di Alfonso Stiglitz
Caro Gianfranco,
non passa settimana che sulla stampa non emerga il problema della diatriba su Tuvixeddu, con parsimonia nell’Unione Sarda, per ovvii motivi editoriali, più ampiamente nel resto dei media. Una diatriba talvolta incomprensibile ai più perché ridotta ad accese contrapposizioni, quasi che l’area archeologica sia un mero strumento di potere, e in parte lo è. Da anni le associazioni ambientaliste e gli archeologi si battono perché quella che è, senza ombra di dubbio, una delle più importanti aree archeologiche dell’isola sia oggetto di maggiore attenzione e rispetto; una battaglia ultraventennale che ha infastidito politici, progettisti e costruttori non solo per il problema specifico ma perché, a Cagliari e non solo, l’urbanistica (termine nobile travolto spesso e volentieri dall’edilizia) è pascolo esclusivo delle succitate categorie e off limits per gli altri.
Ma perché Tuvixeddu (e Tuvumannu) è importante e perché la lotta per la sua salvaguardia riguarda tutta la Sardegna e il mondo intero, che devo dire finora è sembrato più attento di tanti sardi.
Tuvixeddu-Tuvumannu è un vasto colle che si estende da viale Sant’Avendrace sino a via Is Mirrionis – via Campania, caratterizzato da due cime, quella di Tuvumannu (o Monte della Pace) a est, un tempo alta 110 m e quella di Tuvixeddu, alta 96 m, separate da una piccola valle segnata da tempo immemorabile da una strada, oggi asfaltata, via Is Maglias. Quest’area è oggi uno dei più importanti siti archeologici della Sardegna, per l’ampiezza della presenza culturale, dall’età neolitica ai giorni nostri e per la sua estensione territoriale: solo l’area delle tombe a camera fenicie di età punica copre una superficie di una settantina di ettari. Se pensiamo che il Parco archeologico oggi in realizzazione copre appena cinque ettari ci rendiamo conto già visivamente della sproporzione tra la percezione edilizia dell’area e quella archeologica.
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Vergogna eterna ai Sardi se non sapranno valorizzare e conservare l'eredità dei loro Avi.
RispondiEliminaE come non essere d'accordo. Vergogna!
RispondiEliminaIl sito è certamente da valorizzare e, a mio parere, gli uni e gli altri, fra i due contendenti, stanno seminando vento e raccogliendo tempesta. A dimostrazione che politica, cultura e interessi privati raramente vanno a braccetto esistono due barriere (una umana e una metallica) che impediscono a noi poveri contribuenti appassionati di storia o semplici cittadini amanti delle passeggiate di usufruire di quella zona.
RispondiEliminaVorrei aggiungere un piccolo quesito ad Alfonso:
potresti essere più preciso: parli di camere fenicie di età punica. Sono fenicie o puniche?
Saluti
Pierluigi Montalbano
chiaro caro Montalbano che devono essere FENICIE o PUNICHE (che poi è la stessa parola con pronuncia diversa...).. che poi all'interno di alcune tombe vi siano state ritrovate PITTURE EGIZIE (Ureo e cobra alato), UNA STATUE EGIZIA... ecc... non importa... è come il vino. Non importa che alcuni semi di uva e di fico siano stati ritrovati in sardinia con datazione PRECEDNTE AI "FENICI" 81200-1600 a.C.) si continuerà a scrivere che il VINO LO PORTARONO I FENICI, come i bronzetti, i nuraghi gli scarabei, le statue di ISIDE, HORUS, HATOR, SEKMET, DIO NILO, OSIRIDE, SFINGI, MUMMIE, STATUE DI FARAONI... tutto fenicio, PERBACCO! na l'ora arriva che... solo qualche giorno ancora... e poi di FENICIO non resterà NIENTE, almeno in Sardinia
RispondiEliminakum slaude.
La mia richiesta di precisazione deriva dalla certezza che i punici furono coloro che partendo da Cartagine riuscirono in qualche modo ad influenzare la civiltà nuragica e sfruttare alcune risorse...mentre i fenici...mah! Nulla di nulla, nessuna traccia evidente, nessun fondaco, nessuna innovazione, solo integrazione con i sardi, niente di assegnabile in modo inequivocabile. Inoltre continuo a cercare qualcuno che mi spieghi se i fenici erano un popolo ben distinto o facevano parte di quei "levantini" (Aramei, Filistei, Tiri, Sidoni)che si impossessarono delle rotte mediterranee quando i grandi regni non riuscirono più ad occuparsi dell'organizzazione delle spedizioni. Visto che fra il XII e il IX a.C. greci ed etruschi non c'erano...come funzionava? Essendo Alfonso uno studioso molto preparato pensavo mi chiarisse le idee.
RispondiEliminaCaro Montalbano
RispondiEliminaI termini “fenicio” e “punico” (in realtà lo stesso termine con grafie diverse) li uso in maniera differenziata, il primo per intendere il quadro culturale e il secondo per qualificare la fase cronologica occidentale a partire dalla fine del VI sec. caratterizzata dalla egemonia di Cartagine (che è città fenicia). In altre parole con il termine Fenici intendo una precisa identità culturale caratterizzata da territorio, cultura, religione, lingua (e scrittura) ben definita e che va dal Libano (l’antica madrepatria fenicia, con le città fenicie di Gubla, Tiro, Sidone, Arwad ecc. distinte da quelle, siriane, aramee e filistee) sino all’Atlantico, dalla Lixus marocchina sino agli insediamenti fenici portoghesi (passando ovviamente dall’Andalusia e Cadice), e che cronologicamente va quantomeno dal Tardo Bronzo sino alla piena età romana imperiale. Ovviamente identità culturale non significa un blocco di cloni tutti uguali nel territorio e nel tempo ma, come tutte le culture, quella fenicia presenta una profonda evoluzione nel tempo e nello spazio. All’interno di questo quadro si possono delineare “subidentità” regionali, tra le quali quelle occidentali assumono un ruolo importante e identificabile soprattutto a partire dalla “crisi” delle città orientali. Fenici di Sardegna, di Spagna, di Sicilia e di Nordafrica, i cui centri ormai vengono sempre più identificati, a partire ormai dalla fine IX-VIII sec.
In questo quadro cresce il ruolo di Cartagine che diventa una vera e propria “capitale” dell’occidente fenicio a partire dalla fine del VI sec. a.C. e che, pur riconoscendo il ruolo (ormai virtuale) di madrepatria a Tiro, costruisce il proprio ambito politico-territoriale, incidendo anche in modo culturale, oltreché politico, sulle comunità fenicie dell’occidente. È il periodo che viene definito, appunto, punico.
Quindi le tombe di Cagliari sono fenicie di epoca punica, appartengono cioè a questa fase.
Quanto ai materiali egiziani ed egittizzanti (esistono e sono diffuse entrambe le categorie) presenti nelle tombe di Tuvixeddu (nessuna statua egiziana) appartengono a epoca punica; e sono presenti in quantità anche nelle altre necropoli fenicie di tutto il Mediterraneo così come in quelle greche, etrusche ecc. La loro diffusione ha come motore propulsore alcuni centri tra i quali, in Egitto, il fondaco fenicio presente a Menfi, il “campo dei Tirii” di Erodoto (ma commerci fenici sono presenti già in IX sec. nel Medio Egitto) e, soprattutto, il centro greco di Naucrati nel Delta del Nilo. Questo per gli oggetti egiziani, quanto a quelli egittizzanti le produzioni vanno da quelle della Fenicia a quelle locali (sarde e spagnole ad esempio), tieni conto, infatti, che la cultura fenicia subisce una profonda influenza egizia sin dal secondo millennio. A questi si aggiungono oggetti originali egiziani provenienti dal saccheggio delle tombe, anche faraoniche, e che finiscono sul mercato mediterraneo e vengono deposti in tombe in età più tarde: il caso dei vasi di alabastro del centro fenicio di Sexi (Almuñecar, Spagna) ne sono un esempio.
Cordialmente
Alfonso Stiglitz
Quanto ai “Levantini” ti riferisci a un fenomeno diverso, cioè ai traffici commerciali nei quali appare chiara una compresenza di diverse componenti levantine propriamente dette (fenici, aramei, filistei ecc.) e greche (in particolare euboici); queste ultime si muovono in chiara sintonia con i Fenici (vedi Sardegna e Spagna). In questi ambiti commerciali soprattutto di VIII sec. stiamo sempre più trovando, con dati scientificamente provati, anche la compresenza di nuragici e fenici. Una “joint venture” che trova conforto sia nella presenza di centri nuragici con fenici che si stabiliscono al loro interno (vedi S. Imbenia di Alghero) sia di centri più propriamente fenici con nuragici al loro interno (Sulci). In altre parole, nell’VIII sec. l’arrivo di “coloni” fenici ha in Sardegna una pluralità di risultati che vanno analizzati distintamente. Quello che è ormai abbastanza chiaro è che a partire dalle fasi avanzate dell’VIII e soprattutto del VII sec., la comunità sarda sarà una comunità meticcia nella quale l’aspetto culturale fenicio diventerà prevalente, senza che questo significhi la scomparsa delle altre componenti, che anzi partecipano attivamente.
RispondiEliminaL’argomento meriterebbe centinaia di pagine per evitare di appiattire una problematica ricca di ampie sfumature. E siccome non amo pontificare ti rimando a delle pubblicazioni nelle quali potrai trovare i dati scientifici, le argomentazioni e le diversità di pensiero.
Per questo, più che ascoltare me, ti consiglio di leggere l’ultimo numero della rivista “Sardinia, Corsica et Baleares antiquae” (5, 2007), uscito in questi giorni, che riporta gli interventi del convegno tenutosi a S. Antioco nel 2005 proprio sui rapporti tra Fenici e Nuragici; vi troverai un ampio, interessante e stimolante dibattito, certamente molto più articolato di quanto non possa fare io in queste poche righe.
Posto qui di seguito l’indice perché chiunque sia interessato alla, difficilissima, problematica può trovare qui la più ampia informazione sul tema:
Piero Bartoloni, Prefazione
Paolo Bernardini, Nuragici, Sardi e Fenici. Tra storia (antica) e ideologia (moderna)
Luca Cheri, I rapporti fra i Nuragici e i Fenici nel Sulcis
Alessandro Usai, Riflessioni sul problema delle relazioni tra i Nuragici e i Fenici
Salvatore Sebis, I materiali ceramici del villaggio nuragico di Su Cungiau ‘e Funtà (Nuraxieddu-
Or) nel quadro dei rapporti fra popolazioni nuragiche e fenicie
Alfonso Stiglitz, Fenici e Nuragici nell’entroterra tharrense
Carlo Tronchetti, Fenici e popolazioni locali della Sardegna: il caso di Monte Prama
Carla Perra, Fenici e Sardi nella fortezza del nuraghe Sirai di Carbonia
Michele Guirguis, Contesti funerari con ceramica ionica e attica da Monte Sirai (campagne di scavo 2005-2008)
Giampaolo Piga, Jordi Hernández-Gasch, Assumpciò Malgosa, Stefano Enzo, La coexistencia de la inhumación y la incineración en la Mallorca Protohistórica : los ritos funerarios en la necrópolis de S’Illot des Porros
Alfonso Stiglitz
Grazie per le precisazioni, ben accolte e spunto di ulteriori approfondimenti.
RispondiEliminaLeggerò ciò che mi hai consigliato e cercherò di aggiungere altri tasselli.
Prima o poi dovrò anche cercare indizi per capire dove seppellivano i sardi!
Cari saluti.
Pierluigi