di Daniel Sotgia
Ho visitato recentemente il sito nuragico di Burghidu, in agro di Ozieri. Come sempre faccio prima di recarmi ovunque ci siano testimonianze storiche di qualunque epoca, ho provveduto a reperire informazioni sul sito stesso e come dato dominante ricevevo quello che il Nuraghe Burghidu è pericoloso per via di crolli e cedimenti strutturali che stanno interessando da chissà quanto tempo questo maestoso esemplare.
Nel punto più alto, ovvero quello che maggiormente affiora dal terreno, il mastio centrale raggiunge almeno i 15 metri di altezza e le fattezze di questa torre sono tali per cui lo studio che si potrebbe condurre sarebbe davvero notevole, per le tecniche di costruzione dei nuragici da una parte e per evitare in futuro errori commessi da noi “uomini moderni” in quanto a incuria e insensibilità storica e culturale dall’altra.
Nella disgrazia del danno che il tempo e la negligenza umana hanno causato a questo mirabile esempio di architettura nuragica, un elemento positivo c’è: il crollo ci permette di vedere una sezione perfetta del Nuraghe, in maniera tale che oggi si può apprezzare la tecnica costruttiva impiegata in questo sito.
Ma ciò non deve consolarci e non deve lasciarci inattivi ancora per troppo tempo. Il Nuraghe Burghidu versa in uno stato drammatico di conservazione. La
Sovrintendenza, il Comune di Ozieri, la Comunità Montana, i proprietari del terreno su cui sorge il Nuraghe, o chi per loro, hanno piazzato sul posto un cartello molto eloquente con scritto: PERICOLO CROLLI. Ovviamente il solito buontempone ha provveduto a impallinare il cartello per renderlo ancora più precario e il bestiame che pascola inconsapevole sulla piana del Nuraghe, magari nell’atto di grattarsi qualche parte del corpo difficilmente raggiungibile, ha ben pensato di utilizzare il cartello istituzionale, piegandolo clamorosamente al suolo.
Entrare in quel Nuraghe significa rischiare la vita, e non è un eufemismo. Ormai ridotto a nido d’uccelli di ogni sorta, con i pavimenti completamente ricoperti di guano e le pareti schizzate dallo stesso e il conseguente odore fetido che ammorba l’intero sito, il Nuraghe Burghidu attende, ormai da secoli io credo, un intervento serio e tempestivo, quantomeno di puntellamento, onde evitare ulteriori disfaciment..
Parole al vento. Il Nuraghe rimarrà, ahinoi, così per chissà quanto tempo ancora, senza che qualcuno si accorga di ciò che esso rappresenta. Un gioiello incustodito che urla nella piana di Chilivani tutta la nostra vergogna. Vergogna di un popolo che non raccoglie le spoglie del suo passato storico e che non si cura se testimonianze importantissime di una civiltà, la prima civiltà in quanto tale in Europa, crollano, collassano e spariscono nei meandri del tempo.
Che tristezza. cos'altro si può dire? non è previsto neppure un intervento nel futuro? cosa dice la soprintendenza?
RispondiEliminadae Nanni Falconi
RispondiEliminaM'ammento cando, chimbant'annos a como, pitzocheddu minore mi faghia a pee su caminu chi andaiat dae su biviu de Tula a sa costa. Non mancaia mai de m'arrere a mi l'isperiare e sa conca mia de criadura si perdiat in milli bisos e preguntas. B'aiat cue acurtzu una funtana de abba ruja. Abba ruja da su ruinzu chi essiat dae sa roca piena de ferru, mi naraiant. Chie l'ischit si b'est galu! Mi nde bufaia de cuss'abba pesosas chei su ferru etotu, ca su sidis, giompidu a cue, bi fit semper.
Ite dolu cussu nuraghe a nde falare, est sa bandera de sa mancàntzia de istima de sos sardos comente popolu, su de creer chi no amus istòria, su nos sentire iscozonados. Su nuraghe de Bùrghidu, nd'essit solu-solu in sa piana, che casteddu de bàrdia in unu campu chi cando l'ant fatu depet esser istadu una traja de tzinniarzu e iscobarzu.
Gai est sa sardidade nostra: una piana de tzinniarzu chi cheret tibbiada.
da Franco Laner
RispondiEliminaAh, quale ferita evoca il "mio" Burghidu! "Mio" perché chi studia un monumento, lo capisce, aggiunge qualcosa a quanto è stato già detto, lo fa per così dire suo, se ne impadronisce e diventa geloso! Esagero, ma c'è qualcosa di vero... Il Burghidu ha attirato l'attenzione di Lamarmora, che lo ha fatto disegnare nel suo "Viaggio in Sardegna", è stato particolarmente ben costruito, è un quadrilobo anche se la letteratura parla di due torri o di un trilobo. Ho seguito un paio di tesi proprio sul tema del suo restauro. Ho denunciato con articoli, specie sulla Voce del Logudoro (settimanale della diocesi di Ozieri) la sua vulnerabilità e la necessità di intervenire. La risposta è stata quel cartello fotografato da Sotgia.
Mostro il superbo Burghidu e propongo una semplice tecnologia a secco per la sua messa in sicurezza e conservazione ad ogni convegno a cui partecipo. Ne ho parlato con responsabili della Soprintendenza (Boninu e Basoli), con l'Amministrazione di Ozieri.
Nulla... Peccato! Non so dire altro.
Quando si è sopra il Burghidu, nel Campo di Ozieri, si capisce assai bene cosa vuol dire Mircea Eliade: ogni tempio è un centro. Alzato su rilievo che non raggiunge 100m, è -non sembra- il centro del mondo! E si percepisce altresì che quell'opera è un IMAGO MUNDI.
Leggo con immenso piacere, credetemi del tutto genuino, che il Nuraghe Burghidu gode di tanto affetto da chi ha a cuore il monumento in se per se e tra chi è studioso o anche semplice appassionato di archeologia in particolare e di storia in generale. Vorrei che queste pagine e questi commenti venissero letti anche da chi ha la facoltà a dare il via ai lavori (Dott.Laner voglia spiegarmi meglio la sua idea sulla tecnologia a secco, che è molto interessante, soprattutto in seguito alla lettura che ho fatto di un suo articolo su GEOCENTRO intitolato "L'arte del murare a secco. Dove le pietre non dormono mai", altamente istruttivo e formativo), la onde mettere in sicurezza il Nuraghe in attesa di una più lungimirante politica di scavi e di studi.
RispondiEliminaChe tristezza, una vergogna assoluta
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