Signor presidente Cappellacci,
leggo, e me ne compiaccio con lei, della sua levata di scudi contro la strisciante e sciagurata ipotesi di ridurre a zero la specialità della Sardegna e, con essa, quella di altre regioni a statuto speciale. Il fatto che questa balzana idea frulli da molto tempo nella mente del ministro Brunetta, economista e economicista, la dice lunga sul retroterra culturale e politico che le sta dietro. Come in tutti gli economicisti, di destra, di sinistra, di su e di giù, c'è la convinzione che la specialità sia prodotto del dislivello di sviluppo economico e, per noi, della condizione geografica di insularità.
Assicurando, anche con il federalismo fiscale, eguali opportunità di sviluppo e riconosciuta l'insularità della Sardegna – questo è il ragionamento – che senso ha continuare a considerare “speciale” la Sardegna? Leggo su un quotidiano italiano che, anche lei, la specialità “ha ragioni storiche ineliminabili”. È proprio così e fa bene leggere che il presidente della Sardegna mette in disparte la querula lamentazione sul poco che ci si da e affermare che la specialità ci spetta, non è un regalo.
E qui, però, cominciano le riflessioni sulla distanza che separa l'affermazione dei diritti e l'esercizio dei diritti. In quest'anno di sua Presidenza abbiamo sentito affermazioni importanti sull'identità, sulla lingua, sulla cultura, sul fondamento storico del nostro essere nazione “distinta dalla nazione italiana”, come ricordo di averle sentito dire. Ma questo intreccio identitario non basta declamarlo, bisogna esercitarlo. Altrimenti, come succede in questa vicenda che angustia lei e gran parte del popolo sardo, ha buon gioco l'economicismo nel ritenerle mozioni degli affetti senza conseguenze pratiche.
Nel Piano di sviluppo regionale si è riconosciuta la valenza della lingua sarda come motore dello sviluppo. L'articolato movimento a favore del sardo e delle altre lingue parlate nell'isola ha salutato questo riconoscimento come originale e decisivo. Ma è rimasta quasi esclusivamente affermazione di principio. In quel motore di sviluppo si è messa una quantità ridicola di carburante che, stando così le cose, renderà solo più dolce la morte del sardo. Altro che contribuire allo sviluppo. So benissimo che, nel frattempo, hanno deflagrato emergenze a catena con in gioco posti di lavoro. Ma non mi pare che le questioni della lingua e degli altri aspetti dell'identità, che pure, secondo il suo programma, dovevano essere al primo posto, abbiano avuto la forza di affermarsi anche in un disegno di un nuovo modello di sviluppo.
Come pensare che altri prendano atto delle ragioni della nostra specialità, se per primi siamo noi a non crederci? Se siamo noi a non saperle mettere al primo posto? Rilancio una richiesta del Comitadu pro sa limba sarda: le questioni dell'identità, e in primo luogo, quelle legate alla lingua sarda e alle lingue alloglotte devono essere in capo alla Presidenza della Regione. L'assalto che lei teme alla nostra specialità ha una sola possibilità di sconfitta: mostrare nei fatti che essa ha, come lei ha detto, “ragioni storiche ineliminabili”.
In Egitto sul piano di sviluppo non c'è tanto la lingua (visto che hanno un contesto socio-linguistico diverso) ma la Storia: serve ad educare le nuove generazioni ed a costruire il senso di patria, ma non solo, perché nel piano di sviluppo serve soprattutto a creare quegli elementi sociali che valorizzeranno il patrimonio storico-monumentale-archeologico del Paese, implementando quindi il valore aggiunto dell'economia turistica. Quì non solo abbiamo un Popolo che ignora i suoi possedimenti, ma spesso li usa anche come bagli pubblici...Quando la storia Sarda entrerà in un piano di sviluppo regionale da queste parti non si sa. Stiamo però bene attenti a non dare solo priorità alla lingua (che pure la merita) in un contesto dove la specialità ed il suo valore non è solo di natura linguistica ma, più in generale, anche culturale, su diverse pertinenze. E' questa la battaglia che deve interessarci anche quando e se si riscriverà lo Statuto speciale. - Bomboi Adriano
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