di Andrea Lai
L'intervento di Becciu contiene una serie di assiomi, che io però non mi sento di accettare come assiomi, cioè come verità che non necessitano di dimostrazione. Provo a elencarli:
1) è necessario che il sardo debba avere uno standard;
2) questo standard deve essere uno solo;
3) "logudorese" e "campidanese" sono etichette senza fondamento.
Riguardo al primo assioma, si basa sul presupposto che le lingue minoritarie debbano col tempo arrivare a sovrapporsi perfettamente e simmetricamente (quasi punto per punto) alle lingue con le quali sono in concorrenza (nel nostro caso, l'italiano). Se l'italiano ha uno standard unico, anche il sardo dovrà averlo; se l'italiano è usato in tutta una serie di contesti, anche il sardo dovrà esserlo negli stessi contesti; se l'italiano (in Sardegna) è parlato pressoché da tutti, bisognerà far risultare che anche il sardo lo è (magari trascurando la differenza che esiste fra dichiarare di saper parlare una lingua - cosa vuol dire? conoscere qualche parola, molte parole, parlarla fluentemente? - e farlo davvero).
Se si vuole, questa è una generalizzazione acritica del modello catalano: se ha funzionato lì, si pensa, potrebbe funzionare anche qui (ma qui non siamo in Catalogna, senza contare che anche in Catalogna si levano voci critiche). Ciò che non mi convince in tutto questo è che un repertorio in cui 2 lingue operino in modo del tutto simmetrico, svolgano le stesse funzioni, sarebbe molto bello in teoria, ma in pratica è impossibile (in ultima analisi, perché non è economico: costoso in termini di sforzo individuale e sociale). Siamo sicuri che, per garantire spazi di sopravvivenza dignitosa alle lingue minoritarie, la carta vincente non sia, al contrario, quella di una diversificazione rispetto alle lingue dominanti?
In sostanza, quello che voglio dire è che se si vuole tutelare il sardo (e io penso lo si debba fare), occorre scostarsi dal modello della lingua maggioritaria, evitare di scimmiottarla.
In che modo? In tanti modi, per esempio sottraendosi al secondo assioma di Becciu e dei sostenitori della LSC (e, prima, della LSU): cioè che lo standard debba essere uno solo. Perché uno solo? Esistono, per esempio, dei modelli polinomici: ogni varietà parlata concorre alla formazione della lingua scritta. Oppure, come vorrebbero alcuni, si potrebbe partire dal "logudorese" e dal "campidanese" (scritti!): la decisione, sia chiaro, spetterebbe ai parlanti (interrogati prima di qualunque decisione: oggi si lascia credere di averlo fatto, ma la LSC è stata varata prima di conoscere il parere della gente, non dimentichiamocelo. Il fatto che poi si sia detto che si era fatto ciò che la gente aveva indicato, suona come una maldestra giustificazione a posteriori, a cose fatte).
Qui entra in gioco il terzo assioma di Becciu (appena accennato, ma ben chiaro), cioè che il logudorese e il campidanese non esistono: siamo sicuri? Dal punto di vista della produzione scritta, viene allora da chiedersi perché la chiesa abbia dato alle stampe catechismi (ne parla anche Pilloni) dei quali - ben prima di Wagner! - si diceva in copertina "in logudorese" etc. Non voglio dilungarmi: mi domando solo come si faccia a negare che in Sardegna siano esistite da molto tempo e si siano consolidate 2 macrotradizioni di scrittura.
Ma forse Becciu e altri fanno riferimento alla dimensione parlata della lingua: qui sembrerebbe che il sardo sia frammentato in misura tale che ogni raggruppamento (in particolare quello che punta all'individuazione delle 2 grandi varietà logudorese e campidanese) sia arbitrario. In un lavoro molto importante di linguistica romanza (il Lexikon der Romanistischen Linguistik) è presente un articolo di un linguista sardo, Maurizio Virdis. Si tratta di un linguista che dovrebbe essere particolarmente "accetto" ai sostenitori della LSC: lo stesso Bolognesi ha dichiarato pubblicamente che Virdis è l'unico linguista operante in Sardegna che lavori in modo moderno.
Virdis, inoltre, a quanto mi risulta, è egli stesso sostenitore della LSC. Bene, nel suo lavoro Virdis inserisce delle carte linguistiche: in una di queste individua 4 macrovarietà del sardo, 2 territorialmente assai estese (il logudorese e il campidanese), 2 più ristrette (il nuorese e l'arborense).
L'argomentazione avrebbe bisogno di molto più spazio: quello che mi preme dire, però, è che non si possono ogni volta mescolare i piani, in particolare quello culturale e scientifico con quello politico. Ci possono essere persone a cui sta a cuore dire che la Sardegna è una terra diversa da tutto il resto d'Italia, che ha avuto un passato glorioso, che ha una sua lingua fortemente unitaria che tutti parlano: insomma, vogliono costruire e avvalorare un'immagine di come vorrebbero la Sardegna. Se poi, però, alcuni di questi dati fanno a pugni con la realtà, allora non bisognerà prendersela con chi si oppone a simili costruzioni ideologiche: tanto meno bisognerà usare toni accesi nei suoi confronti, come mi pare denunciasse Pilloni nel suo intervento.
E poi ci sono persone che con la LSC lavorano e campano, in modo più che onesto: non ci facciano però credere di essere obiettivi su questi temi.
Caro Lai, mi sono permesso di togliere il tuo commento e di trasformarlo in articolo. Te ne avrei chiesto il permesso, se avessi conosciuto la tua mail. Prendilo come un invito a mandarmela. (gfp)
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