Uno stormo di mosche cocchiere è già lì, pronto a rovinare la festa della raggiunta unità dei sardi, o rivendicando al proprio schieramento la vittoria del sì nel referendum antinucleare o cercando di dettare l'agenda del che cosa i sardi dovranno fare domani. C'è la giovane deputata convinta che il suo partito abbia il merito di aver costretto gli altri a muoversi, ci sono i multicolori verdi italiani che consegnano ai media d'oltremare l'interpretazione autentica del voto dei sardi e c'è l'europarlamentare dal cognome sardo che tenta di intruppare dietro le sue opinioni i quasi novecento mila “no al nucleare”. Che si tratti di miserie sarà evidente a chi vorrà leggere l'elenco degli aderenti al Comitato promotore del referendum.
Ma è il segno che questo momento di unità del popolo sardo su un obiettivo di dichiarata sovranità non avrà vita facile. Ha stravinto il sì con il 97,14 per cento, un plebiscito, si potrebbe dire, se in quella parola non si annidasse un significato storicamente e politicamente ambiguo. E, come tutti, ne sono felice e fiero. Ma il senso di questo voto non cambierebbe, dal punto di vista dell'esercizio della sovranità, se il risultato fosse stato diverso o persino contrario. Quel che conta è che sei sardi su dieci hanno deciso di dire la loro su un tema di tanta importanza e di indicare alla politica una via che essa da sola non è in grado di percorrere per le sue divisioni.
Spero proprio di essere in errore, ma sta forse in questo il rischio che la politica, intendo quella dei partiti, trovi il modo di vanificare la voglia di sovranità espressa domenica e lunedì. Del fatto che questo rischio sia reale o solo frutto di un timore infondato ci accorgeremo quando il Parlamento sardo dovrà affrontare la scrittura del nuovo Statuto speciale che dovrebbe essere il punto di incontro fra la politica e l'interesse dei sardi per la loro sovranità.
L'argomento principe dei tiepidi e dei contrari ad uno Statuto nuovo è che la “gente” non ha interesse alle riforme in genere e a questa in particolare. È un topos della politica lo sbandierare ai quattro venti che la “gente” è interessata solo agli aspetti materiali della propria esistenza. Ma è una “menzogna vitale” diffusa solo per nascondere la incapacità o l'insensibilità delle classi dirigenti (non solo quella politica) che, per questo, non si mobilitano per discutere con i cittadini e per coinvolgerli in scelte, come appunto la nuova Carta della Sardegna, ritenute non vitali. L'azione e la mobilitazione del Comitato contro il nucleare hanno dimostrato quanto falso sia il pregiudizio circa l'apatia dei sardi difronte a questioni che non li tocchino materialmente e personalmente.
Perché si potesse raggiungere il quorum del 33 per cento, il presidente del governo sardo ha abbinato il referendum alle elezioni comunali e lo stesso governo ha fatto una cosa inconsueta, propagandando il referendum sui media con un importante impegno di denaro. Ma credo sia stata soprattutto la mobilitazione del Comitato coordinato da Bustianu Cumpostu, più di duecento incontri nei paesi con i cittadini, a produrre la straordinaria partecipazione al referendum, quasi il 60 per cento in tempi in cui l'ipertrofia referendaria ha creato profonda disaffezione.
Come amministrare la dichiarazione di interesse dei sardi per la loro sovranità? E come fare in modo che questa volontà non sia guastata da possibili settarismi, da protagonismi di gruppo o di partito, dalla tentazione di considerare gli 855 mila sì una sorta di massa di manovra per fini diversi dai due pronunciamenti, uno contro il nucleare in Sardegna e uno a favore della capacità di decidere? Non è un problema da poco, ma credo possa trovare soluzione nel considerare che sei sardi su dieci hanno dichiarato la loro volontà di essere uniti intorno ad un obiettivo condiviso. Forse, si tratta solo di trovare insieme ai sardi (e non al posto loro) obiettivi da raggiungere.
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RispondiEliminaSe consideriamo invece il voto delle comunali, tutti i buoni propositi visti con la partecipazione al referendum vengono smentiti. Le comunali sono state il più classico sintomo della guerra tra bande e la peggior tornata elettorale dove personalismi ed interessi di bottega precedono gli interessi collettivi. La cosa più triste è che i partiti Sardi non riescano a capitalizzare un incrinamento del bipartitismo italiano. Ciò significa che abbiamo un problema nella classe dirigente nei movimenti Sardi, che non ha alcuna strategia di radicamento nel territorio, né contenuti programmatici con cui alimentare quel percorso in senso riformistico. - Bomboi Adriano
RispondiEliminaSì, Bomboi ha ragione. E' stata una guerra per bande. Meschina. Donzunu po sa tanca sua. Ma ora i Sardi hanno visto qualcosa di insolito e di grande. Di straordinario. L'Unità, che sola dà la vittoria. Non siamo però in pochi a predicarla oggi e proprio contro la miope 'classe dirigente dei movimenti sardi' (anche se non bisogna fare di ogni erba un fascio). Il Comitato si fa per il 'nucleare'? Bene, lo si faccia subito anche per l'unità politica dei Sardi. Il sì contro il nucleare è solo piccola parte di quella politica. Chè le 'centrali' pericolose non sono solo quelle contro le quali abbiamo votato!
RispondiEliminaIl voto chiaro e netto dei sardi contro l'installazione di centrali nucleari in Sardegna, non bisogna confoderlo col loro senso di identità nazionale.
RispondiEliminaAnche se, se si faccesse un sondaggio , sul loro senso di identità nazionale, penso che emergerebbe il loro sentirsi sardi prima che itlaiani.
da queste elezioni è emerso invece un dato, nel comune di Cagliari la lista di iRS di Gavino Sale prede il doppio dei voti rispetto a quella di ProgeS.
e sconcerta il fatto che quella di Beppe grillo prende il doppio dei voti di quella di iRS.
purtroppo è successo quello che temevo, la scissione di iRS la pagheremo molto cara.
Continuo a chiedermi come mai quelli che ora sono in ProgeS, siano stati così ingenui da non capire che una figura come quella di Gavino, con i suoi pregi e i suoi difetti, era di fondamentale importanza nella formazione del consenso attorno ad un partito indipendista di massa.
Nella politica moderna, non basta essere..., bisogna saper bucare quell'elettrodomestico chiamato televisore!