Che la lingua sia considerata un epifenomeno della cultura dai discendenti consci o inconsci dal marxismo è cosa persino scontata. La lingua, insomma, sta alla cultura come il fischio di un treno sta a questo, o come un rumore sta ad un ingranaggio in azione. È un dato più o meno importante (secondo chi lo osserva), ma non influisce sulla cultura. Si capisce, perciò, perché nel programma elettorale di Renato Soru nel 2004 la lingua sarda fu rubricata sotto la voce Cultura e perché in quello di quest’anno si legga questa frase: “Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua storia”. Una frase in cui, come si vede, la lingua sarda è “sottintesa”, come si conviene ad un epifenomeno.
Nella prima edizione del programma, come ricorderanno i lettori di questo blog, la frase era, correttamente, questa: “Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia, la sua musica”. Che Soru abbia, come dicono suoi amici, subito questa cancellazione o che ne sia stato artefice, magari per buona pace con gli “epifenomenisti” della coalizione, solo lui lo sa e, tutto sommato, ha poca importanza. Resta il fatto che un miscuglio di vecchio positivismo e vetero-marxismo ha avuto la meglio. Naturale, data la provenienza della intellettualità che Soru ha scelto come consigliera.
Meno naturale, e anzi piuttosto incomprensibile, è che di questa riduzione della lingua sarda a ciliegina (magari saporita) sulla torta Cultura, si sia fatto corresponsabile il centro-destra che, di tutto può essere sospettato salvo che di derivare da una cultura positivista e vetero-marxista. Eppure anche nel programma elettorale del presidente Cappellacci, questo vizietto ha un suo momento di gloria. Il capitolo che comprende gli annunciati provvedimenti a favore della lingua sarda è titolato: “Valorizzazione della cultura”. Riesce difficile immaginare che nella équipe autrice del programma ci fossero infiltrati. Non resta, così, altro che supporre come la egemonia culturale della sinistra ex comunista abbia esteso le sue ali anche su territori a lei inconsueti.
Ho esaminato il programma di Cappellacci dal punto di vista della ricorrenza di alcune parole chiave che, personalmente, a me interessano più di altre e che attengono alla qualità delle profferte autonomiste. E così si scopre che la parola identità (naturalmente riferita alla Sardegna) compare 8 volte, popolo sardo 6 volte, e per due volte insiste sulla riscrittura di un nuovo Statuto speciale, vi compare anche la parola nazione riguardante la Sardegna. Questo per dire che tali quantità di parole chiave significano, quanto meno, che esse sono nel lessico comune del programma e di chi lo ha stilato.
Diventa perciò incomprensibile come, per quanto riguarda uno degli elementi fondanti della nostra identità nazionale, si siano cedute le armi ad una concezione positivista e vetero-marxista della lingua. Forse il cedimento è inconsapevole, attuato perché “così ormai si dice”. Il che non è meno sintomatico di una caduta nella rete dell’egemonia culturale di figli e nipoti del Pci.
Andreotti aveva ragione quando diceva che l'aver lasciato l'ambito culturale alla sinistra è stata una grave colpa della DC e che la cosa avrebbe prodotto le insidie più inattese...
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