Con la scusa della spesa pubblica, il neo giacobinismo italiano sta tirando fuori il meglio che ha per deprimere il sistema delle autonomie. E non si rende conto che sta provocando una reazione a catena di cui, un giorno o l'altro farà le spese quel “sentimento nazionale” in nome e per conto del quale pensa di agire. La messa in mora di quel simili-federalismo che è in cantiere ha un filo conduttore nella questione della spesa e tanto i suoi nemici hanno tirato la corda che adesso le regioni contestano la spesa dello Stato: dimagrisca lui, prima di chiedere a noi di farlo.
È una ribellione che unisce la destra al governo alla sinistra all'opposizione, quasi a significare che il sistema dei poteri regionali e quello dei poteri dello Stato sono entrati in conflitto come, forse, mai era accaduto con tanta unanime ampiezza. Insomma il centralismo, che si alimenta di politica e di stampa nazionalista, è destinato a farsi un autogol. Né aiuta a allentare la tensione la sentenza della Corte costituzionale che respinge la richiesta di nove regioni di poter dire la loro sull'impianto di centrali nucleari sul loro territorio.
Quel micidiale amalgama di ideologia, di retorica e di astio nei confronti del sistema autonomistico sta spingendo verso la crisi profonda lo Stato nazionale. Retorica e ideologia statolatra, con i loro richiami al sentimento nazionale, all'unità nazionale e con il loro disegno di una vulgata storica insostenibile stanno facendo acqua. La “unità nazionale” è un simbolo valido finché condiviso, fino a che quella astrazione della nazione italiana è riconosciuta come realtà non solo dai cittadini di nazionalità italiana, ma anche quelli delle altre nazionalità della Repubblica. Diventa un “sentire” in crisi quando si tenta di imporlo: i cittadini italiani che si “sentono” di nazionalità italiana hanno tutto il diritto di nutrire questo sentimento, ma non quello di imporlo agli altri cittadini della Repubblica, quelli di nazionalità sarda, sudtirolese, friulana, valdostana.
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