martedì 31 gennaio 2012

La stele di Nora domani a Cagliari


Domani alle 16.45, presso la Società operaia in via XX settembre 80, a Cagliari, il glottologo Salvatore Dedola ha organizzato la presentazione, traduzione e commento della Stele di Nora. “Si tratta – scrive Dedola – dell'atto di nascita della lingua sarda, è scritto in lingua sarda pre-romana (o nuragica) con l'alfabeto usato in quell'era in tutto il Mediterraneo”.

7 commenti:

  1. Sono stato alla conferenza sulla stele di Nora,forse non sarà all'altezza di giudicre, comunque,non ho mai assistito ad una conferenza così sconclusionata
    (es. il termine, toponimo,Maluentu vorrebbe dire, in linqua sumerica, luogo della tomba,tempio, della regina)
    G. Cannas

    RispondiElimina
  2. @ Giorgio.. Ormai tutti sulle ALI DEL VENTO SARDO/SUMERO.. dopo aver riso a squarciagola, quando Leonardo Melis e prima ancora il compianto Sardella, proposero questo ASSE e la probabile derivazione più AKKADIKA che SUMERA della LINGUA dei SARDANA e dei Sardi oggi.
    -- Ho trovato libri che traducono i nomi e i toponimi Sardi nei modi più disparati, garantendo un'origine SUMERO/AKKADIKA, di autori che scrivono Senza aver mai consultato un testo di NOMI SUMERI...
    la "cosa" tira e qualche copia di libro si vende almeno alla prima apparizione... Il discorso vale anche per le decine di PUBBLICAZIONI di libri che contengono la parola magica: SHARDANA!
    Kum Salude.
    Leonardo

    RispondiElimina
  3. Non mi pare che la conferenza di Salvatore Dedola sia stata così sconclusionata: ha proposto la sua ipotesi e poi ha invitato ad un libero dialogo.
    Resta il fatto che siamo di fronte ad un documento importantissimo, sottoposto ad un'infinità di traduzioni generalmente discordanti tra loro.
    A prescindere dalla sua interpretazione Dedola lo attribuisce ai "Sardiani", datandolo al X secolo a.C..
    Ben vengano i contributi tendenti a fare luce su un documento rimasto ancora oggi misterioso.

    Giuseppe Mura

    RispondiElimina
  4. Il Prof. Dedola avrà dedicato tanti anni della sua vita a ricercare e studiare sull’origine e sui toponomi del sardo e questo glie lo si riconosce. Mi sta bene anche il discorso sulla valorizzazione del sardo, della nostra civiltà e dei suoi originalissimi monumenti. Il mio intervento è mirato alla conferenza ed al tema affrontato ieri. Le mie tre domande al relatore sono state;
    Perché il segno BETH nella prima riga lo legge giustamente come BETH, mentre lo stesso segno nella terza riga lo cambia con altro suono ed altro significato,
    Perché il toponimo Maluentu, cambiato dai piemontesi in maldivventre per assonanza, lo traduce dal sumerico in “tempio della regina” ed invita gli archeologi a scavare poiché ci troveranno la tomba, senza mai essere stato, senza conoscere il territorio dell’isola. Mentre e lapalissiano che il nome Maluentu è il nome che identifica lo specifico ambiente del luogo. Luogo pericoloso per il repentino cambiamento del vento, che da bonazze assolute, cambia (in qualsiasi stagione) in improvvise e violente raffiche di maestrale che anno inabissato imbarcazioni di ogni tempo, come sanno benissimo gli attuali pescatori ed i sub che riportano in superficie i resti di centinaia di relitti incappati in quelle burrasche. Così come lo sono i toponimi della valle di Marceddì ( Is Saurras, Sa braba, Is pistoccus, Sa carroccia, sa pedra de sa trona, su puntraxu de sa teba, Su puntraxiu de su nuraci, ecc,. nomi che descrivono quel particolare ambiente.
    Quale era la differenza tra la sua proposta di scrittura sarda nuragica, o Shardana, e quella proposta dall’archeologo G. Ugas, ed altre proposte oggetto di attuale discussione? Risposta generica, senza mai entrare nel merito; che questi scrivano un libro e poi ci confrontiamo.
    Infine, il rapportarsi con il pubblico è stato raffazzonato, visto il delicato tema proposto, dove saltava di palo in frasca, la traduzione della stele quasi incomprensibile (i presenti che richiedevano continuamente di ripetere) le risposte poco chiare ed insufficienti, riportandosi sempre ad una sua futura nuova pubblicazione.
    Sig. Mura una conferenza di quella portata non si propone così alla leggera. Lungi da me voler infierire su alcuno, solamente, con rammarico, descrivere l’accaduto.
    G. Cannas

    RispondiElimina
  5. Nel caso qualcuno fosse interessato
    ecco l'indirizzo con la spiegazione dettagliata dell'Autore:
    http://www.linguasarda.com/htm/Linguista/La%20stele%20di%20Nora.htm

    RispondiElimina
  6. @ G. Cannas
    intanto grazie a Roberto.
    Quanto alle sue domande, quella riferita al BETH della prima e terza riga è stata oggetto anche di un mio intervento, esteso a tutta la prima riga, dove l'interpretazione di Salvatore Dedola scompone il termine TRSS (da molti studiosi tradotto in Tarsis-Tartesso) trasformandolo in altro significato.
    Concordo con lei sull'importanza della conferenza ma, spesso, la qualità del dibattito non dipende solo dal relatore. Saluti

    Giuseppe Mura

    RispondiElimina
  7. Altra menda si riconosce nel Pecorino Romano, il formaggio più celebre della Sardegna, prodotto originariamente nella sola Barbagia, che i dotti ritengono introdotto in Sardegna dalle legioni romane nel 238 a.e.v., mentre significa semplicemente ‘pecorino delle alture, pecorino prodotto dai Barbaricini’, e deriva dall’ebraico rūm, rōmēm.


    Ho ricopiato questo passo paro paro dal sito di Dedola. Mi pare evidente che l'Autore parli di cose che non conosce. Si tratta di un vero campionario di inesattezze:

    1) il pecorino Romano non é affatto il formaggio più celebre della Sardegna. Diciamo che oggi è molto conosciuto, più per le sue vicissitudini nelle esportazioni negli USA che per averlo realmente assaggiato. Chi lo ha assaggiato dice che è una porcheria o quasi.
    2) Non mi risulta proprio che sia stato mai prodotto in Barbagia.
    3) Dove sta scritto che sarebbe stato introdotto dalle legioni romane nel 238 a.C.? In realtà, lo si é iniziato a produrre meno di un secolo fa, e solo nei caseifici. I pastori non hanno mai prodotto pecorino romano (si tratta di un tipico prodotto industriale, dalle grandi forme, del peso di 25 Kg circa ciascuna).
    4) Si chiama Romano perchè in origine veniva prodotto nelle campagne romane. Il suo disciplinare di produzione é stato impiegato anche in Sardegna per amplificare e sostenere l'esportazione negli USA, dove era richiesto dagli emigrati italiani (abruzzesi, pugliesi, campani etc)già abituati a quel gusto.

    Il Dedola dice anche che le "panadas" sarebbero un piatto esclusivamente sardo. Mi spiace deluderlo, ma esistono persino in Messico(dove vengono chiamate "empanadas"). Anche questo qualcosa vorrà dire.

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.