di Marco Rendeli
Gentile Dottor Pintore,
mi sono casualmente imbattuto, nel blog che lei dirige, in un articolo e relativa discussione riguardo le statue di Monte ‘e Prama, sulla loro datazione, sui collegamenti “storici” di cui potrebbero essere foriere.
Nella discussione ho potuto appurare un certo interesse a ipotesi presentate in diverse occasioni, l’ultima delle quali a Ghilarza grazie al gentilissimo invito della dott. Greca Masala, che in evidenza per mia difficoltà di rendere esplicito un percorso complesso o per altrui fraintendimento vengono riportati in maniera inesatta.
Desidererei quindi chiederle un breve spazio per alcune rettifiche che potrebbero modificare la prospettiva che emerge dalla discussione stessa. Peraltro colgo l’occasione per suggerire ai partecipanti il blog di chiedere informazioni direttamente a chi le scrive piuttosto che armare giovani studenti e studiosi per recuperare dispense o parti di esse utilizzate durante i corsi: e, d’altra parte, come lei ben sa, il mio mail address è facilmente reperibile sul sito della Facoltà della quale mi onoro di essere parte.
La prima precisazione che vorrei suggerire è quella di non aver mai voluto incentrare i miei seminari sulla datazione delle statue: ciò non perché non abbia un’idea abbastanza chiara al riguardo quanto piuttosto per una scelta di metodo: ho infatti scelto di privilegiare, e quindi di offrire a chi mi ascoltava, l’ipotesi di un percorso, ovvero di un processo di creazione di un sistema che spiegasse la natura e la realizzazione di questo straordinario complesso statuario.
L’unicità di queste opere d’arte, realizzate con raffinata maestria utilizzando un ampio ventaglio di accorgimenti tecnici è elemento che, unito alla natura del complesso – grande statuaria in pietra, riporta alla téchne di un artigiano specializzato o forse meglio a una bottega che conosceva perfettamente il suo mestiere.
Ciò comporta la comprensione di un rapporto fra committenza e bottega per rendere evidente che il punto centrale del percorso non è relativo all’origine o alla provenienza dell’artigiano quanto piuttosto alla storia che era chiamato a narrare attraverso il suo scalpello: essa ai miei occhi è una narrazione tutta sarda (o nuragica , se preferisce) ispirata e dettata da un singolo committente o più probabilmente da un gruppo aristocratico che emerge e si autorappresenta narrando l’origine mitica dei propri antenati.
Se si accetta questo punto, in cui si riflette tutta la storia dell’arte antica e meno antica, il problema dell’origine dell’artigiano può passare in second’ordine rispetto alla possibilità di definire una forma di narrazione: in altre parole mi è sembrato alla fine di un percorso di analisi descrittiva, iconografica e, per quel che è concesso, iconologica, più importante affermare l’unitarietà del complesso statuario, il fatto che in esso si possa riconoscere una narrazione di un passato mitico non diversamente da quanto vediamo rivelato in molte civiltà del Mediterraneo all’alba del primo millennio a.C.
Capirà che ogni percorso di questa natura deve essere sostanziato e corroborato da elementi di confronto e di supporto all’ipotesi che si sta esplicitando: qui dunque potremo risarcire un evidente fraintendimento che riguarda un presunto rapporto fra le statue di Monte ‘e Prama e l’arte assira, a mio avviso inesistente. Ho utilizzato infatti il confronto fra i rilievi del Palazzo di Assurbanipal e le statue per offrire un’ipotesi di modello iconografico del “pugilatore”, “cuoiaio” o similia: non ho mai pensato che esso potesse creare una relazione cronologica, di scuola o, tanto meno, culturale e sociale fra i due complessi. Di assedi e di tecniche di assedio si può parlare nei due casi con protagonisti simili ma in contesti culturali e sociali molto diversi: città, palazzi e imperi da un lato, dall’altro?
Ma torniamo alla storia dell’arte che è ben più interessante. Nello stesso seminario a cui fa riferimento M.P. Zedda assieme alla centralità del rapporto fra committente e artigiano che porta alla creazione di questo complesso così originale e unico, come avviene in molte altre parti del Mediterraneo, ho cercato di dare un volto alla bottega. Fatta salva la natura e la storia sarda della narrazione ho cercato di capire quali potessero essere i segni identificativi della mano (o meglio delle mani) che hanno lavorato a questa realizzazione. In quella sede ho proposto diversi livelli di lettura: dal generale, volumetrie, plasticità, ampie e articolate muscolature, ai particolari “calligrafici” straordinariamente eseguiti per armature, abbigliamento, peculiarità anatomiche e delle capigliature. All’interno di quest’ultimi si possono riconoscere dei “motivi firma”? La ricerca sta compiendo i primi passi, è lunga, difficile e richiede una competenza che sto costruendo: un primo passo si può compiere con una delle statue di arciere che presenta una sciarpa che pende sul bacino e si conclude con una raffinatissima frangia. Essa ricorda molto da vicino una simile su un rilievo di Marash, in Anatolia sud orientale, ascritta a una delle scuole scultoree neo siriane. In altre scuole orientali e del Mediterraneo questo particolare non si riscontra o viene trattato in maniera completamente differente (cfr. i rilievi assiri).
Partendo da questo “particolare” ho ampliato lo spettro della ricerca alle botteghe di artigiani della pietra in area siriana e ai loro complessi scultorei che arricchiscono i piccoli palazzi dei loro regni o delle loro città stato: non casualmente, penso, ho potuto costatare come la scultura neo siriana, fra la fine del X e l’VIII secolo a.C., si caratterizzi per grandi volumetrie, plasticità dei corpi fine calligrafismo dei particolari delle vesti e anatomici. Elementi questi che avvicinano la bottega che opera a Monte ‘e Prama a quelle esperienze orientali in una data che appare ben differente da quella attribuitami dal M.P. Zedda nella discussione presente nel suo blog.
Mi corre l’obbligo a questo punto chiarire anche un altro aspetto: dalla discussione su citata sembra emergere una discrasia e una profonda dicotomia fra le ipotesi anche recentemente presentate da Antonietta Boninu e quelle di chi le scrive: quasi che in filigrana possa emergere una inconciliabilità fra le due ipotesi e le due proposte. Devo alla amicizia della dott.ssa Boninu la possibilità di aver potuto vedere e rivedere le statue: con lei discuto, quando il tempo lo permette a entrambi, di questo come di molti altri temi. Entrambi per formazione e scuola siamo attenti all’esegesi dell’opera d’arte come del complesso archeologico, a una sua lettura e una sua interpretazione che susciti nuovi problemi, nuove curiosità e dubbi piuttosto che offrire risposte tanto secche quanto definitive.
Lei forse non crederà ma le ipotesi espresse dalla dott.ssa Boninu e quelle di chi le scrive non sono poi così lontane, al contrario: ciò sembra in totale dissonanza con quel che sembra emergere dalla discussione nel suo blog.
Egregio professore, approssimativi lettura e resoconto di una sua lezione hanno dato luogo a una infondata discussione e me ne scuso con lei, inconsapevole suscitatore di un dibattito intorno al nulla. Rivendico le attenuanti generiche: il dialogo con gran parte dei suoi colleghi non è facile né sempre possibile per chi ha dalla sua, spesso, solo la voglia di sapere e capire. [zfp]
@ Marco Rendelli
RispondiEliminaEgregio professore,
a proposito della fascia frangiata vorrei aggiungere il fatto che il particolare indumento é portato anche da numerosi bronzetti sardi (sia figure di sacerdoti-capi che di guerrieri di varia specializzazione). Visto che ritiene le statue di Monte Prama il frutto di "una narrazione sarda o nuragica", penso non abbia problemi a definire della medesima cultura sia i bronzetti sardi che le grandi statue.
Le antiche fonti greche riferibili all'Età del Bronzo, in particolare Omero, narrano delle cosiddette "Bende di Apollo" indossate dal sacerdote Crise e "prestate" ai guerrieri, comuni mortali, come talismano protettivo nel combattimento. Forse anche i Nuragici indossavano il particolare indumento a tale scopo?
@ Zuannefrantziscu
non esagerare col pessimismo parlando di "infondata discussione" e di "dibattito intorno al nulla".
Come minimo la discussione finora svolta dovrebbe servire a qualcuno ad interpretare le parole per quelle che sono, senza forzare la mano di chicchessia proponendo interpretazioni forzate ed arbitrarie.
Inoltre, come vedi, la discussione ha generato l'intervento del prof. Rendelli che spazza via un bel pò di fantasie.
Giuseppe Mura
Guardate che lo sappiamo anche in Svezia che si chiama Rendeli, con una l sola.
RispondiEliminaBjorn Larsen
Caro Prof. Rendeli,
RispondiEliminami scuso se ho male interpretato il pensiero da lei espresso a Ghilarza sulle statue di Monti Prama.
Io di quella piacevole relazione avevo colto alcuni punti:
1) l'artigiano che ha realizzato le staute era stato donato dai fenici ad un Aristoi nuragico;
2)il committente dell'opera, era un aristoi nuragico;
3) nelle statue di Monti Prama lei mise in luce degli elementi artistici presenti in statue assire del VII secolo;
Ora nel suo post scrive che il problema dell'artigiano può passare in second'ordine? Nella sua conferenza a Ghilarza era in prim'ordine! Per giustificare la sua tesi di un artigiano allogeno lei ha ampiamente e sapientemente spiegato che era una frequente usanza di quel tempo.
Se rilegge i miei commenti non ho mai detto che le statue sono state realizzate in Assiria, o che siano Assire, ho semplicemente detto che contengono degli elementi storico artistici che secondo lei le allaccia a quel filone culturale.
Fra le tante cose che vorrei chiederle, una ha certamente la priorità: da dove proveniva l'artigiano che secondo lei (a Ghilarza così disse) i fenici donarono all'aristoi nuragico?
Grazie e scusi nel qual caso avessi male interpretato il suo pensiero
Caro Prof Rendeli,
RispondiEliminarispetto al post precedente, mi preme aggiugere che chiedo venia se sulle date ho frainteso il suo pensiero, di quella sua bellissima conferenza, devo aver fissato l'attenzione sui paralleli stilicisti che lei fece con l'Assiria e con il fatto che l'artista fosse un artista levantino donato da dei mercanti levatini all'Aristoi nuragico.
@ bjorn larsen
RispondiEliminaGrazie. Lo sapevo anche io ma il correttore ortografico non si fa mai i fatti suoi. Mi sono già scusato con il prof Rendeli
Caro Giuseppe,
RispondiEliminati assicuro che rispetto a quanto chiarito da Rendeli, l'unica cosa che diverge, rispetto ai miei ricordi di Ghilarza (di 6 mesi fa), è la data, sul resto non mi pare di avervi dato informazioni diverse da quanto da lui ora chirito.
Ovviamente in attesa che chiarisca quale fosse secondo lui la patria dell'artigiano che i fenici donarono all'Aristoi nuragico.
Cosa che mi pare di fondamentale importanza!
PS: per evitare equivoci , chiarisco che per me non vi erano aristoi (che afforntai con Rendeli in quel di Ghilarza), ma questo è un altro discorso (cfr Archeologia del Paesaggio Nuragico) , che non attieme al tema in oggetto.
Caro prof Rendeli, cara dottoressa Boninu,
RispondiEliminacome (forse) sapete sono un sostenitore della tesi della Sandars che dice che gli shardana arrivarono in Sardegna nel XIII secolo a.C.
Un quadro storico che troverebbe migliore conferma se sui bronzetti avesse ragione la parte di studiosi che fa capo alla Lo Schiavo, cioè pensare che li è iniziati a realizzare nel Bornzo finale, va da se che per i Monti Prama vale lo stesso discorso.
Mi andrebbe benissimo dunque lo XI sec. A.C. di cui parla la Boninu, ma che ci dica finalmente perchè lei sostiene quella data!!
Cara Antonietta dopo il chiarimento del prof. Rendeli, perchè non ne fai uno anche tu?
Cara Aba,
RispondiEliminami sembra di essere stato chiaro,
a Ghilarza il prof. Rendeli disse chiaramente che l'esecutore delle statue di Monti Prama era un artigiano levantino che i fenici donarono all'Aristoi nuragico.
da Franco Laner
RispondiEliminaE' sempre difficile intervenire, per me, nei blog, perché la discussione è sempre spezzettata, necessariamente parziale, con interventi fuorvianti, con incursioni fuori tema. Necessita poi di tempo, tanto, sproporzionato ai risultati e conoscenze che pure si acquisiscono.
Il post del prof. Rendeli in sintesi non dice nulla di concreto. Cosa vuol dire che le statue narrano di un passato mitico della storia sarda all'alba del primo millennio? Parla di plasticità delle statue. Ma anche un orbo vede che sono dei baccalà impietriti di assoluta staticità.
Come fa una statua di pietra a stare in piedi se appoggia solo in due punti, i piedi? Si guardi tutta la statuaria di pietra: gli appoggi sono almeno tre, altrimenti bisogna allargare la vesta ed allargare l'appoggio. Assai diversa la statuaria di bronzo, che resiste a trazione ed ancora diversi i bronzetti che non hanno, per la loro scala, problema statico alcuno. Quegli aborti, decisamente di modesto livello scultoreo, possono solo essere dei telamoni.
Occhi aperti e bocca chiusa: bellissimo invito, attualissimo! Colonne e capitelli sono modelli di nuraghe nella ricostruzione Boninu e Rendeli che è con lei in sintonia, tranne distinguo che si possono leggere in filigrana. Suvvia, archeologi e c., diteci qualcosa di archeologia!
Sono ansioso di vedere come sarà collocato in testa ai pugilatori lo scudo, primigenia testudo nuragica. Se la datazione offerta dagli esperti ha una escursione di 5 secoli penso sia meglio che si chiuda baracca, ci si cali il cappello della vergogna, perché 500 anni è come dire non so nulla.
Franco Laner