagli venivano difesi.
Negli ultimi tempi è poi successo qualcosa nella Chiesa sarda. L'arcivescovo Mani ha licenziato un prete molto amato dai suoi parrocchiani, don Cugusi, che ha, fra le sue caratteristiche, quella di amare molto la lingua sarda e di condividere questa sua passione con un gruppo di intellettuali cattolici piuttosto influenti. Le ragioni del licenziamento, interne agli affari della Chiesa e su cui non è lecito discutere, si sono mescolate con il sospetto diffuso che monsignor Mani non ami particolarmente il sardo. Sta di fatto che, con cinque mesi di ritardo, l'assessora ha colto la rosa offertale dal Comitadu pro sa limba sarda.
Così come ultimamente si è data da fare con l'insegnamento del sardo (del gallurese, del tabarchino, del sassarese e del catalano) nelle scuole. Poca roba, 50 mila euro, ma un buon segnale di attenzione tardiva. E, in altri campi di sua competenza, ha mostrato le unghie nella questione delle statue di Monti Prama. Basteranno questi atti di resipiscenza identitaria a confermarle la fiducia del presidente della Regione, in pieno agosto impegnato a ridisegnare la sua compagine governativa? Solo lui e i suoi alleati lo sanno. Quel che, a mio molto modesto avviso (ma questa è la richiesta del Comitadu pro sa limba sarda), dovrebbe succedere è che le competenze in materia della identità siano assunte direttamente dalla Presidenza della Regione. Perché le governi, come altrove succede, a mezzo di dipartimenti retti da persone competenti e non piegabili alle misteriose vie di una burocrazia che, spesso, ha l'unica aspirazione a auto conservarsi.
60.000 euro per l'insegnamento del sardo nelle scuole....150.000 euro per il premio Rodolfo Valentino a Porto Rotondo.
RispondiEliminaNiente contro i festival cinematografici..
Ma questo "fatto" la dice lunga sulla politica sulla lingua e sul fare politica in Sardegna in generale..
Potrei fare altri mille esempi di denari buttati al vento per milioni di euro. Credo che sia venuto il momento di chiedere che una percentuale del bilancio regionale venga dedicata alla lingua sarda. Per adesso butto lì l'1%... se non si è d'accordo si proponga un'altra percentuale..
Date le risorse poi viene la loro programmazione..
E' una maniera di riempire di contenuto le affermaziooni ed è una questione bipartizan..
A proposito dell'arcivescovo Mani, della lingua sarda e di don Cugusi: cosa ci fa sa "Limba" fra due rappresentanti del clero, uno dell'alto e l'altro del basso? e, per di più, l'un contro l'altro armati?
RispondiEliminaTutti, più o meno, sappiamo che nella liturgia rinnovata dal Vaticano II°, il latino è stato sostituito nei diversi stati dalle loro lingue ufficiali.
Tutto è andato bene per un po', a parte le resistenze dei nostalgici, fino a quando non è venuto fuori in crescendo il "problema identitario". Perché l'italiano e non il tedesco (Alto Adige)? perché l'italiano e non il valdese? Perché l'italiano e non il sardo?
Per quel che ci riguarda, un Archimandrita come Monsignor Mani, potrebbe rispondere: “Perché celebrare la Messa in sardo sarebbe come celebrarla in latino, non ci capirebbe niente nessuno”. In un certo senso avrebbe ragione, perché, di Messe, non se ne celebrano solo a Orgosolo ma in tutta la Sardegna. Una veloce indagine di “mercato” dimostrerebbe che a trattare col sardo, in una sua qualsiasi variante sarebbero in pochi. Già ci vanno in pochi alle sacre funzioni, figuriamoci se si possono correre certi rischi.
Il fatto è che, come in tanti altri contesti, anche in quello religioso, il problema della lingua venga utilizzato come una clava. Don Cugusi è per il sardo in Chiesa, l’Arcivescovo è contrario, si dice.
Giustamente Gianfranco Pintore scrive di non voler entrare nel merito dei dissidi fra un presule e un suo parroco e non spetta a me in questa sede farlo. Fra l’altro non so bene quanto Monsignor Mani abbia in uggia il sardo. Ho visto però che da qualche parte ci sono contatti e progetti di collaborazione per l’introduzione della lingua sarda nella liturgia. Addirittura una commissione paritetica di studiosi e religiosi comincerà questo percorso.
La preoccupazione si fa strada ogni volta che in situazioni di contrasto di carattere “politico” (le virgolette stanno ad indicare un’ accezione più ampia del consueto del termine), la lingua possa diventare uno strumento di divisione.
Sa limba è malaticcia, lo sappiamo bene, non possiamo tollerare che la utilizzino, debilitandola ancora di più, in diatribe che con essa nulla hanno a che vedere.
La posizione di don Mario Cugusi, rispetto all'uso del sardo nella Chiesa sarda, non è certo recente.
RispondiEliminaPosso testimoniare, per quello che vale, che in una conferenza-dibattito della serie Attoppus dell'Associazione Sel & Sar, don Cugusi concluse la sua relazione con questo concetto (cito a memoria):
"Aldilà delle ragioni della salvaguardia della lingua sarda e dei problemi connessi, io sono convinto che questa lingua, più che ai sardi stessi, serva a Dio per meglio leggere nell'intimo dei nostri cuori, ogni volta che ci rivolgiamo a Lui parlando la nostra lingua".
Era il 1996. Suppongo che sia rimasto dello stesso parere e ciò non può che fargli onore.
Quanto alla Commissione mista di cui si parla, mi risulta che ce ne siono state altre, una in particolare doveva curare la variante campidanese, affidata a Monsignor Piseddu, della diocesi ogliastrina, ma che è di Senorbì.
All'ultima riunione vi partecipai anch'io: mi fu dato l'incarico di cominciare a tradurre l'Esodo. Era segretario la buonanima di Salvatore Angelo Spanu. Morì senza aver avuto il piacere e l'onore di convocare un altro incontro, anche se visse anni e non mesi da quel giorno.
Adesso si farà un'altra commissione?
Come si diceva in ambito sindacale, quando non vuoi fare o non sai come fare una cosa, sollecita una commissione di studio. Se è composita ancora meglio.
Non possiamo tuttavia essere pessimisti, perché l'Archimandrita Mani è toscano e, diversamente da noi sardi, amerà la politica del fare, come il presidente Berlusconi.
Mi viene in mente ora che Mani è in procinto di lasciare, dunque ...
Su Piscamu Mani non est deputadu a faeddhare de attos liturgicos in limba Sarda isse calchi chida faghet a leadu parte a una diatriba cun unu Preideru lamentosu d'essere istadu molestadu dae un superiore pedofilu creo chi custu si giameidi don Mario.
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