di Alberto Areddu
Caro Crisponi,
Non le rispondo d’amblée perché non dispongo di un accesso veloce a Internet, e poi essendo riiniziate le scuole ho meno tempo per dedicarmi allo strumento elettronico; qualora poi non dovesse risentirmi più (capita), vorrà dire che m'hanno magari estromesso dal blog: per ora ci sono.
Gran parte delle sue osservazioni, rileggendomele bene, non urtano affatto con quanto ho sostenuto io; riguardo la scelta di una lingua tetto siamo entrambi d’accordo, lei credo propenda per una delle due in vigore: la LSC (ex LSU); io mi son venuto a chiedere nella titolazione: “Perché Cagliari non è la capitale linguistica dei Sardi?”, emendata in: “Cagliari capitale linguistica dei Sardi” (credo che il titolo spesso condensi il pensiero di un autore, il nostro moderatore ha ritenuto corretto invece qui modificarlo), quali ragioni spingano a non avere eletto il luogo di più vasta economia, con l’indotto umano più numeroso e con le prospettive future più rosee (a parte la costa gallurese) a non esser preso in considerazione dai custodi del Verbo della lingua sarda (breve inciso: conoscendo di persona alcune di queste, le posso dire che spesso sono persone di INAUTENTICO interesse per il futuro del sardo, avvolte a doppio strato dalla prosopopea e da un conseguente autentico spirito gesuitico).
Lei mi cita il caso del basco: è indubbio che rappresenti una giusta eccezione, forse perché come il sardo non avendo avuto una dimensione storica han cercato di supplire con una koinè interdialettale. Io invero pensavo ai casi storici conclamati: al parigino dell’Ile de France, al castigliano di Madrid, alla koinè ionico-attica basata sul dialetto di Atene, allo stesso latino che si forgia e diventa lingua egregia (“che esce dal gregge”) a Roma.
La Sardegna dispone di un centro motore, purtroppo discosto dal resto dell’isola, e come sospetta lei, poco incline all’uso dello stesso suo dialetto, però lei stesso soggiunge che proprio tra i cagliaritani si riscontra la massima riluttanza ai due esperimenti linguistici ora in atto: è evidente che non son del tutto imbelli. Guardi, facciamo finta che non ci guardi nessuno e stiamo colloquiando inter nos, lei crede -senza gufargli - che abbiano davvero qualche possibilità tali capolavorini in certi libelli di esser la base della futura lingua sarda del III Millennio? Li ha mai letti tali prodigi?
Se mai dovesse esser così ci sarebbe solo da prender le valigie ed emigrare in Albania (ah faccio presente che il prodotto interno lordo degli albanesi è notevolmente aumentato negli ultimi cinque anni) per non sentire certi orrori (mi consenta: questo burosardese non è un ipotetico settore del sardo venturo, ma una odierna trascrizione automatica di strutture di pensiero estranee al vissuto dei sardi, alla loro storia e alle potenzialità della loro lingua, operata da gente che il sardo dimostra quindi di non conoscerlo).
La quaestio della forma della lingua (e soggiungo della sua qualità) non è certo minoritaria, ma siccome se ne sciacquano la bocca proprio quei mediocri politici che i sardi amano candidare ed eleggere, io credo che il vero problema della Sardegna, da cui ci distolgono, oggi come ieri sia altro: quello di una giusta crescita economica del reddito medio e della capacità della Regione di saper fare proposte innovative nel novero delle regioni (o nazioni) europee. Guardi l’Irlanda, da paese di beoni e di migranti, ha fatto fruttare i soldi dei finanziamenti UE, quando da noi non sanno come spenderli e se li spendono non producono mai valore aggiunto; l’Irlanda ha smesso di parlare l’irlandese, se ne sbattono della questione della lingua, perché stanno bene e se la godono, ridono piangono pensano e scopano in inglese, senza per questo avere rinunciato a una goccia del loro orgoglio.
Tornando alla lingua futuribile, quando io invoco l’attenzione al dialetto di Cagliari non lo faccio per una qualche captatio nei confronti dei suoi abitanti, al contrario perché vorrei che proprio nuoresi (come lei) e logudoresi (come son io di famiglia) prendessero coscienza che i loro sono dialetti minoritari (stia tranquillo non moriranno), e perché si impegnassero a difendere le logiche ragioni del cagliaritano; perché è nelle città che volenti o nolenti si diffondono idee e mode, è nelle città che si ha una discussione immediata di quel che succede e si sviluppa, è dalle città che si misura il tasso di crescita di una civiltà, dalla spesa per la cultura, alla qualità dei servizi, è nelle città che si forma un’opinione pubblica; ignorare tutto ciò e riproporre una base linguistica che nella sua aquilesca nobiltà, è minutamente asserragliata, in qualche scrivania tra i monti, è non solo offendere le prospettive reali di crescita futura dei Sardi tutti, ma ricadere in quel pregiudizio positivo in cui lei richiama di non voler cadere, che esista “altrove” una Sardegna genuina, perché più consapevole dell'uso del sardo, la quale meriterebbe di più.
Riguardo al come agire interverrò una prossima volta per esporre qualche suggerimento.
Caro Areddu, questo blog non "estromette" nessuno, a meno che non si profitti della lieta ospitalità per diffamare e calunniare. E a proposito di ingiurie, non spari nel mucchio dei sostenitori della Lsc (o di qualunque altro gruppo sociale): se ci sono “inautentici” difensori, persone “avvolte a doppio strato dalla prosopopea e da un conseguente autentico spirito gesuitico”, li citi e lo provi. Altrimenti, non si stupisca se, un giorno, chi esprime legittimi pareri come il suo si sentirà restituire pan per focaccia. (gfp))
Caro Areddu,
RispondiEliminavista la mia imminente parenza vero il Regno Unito non ho molto tempo per rispondere al suo pittoresco intervento. Non intendo però in alcun modo sorvolare sulla provocatorietà che si diluisce tra le righe del pezzo e che non mi ha lasciato un retrogusto gradevole dopo la lettura.
Mi pare che il suo intervento sia come un puzzle pieno di tessere che si attaccano tra loro tramite un bello sputo denso, ma alla fine della fiera, nessun disegno, immagine degna di questo nome emerge da detta montagna di parole.
La ragione economica o censitoria non mi convince pienamente, sia perchè non sono un amante di numeri e statistiche, sia perchè ritengo che quando si ha a che fare con la cultura, numeri e statistiche farebbero bene a stare al loro posto.
Lei dice bene quando sostiene che forse, tra nuoresi e cagliaritani, entrambi sono disinteressati a che una lingua "ufficiale" veicoli un pensiero, ed una conseguente identità; la grande differenza (che lei forse non ha voluto cogliere) è che in certe aree (è il suo pregiudizio a farle identificare in queste l'area nuorese) forse non si disquisisce "di" sardo, ma la lingua prima è il sardo, cosa che non avviene in area cagliaritana, tantomeno in quella facente parte l'area metropolitana.
E poi che dire del mio discorso sul compromesso, su una scelta condivisa che avvantaggi i sardi e che fagociti una auto-immagine di sè dei sardi? Non ve n'è traccia nel suo intervento. Ciò che più importa, stando al suo ragionamento, sono i dati basati sul censimento, sul numero degli abitanti, sul calcolo del reddito pro capite, e così via.
Da censura, la penso proprio così, da censura, il suo giudizio sull'Irlanda o EIRE:"Guardi l’Irlanda, da paese di beoni e di migranti, ha fatto fruttare i soldi dei finanziamenti UE, quando da noi non sanno come spenderli e se li spendono non producono mai valore aggiunto; l’Irlanda ha smesso di parlare l’irlandese, se ne sbattono della questione della lingua, perché stanno bene e se la godono, ridono piangono pensano e scopano in inglese, senza per questo avere rinunciato a una goccia del loro orgoglio". Questa sintesi, come tutte le sintesi (repetita iuvant), mi fa pensare che lei non abbia colto appieno il senso del mio intervento, sebbene non contenga altrettanto ibridi, o prestiti di lusso (quelli che, se abusati, mettono a serio rischio la capacità di neologismi in una lingua). Mi piacerebbe trattenermi per spiegarle come non condivida la sua immagine della città come centro assoluto di innovazione nel lancio di tendenze, siano esse rivolte al mondo della moda che a quello dell'arte, mi piacerebbe ricordarle come Grazia Deledda, che pure scrisse in un momento in cui Cagliari rappresentava già un centro di potere affermato, nel '26 vinse un premio Nobel parlando delle storie tristi ed insignificanti che si svolgevano "tra i monti", quegli stessi monti che lei teme contengano un germe di genuinità il quale possa intaccare la "modernità" degli abitanti più civilizzati dell'isola.
Quando parla di città, ricordi che anche Nuoro, nel suo piccolo, ha una conformazione tale per cui può essere descritta da quello stesso sostantivo.
Andrea Crisponi
Caro Pintore,
RispondiEliminanon ho alcuna intenzione di calcare le aule dei tribunali patrii per un'accusa di vilipendio e di lesa maestà verso qualche maestro ignobile della Sardistica, anche perché sono di famiglia povera e non troverei alcun avvocato di qualità da pagarmi. I nomi li ho fatti altrove sulla Rete e nel mio saggio: non mi voglio caricare di urtante vittimismo. Amo lottare contro i silenzi di coloro che per semplice opportunismo vogliono che manco si sappia che io esisto e penso, ma deo bi so.
L'unica lesione che lei fa, caro anonimo, è all'intelligenza.
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