L'Italia, e con essa la Spagna e
persino l'iper unitarista Francia, si apprestano a cedere all'Europa
altre quote di sovranità. È quel che comincia a risultare
dall'incontro fra capi di stato e di governo, convocato per mettere
un riparo alla crisi che rischia di portarsi via non solo la moneta
unica ma la stessa unione europea. La questione – resa complicata
dalla Santa Alleanza degli Adoratori degli Stati nazionali e della "Sovranità Nazionale" – a me
sembra piuttosto semplice: l'Europa può salvare gli stati colti in difficoltà, ma in cambio pretende di guidare questo
salvataggio. Un embrione di federalismo europeo, insomma, che non
nasce dagli ideali ma dae s'apretu chi, narat su ditzu, ponet su
betzu a cùrrere. So che gli spacca-capelli-in-quattro (nella mia
lingua sos chi fàghent còrdula de musca) obietterebbero, ma al
termine di lunghe acrobazie linguistiche lì cadrebbero.
Sono malignamente contento, immaginando
gli equilibrismi di chi, sacerdote dell'unità e indivisibilità,
dovrà spiegare perché sia una cosa buona spezzettare una delle
qualità essenziali di quel dogma. Ma lo sono anche perché fin da
giovinetto sono un convinto federalista europeo, così come ero
sostenitore del federalismo italiano prima che i gattopardi
dimostrassero di esser capaci di accettarlo per sputtanarlo.
Ma c'è un problema, che sicuramente
prima o poi solleveranno quanti della sovranità della Sardegna
farebbero volentieri un uso non proprio: “Com'è? Vorreste la
sovranità della Sardegna, nel momento in cui l'Italia ne cede
un'altra parte all'Europa?”. Un problema sollevato para fastidiar,
chiaro. Noi vogliamo la nostra sovranità per contrattarne la
cessione di quote se e quando sia utile e opportuno per noi. Proprio
come si sta discutendo di fare o non fare fra stati grandi e possenti
come la Germania e stati piccoli, e prosperi, come Malta. Che, per
quel che sappiamo, non ha i problemi drammatici di Italia, Spagna,
Francia, Grecia, che con la sua crisi sta inguaiando la “protetta”
Cipro greca. La Sardegna – dicono gli Adoratori etc etc – è
troppo piccola per reggere il peso economico della propria sovranità.
Cavolate, se si ha la pazienza di vedere i dati economici dei
“piccoli” a paragone di quelli dei “grandi”. La piccola Malta
ha una disoccupazione al 5,7 per cento, la metà di quella italiana e
di quella francese, e pari a quella tedesca. Ha avuto l'anno scorso
una crescita del PIL del 2,1 per cento, cinque volte superiore a
quella italiana. Ha quest'anno un rapporto tra debito e PIL del 74,8
per cento contro il 123,5% dell'Italia. Uno stato come l'Estonia, di
grandezza simile alla Sardegna, ha più o meno la percentuale di
disoccupati dell'Italia (10,8 contro il 10,2), ma il suo PIL è
cresciuto del 7,6 per cento e un rapporto debito-PIL del 10,4 per
cento.
Se aveste la pazienza di vedere i dati
degli altri “piccoli” stati, vedreste come sia in mala fede chi
dovesse insistere con quella baggianata. L'andamento dell'economia
non ha alcun rapporto con la dimensione demografica o territoriale:
ha rapporto con la politica dei governi. E, nel caso delle nazioni
senza stato, ha rapporto con le quote di sovranità che i loro popoli
sono riusciti a conquistare. La Spagna è, a quel che si dice, messa
peggio dell'Italia, ma la Catalogna è assai più prospera della
Sardegna oltre che della Spagna. La Catalogna non solo fa valere le
sue quote di sovranità nello stato cui appartiene, ma anche in
Europa. “Provinciali” anche i catalani? O, come sono sicuro, il
provincialismo è il morbo che affligge quella parte – non piccola,
purtroppo – della politica e della intellettualità isolane che
mangiano e camminano in Sardegna con la testa altrove e in cuore il
patema d'animo di apparire autonomi?
Lo capisco. Essere sovrani comporta
qualche rischio, il più serio dei quali è di dover ragionare e
agire senza il conforto degli stereotipi e di rassicuranti luoghi
comuni. Come quello, appunto, che noi sardi saremmo destinati al
disastro se a noi non pensasse l'Italia.