sabato 30 gennaio 2010

Sorry, devo moderare i commenti

Cari amici di questo blog,
sono costretto a moderare da questo momento i commenti per via di un tentativo neppure maldestro di dirottare le discussioni in questo blog. Lo avevo paventato e il momento è arrivato. Spero davvero che si tratti di un provvedimento temporaneo, perché vivo questo come un brutto colpo alla libertà che ha sempre contraddistinto questo spazio. Chiedo scusa a tutti, a chi apprezza il blog e a chi lo contesta, ma non è giusto, né per gli uni né per gli altri, essere trascinati in una suburra. Gli e gli altri hanno la mia assicurazione che i loro post saranno immediatamente pubblicati

venerdì 29 gennaio 2010

Macché Regno di Savoia d'Egitto, era Regno di Sardegna

di Francesco Cesare Casula

Ho letto con interesse e rispetto tutto ciò che è stato scritto (33 interventi!) sul mio ultimo lavoro che, in fondo, è il mio testamento storico a futura memoria. In esso, cerco di sostituire la storia regionale dell’isola, che non ha forza proponente al di là del mare (a nessuno, al fuori di noi, interessano i nostri nuraghi, la nostra lingua, le nostre tradizioni, la nostra società, la nostra antropologia, ecc. ecc.), con la storia degli Stati che in Sardegna si formarono dal periodo antico a quello contemporaneo, perché questi hanno valore universale, uguali in tutto il mondo.
Ma, chi mi vuol seguire su questa strada, non può usare le sue categorie tradizionali, non può far ricorso all’antropologia (= è sardo il fonnese o il cabrarese e non il piemontese o il ligure), non può richiamarsi alla politica (= siamo stati sempre dominati, non abbiamo fatto noi l’Italia ma i savoiardi). Se mi vuol seguire in questa nuova strada deve rifare il mio percorso istituzionale, con pazienza e intelligenza (mi ci son voluti quarant’anni per liberarmi dall’italianità della storia). Deve prima tornare all’analisi grammaticale delle scuole elementari, e riabituarsi a distinguere fra il nome (concreto) e la cosa nominata (per esempio, se si dice: Regno di Sardegna si deve scrivere a fianco: titolo e nome di uno Stato; così pure per il Ducato di Savoia che, ugualmente, è il titolo e il nome di uno Stato. E dietro la parola Stato c’è un popolo stanziato in un determinato territorio che ubbidisce alle stesse leggi. Per cui, non si può uscire fuori dai binari e dire che, in sostanza, il Regno di Sardegna non era altro che il Regno di Savoia. Sarebbe come dire che i miei antenati non sono mai esistiti, perché a vivere nel Regno di Sardegna nel Trecento, nel Quattrocento, nel Cinquecento ecc. erano i francesi della Savoia).
Stabilito il rapporto fra il nome e la sostanza, si torni al nome: Repubblica Italiana. Esso qualifica indubitabilmente uno Stato, il nostro Stato. Ebbene, mi dicano i detrattori quando è nato, dove è nato, e qual è la storia di questo Stato, del nostro Stato… A questo punto, sono disposto a dialogare...

mercoledì 27 gennaio 2010

Parco dei fenici: rieccoli

La dizione esatta è “Phoinix- Parco archeologico del golfo dei fenici” ed ieri, negli uffici della presidenza della Provincia del Medio Campidano, l'obbrobrio ha fatto un altro passo in avanti. I presidenti delle province di Oristano, Pasquale Onida, e del Medio Campidano, Fulvio Tocco, hanno deciso – come recita un comunicato della provincia di Tocco - “di chiedere un incontro con il Presidente della Regione Cappellaci e l’Assessore regionale alla Cultura Lucia Baire, con lo scopo di concordare una strategia comune da portare al tavolo del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, che peraltro ha manifestato interesse al progetto inviando, in data 11-02-2009, una nota di plauso all’iniziativa”.
I giornali ancora non parlano dell'incontro e siamo, quindi, i primi a sapere della testarda insistenza di chi ha ormai deciso di cambiare il nome del golfo di Oristano in quello di golfo dei fenici. Il tutto, ci mancherebbe altro, per “riproporre con forza, in chiave moderna e di fruizione, la nostra identità”. Il progetto del professor Raimondo Zucca, presente all'incontro con il dott. Alessandro Usai e la dott.ssa Emerenziana Usai della Soprintendenza archeologica, va dunque avanti e conquista nuovi adepti: i sindaci di Arbus e di Guspini.
Il cuore del progetto” informa il comunicato “è imperniato sui siti archeologici delle tre città fenicie, che resero il territorio che si affaccia al golfo di Oristano florido di risorse e di commercio: Neapolis per le risorse minerarie (piombo argentifero), Othoca per le risorse agricole e Tharros per le risorse minerarie (sale e ferro)”. Come si può leggere nelle “Proposte per la predisposizione del Piano regionale per i beni culturali” della Provincia dei fenici (pardon, ancora di Oristano), il progetto di Zucca interessa “le aree archeologiche di Tharros, San Salvatore, Monti Prama-Cabras; Othoca. Santa Giusta, Terralba (Lagune utilizzate come Porto di Neapolis) - Guspini (MC): area urbana di Neapolis. Le aree saranno correlate dalla via dei Fenici estesa nella ZONA B che comprenderà i paesaggi tipicamente fenici dei fiumi, delle lagune, delle paludi, delle saline, delle pianure, delle colline e delle coste (Aree gravitanti attorno al golfo di Oristano dei comuni di Guspini - Arbus (MC), Terralba, S. Nicolò d’ Arcidano, Arborea, S. Giusta, Oristano, Cabras, Riola, Nurachi, San Vero Milis)".
Prego notare quel “paesaggi tipicamente fenici” per il quale suggerirei di attribuire l'onorificenza di “Feniciomane di bronzo” all'autore della pregevole definizione di un paesaggio tipicamente sardo.

Nella foto: la riunione per il Parco del golfo dei fenici

martedì 26 gennaio 2010

Una colletta per far esaminare la tavoletta di Tzricotu?




Diversi lettori, nei loro commenti all'articolo firmato Su Componidori, sollevano giustamente un problema: perché non sottoporre la tavoletta di Tzicotu alle analisi opportune, in modo di stabilire definitivamente la loro datazione? Più che opportuno, io credo che sia urgente. Lo credo, e ne ho scritto, più di due anni fa, quando questo blog era letto da non moltissime persone. L'occasione fu data dalla notizia che l'ex soprintendente Giovanni Azzena aveva scritto al Comune di Cabras per annunciargli che la tavoletta di Tzricotu sarebbe stata di lì a poco restituita a quell'amministrazione.
Azzena prospettava l'idea di un esame da parte di “un esperto nel campo alto medioevale”, proponeva una manifestazione pubblica ben preparata e al riparo da “polemiche e rivendicazioni controproducenti”, prospettava l’esigenza di un’analisi chimico-fisica del reperto. Azzena non è più soprintendente, non so se la tavoletta sia stata restituita a Cabras, nessuna manifestazione di riconsegna è stata fatta e, soprattutto, quel bronzo non è stato sottoposti ad alcuna analisi chimico-fisica. Di qui, un dibattito a volte estenuante nel corso del quale alle cose dette a sostegno della tesi di Gigi Sanna si oppongono quasi sempre commenti di incredulità o negazioni supportate da una tesi secondo cui le tavolette di Tzricotu sarebbero non nuragiche ma medioevali.
Cosa che, del resto, lascia supporre l'ex soprintendente Azzena. Sottoporre l'unica tavoletta in carne e bronzo (delle altre si hanno solo fotografie) all'analisi chimico-fisica prospettata da Azzena sarebbe l'unica cosa saggia da fare. E solo la Soprintendenza la può decidere, se solo volesse. E, a quanto pare, non lo vuole. In prima persona non parla, con un atteggiamento di supponenza difficile da digerire. Da anni a questa parte tiene in non cale quanto vien fuori da quanto in materia di archeologia scrivono i non chierici; a che mi ricordi ha risposto solo a un quotidiano che riportava l'interrogazione di un parlamentare sardo. La figura, a quel che risulta dalla risposta del ministro Bondi al senatore Massidda, non è eccelsa. Ma non è questo che importa: importa che in quelle stanze si sente il dovere di rispondere solo a chi ha potere, non ai contribuenti.
Se non parla in prima persona, manda a dire. Manda a dire che non può star dietro a ogni stormir di fronde. Eccolo il punto: accertare che, intorno al XIV secolo, e comunque prima dell'arrivo dei fenici, i sardi scrivessero, avessero fatto ingresso nella storia, non è uno stormir di fronde: è una bufera di vento. Credo che ognuno di noi abbia consapevolezza di che significato abbia avere la prova provata che la vulgata finora raccontataci è infondata. C'è una certezza, a quel che si sa, in quelle stanze: la tavoletta di Tzricotu in possesso della Soprintendenza è un manufatto tardo-medioevale, come dire qualcosa fatto ventiquattro-ventisei secoli più tardi di quanto dica Gigi Sanna.
Ma se ci fosse una certezza tanto grande, cosa costerebbe fare le analisi chimico-fisiche annunciate dal professor Azzena e mettere a tacere per sempre la storia della tavoletta nuragica? Non ci sono soldi? Proporrei una sottoscrizione fra i lettori del blog, se non suonasse offensivo per la Soprintendenza e per il governo cui deve rispondere. Intanto ci si propone, in questo spazio, di confrontare matrici di fusione sicuramente medioevali con le tavolette di Tzricotu. Raccogliendo l'invito di un assiduo lettore e collezionando le foto pubblicate su Sardoa Grammata delle quattro tavolette, propongo un confronto fa esse e quattro delle immagini inviate da Mirko Zaru che, secondo un altro lettore, non sarebbero poi così incompatibili con quelle delle tavolette.

Nelle foto: l'assemblaggio delle quattro tavoletta da Sardoa Grammata e quattro delle immagini di matrici che sarebbero più compatibili con le prime. Le ho rovesciate per rendere più facile il confronto

lunedì 25 gennaio 2010

Aspettando il giorno di Monti Prama, i maestri...

di Francu Pilloni

Sto aspettando, senza ansia, Sa dì de sa Sardigna. E non per vedere se a Monti Prama questa volta saremo sempre e solo in tre, oppure in trecento. Spero che non cada di domenica, perché eviterebbe al maestro di comunicare che non si va a scuola e si fa vacanza. Qualche scolaro chiederà perché non si va a scuola e questa domanda è una manna (piovuta dai banchi) per il maestro il quale si rammarica, o almeno dovrebbe, se qualche bambino invece gli chiede perché si va a scuola.
Allora il maestro (o la maestra, sempre e comunque) lascia perdere la programmazione giornaliera o settimanale (ma perché avranno tolto la spontaneità all’insegnamento?) e forse anche il campiello culturale che gli è stato assegnato nel modulo, e parla degli eventi di quel lontano 1793, che hanno indotto il Consiglio Regionale a un passo così significativo.
Di certo vuol inquadrare il momento storico in una cornice mondiale degli eventi e parla di tre “rivoluzioni”, nel senso che hanno messo sottosopra le cose esistenti, fossero pure valori culturali o etici e non solamente quelli politici ed economici: Illuminismo, Rivoluzione nordamericana e francese. Tutte cose che in Sardegna erano conosciute eccome! Specialmente la Grande Rivoluzione, la Rivoluzione per antonomasia, quella francese che, scoppiata 4 anni prima al grido di Libertà, Fraternità, Eguaglianza, era ancora in evoluzione, ma certo non si tace che i coloni nordamericani si erano ribellati di fronte alla prepotenza dei padroni politici di qua dell’Atlantico.
Finito il preambolo, gli o le toccherà entrare nel merito di quello che oggi viene sempre più chiamato “Biennio rosso” della Sardegna. Non può esimersi dal dire che la nostra isola era passata dal dominio spagnolo a quello sabaudo, in virtù di un patto stipulato altrove non solo sulla testa di noi Sardi, ma di tutti i popoli chi vi furono coinvolti. Praticamente, tutti gli Europei.
Il maestro si accorge subito che non può dire biennio rosso, perché non ci fu una goccia di sangue sparsa per le vie di Cagliari, né sul piazzale del porto dove accompagnarono i “piemontesi”, aiutandoli a caricare sulla nave i tanti e ingombranti bagagli.
“Come quelli che ci portiamo in vacanza?” chiederà un bambino tutto preso del racconto, “No, di più, di più!”.
Né, suppongo, erano ancora in uso le astrazioni di rosso, di bianco o di nero, che scematizzano l’appartenenza politica e/o culturale. Anche le camice rosse di Garibaldi erano di là da venire.
Allora si limiterà a dire che tutti i “piemontesi” servitori dello stato furono cacciati e il parlamento sardo, non senza grandi discussioni, elaborò una serie di richieste da sottoporre al re. Chiarito che non misero a morte il monarca, né lo sfiduciarono, i “rivoluzionari del 1793” mandarono dei delegati a con ben cinque richieste da sottoporre all’attenzione del re.
Le ottennero? Beh, non bisogna vergognarsi di dire che i delegati del parlamento sardo (per correttezza ortografica dovrei scriverlo con l’iniziale maiuscola, ma va bene lo stesso) vissero per giorni e giorni, e s’intende dire settimane, mesi e anni, in anticamera aspettando che sua maestà (stesso discorso ortografico, me lo permetto perché sono in pensione) li ricevesse non tanto per soddisfare le richieste, ma solamente perché ne fosse informato. Di fatto, i delegati invecchiarono nelle anticamere del palazzo regio di Torino e le loro consorti, di fatto, furono vere e proprie “vedove bianche”.
“Ma cosa successe poi?”, c’è sempre qualcuno che lo chiede, anche alla fine di una favola che pareva davvero terminata. Accadde, si dovrà per forza dire; che i “piemontesi” tornarono ai loro posti di comando, che i capi della “rivoluzione” ebbero i loro contentini: uno, ad esempio, fu fatto direttore delle imposte e i Cagliaritani vi si affezionarono tanto, che lo ammazzarono nel buio di una strada di Castello, senza che nessuno abbia mai pagato per questo (meglio no fare neppure il nome. A che pro? Forse che i Sardi, e i Cagliaritani in particolare, danno i nomi di questi “eroi” ai loro figli?).
“Ma cosa dovevano chiedere al re?”, si può stare tranquilli, che a qualcuno non è passato inosservato quello “svicolare” del maestro sull’argomento.
Si possono raccontare fandonie ai bambini?
Si dirà che chiedevano esattamente il contrario di ciò che si gridava nella Rivoluzione Francese: i baroni, i feudatari che possedevano la terra in Sardegna (da costoro era fatto il parlamento sardo, anche se non esclusivamente, ma meglio sorvolare) volevano conservare i privilegi di cui godevano sotto la monarchia spagnola, i privilegi dell’età feudale.
“Ma allora…?”, e lo sconcerto apparirà nitido sul viso pulito di una alunna.
A questo punto, bisogna salvarsi in corner.
Sapete voi quando, cioè in che giorno, in che mese e in che anno, Francesco Ignazio Mannu scrisse, o almeno iniziò a scrivere, o si può supporre che abbia concepito l’idea di scrivere, l’ inno Su patriottu sardu a sos feudatarios?
No. Fu pubblicato a Cagliari trent’anni dopo, anche se si dice che una stampa clandestina fosse già stata fatta in Corsica. Dunque è solo un mezza verità dire che in quella data ricordiamo anche la nascita dell’Inno nazionale sardo. Quello che è oggi considerato tale, che pure parla di barones e di tirannia. Soggetti che, sappiamo tutti, sono ancora in circolazione, non ostante l’euro.
E questa è pura verità.

sabato 23 gennaio 2010

Sos furrighesos di Anela: ecco cosa dice il ministro Bondi

di Piergiorgio Massidda

Caro Pintore,
comunico a lei e ai lettori del suo Blog, le cui notizie hanno ispirato la mia interrogazione al ministro dei Beni culturali sui danni alla necropoli di Sos Furrighesos, che il ministro Bondi ha dato la risposta scritta che allego. Mi è parso doveroso informarne prima di tutti i lettori del Blog.

Con riferimento all' interrogazione in oggetto, si osserva quanto segue.
Dall'esame degli atti d'ufficio, nonche dal sopralluogo effettuato dai Carabinieri del Nucleo Tutela Beni Culturali della Sardegna lo scorso 11 novembre, è emerso che i danni registrati nella necropoli di Sos Furrighesos denunciati dal "Gruppo ricerche Sardegna", cui fa riferimento il Senatore interrogante, non sono recenti, ma risalgono con certezza in epoca anteriore al 1970.
Tale circostanza, infatti, è desumibile sia dalla relazione allegata al decreto ministeriale 24 novembre 1971 di vincolo della necropoli, sia dalle varie pubblicazioni scientifiche quali ad esempio il "Notiziario" della rivista di Scienze Preistoriche e in un articolo pubblicato il 28 ottobre 1970 nel quotidiano "La Nuova Sardegna".
In particolare, quest'ultimo articolo recita testualmente che "...assieme a numerosi graffiti anneriti dal fumo originato dalla accensione di fuochi da parte di pastori si trovano certi referti, anzi si trovavano... in quanto qualche anno fa i soliti amatori di antichità hanno tentato di asportare, ritagliandola a colpi di scalpello, la sezione di roccia nella quale erano le incisioni, frantumandole purtroppo e rovinandole definitivamente". Si rassicura, comunque, il Senatore interrogante che a seguito della segnalazione da parte del "Gruppo ricerca Sardegna", i Carabinieri del Nucleo tutela beni culturali della Sardegna hanno iniziato tempestivamente delle indagini, tutt'ora in corso, proprio al fine di recuperare i reperti trafugati.
Quanto ai provvedimenti che si intende porre in essere al fine di preservare il patrimonio culturale della Sardegna, si fa presente che di recente è stato avviato in collaborazione con la Regione autonoma della Sardegna un progetto volto a far fronte alle molte emergenze archeologiche esistenti nelle province di Sassari e Nuoro.
In particolare, per la Necropoli di Anela si sta concludendo l'esproprio per la valorizzazione del sito da parte del Comune interessato, che ha collaborato con la Soprintendenza archeologica della Sardegna, alla predisposizione di un progetto di prossima attuazione, relativo alla conservazione ed al restauro del complesso ipogeico di Sos Furrighesos.

Qualche cosa in più su Tzricotu

di Su Componidori (*)

Confesso di non avere specifiche competenze di archeologia e tantomeno di epigrafia, ma intervengo da comune “osservatore” con alcune considerazioni sui documenti di Tzricotu. Dal mio punto di vista, credo non sia limitativo un approccio metodologico di base nell’analisi delle tavolette di Tzricotu. In rete è possibile trovare strumenti abbastanza validi, ancorché generali, come ad esempio: “La metodologia per analizzare le opere d’arte”, presente (ma ciò non giustifichi una sottovalutazione) nel sito di una scuola elementare.
In sintesi, gli elementi da prendere in considerazione sono relativi a tre aspetti.
1)Informazioni relative all’opera…
2)Lettura dei contenuti dell’opera, da svilupparsi su più livelli…
3)Analisi degli elementi extra-contestuali…
La fotografia della tavoletta A1 è l’unica immagine dell’oggetto reale fin’ora a disposizione.
La scheda tratta da “Sardoa Grammata” ne identifica il materiale, le dimensioni, la provenienza, la tipologia.
In merito al primo punto, si possono aggiungere da subito alcune note sul materiale bronzeo.

Leggi tutto

(*) E' lo pseudonimo con cui si firma anche su altri siti un intellettuale dell'Oristanese

venerdì 22 gennaio 2010

I Shardana di Porrino: 40 anni di oblio

di Giovanni Masala

Spesso, da quando ho dato alle stampe testo e compact disc de I Shardana di Ennio Porrino (I Shardana. Gli uomini dei Nuraghi: Dramma musicale in tre atti), sono stato contattato da studenti, laureandi o semplici amanti della musica porriniana, con la preghiera di aiutarli a trovare recensioni, critiche e scritti vari sull’opera del compositore cagliaritano, nonché informazioni sulle esecuzioni delle sue sinfonie, balletti e opere liriche. Pensavano insomma che, oltre all’eccellente monografia di Mario Rinaldi (Ennio Porrino, Cagliari 1965), alcune pubblicazioni di Felix Karlinger e altri pochi scritti, esistessero ben pochi saggi e articoli su Porrino e la sua arte.
Se è vero che, come scrisse Rinaldi, è: “impossibile una catalogazione di tutti gli articoli critici che hanno parlato delle musiche e delle esecuzioni del Porrino”, nacque in me così la curiosità di verificare l’affermazione del critico musicale romano con l’obiettivo finale di pubblicare un volumetto che potesse diventare per studenti e studiosi alle prime armi (e non) un punto di riferimento abbastanza utile di introduzione allo studio dell’opera porriniana, soprattutto allo scopo di facilitare la ricerca bibliografica sull’argomento. Ed effettivamente, da un accurato spoglio bibliografico che chi scrive ha condotto di recente, è stato possibile rilevare che dai primi anni Trenta del Novecento fino ai nostri giorni è stata pubblicata (e non solo in Italia), una mole veramente immensa di articoli su Ennio Porrino, sia di tipo biografico che riferita a esecuzioni e rappresentazioni sulle sue creazioni musicali o sulla sua musica in generale.

Leggi tutto

giovedì 21 gennaio 2010

Vogliamo rimettere in piedi la nostra storia rovesciata?

di Francesco Cesare Casula

Prima che teorizzassi la “Dottrina della Statualità”, a partire dal 1980, esisteva un solo metodo di lettura degli avvenimenti isolani dalla preistoria ad oggi. Di contro, ora, la nostra storia può essere letta in due modi diversi: quello regionale di sempre, e quello nuovo statuale da me elaborato ed esposto nel volume: La terza via della storia. Il caso Italia, pubblicato dall’Ets di Pisa nel 1997.
Il metodo regionale tradizionale ha come soggetto di studio l’isola; quello statuale innovativo ha invece, come soggetto di studio, gli Stati che in essa isola si formarono durante tutto l’arco delle sue vicende umane. Adottando l’uno o l’altro sistema, il risultato è affatto differente: col metodo regionale si fa una storia solo interna, secondaria, assolutamente ininfluente nel quadro generale italiano ed europeo, per quanti siano gli sforzi degli storici sardi tradizionalisti atti a magnificarla. E di questo fallimento ne sono testimonianze montagne di libri scritti sulla Sardegna dal tempo dell’introduzione della stampa nell’isola ai nostri giorni (siamo la regione italiana con la maggiore produzione storiografica propria, pur senza apparente risultato).
La caterva editoriale comincia mezzo millennio fa con Giovanni Francesco Fara, vescovo di Bosa, considerato il più antico storico isolano.

Leggi tutto

Per leggere lunghi articoli, è più agevole stamparli. Lo si può fare cliccando sull'icona della stampante, una volta entrati nel sito [zfp]

mercoledì 20 gennaio 2010

La diversa storia evolutiva in Gallura e Ogliastra

di Silvia Ghiotto, Andrea Benazzo e Guido Barbujani (*)

Quando ci si interroga sulla storia evolutiva delle popolazioni, spesso si tende a considerare geneticamente simili popolazioni che hanno abitato gli stessi luoghi in diverse epoche storiche. Molte volte, negli studi di genetica di popolazioni, queste assunzioni sono inevitabili, ma in alcuni casi, quando si dispone del dato genetico antico, è possibile testare la continuità fra popolazioni antiche e moderne.
Nel nostro studio siamo partiti da alcune domande sulla storia evolutiva della popolazione Sarda. Analisi molecolari della variabilità genetica della popolazione Sarda moderna avevano evidenziato caratteristiche genetiche peculiari, distinguibili dalle altre popolazioni italiane ed europee analizzate. Questa caratteristica poteva essere dovuta ad una particolare storia evolutiva, unita a fenomeni di isolamento dovuti alla struttura geografica. Disponendo di sequenze di DNA antico nuragico dell’età del Bronzo e del Ferro è stato quindi possibile verificare, dati alla mano, se e fino a che punto fosse valida l’equivalenza fra popolazioni del presente e del passato, e controllare se la variabilità genetica delle popolazioni moderne potesse essere compatibile con la loro discendenza dalla popolazione nuragica.
Forse vale la pena di spiegare il perché di questi studi. Molti di noi sono abbastanza convinti di sapere a che posto e a che popolazione appartengono, eppure basta risalire nel passato di tre o quattro generazioni (chi erano i nostri bisnonni? Pochi di noi lo sanno) perché tutto diventi molto confuso. Gli studi di genetica ci consentono di capire qualcosa (purtroppo non molto) del nostro passato e della nostra evoluzione. È grazie a un paziente lavoro di studio del DNA se oggi sappiamo, fra le altre cose, che tutta l’umanità discende da un piccolo gruppo di antenati che ha lasciato l’Africa 60 mila anni fa e si è diffuso in tutto il mondo. Grazie alla genetica, e ad altre discipline che interagiscono con la genetica, come l’archeologia, la paleontologia, la linguistica e l’antropologia in generale, oggi possiamo dire che l’uomo di Neandertal, la forma umana che ha occupato l’Europa e un pezzetto di Asia per trecentomila anni, non era un nostro antenato, e possiamo sostenere che nella nostra specie non esistono razze biologiche scientificamente distinguibili. La variabilità genetica mondiale è infatti un sottoinsieme di quella Africana e studiando tale variabilità è oggi possibile capire in che modo i nostri antenati africani siano giunti a colonizzare tutto il pianeta. Gli africani siamo noi, i veri europei (i Neandertal) si sono estinti trentamila anni fa.
Nel nostro lavoro sulla Sardegna abbiamo sviluppato modelli espliciti di evoluzione delle popolazioni. Ci siamo cioè chiesti come dovrebbero essere i geni dei sardi moderni se i loro antenati fossero stati i sardi dell’età del bronzo, e come dovrebbero essere se ci fosse stata molta immigrazione dalla terraferma. In questo modo, siamo riusciti a confrontare queste previsioni con quello che si legge nel DNA di sardi antichi e moderni. Per questi ultimi, ci siamo concentrati su due regioni, Ogliastra e Gallura, che erano state studiate in dettaglio negli scorsi anni, mentre per i primi abbiamo fatto riferimento all’unico studio disponibile, che abbiamo pubblicato nel 2007 in collaborazione col gruppo fiorentino di David Caramelli e con un archeologo statunitense, Robert Tykot, che da molti anni è impegnato in campagne di scavo in Sardegna. È emerso che solo la popolazione dell’Ogliastra ha legami genealogici con la popolazione nuragica antica. In questo caso infatti, i dati genetici che simuliamo si avvicinano molto a quello che osserviamo nella realtà, e questa somiglianza aumenta se aggiungiamo al modello simulato un certo tasso di migrazione dal continente verso la Gallura (rendendo quindi lo scenario più realistico). Ci sembra anche di poter dire che il rapporto di parentela che osserviamo in media fra galluresi e nuragici è lo stesso che si osserva se si confrontano i DNA nuragici con DNA presi a caso nella popolazione europea. Una differenza così grande non ci sembra sorprendente. In fondo, l’umanità non sta mai ferma, e non c’è da meravigliarsi se la popolazione gallurese, come sembra, non si è formata a partire da antenati locali. Quello che sorprende di più, al contrario, è che ancora oggi in Sardegna si riescano ad evidenziare continuità genealogiche con popolazioni vissute più di 3000 anni fa, e che regioni così vicine, come la Gallura e l’Ogliastra, possano aver avuto una storia evolutiva tanto diversa.
Studi di questo tipo sono fondamentali non solo per il loro valore culturale generale (ricostruire la storia evolutiva umana e le migrazioni dei popoli), ma sono necessari come punto di partenza per capire come si sviluppano malattie complesse come il cancro e le malattie neurologiche degenerative.

Una piccola notazione, per concludere. Sul sito iRS - Repùbrica de Sardigna è in corso uno strano dibattito sul nostro lavoro. La stranezza consiste nel fatto che quasi nessuno degli intervenuti si è preso la briga di andare a leggere il lavoro che abbiamo pubblicato su Miolecular Biology and Evolution. In compenso, ben pochi si trattengono dal lanciarci accuse, in parte offensive, in parte solo strampalate. Saremmo razzisti, colonialisti, oppure poco seri; ci saremmo inventati i dati, avremmo raccattato le informazioni storiche chissà dove; vorremmo impressionare i lettori sottolineando il fatto che siamo un gruppo internazionale, anzi no, al contrario, faremmo finta di essere internazionali ma in realtà siamo tutti italiani, e pertanto eredi di Lombroso e delle sciocchezze scientifiche commesse dai lombrosiani. Abbiamo cercato di inviare una risposta, ma a quel sito possono aggiungere i loro messaggi solo utenti privilegiati. Vorremmo dire che, se qualcuno è disposto a discutere seriamente dei nostri risultati e delle nostre ipotesi, ne siamo solo contenti. Ma se ci si vuole semplicemente sfogare insultando un nemico lontano e immaginario (cioè noi), teniamo volentieri il becco chiuso.

(*) Gli autori di questo post hanno pubblicato sulla rivista “Molecular Biology and Evolution” uno studio sulla discontinuità genealogica fra Etruschi e Toscani che si occupa anche del fenomeno in Sardegna.

martedì 19 gennaio 2010

300.000


Trecento mila contatti in meno di un anno. Grazie

Sant'Antoni de su fogu in Orosei



Unu mamentu pro pasare sos cherveddos, impinnados in arresonos de bundu. Custa fotografia de Annedda Muscau, tirada sa note de su Ramasinu, su fogu de Sant'Antoni in Orosei, nos contat de una traditzione chi, in Baronia gasi e totu che in àteros Logos de Sardigna, nos amentat s'antigòriu prus a tesu: su ballu a in ghìriu de su Palu birde, su chi - aiat iscritu su Papa a Ospitone in su 594 - cheriat catzadu dae sa relizosidade de sos sardos. Galu como, cada unu depet fàghere tres ziros a in ghìriu de su fogu.
A chie cheret, s'abistet custu video de pagos minutos.

lunedì 18 gennaio 2010

Chie bos faghet lutu, mortos de Osposidda?

Venticinque anni fa, il 18 gennaio 1985, a Gothene, nelle campagne di Orgosolo, ci fu una sparatoria fra polizia e banditi: morirono il sovrintendente Vincenzo Marongiu e quattro banditi, Giovanni Corraine, Giuseppe Mesina, Nicolò Floris di Orgosolo e Salvatore Fais di Santu Lussùrgiu. È conosciuta come la strage di Osposidda.
Così la cantò Paolo Pillonca:
Allumadas de fogu
Chimbe carenas fritas:
Tintu a ruju ant su logu
In oras malaitas
Ballas graes at rutu
In sas frunzas d’armidda
Chie bos faghet lutu
Mortos de Osposidda?

A sa tzega sas armas
Fiores an brujadu
Sunt negadas sas parmas
A su malefadadu
Una bella ballata, musicata da Piero Marras, diventata il simbolo di tragedie collettive nella Sardegna segnata da sequestri di persona e dalla guerra portata al banditismo, non sempre, come in questo caso, in maniera intelligibile e chiara. I quattro banditi morti avevano rapito un imprenditore di Oliena, Tonino Caggiari, duecento olianesi di erano messi sulle tracce dei rapitori e avevano individuato il luogo in cui il rapito. Arrivò la polizia con il magistrato e alle due e mezzo del pomeriggio scoppiò il finimondo che durò per quasi tre ore.
Alla fine del terrbile conflitto rimasero per terra morti il sovrintendente di polizia e i quattro banditi. Li caricarono su camion e a sirene spiegate, in un corteo di vincitori, la polizia li accompagnò a Nuoro a sirene spiegate.
Sonende bos passizant
Finas in s’istradone:
òmines assimizant
a peddes de birbone
.
Gli uomini portati in trionfo come pelli di cinghiali. È una pessima pagina e una pessima figura dello Stato.

domenica 17 gennaio 2010

Nuraghes: Templi? Fortezze? Palazzi?



di Pierluigi Montalbano

Stimolato da alcuni blogger, ho pensato di proporre un quesito che ha provocato la creazione di fiumi di inchiostro da parte dei più illustri studiosi del settore: qual è la funzione primaria dei nuraghe?
L’enorme difficoltà nel formulare un’ipotesi verosimile scaturisce da varie problematiche ancora irrisolte, fra le quali segnalo l’evoluzione cronologica delle varie tipologie (nuraghe a corridoio e complessi, ingressi e tholos da tronco-ogivale a ogivale, finestrelle, torri aggiunte…), la somiglianza (come si vede dalle foto) con alcune strutture del vicino oriente, l’apparente contrasto fra le enormi risorse richieste per la costruzione e la povertà delle ceramiche prodotte nello stesso periodo, la presenza del maggior numero di offerte nei pozzi anziché nei nuraghe, l’elevatissimo numero e la distribuzione nel territorio con tipologie diverse, l’assenza totale di defunti all’interno, l’autorizzazione da parte di eventuali capi per edificare in tutto il territorio capillarmente.
Come se ciò non bastasse, a complicare le cose c’è il fattore guerre: non esistono tracce (o notizie di tradizione orale) di importanti battaglie combattute nei pressi delle strutture, ma alcuni studiosi (me compreso) sostengono che i famigerati shardana, uno fra i principali popoli del mare, erano bellicosi sardi navigatori. Ed erano temuti e rispettati in tutto il vicino oriente, dall’Egitto alla Turchia…passando per Ugarit, il crocevia siriano dei commerci dell’Età del Bronzo. Come è possibile che questi formidabili spadaccini e arcieri fossero originari di un pacifico paradiso terrestre governato dagli dei e dai sommi sacerdoti?
La mia proposta vede la Sardegna del II Millennio a.C. come una ricchissima terra (ereditò le immense risorse derivate dallo sfruttamento dell’ossidiana, del rame e del pescato) governata da almeno tre etnie (provenienti da occidente, nord-Africa e oriente) che, pur con qualche schermaglia nei confini, collaboravano e contribuivano a tenere lontani eventuali nemici che saltuariamente si presentavano nell’isola per accedere alle risorse minerarie. La casta sacerdotale (a stretto contatto con i sovrani) era intermediaria fra popolo e divinità e contribuì a mantenere la pace nei territori. Ritengo, inoltre, che la società (gerarchicamente divisa fra capi, sacerdoti, militari, artigiani, mercanti e produttori) fosse orientata ai commerci oltremare e avesse elaborato un sistema economico efficiente e vario (agricoltura, allevamento, marineria, pesca, metallurgia) che consentì ai residenti di dedicare tempo e risorse all’edificazione di migliaia di torri che tutto il mondo conosceva e arrivava ad ammirare. Capisco che questa mia visione romantica dei sardi antichi sia alquanto spoglia di dettagli, ma spero che la discussione che si creerà potrà colmare le lacune che si evidenzieranno.

sabato 16 gennaio 2010

Serpentelli di tutti i nuraghi unitevi

di Gigi Sanna

Ho dovuto cambiare ancora l’argomento di discussione promesso (il serpentello o ‘nun’ spezzato di Is Locci-Santus). Di ciò chiedo venia ma più in là si capirà il perché l’abbia fatto.
Credo che sia opportuno infatti, andando al di là dei sempre ‘limitati’ e sbrigativi post a commento, soffermarsi ancora sulla straordinaria barchetta nuragica bronzea postata da Pierluigi Montalbano qualche settimana fa. O meglio, argomentare di più sulla scritta, riportata con tecnica a puntinato e visibile, con sufficiente chiarezza, sul fondo della stessa.
Si è detto già perché il ‘romano’ proposto da certi archeologi (oltre al resto ritenuto con una certa sufficienza e superficialità di ‘semplice’ lettura), non c’entri per nulla. E non c’entra pertanto per nulla l’ipotizzato S(extus) NIP(ius), già per due semplici preconsiderazioni - diciamo così - di natura epigrafica e paleografica.
La prima - Lo strano latino ‘sillabico’. Dove sarebbe il NIP di NIP[IUS]? A meno che, cosa che ritengo difficilissima e del tutto indimostrabile nel romano (soprattutto reso in quel modo), non si ritenga che l’agglutinamento riguardi addirittura tre lettere N + I + P. L’etrusco lo fa, come sappiamo, ma rendendo sempre ben chiare, distinte pur nella legatura, ‘tutte’ le lettere impegnate . Il latino, che io sappia (ripeto, che io sappia), non lo fa.
La seconda - Lo strano ‘comportamento’ scrittorio stilistico. Si tracciano i segni rendendo il primo (la presunta lettera ‘esse’) con una doppia fila di puntini e proseguendo invece, con una sola per il resto della scritta. Perché una lettera così ben messa in evidenza, ‘distinta’, enfatizzata insomma, e le altre non?

Leggi tutto

venerdì 15 gennaio 2010

Ma quanti bei figli, madama Sardegna



di Pierluigi Montalbano

Eccoli i nostri avi.
Ci osservano, si mostrano fieri, decisi, ma hanno tutti lo stesso sguardo interrogativo che pare suggerire una domanda: “Gli studiosi del XXI secolo d.C. capiranno chi siamo?”
Sembrano perplessi davanti alla nostra ignoranza. Erano convinti di aver lasciato una traccia indelebile nel tempo, un forte segnale che, attraversando i millenni, sarebbe arrivato forte e chiaro a illuminare la nostra ricerca. Ma
abbiamo perduto la memoria storica, non riusciamo più a distinguerli… eppure sono lì, a dimostrare con tutte le loro forze che parteciparono attivamente ad una società complessa e meravigliosa, in grado di produrre le più maestose architetture occidentali dell’epoca, e in grado al contempo di spingersi lungo il Mediterraneo per rapportarsi alle altre grandi civiltà del passato.
Osserviamoli con attenzione. Illustri studiosi li dividono in due gruppi: popolani e guerrieri o, con più scrupolo, Uta e Abini-Teti. Qualcuno, forse più informato, aggiunge Ogliastra, a dimostrazione che tanti visi non possono essere racchiusi in due sole categorie. Ma io vorrei invitarvi ad osservarli ancora più nel dettaglio, desidero far rivivere per un istante quei volti, voglio capire insieme a voi perché hanno tutti caratteristiche così singolari, tanto da aprire la mente ad ipotesi suggestive che vedono una classificazione ad personam.
Nell’immagine ho sezionato solo le espressioni, così da agevolare le comparazioni. Solo uno fra questi personaggi nuragici appare in tutta la sua eleganza: passo incedente egizio e segno sardo di saluto, a simboleggiare un legame che i millenni non hanno cancellato. Ricordo due grandi statue identiche trovate (mi pare da Bernardini) negli anni Novanta nella necropoli di Sant’Antioco.
Una è stata restaurata malamente e sicuramente sarebbe stato il caso di lasciarla come era. L’altra è stata nascosta (tumulata nuovamente nella stessa tomba) perché le tracce di colore avrebbero forse svelato qualche segreto che non si vuole accettare. Ma passiamo oltre perché è troppo facile entrare in polemica quando le cose funzionano male.
Guardate i copricapo, gli occhi, la morfologia dei visi… sono quelli di tanti individui che appartenevano a popoli diversi, tutti rispettosi verso i sardi, tutti devoti nell’atto di offrire o impavidi guerrieri rappresentati nell’istante della sfilata dopo il trionfo.
Ecco cosa era la Sardegna: un luogo dove una moltitudine di popoli arrivava in segno di devozione, una terra nella quale le comunità si mescolavano fino a perdere l’identità originaria per diventare sardi. Vorrei che qualcuno dei lettori si cimentasse nel riconoscere alcuni volti. Io vedo magrebini, egizi, africani dell’interno, orientali, sudamericani… e voi?

mercoledì 13 gennaio 2010

Lege bona, bastante chi sa murta siat murta e non mirto

de Antonimaria Pala

Est nova de oe, chi su Consìgiu regionale at aproadu sa lege de tutela de sos produtos agrìcolos e agroalimentares e cumpresos cussos traballados foras dae Sardigna ma cun matèrias primas sardas. Sos marcos Dop e Igp.
Unu provedimentu bonu e a cantu narant sos giornales, cun s’ènfasi ispantosa de sa pàgina bàtoro, de portada istòrica o “scelta epocale” comente l’ant definidu su reladore e s’assessore de s’Agricoltura, pro su chi pertocat s’amparu de sas produtziones sardas.
Làstima chi non lis siat bènnidu a conca chi si podiat pònnere in sa lege, da chi de denominatzione si tratat, de numenare sos produtos sardos cun su nùmene insoro: in sardu. Su nùmene de categoria so narende, non cussu cummerciale chi medas benes tenent finas como imbentadu o pigadu dae logos de logu o sardòides.
Sa lege in arrèsonu, dait prioridade a sas etichetas chi tzertìficant chi non b’at organismos geneticamente modificados. Ma sighint a modificare geneticamente s’anima de sos benes nostros lassende chi si potzat pònnere unu nùmene diversu dae cussu chi ligat su produtu a sa manera de lu mutire locale faghende lu diventare una cosa sola. Si podiat pessare a carchi imbentu pro aunire sa cosa chi faghimus inoghe, a sa manera chi in su giassu de orìgine tenent de la mutire. Pro faghere a manera chi cosas comente a “Mirto”, “Pecorino Sardo” o isvaliones comente a “Porcetto” non torrent a bessire a campu in su benidore.
A mie mi paret chi nemos, ne ingresos, nen tedescos, ne italianos aiant àpidu peruna dificurtade a nàrrere “Porcheddu”, “Casu Sardu”o “murta”. In prus nois, chi a su casu non li naramus formaggio e chi a sa murta non li naramus mirto e chi a su porcheddu non li naramus porcetto, nois sardos, intendo, aiamus àpidu manera de impitare sa limba nostra in su registru de su mandigare e de su bufare artu: cussu de sas grande distributzione, de sa visibilidade e de sa publitzidade in sos mèdia mannos.
Creo chi cando si narat “limba comente motore de isvilupu”, semus faeddende finas de cosas gosi, o no?
Ma si sos amministradores non sunt “creativos”, agiudamu los nois, gente de su movimentu linguìsticu, tzitadinos, produtores, trasformadores, e operadores turìsticos. Ca fortzis si podet acontzare si lu pedimus cun fortza, custa cosa. E si non si podet fàghere de su totu, fortzis si podet proare: sa polìtica no est s’arte de fàghere sas cosas?

domenica 10 gennaio 2010

Dubbio atroce: non è che Sant'Antioco sia stata anche nuragica?

Una piccola notizia su un quotidiano sardo da conto dello sfogo di Marco Massa, responsabile dell’archivio storico comunale di Sant'Antioco: “Sarebbe opportuno ... valutare se sia possibile una campagna di studi per l’immenso patrimonio archeologico del periodo nuragico e antecedente, che si trova sull’isola e nei dintorni”. C'è, nelle avance di Massa qualcosa di eversivo. Verrebbe da pensare che l'università, l'archeologia, la soprintendenza abbiano sottovalutato la presenza di autoctoni prima che sull'isola sbarcassero fenici e punici. Quando mai?
Per la verità, qualche sentore di sottovalutazione lo si ha anche leggendo il sito del comune sulcitano: “Le fasi successive della cultura nuragica hanno una presentazione minima, soprattutto a causa delle indagini attualmente non assidue in questo campo” è scritto nella pagina dedicata al Museo archeologico. “Non assidue”? Da non crederci, se appena si pensa che il Museo è diretto da Paolo Bartoloni, professore ordinario di Archeologia fenicio-punica, è dedicato a un grande studioso del periodo fenicio-punico Ferruccio Barreca ed è in una via intitolata ad un altro grande dell'archeologia fenicio-punica, Sabatino Moscati.
Del resto, se ancora uno si trattiene nel sito del Comune, si accorge perché è difficile star dietro alle mattane eversive di Massa. Clicchi sulla voce “La storia” e ti appaiono tre capitoletti: “Sulky fenicia e punica”, “Sulci romana”, “I greci e Sant'Antioco”. Prima, zero, non pervenuto. Sarà perché la storia comincia con la scrittura, si dirà. Spiegazione accettata, se non fosse che l'autore del primo capitolo, Paolo Bartoloni, scrive: “Si consideri ad esempio che le scarse iscrizioni con più parole di senso compiuto rinvenute fino ad oggi a Sulky riguardano la dedica di un tempio da parte di un privato cittadino ad una divinità femminile o la dedica di una coppa da parte di alcuni magistrati ad un’altra divinità maschile. Pertanto, la ricostruzione dell’antica storia dell’isola risulta particolarmente difficoltosa e ancor più lo è quella dell’agglomerato urbano di Sulky.”
Questo non impedisce, ci mancherebbe altro, che i reperti fenici e punici trovati siano raccolti in un museo e che della civiltà precedente, invece, ci siano solo labili tracce per le “non assidue” indagini. C'è è vero lo straordinario bronzetto recentemente restituito dal Museo di Cleveland che lo aveva comprato ad un'asta dopo esser stato trafugato da ignoti nel nuraghe di Grutt'e Acqua. Toh, che davvero ci fossero nuraghi a Sant'Antioco? E se, alla fine dei conti, quella feniciomania di cui a volte si è letto su questo blog fosse qualcosa di più di un sospetto?

Nella foto: L'arciere sulcitano nel sito del Comune di S Antioco

venerdì 8 gennaio 2010

Non sparate sull'Università. Giusto, ma si dia una mossa

Franco Laner richiama tutti noi alla necessità di non sparare sul mucchio dei baroni, a non fare tiro a segno sull'università “sport diffuso nel blog”. Aggiunge anche: “Penso anch'io che se ad esempio il progresso della medicina fosse come quello archeologico -specie isolano- oggi si opererebbe ancora con la sega e alcol per indormia”. Come non dargli ragione? E come non concordare con lui, quando scrive che il ventre molle è nelle discipline umanistiche piuttosto che in quelle scientifiche?
Ci sarà una ragione, anzi c'è, ma non credo sia quella adombrata da Laner: “Lo stato dell'università oggi è disastroso, anche a causa dei nuovi ordinamenti”. Del resto, mica si può essere d'accordo su tutto: concordare con Laner significherebbe pensare che prima della ministro Gelmini le cose erano ben messe. Suvvia, Franco.
Torniamo a Bomba e al ragionamento sulla estrema debolezza delle discipline dello spirito, almeno nelle università sarde in cui le eccellenze esistenti ci sono non in virtù della organizzazione degli studi, ma malgrado essa. E c'entra assai poco l'ordinamento attuale o di ieri, sia che lo abbia prodotto questo governo o quello precedente. Il discorso si fa inevitabilmente politico istituzionale, nel senso che molto dello status attuale dipende non tanto e non solo dalle politiche accentratrici dello Stato (non dei governi), quanto soprattutto da una diffusa condizione di dipendenza politica e culturale.
In questo blog noi vediamo soprattutto i riflessi di questa condizione sull'archeologia, ma magari fosse solo sull'archeologia. Nel mese di agosto, qui si è discusso a lungo sulla dottrina della statualità di Francesco Cesare Casula. Cesare è stato a lungo professore di storia ed esponente di prestigio del Cnr, sulla sua dottrina ha scritto una impressionante serie di testi. Ha avuto modo di parlare della sua tesi con i più importanti storici italiani, ricevendo sempre la solita risposta: “Hai ragione, perfettamente ragione, ma accettare la tua tesi comporterebbe la riscrittura della storia d'Italia”. E dunque? Dunque nulla. Nelle università sarde si continua a studiare la storia d'Italia nella vulgata accettata e certificata dallo Stato, relegando la dottrina della statualità fra le eresie con cui neppure si parla e che è politicamente corretto ammantare di silenzio. Non di disprezzo, solo perché Francesco Cesare Casula sarà anche un eretico, ma è un accademico.
C'è una vulgata ufficiale anche sui regni sardi del X-XIV secolo e sui sovrani che regnarono ad Arborea, Cagliari, Torres e Gallura. Furono stati indipendenti alla loro nascita e continuarono ad esserlo per secoli anche se, ad eccezione del Regno di Arborea, divennero protettorati di Pisa e di Genova. Nella vulgata certificata non si trattò di stati, ma di “governi autonomi detti Giudicati”, i loro sovrani non re ma giudici, le loro regge modesti palazzi. Storicamente non ha alcun senso la diminutio di questo originale lungo momento della storia europea in cui si sperimentò il sistema parlamentare delle coronas de Logu, fu redatto un monumento giuridico come la Carta de Logu, i sovrani finanziarono basiliche come quella di Bisarcio e opere d'arte come il retablo di Ardara. Storicamente no, politicamente sì.
Così come non è scientificamente sostenibile la decisione di restituire allo Stato centinaia di migliaia di euro stanziati per la lingua sarda nelle due università. Ma è quello che è successo. Non c'entrano i nuovi ordinamenti, non c'entra o c'entra molto poco la difesa delle rendite di posizione o la poltronite. C'entra una volontà politica che lega la restituzione dei soldi destinati al sardo con la sottovalutazione dei regni sardi, il silenzio sulla dottrina di Cesare Casula con i processi di nascondimento e silenzio intorno alle rumorosissime scoperte della scrittura nuragica, dell'orientamento dei nuraghi, e così via innovando. E' questa politica che, credo, bisogna denunciare e mettere a nudo.

giovedì 7 gennaio 2010

Ma che spettacolo penoso quello scambio di ingiurie

di Austinu Sanna

Salve a tutti
seguo quasi quotidianamente questo blog e trovo interessanti e appassionanti le notizie e i progressi degli studi sul passato della nostra cultura. Sono felice che finalmente nuove teorie vengano proposte, divulgate, discusse e dimostrate. Mi rattristava il silenzio istituzionale accademico imposto a tutte le teorie innovative, mi preoccupava la scomparsa di reperti in bui scantinati di soprintendenze, mi indignava la arroganza dei baroni e la violenza con la quale denigravano fino all'insulto tutte le nuove teorie avanzate da giovani appassionati. Quando furono pubblicati i primi libri con teorie nuove mi entusiasmai, essendo io stesso un appassionato.
Quello che avviene nel blog di ZuanneFrantziscu è molto importante perchè dà modo agli appassionati come me di avere notizie di prima mano dagli esperti/studiosi/appassionati che più hanno contribuito a rivoluzionare le conoscenze archeologiche negli ultimi anni in Sardegna. Ritengo che ognuno degli studiosi che scrive qui lo faccia in buona fede, esponendo all'esame di tutti teorie, prove, ipotesi etc per avere confronti, riscontri necessari all'approccio scientifico. Trovo che sia molto stimolante (per me lo è) che degli studiosi si confrontino condividendo i loro sforzi di una vita per arrivare alla conoscenza. Trovo fondamentale che questi sforzi siano messi in comune anche con chi non ha competenze specifiche (come me) e divulgati nella rete a disposizione di tutti.
Ciò che invece mi pare triste è vedere come gli stessi modi violenti e arroganti che pensavo appartenessero ai baroni accademici, siano praticati anche da molti degli studiosi che intervengono nel blog. Si dovrebbe poter dissentire su datazioni/interpretazioni anche senza diventare feroci e offensivi. Guardate che lo spettacolo è penoso. Dà, cioè, pena leggere gli insulti, le frecciatine, le accuse e il fiele che continuamente trasuda dai commenti ai post. Vi prego di tornare a toni più calmi, se non altro per rispetto a chi vi legge e vi stima come ricercatori. Ai pochi studiosi che intervengono nel blog con modi civili e argomentazioni da scienziati faccio invece i complimenti e dico loro grazie per gli sforzi che fanno per gettare luce sui misteri del nostro passato.

Ho dato al tuo commento di questo mezzogiorno un titolo che spero colga il senso del tuo disagio che, ti assicuro, è mio e di molti altri. Andare a rintracciare chi abbia cominciato ad ingiuriare chi è più che impossibile assolutamente futile. Una cosa è però certa: per quanto mi sarà possibile, farò in modo che non approdino più in questo blog ingiurie e offese personali. [zfp]

mercoledì 6 gennaio 2010

Dalla preistoria, al sapere certo e alla storia

di Gigi Sanna


Io credo che quando tra qualche mese si arriverà a trattare anche in questo Blog (oltre che nel libro di Leonardo Melis) del bel documento nuragico annunziato, scritto in protocananaico (e sardo), i testi a nostra disposizione avranno superato la sessantina.
In attesa del momento possiamo già anticipare che i nuovi documenti tendono innanzitutto a corroborare e confermare (ce ne fosse bisogno), i dati già acquisiti da qualche anno, ma servono anche ad ampliare di non poco il panorama della conoscenza del/dei ‘sistema/i’ di scrittura in uso tra le popolazioni sarde della seconda metà del Secondo Millennio a.C. e di quelle della prima metà del Millennio successivo. Cioè ad allargare il panorama di particolari ‘sistemi’ impiegati, in mille anni circa di storia di ‘scrittura’, non nell’Oriente mediterraneo ma in una zona dell’Occidente ritenuta sino a ieri, si può dire, ‘periferica’, marginale ed ‘estranea’ ai grandi processi culturali del tempo, soprattutto perché incapace e/o indifferente nel dotarsi di strumenti molto sofisticati, come quelli adatti per riportare per simboli grafici la parola ed il pensiero.
Ora, è proprio questo alto numero di reperti sinora rinvenuti, a dir poco sbalorditivo, il dato che maggiormente colpisce chi ha seguito le nostre ricerche, dal momento che nel giro di pochissimi anni (quindici circa) si è superato quello raggiunto in territorio siro - palestinese nell’arco di cento anni, a partire cioè dai primi decenni del secolo scorso con gli studi di W.M. Flinders Petrie e A.Gardiner sui ritrovamenti del Sinai.

Leggi tutto

Nel disegno: l'iscrizione sulla navicella di Teti

martedì 5 gennaio 2010

Che c'entra l'arpa celtica col "brassard" di Locci Santus? C'entra eccome

L'archeologia sarda è una disciplina relativamente giovane. E nella sua giovinezza è già invecchiata, ha molti dei malanni dei vecchi, quali la rigidità e il sospetto per il nuovo. Non ama molto il sangue giovane, cosciente com'è che si può convivere con i malanni conosciuti meglio che con virus sconosciuti.
Oggi, però, una parte dell'archeologia vive una nuova giovinezza. Sono tempi straordinari quelli che viviamo, tempi che stanno mettendo in crisi certezze che si pensavano consolidate e che per molto tempo hanno scambiato il lento cammino della conoscenza per verità che miracolosamente si fanno rivelate.
È in questo solco di rivoluzione della conoscenza che si situano studi come quelli di Peppino Mauro Zedda, di Pierluigi Montalbano, Mikkelj Tzoroddu, Leonardo Melis, Franco Laner, Mauro Aresu, Gigi Sanna, indipendentemente dal fatto che, purtroppo, qualcuno di essi stenti a legittimare qualcuno degli altri. Questo scenario di novità, come è noto, è contrastato o dal silenzio o dalla incredulità interessata.

Leggi tutto

sabato 2 gennaio 2010

Orgòsolo, cantande sos isposos novos

S'urtimu de s'annu est una die nòdida in Orgòsolo. A manzanu pitzinnas e pitzinnos andant de domo in domo pedinde sa candelaria e pedinde frùtura, durches, ispianadas (su candulàrium antigu) e carchi dinareddu. A de note sa festa est de sos isposos novos. Tropas de fèminas e de òmines zirant sas domos de sos coiuados in s'annu e los cantant, bene augurande.
Apo intzisu custu vìdeo pro su blog.

L'ultimo dell'anno è un giorno molto speciale per Orgosolo. La mattina, i ragazzi vanno di casa in casa per chiedere "sa candelaria" e ricevono fritta, dolci, spianate (forse l'antico candularium) e qualche spicciolo. Di notte, la festa è delle coppie sposatesi entro l'anno. Gruppi di donne e di uomini girano per le case di quanti si sono sposati nell'anno in corso e cantano auguri di felicità e prosperità. Ho registrato questo video per il nostro blog.

Orgòsolo, Nadale 2009