di Mikkelj Tzoroddu
Pochi giorni fa ci siamo
imbattuti nel sito “Su scruxoxu”. In
particolare la nostra attenzione è caduta su quanto apparso in esso, sull’Area
Notizie, in data 21 ottobre 2011, con titolo: Area marina. Ecco gli esiti degli scavi tra Tavolara e Proratora.
Archeologia e nuove verità: i Nuragici amavano il mare.
Nella nota, a firma di C. Chisu e
presa da L’Unione Sarda, si indica
l’archeologa Paola Mancini, come autrice di «una scoperta eccezionale». E, sono
proprio le parole dell’archeologa ad esprimere il risultato del suo lavoro: «A
Tavolara abbiamo rinvenuto un insediamento stanziale di genti preistoriche, il
sito risale più o meno al 2500 a.C. […]. Inoltre, il sito di Tavolara è l’unico
(in Gallura, ndr) che presenta una
connotazione così forte, un legame così stretto con il mare: vivevano (chi?, ndr) addirittura in un’isola. Per
gli addetti al lavoro non è una sorpresa, noi siamo certi che gli isolani
navigassero già nel 6 mila a.C. Ma certo questo tipo di scoperte spero possano
contribuire a frantumare tra i cittadini la vecchia concezione dei Sardi
isolati e asserragliati al centro dell’isola».
Ora, bisogna dire che, nella
circostanza, la signora Mancini abbia disatteso una precisa analisi del sito da
ella studiato, in merito alla sua collocazione geomorfologica, nell’ambito
temporale cui Ella fa risalire la sua percezione dei Sardi quali navigatori nel
2500 a.C.
Nella circostanza, ci piace dare
il nostro contributo alla esatta conoscenza delle aree e quindi dei fatti,
connessi strettamente all’universale fenomeno dell’eustatismo. Infatti, oggi
l’Isola di Tavolara è separata dalla terraferma da pur brevi tratti di mare
della profondità di anche 10 e 15 metri, per una distanza minima di circa 2,7
km. Ma, nel 2500 a.C., essendo il livello del mare al di sotto di quello
attuale di circa 7,5 metri, si poteva arrivare all’Isola Piana (posta fra terra
ferma e Tavolara) a piedi, avendo nell’ultimo tratto, la testa ancora fuori
dall’acqua. Certo, procedendo oltre la appena citata isoletta, era assolutamente
necessario servirsi di una sorta di piccolo galleggiante, ma soltanto per 250
metri, perché poi il livello dell’acqua tornava approssimativamente ad un metro
e mezzo, fino a raggiungere gradualmente la parte emersa, dell’Isola di Tavolara,
dopo gli ultimi m. 700 circa.
Allo stato dei fatti, per come
essi risultano da un breve esame, ci pare che affermare, come pretende la archeologa
Mancini, che: «questo tipo di scoperte spero possano contribuire a frantumare
tra i cittadini la vecchia concezione dei Sardi isolati e asserragliati al
centro dell’isola» sia, nella più benevola delle definizioni, davvero
paradossale. Infatti, l’espressione dell’archeologa è il risultato tangibile
del fatto che essa (e la sua categoria che cogita, pardon, che si produce in infruttuosi
copia e incolla, all’interno del suo circolo chiuso, disdegnando un’analisi
delle discipline che procedono spedite verso una ragionevole messa in luce del
passato) sia lontana anni luce dal credere che i Sardi fossero dediti alla
navigazione nel 2500 a.C: il ricorso a questo burlesco espediente, ce ne
consegna la prova scientifica, dal momento che essa parla da scienziata.
In relazione alle distanze che
hanno davvero rappresentato tappe fondamentali nella storia della navigazione,
vorremmo ricordare come, l’Homo erectus
abbia superato prima di 840.000 anni fa, i 20-30 km dell’ancora oggi
tempestosissimo stretto fra Bali e Lombok e come prima di 60.000 anni fa,
sempre in quelle contrade, l’Homo sapiens
abbia attraversato i 400 km del Mare di Timor, andandosi a conquistare l’altra
isola che noi chiamiamo Australia.
L’archeologa, pur sapendo che i
Sardi «navigassero già nel 6 mila a.C.», si guarda bene dall’erudirci nello
specifico merito, pur rappresentando, esso davvero, il motivo eclatante che
avrebbe contribuito «a frantumare tra i cittadini la vecchia concezione dei
Sardi isolati e asserragliati al centro dell’isola». Ma, ella tace sulle
motivazioni, essendo questa, notizia valida solo per gli addetti ai lavori,
pretendendo, invece, che i cittadini si frantumino le idee per un ridicolo
salto di mare di circa 250 metri. Ma, non saremo certo noi a negare
l’evidentissima attitudine dei Sardiani (come siamo soliti chiamare gli
abitatori della Sardegna, dal Pleistocene medio inferiore fino al 238 a.C.) ad
andare pel mare, come si conviene, del resto, a tutti gli abitatori di tutte le
isole di tutto l’orbe terraqueo. Anzi, al contrario della signora Mancini, nel
2008 ne demmo una dimostrazione dalla triplice valenza. Tanto è vero che, proprio
nel nostro primo libro, ci permettiamo di affermare come, la tradizione
classica greca ed i ritrovamenti d’ossidiana nelle grotte della Liguria, unite
ad una analisi particolareggiata, della geomorfologia della Sicilia e della
Sardegna Paleolitica non molto dopo l’ultimo Massimo Glaciale, testimonino
l’antichissima maestria dei Sardiani nell’essere fra i primi padroni della
navigazione nel Mediterraneo. Almeno fin dal XV millennio da oggi. Quivi sì,
possonsi frantumare vecchie costumanze nozionistiche. Soprattutto, fra gli
addetti ai lavori.
Non avete proprio niente di niente da fare a Fiumicino, vero?
RispondiEliminaBellamente,
RispondiEliminache tu le sia debitrice importa poco. Ch’ella abbia scoperto e messo in luce il “12” importa invece moltissimo. Ma, è proprio questo tipo di contributo che, il buon senso della comunità umana e la scientifica aspettativa della comunità scientifica, si aspettano dal lavoro di uno scienziato.
Quando lo scienziato si comporta da pedissequo passacarte, senza avvedersi lontanamente come le sue determinazioni siano distanti anni luce dalla realtà, credo sia incombente dovere di chiunque, in grado di rilevare tali bestialità, metterne in campo aperto le risibili amenità. Di chicchessia!
Non operando in questo modo, ci ritroveremmo mille Mastino, mille Zucca, mille Meloni, che continuano a blaterare di supposti 150-300.000 abitanti della Sardegna intorno al 200 a.C., frutto non di una loro precisa analisi dei dati disponibili, ma di un semplice, comodo copia e incolla, operato, si badi, su una determinazione del Beloch che è antica ormai di 120 anni!
mikkelj
mah...
RispondiEliminaquesto articolo sulla scoperta di Tavolarai secondo me fa un poco il paio con quello della Fadda sui Romani conquistatori. Scoprono entrambi l'acqua calda. La Mancini usa i giornali per gridare che i sardi navigassero, anche se ormai tutti ne siam coscienti tranne una trascurabile pattuglia di Giapponesi che ancora negano di cui fa parte proprio la Fadda, la quale di recente ebbe a dire che della navigazione nuragica se ne fa un gran parlare ma non vi sarebbero ancora le prove...
Io cmq penso che la Mancini abbia fatto bene a pubblicizzare il sito di Tavolara con quella sparata... secondo me voleva solo snidare i vecchi luoghi comuni sulla paura del mare.
Ora però leggendo tzoroddu mi chiedo se alla Grotta del papa ci si potesse giungere tramite imbarcazione o meno.
la vera importanza del sito è prprio data dalla presenza nell'Isola del villaggio e della grotta sacra
“a meno che per una sorta di razzismo non si voglia portare avanti l' idea che i Sardi fossero più scemi degli altri”
RispondiEliminaDiciamo pure che buona parte dell'archeologia sarda del XX secolo è stata occupata a cercare di modellarsi su questo pregiudizio, costruendo un quadro storico che fosse conseguenza della condizione di “più scemi degli altri”, in modo che nessuno potesse vederci dentro una qualche sorta di di revanscismo, nella convinzione che fosse il prezzo da pagare per ottenere l'approvazione della comunità scientifica non sarda. Senza mai tirare in ballo quel pregiudizio esplicitamente ma sostituendolo con la sua giustificazione, quasi come se questa facesse meno male di quello, una sorta di fatalismo di fronte alla propria (presunta) inferiorità, nella maturazione della consapevolezza, dell'accettazione, però, alla quale avevano portato la serietà dell'applicazione allo studio e l'avere imparato la lezione dei “padri continentali”. Insomma il messaggio che si lanciava nell'etere era che i sardi convenivano sul fatto che erano stati certamente “più scemi degli altri” e non si sognavano certo di contraddire nessuno su questo, ma che ora avevano imparato a leggere, scrivere e studiare e potevano far parte della comunità allargata senza disturbare troppo. È la sindrome del cane bastonato? Anche Zanna Bianca, del resto, si piegò al bastone.
L'archeologia più recente, poi, non ha ancora avuto la forza intellettuale necessaria per sganciarsi dalla pesante zavorra ideologica dei “maestri”.
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RispondiEliminal'Archelogia sa benissimo che i predecessori dell'Uomo Anatomicamente Moderno "navigavano" (se proprio desideriamo usare questo termine per ciò che solo alcuni - certo non tutti - di essi facevano)già moltissimo tempo fa.
RispondiEliminaAlcuni (ma quello era già H. Sapiens Sapiens, lasci pure stare l'Erectus al suo posto, anche se la stimola di più!) ebbero la ventura di andare in Sardegna e stabilirvisi in modo continuativo fin dal Paleolitico Superiore.
Ma francamente, Zoroddu, il chiamarli Sardi si definisce almeno come "wishful thinking", nel migliore dei casi.
Nel suo caso lo definirei come "speculazione strumentale, molto di parte".
Ma se lei - e qualche suo amichetto - preferite chiamarlo "pensiero scientifico", sa come si dice: ognuno si diverte come può...
Quella del Murru mi pare una teoria difficilmente digeribile. Ed ecco il perché.
RispondiEliminaIn buona sostanza, egli sta affermando che un Giovanni Lilliu, sia dalla soprintendenza di Cagliari sia dalla cattedra universitaria dell’ateneo cagliaritano sia lung’hessa la sua lunga carriera d’operatore culturale (ma, mi chiedo,anche come politico della DC?), abbia proclamato a gran voce: “ebbene sì, cari discenti, cari lettori, cari estimatori delle mie sofferte elucubrazioni, sappiate che io sono uno scemo. Anzi, mi correggo, non sono uno scemo, ma debbo fare lo scemo, perché non posso offendere la suscettibilità né sono in grado di contraddire ciò che i miei altolocati colleghi cattedratici del continente, hanno stabilito: noi Sardi fin dall’antichissimo passato, siamo stati i più scemi fra tutti gli altri popoli, quindi non solo fra quelli del Mediterraneo. Ed io sono impossibilitato, dalla nera entità che mi comanda, adire una benché minima reinterpretazione del passato che corregga la valutazione errata dei fatti inerenti la nostra Sardegna”.
Tutto questo avrebbe fatto il Lilliu e parimenti si sarebbero comportati tutti gli archeologi, ai quali aggiungo con piacere gli storici sardi?.
E, soggiungo, questa operazione autolesionista di rotolarsi per decenni nella melma, sarebbe servita a cosa? A nulla! Ci risulta, infatti, come tutti quei personaggi sardi dell’area archeologica e storica, abbiano raggiunto l’inverecondo risultato di non essere mai citati in pubblicazioni indipendenti di respiro internazionale, e nemmeno in quelle, indipendenti, della penisola, come ci si aspetterebbe se la teoria del Murru fosse fededegna.
La verità, triste, sconcertante e priva d’esempi nel consesso civile e culturale a livello mondiale, risiede nel fatto che la mentalità prettamente provinciale dell’intellettualità sarda del secolo scorso (che ha lasciato il suo deleterio imprinting anche negli operatori attuali) permeata da una cronica pigrizia mentale, appiattita su già pronte e comode determinazioni, non è stata in grado, causa le poco incisive personalità dei più, ma soprattutto, lo dico a chiare lettere, la totale mancanza di sentito amore verso la loro antichissima Terra, di effettuare, mai, una propria personale, geniale, intraprendente, specifica ricerca in uno solo dei tanti ambiti a disposizione del loro pur esteso sapere.
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RispondiEliminaPuò darsi che l'aspetto della questione messo in luce dal Tzoroddu abbia giocato, in una certa misura, a un livello più di superficie e in un momento successivo, quasi come conseguenza di quello che ritengo essere stato un carattere che ha agito più nella profondità, forse a un livello subliminale o forse, chissà, nella piena consapevolezza, almeno in quegli spiriti intellettuali più intensi, in quelli, Lilliu su tutti, che hanno tracciato il solco e dettato la scuola.
RispondiEliminaNon allontanarsi troppo dai luoghi comuni non troppo felici sui sardi era necessario per non essere respinti indietro senza appello perché l'argomento, stavolta, era la storia stessa dei sardi, e questo pensiero in un fine politico democristiano come Lilliu, volendo osare fino a rischiare l'iperbole e i fischi sonori, potrebbe essere stato pensiero consapevole. Dunque si presentavano con dignità e, certamente nel caso di Lilliu, profonda dottrina, lirismo e stile finissimo, nient'altro che gli antichi stereotipi sui sardi: una sorta di condono del ridicolo. Era sufficiente allora. Ne il momento storico ne i personaggi avrebbero accolto altro come sobria e lucida “analisi scientifica”. L'Accademia era stata conquistata, quella più alta e prestigiosa d'Italia. Le citazioni no ma per il fatto semplice che nessuno studio su dinamiche storiche di respiro continentale avrebbe dovuto considerare, o anche soltanto riferirsi, alla storia che era stata raccontata come marginale, come tutti si aspettavano, del resto, venisse raccontata la storia di un popolo secondario.
Il resto dello scenario è ben descritto dal Tzoroddu nelle ultime sei righe del suo intervento, anche per quanto attiene l'estensione dei saperi, ma è da riferirsi a un periodo più recente.
Egregio Murru, non so chi Lei sia. Ma se dovessi tracciare, senza pensarci su, un’idea circa la stazione d’origine del Suo egregio discorrere, mi verrebbe da dire essere esso improntato a pura e semplice deresponsabilizzazione degli autori del massacro della Storia Sarda.
RispondiEliminaNello specifico, mi preme aggiungere, onde rendere giustizia alla mia fortissima incredulità circa il merito del Suo discettare: cosa è servito al Lilliu essere socio nazionale della classe di scienze morali all’Accademia dei Lincei? Le pare che “uno spirito intellettuale fra i più intensi”, non si sia sentito castrato nella stessa essenza di scienziato, nel presentare ogni suo articolo all’adunanza dei soci dell’accademia? E, castrato in modalità ancor più tremendamente fisica, perché l’operazione di privazione e quindi rinuncia a fregiarsi dell’appellativo vir, cioè maschio, uomo forte e coraggioso, eroe, era gettata ai piedi di quella comunità sghignazzante a fronte di tanta meschinità? Come avrebbe potuto uno spirito eccellente, sopportare continue umiliazioni da parte di continentali pensatori, verso i quali probabilmente nutriva anche una feroce disistima?
Non crede che tracciare una simile esegesi dello spirito che animò la carriera del Lilliu, serva a rappresentare lo studioso in modo ben più deprecabile di come il sottoscritto sia solito fare, circa due o tre circostanze dell’opera del signore di Barumini?
Infatti, io dico semplicemente che egli si esaltò, nel più profondo buio della conoscenza del passato della sua Isola, nell’immaginare risibili circostanze nelle quali i suoi antenati non erano neppure abituati ad alzare lo sguardo oltre il “misero fiumiciattolo temuto come barriera fra stato e stato”, oppure definendoli “più che esseri umani erano quasi larve che si aggiravano raminghi sulle terrazze lacustri”.
Ecco, egregio Murru, io ne fornisco una descrizione come di ricercatore dalla fantasia fuorviante (alla quale non vorrà rinunciare per tutta la vita), ma almeno ne sorte fuori una figura d’uomo con tutti i suoi attributi naturali. Da quanto invece si evince dalla Sua descrizione, ne esce fuori una femminuccia abituata ad essere soggiogata, maltrattata e continuamente umiliata.
Credo che lo stesso studioso, educatore e politico, preferisca essere ricordato come io son solito descriverlo.
Saluti cordiali, mikkelj.
Vedo come la dichiarazione di Bellamente: «a meno che per una sorta di razzismo non si voglia portare avanti l’idea che i Sardi fossero più scemi degli altri», ha fatto scattare nel Murru la messa in chiaro d’una analisi certamente partorita ab antiquo. E, sono qui ad esprimere il mio sommo rammarico che, il perfido ma autentico incipit di Bellamente e la volenterosa spallata del Murru, abbiano destato una tristemente spopolata discussione, che non fa certo onore a quei tanti che si stracciano le vesti gridando nel deserto, perché ritengonsi vittime di un universale occultamento di verità! Perché coloro tutti, non sanno o non intendono, nella circostanza, infilare la loro leppa fin dentro le putride carni di questa che rappresenta la più grande ferita inferta alla cultura sarda dal comportamento suicida degli studiosi sardi degli ultimi cento anni?
RispondiEliminaAnzi, è necessario affermare, senza tema di smentita, che “la ferita” è ancor più grande della stessa cultura! Perché, sempre, ne condiziona negativamente tutto il suo evolvere. Ferita che rappresenta il “buco nero” dell’universo Sardegna, entro cui, degli autentici incapaci soprintendentuali ed universitari, continuano a far scomparire la grandiosità degli accadimenti del nostro passato!
Con dispiacere sommo, mikkelj.
Arimio nuovo contributo
RispondiEliminaNon avevo dubbi circa la grandiosa partecipazione alla presente discussione, da parte degli spesso eclettici frequentatori di casa di Pintore. E, come poteva essere altrimenti! È questo, certo insieme a quello della Lingua Sarda, il più importante argomento da porre all’attenzione di tutti i sardopensatori, perché finalmente ciascuno esprima il proprio parere, dopo aver valutato per decenni quanto esso fosse presentato come autenticamente rispondente alle aspettative, oppure proditoriamente agghindato a fru-fru da vili menestrelli, per renderlo inseribile alla sfilata stucchevole del “più son stupido più mi si noterà”.
Infatti, le tante sincere considerazioni che vedo qui esternate, da candidi innamorati, da semplici osservatori, da sarcastici seccatori, da sopraffini esegeti, mi mettono in una sì grave difficoltà, che non mi sentirei di arrecare offesa a chicchessia nel rispondere solo a pochi, tralasciando magari chi, da parte sua, meriterebbe la mia attenzione. Ecco perché, decido di rispondere al Murru, si, ancora lui, in virtù di suo primiero approccio, acciocché io fugga simili rampogne.
Desidero con ciò rifarmi a quanto questo sagace signore ebbe a dichiarare, rendendoci edotti circa una archeologia (ma, ribadiamo con forza, non solo l’archeologia) sarda del XX secolo, sempre occupata ad assecondare l’immagine di “più scemi degli altri”, «in modo che nessuno potesse vederci dentro una qualche sorta di revanscismo».
Ecco, proprio la graficamente evidenziata considerazione, credo sia degna di piccolo approfondimento. Toltogli il politico significato, ove volessimo conferire a questo vocabolo “revanscismo” la sua più letteraria accezione, rivincita, vorremmo sapere di quale rivincita si tratti.
Si tratterebbe della rivincita contro l’antica Roma che, contrariamente ai due tre anni impiegati nel soggiogare ogni nazione, essa dovette lottare un secolo e mezzo per avere ragione di una sola parte della Sardegna? Ed anche fossimo nel giusto, cosa hanno a che fare i penisolani odierni (Piemontesi, Lombardi, Campani, Veneti, ecc.) con l’antica Roma? Si avrebbe forse paura di offendere qualcuno ove andassimo ad indagare sull’immaginifico arrivo dei Romani in Sardegna? Esso è certamente l’unico punto oscuro dell’espansione romana nel mare suum, tralasciato da tutti gli storici sia sardi sia continentali sia internazionali: non v’è la benché minima prova logica, concreta, circa la modalità d’arrivo dei Romani in Sardegna: si teme si disveli questo paradossale punto oscuro? O forse si tratterebbe di rivincita, nel caso potessero dire la verità, i nostri incalliti mentitori, perché entrando nel campo della “linguistica sarda” si arriverebbe a scoprire che i Sardi avevano accesso al "latino" ben prima che i Romani nascessero? O forse alcuno crede che la cultura continentale (l’archeologia, per dirla col Murru) abbia formazione talmente antica da costringere quella sarda a restare eternamente sotto il tavolo a cibarsi degli avanzi dei grandi? Se, alfine, fosse questa la ragione prima, di tal’insano atteggiamento, sarà il caso si ricordi che fino agli anni cinquanta (controllare la Treccani, prego!) su qualsiasi argomento dello scibile, erano presenti in bibliografia solo opere straniere, tedesche e austriache per lo più, e quasi mai compaiono trattati di autori continentali! I sardi mentitori cattedratici, desiderano passare per succubi di quella tarda congerie di pensatori continentali che fino a mezzo secolo addietro erano (per lo più) incapaci di partorire un lavoro che fosse degno d’esser presentato al mondo?
No, caro Murru! No e poi no! La ragione intima fu la pigrizia mentale!
Egreggio Tzoroddu,
RispondiEliminavolendola affiancare solo per una battuta sul terreno delle attribuzioni di genere, aderenti per lo più a una tipologia di distinzioni della quale non mi servo per la grande stima che nutro nei confronti delle donne e del loro coraggio: sono convinto di non aver evirato nessuno!
L'imputazione di consapevole grande narratore di una storia miseranda, dipanatasi tra bui anfratti, nel silenzio dei segni e, quasi, delle parole, per un ripiego necessario visti i tempi, visti i protagonisti, conferirebbe al Lilliu una dignità che ricorda quasi l'abiura di Galileo, per aver letto la sua epoca con sottile conteggio e aver raccontato ciò che poteva essere raccontato e soltanto sussurrato o, talvolta, soffocato quegli elementi che avrebbero fatto distogliere altrove lo sguardo dei suoi uditori. L'immensa opera di Lilliu è, infatti, costellata di imput brillanti, tutte ipotesi di lavoro volutamente, a parer mio, tenute sotto traccia e, purtroppo, ignorate quasi del tutto dai suoi discepoli che, questi si, avrebbero potuto abbattere gli stereotipi dall'interno. Nella mia visione la consapevolezza del compromesso è da accordarsi al solo Lilliu, naturalmente, in essa il resto dell'accademia sarda appare schiacciata dai pregiudizi di cui i sardi stessi erano e sono ancora vittime, e i cui effetti devastanti Lilliu aveva imparato a controllare. Questa non è, però, “deresponsabilizzazione degli autori del massacro della Storia Sarda”, perché, evidentemente, non salva nessuno degli epigoni dalla polvere: questi non hanno mai compreso che la scienza di Lilliu, la sua missiva, era contenuta nel suo metodo rigoroso d'indagine e non nel contenuto mortificante per il popolo sardo delle sue visioni.
Un caro saluto
PS
RispondiEliminaSolo dopo aver spedito il mio delle 11:17 ho visto il suo commento delle 11:00.
Signore Murru,
RispondiEliminaleggendoLa, mi pare di leggere il Lilliu: «grande narratore di una storia miseranda, dipanatasi tra bui anfratti, nel silenzio dei segni […] e aver raccontato ciò che poteva essere raccontato e soltanto sussurrato o, talvolta, soffocato», mi sembra tanto kafkiano, ché tale appariva il Baruminesu quando si metteva comodo ad ascoltare la fantasia: «la storia della Sardegna (e quella in specie dei suoi popoli più remoti) non giunse al di là della storia del cantone […] vedendo nel rilievo tabulare fronteggiante quasi un regno lontano e diverso». Forse che fu l’Inquisizione ad imporgli quel racconto (ma che dico racconto, quell’invenzione) misterioso, degno d’un romanzo d’appendice? Egregio Murru, io capisco che Lei fosse innamorato del Lilliu, ma saprà meglio e più di me, come l’amore possa essere un poco obiettivo consigliere. Naturalmente sono a dire che la levatura intellettuale del nostro, avrebbe meritato un impegno di più profondo spessore che la sua chiusura d’animo (credo) non gli ha permesso di percorrere, rimanendo prigioniero, e soddisfatto, nel suo proprio contorno fatto di nani abituati a citarlo sempre e comunque, anche ove l’argomento riguardasse gli Eskimesi, come sentii fare a giovine cattedratico sardo, forse cinque anni addietro.
Considerando quanto si sia evocato il Lilliu, mi preme raccontare quanto segue.
RispondiEliminaHo sempre avuto in mente, negli ultimi vent’anni, l’idea che una volta morto il Lilliu, lasciato passare un tempo sufficiente lungo, onde raggiungere uno stato di "libera" coscienza, tutti i nani vissuti e pasciuti alla sua corte, avrebbero cominciato a gareggiare, entrando nel merito dei tanti argomenti fossilizzati nei decenni dalla personalità del Baruminesu, col dire: ma io su questo non sono mai stato d’accordo; la costante resistenziale? Beh, ma quella era una sua particolare fisima; purtroppo non gli si poteva dire di no, ma ora…; certo anche la classificazione dell’età nuragica dovrà essere rivista; ecc., ecc., ecc.
Credo che l’esimio Murru sia destinato a rimanere piuttosto isolato. Vedremo a breve se sarò stato un facile profeta.
La nostra Bellamente.
RispondiEliminaLe tue domande 1 e 2 - La risposta credo d’averla fornita in altra sede, essendo essa di una semplicità disarmante: quei tali essi, non sono assolutamente in grado, per mancanza di preparazione specifica, per l’aridità del loro cuore, per mancanza dell’incentivo professionale (almeno fino ad ora, come appena detto nel mio intervento precedente) d’intraprendere quel tipo di ricerca. Infatti, andiamo a vedere chi ha potuto fare quell’immenso lavoro sulla Stele di Nora, certo non ancora terminato: un vero Sardo, fuori da ogni corte, con una volontà infinita, che lavora 20 ore al giorno e poi una Continentale che, innamoratasi dell’argomento, ha apparecchiato le sue attitudini a rivolgersi alla pura scienza, inforcando il microscopio che vede oltre il fossilismo, il perbenismo, il nepotismo, l’opportunismo. Facile, a dirsi!
Riguardo la vendita del Golfo di Oristano, intanto non c’è stata! Certo gli sconsiderati che si erano mossi, si son presi la bellezza di 840.000 euri, cioè soldi di tutti i Sardi. Io credo dovranno fare i conti prima con la loro coscienza, per questa tristissima azione che riempie di disonore la sardità (e la coscienza chiede sempre il conto, in privato, nel pieno del tormento più profondo) e certo anche con i Sardi, i quali vorranno chiedere ai bellimbusti il resoconto della spesa! E poi ricorda, la corrente dei feniciomane, va sempre più scemando, in primo luogo perché essi sono perfettamente a conoscenza che non sia mai esistito nessun fenicio in pelle ed ossa; debbo ricordarti che il Bartoloni affermò che il DNA dei sepolti a Monte Sirai era riconducibili a gente locale? E poi, man mano che si diffonde questa certezza sulla inesistenza dei fenici, i Sardi si tuffano nelle sale in cui si discetta di ciò, restando in apnea per momenti lunghissimi. Vatti a leggere cosa scrissi a proposito della presentazione del libro in quella splendida cittadina che è Serramanna, doppiamente manna, sul mio piccolo sito. Ed inoltre come già detto altrove, per tornare ai fenici: i soliti tali, cattedratici e soprintendentuali, saranno proprio essi e dichiararci che si, i fenici non sono mai esistiti. Non appena troveranno il modo di menarne "essi" gran vanto!
Certo è che la discussione è in termini di fioretto olimpico. Io credo che un confronto di questo genere, tra due mostri della conoscenza della 'psicologia' della scienza isolana non ci sia stato mai, a nessun livello. E' una prima volta 'straordinaria' e mi rendo sempre più conto delle ragioni vere delle fortune di questo Blog. Spesso più che gli articoli valgono i post a commento, perchè in questi c'è il rigore della dialettica e la passione assieme. Senza passione e sentimenti scienza zero. All'anima di coloro che predicano il contrario e hanno pronti i secchi della severità glaciale! Le argomentazioni di Pietro e Mikkelj, già profonde, andranno ancora approfondite per una questione che ritengo vitale: capire i precisi meccanismi della colonizzazione culturale in Sardegna ieri ed oggi. Se si comprende il fatto 'politico', strumentale, e non solo umano del fenomeno, lo si saprà contrastare validamente con gli strumenti che sono propri della politica. E così potrà aver spazio d'azione la vera scienza in continuo divenire. Se qualcuno dei diretti interessati è, come credo, in onda e orecchia solo un po', non credo proprio che si sentirà bene: nudo in parte o in tutto come lo hanno già reso ora questi campioni. Non c'è solo Lilliu: il 'maestro' è abbastanza facile da studiare; quello che è difficile da studiare e da capire è l'incrostazione, la ganga, e tutto quello di paralizzante o di catasrofico essa ha determinato sul piano scientifico. Credo che abbia ragione Aba nel titubare a chi dare il punto. Ma questo poco importa: importante è, dal mio punto di vista molto egoistico, capire perchè si è ancora al palo nonostante più di cento documenti urlanti, alcuni dei quali un vero e proprio patrimonio dell'umanità. E ora mi sembra di capire un po' di più. C'è la 'legge della mortificazione', ma c'è altro, tanto altro.
RispondiEliminaPrima che il continuo arrivo di nuovi contributi, cacci via questa area di discussione dalla prima pagina, relegandola nei non visibili “post più vecchi”, gradirei porre una considerazione che ci riporti a valutare il motivo primo che spinse l’archeologa a teorizzare circa il “frantumare di vecchia […] concezione dei Sardi […] asserragliati”. Nel fare ciò, mi collego ancora ad una frase del prolifico Murru: «L'archeologia più recente, poi, non ha ancora avuto la forza intellettuale necessaria per sganciarsi dalla pesante zavorra ideologica dei “maestri”».
RispondiEliminaInfatti, esimio disputatore! Ma, come potrebbe essere altrimenti! Ove ci capiti di leggere delle note o dei libri o anche articoli, ospitati in riviste di una qualche caratura scientifica nostrana (intendo continentale) di persone che abbiano conseguito il pezzo di carta universitario da pochi anni, vediamo come le loro argomentazioni ricalchino in modo vergognosamente melenso, tutte le esternazioni, anche più paradossali, dei propri “maestri”. È proprio, come Lei ben sa, una consuetudine ferrea atta ad indirizzare una carriera di studioso, la quale si dipana attraverso i suggerimenti ed i comandi dei “maestri”. Non v’è altro modo per raggiungere una qualche visibilità! Ed è infame metodo posto in essere anche all’estero! Mi occorse, un decennio addietro, la necessità di documentarmi su cosa si dicesse sull’origine del nome Sardegna. Bene trovai la documentazione di due articoli firmati da un signore italiano, con nome e cognome seguito dalla denominazione della università tedesca dalla quale esso dispensava il suo contributo. Ricordo d’avervi scarabocchiato sopra in rosso una considerazione del tipo: illeggibile per il carico di stupidaggini trite e ritrite da decenni! Questo signore, che era pervenuto a sua volta alla “docenza”, troviamo intellettualmente ancorato a dei retaggi che il sottoscritto, con tutta la sua ignoranza, si è tuttavia rifiutato di leggerne (tutta) l’esternazione!
Ergo, è il metodo d‘insegnamento, la costumanza a rilasciare la conoscenza che deve essere aggiornata. La conoscenza non è un campicello di proprietà del docente, per quanto illuminato! La conoscenza, nello stesso momento in cui viene “partorita” di bel nuovo, è di già proprietà universale, disponibile non soltanto ai propri discenti, anzi si, disponibile verso tutti i propri discenti che sono rappresentati dal mondo intero! Ed il discente che ripeta alla perfezione il sapere riversatogli dal docente, deve essere castigato! Deve tornare alla sessione successiva! Perché, deve conficcarsi nel suo scientifico modus operandi che nulla può essere ripetitivo, ché la ripetizione significa blocco delle sinapsi, significa morte intellettuale: ogni frutto del suo discutere deve necessariamente produrre il nuovo. Soltanto così potrà essere accettato dalla vera, autentica Comunità Scientifica.
E questo vale sia per la nostra archeologa che per quel disgraziato signore dell’università tedesca.