La domanda che il Consiglio regionale pone a tutti noi (Vale la pena di permanere all'interno della Repubblica italiana?) ha suscitato reazioni irate del Partito democratico e risposte altrettanto piccate della sinistra accusata di aver fatto da utile idiota. Utile, va da sé alla destra. La dottrina è nota: solo gli unti dalla Dea ragione, i detentori della Verità possono cooperare con la destra (votando insieme, per esempio, o concordando azioni comuni come è successo diverse volte in Consiglio) senza rischiare di fare la figura dei collaborazionisti con il nemico. Senza, in altre parole, essere contagiati dal virus del berlusconismo il cui antidoto è conosciuto solo dai deisti del Pd.
L'ordine del giorno di cui stiamo parlando ha una grossa pecca nell'economicismo che lo ispira, come sottolinea Mario Carboni e nella mancanza di qualsiasi riferimento alla lingua e all'identità, come denuncia Roberto Bolognesi. Del resto, il suo autore, Paolo Maninchedda, non fa mistero della sua convinzione che la lingua sarda abbia nulla a che fare con lo sviluppo e con l'indipendenza della Sardegna cui pure aspira. La dura condanna pronunciata dal Pd contro il “famigerato ordine del giorno” niente ha a che fare con quest'ordine di critiche.
Il sito di Renato Soru dedica una mezza dozzina di articoli alla questione e la solfa è sempre la stessa: la credibilità di chi ha proposto e ha approvato il documento. La domanda, secondo la redazione del sito, è lecita “ma chi la pone non ha nessuna autorità per farlo. L’elenco dei firmatari lo certifica”. Persino un intellettuale di gran vaglio come Alessandro Mongili, nella sua furia anti-destra riesce a scrivere: “Sono tali e tanti i personaggi screditati coinvolti, disposti proprio a tutto pur di rimanere sulla scena, che penso nessuna persona ragionevole possa dar loro credito”. Per non parlare di Gianni Fresu secondo cui “la prima reazione spontanea, vista la credibilità dei soggetti proponenti, è stata una sonora risata”.
Bene: è assodato che di indipendenza non possono parlare, senza far accapponare la pelle, sardisti, centristi, destra variamente assortita, sinistra radicale. Una bestialità che neppure i più settari fra gli indipendentisti si sognerebbero di proclamare: quello per l'indipendenza è un processo che deve raccogliere la maggioranza dei sardi, altrimenti resterà una utopia elitaria e minoritaria. Ma, pur lasciando da parte questa banale considerazione, perché non hanno proposto loro, i portatori della Verità, gli incontaminati dal virus del berlusconismo, un documento credibile? Solo perché c'era il rischio che lo potessero votare anche i nemici? O ha ragione la reproba SEL secondo cui, in realtà, il Pd non ha voluto disturbare Mario Monti e il suo governo?
Niente di strano: è già capitato che il centrodestra in Sardegna tema di disturbare il governo italiano di centrodestra e che il centrosinistra in Sardegna non disturbi il governo italiano di centrosinistra. Il succursalismo non è una malattia specifica di questo o quello schieramento: colpisce tutti, a destra, a sinistra, al centro, su e giù. Ecco perché, con tutte le pecche che ha, quell'ordine del giorno è una buona cosa, è almeno un segnale di autonomia.
L'ordine del giorno di cui stiamo parlando ha una grossa pecca nell'economicismo che lo ispira, come sottolinea Mario Carboni e nella mancanza di qualsiasi riferimento alla lingua e all'identità, come denuncia Roberto Bolognesi. Del resto, il suo autore, Paolo Maninchedda, non fa mistero della sua convinzione che la lingua sarda abbia nulla a che fare con lo sviluppo e con l'indipendenza della Sardegna cui pure aspira. La dura condanna pronunciata dal Pd contro il “famigerato ordine del giorno” niente ha a che fare con quest'ordine di critiche.
Il sito di Renato Soru dedica una mezza dozzina di articoli alla questione e la solfa è sempre la stessa: la credibilità di chi ha proposto e ha approvato il documento. La domanda, secondo la redazione del sito, è lecita “ma chi la pone non ha nessuna autorità per farlo. L’elenco dei firmatari lo certifica”. Persino un intellettuale di gran vaglio come Alessandro Mongili, nella sua furia anti-destra riesce a scrivere: “Sono tali e tanti i personaggi screditati coinvolti, disposti proprio a tutto pur di rimanere sulla scena, che penso nessuna persona ragionevole possa dar loro credito”. Per non parlare di Gianni Fresu secondo cui “la prima reazione spontanea, vista la credibilità dei soggetti proponenti, è stata una sonora risata”.
Bene: è assodato che di indipendenza non possono parlare, senza far accapponare la pelle, sardisti, centristi, destra variamente assortita, sinistra radicale. Una bestialità che neppure i più settari fra gli indipendentisti si sognerebbero di proclamare: quello per l'indipendenza è un processo che deve raccogliere la maggioranza dei sardi, altrimenti resterà una utopia elitaria e minoritaria. Ma, pur lasciando da parte questa banale considerazione, perché non hanno proposto loro, i portatori della Verità, gli incontaminati dal virus del berlusconismo, un documento credibile? Solo perché c'era il rischio che lo potessero votare anche i nemici? O ha ragione la reproba SEL secondo cui, in realtà, il Pd non ha voluto disturbare Mario Monti e il suo governo?
Niente di strano: è già capitato che il centrodestra in Sardegna tema di disturbare il governo italiano di centrodestra e che il centrosinistra in Sardegna non disturbi il governo italiano di centrosinistra. Il succursalismo non è una malattia specifica di questo o quello schieramento: colpisce tutti, a destra, a sinistra, al centro, su e giù. Ecco perché, con tutte le pecche che ha, quell'ordine del giorno è una buona cosa, è almeno un segnale di autonomia.
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