Scrive Michelangelo Pira in «La Rivolta dell’oggetto». “Il Vicerè non aveva alcun obbligo di essere bilingue; alla
traduzione dei suoi ordini potevano provvedere intellettuali bilingui suoi
dipendenti. Il presidente della Regione (per dire le istituzioni e
organizzazioni politiche sarde autonomiste) ha 1'obbligo di essere
compiutamente bilingue: il suo compito non è quello di trasmettere ordini di
una sovranità esterna bensì quello di farsi estensione di una sovranità interna
partecipando alla costruzione di questa. Egli deve capire quel che si vuol fare
della Sardegna da parte dei poteri esterni all'Isola, ma anche e soprattutto
deve capire quel che la Sardegna vuol fare di se stessa e dei suoi rapporti con
i suoi interlocutori esterni. E la volontà interna si forma e si individua sia
parlando in sardo, sia parlando in italiano”.
Non so se Cappellacci
abbia mai letto questo passo del grande antropologo sardo: comunque la diffida e la messa in mora al Governo Monti sulla vertenza entrate
inviata al Presidente del Consiglio in due lingue, italiana e sarda, si muove
dentro l’orizzonte politico e culturale auspicato da Pira. È una scelta
importante e significativa che va nella direzione giusta: a condizione però che
seguano atti politici conseguenti. Ad iniziare dalla costruzione della
“sovranità interna”. Anche su questo versante occorre dire che qualcosa, dopo
decenni di inerzia, finalmente si muove. Come l’approvazione nel Consiglio regionale,
da parte di un variegato arco di forze politiche, dell’ordine del giorno sardista in merito
all’avvio di “una sessione speciale di
lavori aperta ai rappresentanti della società sarda, per la verifica dei
rapporti di lealtà istituzionale, sociale e civile con lo Stato, che dovrebbero
essere a fondamento della presenza e della permanenza della Regione Sardegna
nella Repubblica italiana”.
Se il progetto sovranista, proposto soprattutto
da Paolo Maninchedda ma fatto proprio anche da forze politiche come Sinistra,
Ecologia e Libertà, andasse avanti, potremmo finalmente inaugurare in Sardegna
un nuovo corso: mettendoci alle spalle decenni di subalternità
politica e culturale per imboccare con decisione la strada della rottura della
dipendenza e della sovranità. Grazie anche alleanze e convergenze politiche che
partano dai progetti e dai programmi e non dagli schieramenti.
* Pubblicato anche su Sardegna Quotidiano del 29-5-2012
Finalmente i sardi, uniti alzano la testa! Che bello! Che meraviglia!
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