Un'altra bellissima foto aerea di S'Urrachi di Franceso Cubeddu
di Alfonso Stiglitz
Caro Gianfranco
come noti, da Frau un profluvio di attacchi, illazioni e insinuazioni, senza alcun dato. Ovviamente mi guardo bene da rispondere a questi toni, ma voglio solo puntualizzare alcune cose.
Intanto quando si cita un testo lo si fa compiutamente e magari avendo cognizione di quel che si legge; la citazione completa, infatti è:
“Gli edifici turriti rinvenuti sono, a tutt’oggi, 58 per un’estensione territoriale di circa 160 Kmq. L’identificazione e la definizione spesso non è agevole e talvolta impossibile, in particolare per gli edifici siti nella piana alluvionale e nelle aree palustri. Qui infatti l’interramento, le manomissioni, i lavori agricoli e le costruzioni moderne impediscono un’analisi delle strutture: in alcuni casi (p.e. i nuraghi Pala Naxi, Franziscu Perra, Arcibiscu) la distribuzione è completa o quasi, anche se notizie locali o di letteratura ne rendono possibile l’identificazione” ecc.
Ti fornisco anche gli estremi bibliografici così tu e chiunque voglia potete controllare:
G. Tore – A. Stiglitz, L’insediamento preistorico e protostorico nel Sinis settentrionale. Ricerche e acquisizioni, in La Sardegna nel Mediterraneo tra il secondo e il primo millennio a.C., Atti del II Convegno di studi, “Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i Paesi del Mediterraneo” (Selargius-Cagliari 1986), Cagliari, Amministrazione provinciale, 1987, pp. 91-105.
Dal testo si capisce bene che la difficoltà di lettura delle strutture non deriva da alluvioni come sembra dalla lettura che ne dà Frau, ma da distruzioni provocate dall’uomo e dall’interramento provocato dai lavori agricoli e dal trasporto eolico. Per il resto, che la pianura sia alluvionale lo dicono i geologi, mica io, ma la formazione alluvionale della pianura, cosa che evidentemente sfugge, deriva dall’attività dei fiumi, e nel nostro caso specifico del Tirso, che trasportano a valle, appunto, il materiale alluvionale; non i maremoti. Basta sfogliare un qualsiasi manuale di geomorfologia. Non è casuale che il territorio di San Vero Milis e dei paesi vicini sia caratterizzato dai c.d. terrazzi alluvionali formati, appunto, dalle attività del paleoTirso; non sono altro che quelle colline nell’area di San Vero, Tramatza, Nuraxinieddu etc. facilmente visibili anche al profano, lungo le quali (o anche attraverso) si snodano le trade e sulle quali si è insediato l’uomo sin dal neolitico. Bada non lo dico io, ma i geologi.
Così come il materiale eolico del villaggio di Tharros non l’ho studiato io, misero archeologo comunale, ma degli specialisti in campo sedimentologico. Così come le analisi di s’Urachi le stanno compiendo geologi dell’Università di Cagliari, mica io.
Su Tuvixeddu, avessimo aspettato Frau per fare le battaglie di salvaguardia staremo freschi (da anni peraltro se ne sono perse le tracce). Mi occupo del colle dal 1978 (quando diressi l’intervento di scavo) e dal 1993 conduco pubbliche battaglie (con Santoni soprintendente e anche ora che non lo è più) e sempre alla luce del sole, con il mio nome e cognome e, soprattutto, come sempre faccio, senza proclami o attacchi personali ma con dovizia di dati scientifici verificati. (E se vuoi leggere le mie pubblicazioni su Tuvixeddu potrai farlo tra qualche giorno sul sito della digital library della Regione).
Infine sui centomila euro di cui alle insinuazioni di Frau, poiché continuo a preferire per costume personale la spiegazione alla querela, illudendomi di vivere in un mondo civile, ti rinvio al sito web del Comune di San Vero Milis (http://web.tiscali.it/museo.sanvero/) nel quale nel 2005 mettemmo online in tempo reale l’andamento dei lavori in attesa dell’edizione di quella campagna di scavo (che è la prima della quale ho avuto la direzione scientifica) e di quelle precedenti, che dovrebbe uscire entro il 2009.
Nel sito troverai anche i lavori che Gianni Tore, dell’Università di Cagliari direttore scientifico degli scavi (oltre che mio maestro e amico) pubblicò prima della prematura scomparsa. L’idea è quella di rendere disponibile tutta la documentazione esistente (sia direttamente che virtualmente) nell’ambito del Museo in via di completamento. Se, poi, ti può interessare né io, né Alessandro Usai, né i geologi dell’Università di Cagliari abbiamo percepito un solo euro di quei soldi, dato facilmente verificabile.
Comunque, Gianfranco, ti aspetto a s’Urachi, con chiunque voglia venire e vedere con i propri occhi.
Ti dovevo anche una risposta sulle ricerche. La frase “si trova quello che si cerca” è corretta nel senso che la ricerca scientifica non si muove alla cieca ma seguendo modelli e ipotesi, e, ovviamente, ponendo in dubbio i dati che si raccolgono.
Ma quando si scava si compie una operazione, come dire, totale; cioè si scava dall’alto verso il basso, individuando ogni strato, nella sequenza inversa di formazione (dal più recente al più antico), nelle sue tre dimensioni e attribuendogli la quarta (il tempo) cioè datando la sua formazione. Di ogni strato, nessuno escluso, si analizza la formazione se, cioè, è naturale o artificiale (prodotto dall’uomo), le modalità di formazione e si individua cosa esso rappresenta; uno strato di frequentazione, di abbandono, una buca riempita ecc. (dovrei continuare a lungo).
In nessuno scavo tra Barumini e il mare è mai stato trovato uno strato attribuibile a un maremoto. Gli strati del nuraghe, ritenuti di fango dovuto a maremoto, contengono in realtà materiali (reperti) ben databili e appartenenti a epoche decisamente più recenti. Nessuna tecnologia può trasformare uno strato moderno, ad esempio, in strato nuragico perché i materiali che fanno parte integrante di quello strato lo inchiodano a quella data. E bada che di scavi ne sono stati fatti tanti, da archeologi diversi, appartenenti a scuole diverse, di opinioni anche estremamente diverse per non dire contrapposte.
Per cui nessuno esclude niente in astratto, ma, concretamente, nessun sito di quelli citati è stato distrutto da un maremoto, non essendo stati trovati in scavi scientifici strati attribuibili a tale fenomeno, né dal punto di vista della natura dello strato né dal punto di vista cronologico (XII sec.a.C.). Barumini (e s’Urachi) dopo tale data continuano a vivere; né si può notare un “crollo” della civiltà nuragica o una emigrazione di massa. Come è noto i problemi per la Civiltà nuragica avverranno più tardi, dopo l’VIII sec. a.C. e non per fenomeni naturali.
L’utilizzo delle nuove tecnologie è sempre benvenuto e fa parte del nostro modo di operare, compatibilmente con gli scarsi o nulli fondi: non esiste un capitolo del bilancio regionale destinato a scavi archeologici e nei due ultimi bandi regionali sul restauro (per i quali avevamo chiesto i soldi per l’eliminazione della strada asfaltata che copre s’Urachi e il restauro delle due torri che stanno li sotto) praticamente nessun monumento archeologico è stato finanziato.
Ma le nuove tecnologie non possono prescindere dallo scavo manuale, dal contatto cioè con il singolo granello di terra e con il singolo reperto nella sua materialità; devono andare di pari passo.
P.S. Non mi risulta che Su Nuraxi di Barumini (238 m sul livello del mare) e Genna Maria di Villanovaforru (408 m sul livello del mare) siano nel Campidano, stando entrambi in Marmilla. Mi risulta invece che tra Barumini e il Golfo di Cagliari ci siano monti alti oltre 300 metri e tra Barumini e il golfo di Oristano il Monte Arci (812 m); da dove sia passato il maremoto è un mistero. Il povero nuraghe Tradori (56 m sul livello del mare) e il povero nuraghe Accas (21 m sul livello del mare) di Narbolia, posti tra s’Urachi e il mare sono invece belli svettanti, non coperti. Quando ci si mette la geografia.
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