In questi giorni di sospensione del mio blog, c'è stato un avvenimento fra gli altri che mi ha colpito particolarmente: l'assalto di Greenpeace alla centrale di Fiume Santo in Sardegna. Non è il più importante, ma solleva questioni che riguardano l'intero sistema economico, politico e istituzionale della nostra Isola. Greenpeace ce le ha sbattute in faccia alla sua maniera, con un atto di forza che, in altri contesti e prodotto da qualsiasi altra organizzazione, sarebbe stato considerato con minore simpatia. La contestazione ha riguardato l'uso del carbone nella centrale sarda.
Quella del carbone come fonte energetica è una scelta in cui si mescolano ricatti che sono frutto della debolezza economica della Sardegna, subalternità a piani energetici che sono indifferenti alle nostre reali necessità, pressioni dei sindacati. Sicuramente non è una scelta autonoma, fondata su una analisi delle necessità energetiche dell'Isola e sulla considerazione di quale sia il modo migliore per soddisfarla. Così come non fu scelta autonoma consentire la distruzione delle foreste sarde per dare all'industria italiana carbone, traversine per treni e pali per le miniere o la rapina dei ricchissimi giacimenti sardi, dal rame alla blenda al piombo.
Ricordo di aver visto, moltissimi anni fa, una pagina pubblicitaria su un giornale brasiliano: il governatore di uno stato poverissimo, il Mato Grosso se non sbaglio, offriva il suo territorio a industrie che volessero impiantarvisi, senza alcun obbligo di non inquinare. La miseria a questo portava, a mettere i disoccupati di quello stato di fronte all'alternativa: o morire di fame o morire di inquinamento. In misura meno drammatica, è quel che è successo in Sardegna qualche anno fa, quando i sindacati si misero di traverso al referendum che condannava i fumi d'acciaieria, pericolosissimi. O quel che succede intorno alle miniere di carbone sarde. E' stata la pressione dei sindacati e di alcuni partiti, che si sentono portavoce dei minatori, a condurre all'utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica. E' più facile chiedere la riapertura delle miniere di carbone che cercare possibilità di nuova occupazione attraverso una faticosissima ricerca di modelli alternativi.
L'azione di Greenpeace ha rimesso in discussione la decisione del Governo sardo di autorizzare la centrale di Fiume Santo a funzionare con quel minerale ritenuto, non certo a torto, altamente inquinante. E insieme a questa la politica regionale contraria alla diffusione parossistica delle altrettanto inquinanti pale eoliche.
Come spesso accade con queste multinazionali ambientaliste, la messa in campo di un problema si accompagna ad inaccettabili proclami antiautonomisti. Un portavoce dell'associazione se ne è uscito dicendo che non è tollerabile che una regione abbia una politica energetica difforme da quella dello Stato. Questo non vorrebbe il carbone, la Regione sì; questa non vuole le migliaia di pale eoliche, lo Stato sì. Una sciocchezza senza capo né coda, il proclama di Greenpeace. E' una fortuna per i sardi che la Regione abbia il potere di decidere in maniera difforme dallo Stato: il paesaggio della nostra terra quale risulterebbe dalle decisione dello Stato (e di Greenpeace, se ne avesse il potere) sarebbe di pessima qualità: migliaia e migliaia di enormi pale come quelle che si ergono nei pressi di Perdasdefogu.
Greenpeace se ne strabatte della qualità del paesaggio sardo, purché l'Italia ottemperi alle prescrizioni del protocollo di Kyoto e di quello dell'Unione europea oggi sospeso. La Sardegna no. Forse già come oggi è, la nostra isola sarebbe in grado di essere virtuosamente in linea con il trattato firmato nella città giapponese. Forse è proprio questo che l'assessore dell'ambiente dovrebbe far valere, anziché impegnarsi a rispettare un accordo, quello degli stati dell'Ue, che ancora non c'è. Sarei, ovviamente, felicissimo se la Sardegna fosse in grado di firmare autonomamente quello o altro accordo internazionale. Temo, invece, che Morittu - promettendo a Greenpeace di applicare l'inesistente protocollo europeo - si sia lasciato trascinare dall'enfasi antigovernativa: Berlusconi non lo firma, io sì. Purtroppo per noi, non è credibile.
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