Non è facile scrivere, su quanto sta succedendo ai dipendenti dell'Alcoa e a quelli della Queen. qualcosa di più di una cronaca. I lavoratori della fabbrica sulcitana di alluminio e quelli del calzificio di Macomer sono sull'orlo della disperazione per il lavoro che tra breve cesserà di esistere. Intorno alla vicenda della Queen c'è un quasi silenzio rotto qua e là da qualche strillo formale, dietro il quale si legge rassegnazione. La stessa, in fondo, con cui è stata accolta la ingloriosa fine dell'industria tessile in Sardegna, frutto di una sciagurata scelta fatta nel passato da partiti e sindacati che promisero, spero sapendo di mentire, un prospero futuro di lavoro a migliaia di persone.
I dipendenti dell'Alcoa, a quel che si legge e si sente, hanno qualche speranza in più, legata ad impegni assunti nel passato dal governo italiano e dalla multinazionale americana, dopo la grande e unitaria mobilitazione della Sardegna dell'anno scorso. Un'altra protesta unitaria potrebbe forse indurre il governo italiano a insistere sull'Alcoa perché non chiuda subito la fabbrica sarda. Ripetendo, insomma, quel che successe sei mesi fa. È da incoscienti pensare, però, che si possa risolvere in Sardegna, con i costi dell'energia esistenti, la crisi mondiale dell'alluminio, una delle industrie più energivore esistenti.
Della questione, questo blog si è occupato fin da tre anni fa (L'industrializzazione è alla frutta. Politica e sindacato anche), quando cominciò a diffondersi la notizia della prossima chiusura, e poi con un articolo di Mario Carboni sulla storia di una morte annunciata, uno di Efisio Loi, immaginifico come sempre (a proposito, ben tornato, Efis), e infine con la denuncia della vana corsa a tappare buco dopo buco. Forse in diciotto mesi, quanti ne sono passati dall'ultima crisi, non si poteva realizzare una strategia di uscita dalla disastrosa politica industriale realizzata in Sardegna, ma neppure si è cominciato a intravederla. Nella illusione, davvero sciagurata, che l'Alcoa avrebbe avuto davanti a sé un futuro luminoso.
A ben vedere, sta proprio in questa miopia la colpa più grave che va addebitata alla politica e ai sindacati sardi.
E' la solita storia. E ogni volta che penso alle mancanze della politica e del sindacalismo italiano in Sardegna mi viene in mente la domanda più ovvia: e l'indipendentismo cosa sta facendo?
RispondiEliminaBomboi Adriano
Niente, purtroppo! Sparlano l'uno dell'altro. O se fanno nessuno se ne accorge! Ogni tanto vedo Zampa che, poverino,lotta e 'offre immagine'. 'Assumancu pruine fatzo'! Dirà. Porta la berritta e la bandiera dell'identità! Ma, solo com'è, o quasi, è diventato inconsapevolmente folkloristico. C'è una totale imcapacità di reazione, una rassegnazione incredibile! Il modello nuovo di sviluppo c'è, a chiacchiere, solo poco prima delle elezioni.
RispondiEliminaHai visto chi e quanti ne parlano nel Blog di Gianfranco? C'è la ...fila per gli articoli!
Gli operai dell'Alcoa hanno fatto tutto il possibile per lottare,in maniera originale e dignitosa, contro la decisione di chiudere questa fabbrica ma tutti gli altri sardi hanno dato loro il giusto ed efficace sostegno?La situazione della disoccupazione in Sardegna à drammatica ma solo uniti si vince.La domanda che fa il signor Bomboi è più che giusta.
RispondiEliminaVorrei tanto essere d'accordo con la reazione irata del presidente della Regione il quale poco fa ha definito: "atteggiamento irragionevole, di cui prendo atto con sgomento" il no dell'Alcoa a sospendere le procedure di licenziamento. Il fatto è che lui, insieme al resto della politica, ai sindacati, alla cultura sarda hanno buttato via 18 mesi e perché?
RispondiEliminaDavvero speravano tutti quanti che l'Alcoa si fosse trasformata in Dame di San Vincenzo, disposte a soprassedere alla crisi mondiale dell'alluminio nel nome di una sua missione etica?
Gli indipendentisti? Purtroppo, cari Grazia, Adriano e Gigi, avanzano in tutta Europa e restano fermi qui. Al massimo facendo il verso ai movimenti no global anti qualcosa.
Zuannefranziscu,non ti amareggiare, l'importante è lottare per ciò in cui si crede con forza e veemenza.
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