di Gorgio Valdès
E’ noto come le tombe di giganti di tipo dolmeico, presentino una stele centrale composta da una sezione superiore a profilo ricurvo, una “traversa” mediana ed una sezione inferiore, sulla cui base è presente un portello.
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Anela |
Lo schema della stele ha indubbiamente un significato ben preciso e lo conferma il fatto che si ripete in diversi altri contesti, come in particolare in quelli di “Sos Furrighesos” ad Anela e di “Mesu ‘e Montes” ad Ossi - dove appare riprodotto sulle rispettive pareti rocciose-, nonché in altri ambiti megalitici.
E’ probabile, che due raffigurazioni analoghe siano quelle poste al lato della grotta sovrastante Marina Piccola a Cagliari (stazione all’aperto della Sella del Diavolo), luogo da cui provengono i più importanti indizi di vita preistorica a Cagliari, risalenti al neolitico antico
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Ossi |
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Marina piccola |
Si tratta solo di un’ipotesi personale, che tuttavia colpisce, soprattutto per la specularità delle due figure. Per altro verso, è opinione diffusa che l’esedra e più in generale la planimetria delle tombe dei giganti volesse rappresentare il ventre materno, con un significato riconducibile alla rigenerazione della vita. La frequente presenza di piccoli betili in prossimità del portello, lascia inoltre presumere che le tombe, nel loro complesso, fossero connesse ai riti della fecondazione.
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Pane spezzato |
Trattandosi di interpretazioni verosimili, si può conseguentemente supporre che anche la stele centrale rivestisse un significato conforme a quello assunto in generale dalla tomba. A maggior conferma si osserva come la stele delle tombe di giganti e le similari raffigurazioni rupestri sembrano voler raffigurare l’apparato genitale femminile, come si può rilevare da questa immagine, tratta dal sito
www.edu-sessualita.it. In essa, la porzione superiore rappresenta il “rotondo dell’utero” (reciso), la sezione rettangolare sottostante viene indicata come fascia “utero- vaginale”, la sezione più ampia riproduce la vagina, i bordi della vagina fanno parte della fascia utero-vaginale, mentre alla base di figura si osserva il “vestibolo della vagina”.
Un’altra sorprendente conferma si ritrova nel libro di Salvatore Dedola “I pani della Sardegna”, dove l’autore riferisce in merito alla tradizione del pane “spezzato sul capo della figlia che va in sposa” e presenta l’immagine di “su càbude” di Mores, la cui forma è straordinariamente simile a quella della stele centrale delle tombe dei giganti.
janas ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiEliminaUn post veramente interessante. Non avevo mai preso in considerazione, da non addetta, la forma femminile delle grotte dei giganti. Ne conosco solo quelle di S.Isidoro (Ca), un complesso forse non troppo ben tenuto, dove spesso vi ho visto bambini raccogliere e smuovere pietre.
un caro saluto
janas
Pierluigi Montalbano ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiEliminaDa tempo molti studiosi hanno scritto, e ribadiscono ad ogni convegno e conferenza, che il ciclo della rinascita, ben evidente nelle tombe di giganti, era uno dei fondamenti della civiltà nuragica. Il defunto ritorna nel luogo che lo ha originato per poi risorgere nell'infinito ciclo di nascita, vita, morte e rinascita. Il culto dei defunti si basa anche su questo concetto. Bene ha fatto Valdes a ricordarlo nel suo bel post. C'è da aggiungere che altri studiosi sostengono che la stele sia indicatrice di un mondo diviso in tre registri: cielo, terra e inferi (mi pare che Laner lo proponga da tempo). Questa visione è intrigante e verosimile, ed è corroborata dal posizionamento ben preciso della stele al centro dell'esedra, raffigurante una sorta di abbraccio comparabile con ciò che il Bernini ha pensato per arredare la Piazza del Vaticano. Il simbolo taurino, altro bell'esempio di raffigurazione voluta per le Tombe di Giganti, è anch'esso un caposaldo della religiosità nuragica, derivante dalle culture neolitiche e mantenuto almeno fino all'arrivo dei romani.
Giuseppe ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiElimina@ Giorgio Valdès
trovo notevole l'intuizione che paragona la composizione della stele centrale col pane Cabude di Mores.
A proposito della preparazione del pane in Sardegna, Salvatore Dedola, nello stesso volume da lei (tu?) citato scrive:
"Fra le manifestazioni del lavoro domestico nella società sarda, quella della panificazione è la più significativa, senz'altro la più conservativa".
Come non condividere quest'affermazione? D'altra parte la serie di fotografie sui pani della Sardegna, proposti al termine dello stesso volume dallo studioso della lingua sarda, presenta altre sorprese, quali:
- foto 016, il pane "Acchiddu a duas concas" di Benetutti, una chiara riproduzione del membro maschile dove i testicoli sono rappresentati col simbolo neolitico della spirale;
- foto 038, il pane “Cohone ‘e frores” di Fonni, che riproduce una gran quantità di colombelle, uno dei tanti animali sacri della cultura nuragica;
- foto 066, il pane “Ippiànada” di Sorso che riproduce la planimetria di un nuraghe complesso.
Saluti
Giuseppe Mura
giorgio ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiEliminaGianfranco ha cortesemente inserito l’immagine più completa della sezione dell’utero, che per mero refuso mancava proprio della parte superiore, denominata “rotondo dell’utero” e simile alla struttura ricurva della stele.
Al proposito, non è solo la stele centrale delle tombe di giganti a riprodurre una sezione dell’apparato genitale femminile, ma come ho indicato nel mio intervento, tale schema lo si ritrova in altri contesti (a parte quelli già indicati di Anela, Ossi e Marina Piccola) ed in particolare nelle tombe a prospetto di Su Carralzu di Florinas e di Sa Figu ad Ittiri.
Ancora più sorprendente è la presenza dello stesso schema, che credo venga descritto come “falsa porta”, sul fondo della così detta “tomba delle spirali” di Montessu, dove nella parte bassa si nota anche una specie di scasso che potrebbe voler rappresentare una vagina.
In un mio precedente commento avevo inoltre evidenziato come sulla piana di Terrazzu, prospiciente l’altopiano di Montessu, si elevassero quattro colline riproducenti il profilo di una donna partoriente; per cui è ragionevole ipotizzare che l’ubicazione della necropoli non fosse stata scelta a caso.
Mi ricollego adesso al simbolo taurino richiamato nel suo commento da Pierluigi Montalbano.
Sono assolutamente convinto che per interpretare il nostro megalitismo occorrerebbe approfondire i nostri antichissimi rapporti con l’Egitto ed a questo proposito è interessante osservare come Min, il dio egizio della fertilità e della potenza sessuale, fosse appunto incarnato in un toro ed assumesse anche le sembianze di “Kamutef” , il “toro di sua madre”, divenuto uno dei suoi appellativi.
Il fatto curioso è che non solo in Min si concentravano i principi sessuali maschili e femminili, ma il suo emblema, che pare volesse rappresentare l’utero, presenta una straordinaria analogia con l’immagine prospettica della più volte citata stele centrale delle tombe dei giganti.
@ Giuseppe Mura
RispondiEliminaCaro Giuseppe, la rappresentazione dei principi sessuali maschile e femminile era sicuramente un elemento ricorrente nella nostra antica cultura e nel libro di Dedola un esempio ancora più esplicito lo ritroviamo nell’immagine 108, dove è raffigurato “su presénti”, che si offre alla sposa ed è descritto dall’autore come “una sopravvivenza degli antichi riti della natura e della fecondità”.
Ma voglio ritornare un attimo sull’immagine 016, da te richiamata e riferita all’”Acchiddu a duas concas di Benetutti”.
La forma di questo pane richiama in particolare il petroglifo che si trova all’interno della “domu de janas” di Corongiu a Pimentel, con due spirali contrapposte le quali si differenziano dal pane esclusivamente per il senso di rotazione, che nella tomba di Corongiu è sinistrogiro.
Non visito questo sito da più di un anno, ma essendo privo di qualsiasi protezione, mi auguro solo che non sia stato nel frattempo manomesso dai vandali.
E non ho neanche idea se qualcuno abbia mai tentato di comprendere il significato delle iscrizioni che vi compaiono.
L’altra circostanza curiosa è che l’”Acchiddu a duas concas”, a parte essere l’evidente riproduzione di un membro maschile è anche identico all’ideogramma geroglifico (idt) che raffigura, guarda caso, la vulva.
Un caro saluto
Giorgio Valdès
maimone ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiEliminaFrancamente non ho elementi per dire chi ha ragione. A prima vista l'interpretazione della stele centrale come rappresentazione dell'apparato genitale femminile mi pare un pò forzata. Semmai, intuitivamente, mi sembra che assomigli maggiormente all'organo maschile.
giorgio ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiElimina@ Maimone
tutto è possibile, ma intanto mi pare che concordiamo sul fatto che la stele sia comunque legata alla sfera sessuale maschile/femminile.
Per quanto mi riguarda non mi pare di vederci l’organo maschile, sia per la presenza del foro alla base, sia per quella della traversa orizzontale che mi pare più rappresentativa della fascia “utero-vaginale” riprodotta nell’immagine allegata al mio post.
Tieni conto che la mia “fissa” sono i rapporti tra la cultura nuragica e prenuragica e quella dell’antico Egitto e sono altrettanto convinto che già da prima del II millennio tra le due civiltà mediterranee esistessero rapporti strettissimi e che il concetto di rinascita e di rigenerazione della vita improntasse fortemente le due culture.
Gli egiziani (ma credo anche i nostri progenitori), sapevano bene che nell’apparato riproduttivo femminile era racchiuso il segreto della vita e ne conoscevano perfettamente la forma, considerato che quello delle donne defunte più altolocate veniva accuratamente imbalsamato.
Saluti
Giorgio Valdès
maimone ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiEliminaIn effetti, tutto é possibile, compresi i rapporti con l'Egitto da illo tempore. Istintivamente, a colpo d'occhio, la parte superiore della stele mi pare il glande e la fascia trasversale sembra voler indicare la fine (o l'inizio) del rivestimento prepuziale. Quanto al portello, questo potrebbe essere una necessità legata all'agire pratico (entrare per depositare i corpi), senza alcun particolare significato religioso. Naturalmente, le mie sono solo illazioni. A me pare che, mentre nel Neolitico é la Dea Madre a farla da padrona, durante il nuragico l'elemento maschile assume una maggiore importanza, rispetto ai tempi precedenti. Il nuraghe stesso appare come un gigantesco simbolo fallico. Mi sa che la tua intuizione potrebbe essere corretta: il nuraghe simbolo maschile, la Tomba di giganti simbolo femminile. Sarà per questo che i due monumenti sono sono quasi sempre vicini.
Giuseppe ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L’esedra delle Tombe dei Giganti":
RispondiElimina@ Giorgio
Ciao
mi sono armato di lente d'ingrandimento per cercare di capire le differenze tra il pane
"Acchiddu a duas concas" di Benetutti e il petroglifo della tomba di Pimentel.
Mi sa, invece, che hai fatto centro, perché i sensi di rotazione delle spirali, nelle due riproduzioni, mi sembrano identici: in entrambi c'é una "palla" in senso orario e una in senso antiorario.
A si biri
Giuseppe Mura
A tutti
RispondiEliminaScusate, ma i vostri post sono stati cancellati per ragioni che non conosco. Li ho ripristinati così come li avete inseriti.
Grazie Zuanne,
RispondiEliminaeffettivamente la discussione si evolve positivamente e sarebbe stato un peccato perderla.
Mi permetto di segnalare che la tradizione del pane càbude di Mores, per come la conosco io, diverge da quella riporta nell'interessante articolo.
RispondiEliminain sostanza il pane su citato veniva preparato a capodanno (cabu de annu... càbude)e spezzato sulla testa del padre-capofamiglia.
Mia madre stessa (di Mores) me lo ha confermato per averlo visto fare spesso nella sua famiglia.
Giuseppe
Non so il Dedola dove abbia attinto la fonte ma la ritengo errata.
RispondiEliminaAnche nel link seguente se ne da una versione leggermente differente dalla mia ma non del tutto dissimile. Inoltre la forma de su Càbude (càpude)è a croce greca:
http://www.prolocomores.it/italiano/home.php?menu=mores&sottomenu=raighinas/pasca%20nadale/terza
@ Ithokor
RispondiEliminaLa didascalia che accompagna l’immagine del pane, nel libro di Dedola, recita: “Càbude di Mores – Museo del pane rituale, Bòrore”. Dietro la foto appare un’etichetta esplicativa su cui è scritto:
“Mores Capodanno”.
Il relativo articolo, alle pagine 210 e 211 del libro, esamina i vari “càbude” in uso in diversi paesi e richiama l’usanza di spezzarli sul capo “del primogenito o per essere distribuiti tra i familiari e dipendenti” e per essere “appeso nell’ovile, oltre che per essere sbriciolato nel campo o nell’ovile medesimo….”.
Dedola si sofferma poi sull’uso di offrirlo a Capodanno, sulla sua versione femminile e sulle origini etimologiche del nome.
Le sue considerazioni sono, come sempre, particolarmente circostanziate e non possono sicuramente compendiarsi in questo breve commento.