In Italia è in atto, con andamento carsico, una campagna poltico-culturale tendente a cancellare le regioni a statuto speciale della Repubblica italiana. Forse per semplice ignoranza, forse per qualcosa di peggio, gli attori di questa campagna dimenticano che cosa è successo nei vicini Balcani quando Slobodan Milosevic decise di revocare l'autonomia, anch'essa in qualche modo speciale del Kosovo.
Qualche giorno fa, Rai 1, la trasmissione Radio city ha convocato due politici titolari di altrettante proposte di abolizione dei cinque Statuti speciali e un inconsapevole assessore del governo sardo che non è stato in grado di difendere la specialità della Sardegna se non per un generico gap di sviluppo.
La tesi di Raffaele Costa e di Tina Grassi, sostenitori della cancellazione, è che le cinque specialità, se pure ebbero un senso dopo guerra, oggi non ne hanno più. Il tutto involto in un economicismo che avrebbe fatto impallidire il più trinariciuto dei vetero marxisti: oramai le cinque regioni vivono una situazione economica non dissimile da quella esistente nelle regioni ordinarie e quindi...
Su tutti, troneggiava un certo Mensurati, intervistatore tanto pieno di sicumera quanto vuoto di conoscenze (per dirne una: sentenzia che gli statuti speciali non devono essere sottoposti al controllo di chicchessia, ignorando che gli statuti speciali sono approvati dal Parlamento italiano con procedura costituzionale).
Si dirà: pareri senza influenza sulla gestione della politica. Mica poi tanto vero: il governo Prodi, dopo aver bocciato una legge del Parlamento sardo sulla Consulta per lo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo, dopo aver bocciato la cosiddetta Tassa sul lusso (brutta legge, ma approvata in regime di autonomia speciale), si appresta a bocciare la legge friulana di tutela del friulano.
Le tentazioni di scuola milosiviciana, insomma, ci sono e non si limitano a quei pochi ignoranti, convinti davvero che gli statuti speciali spettavano a Sud Tirolo, Valle d'Aosta, Friuli, Sardegna per equilibrare economie e non perché si tratta di minoranze nazionali e linguistiche. Minoranze che godono del diritto internazionale - recitano i patti dell'Onu - a decidere "liberamente del loro statuto politico" e a perseguire "liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale": godono, insomma del diritto all'autodeterminazione. Finché la Repubblica italiana garantisce, sia pure sotto forma di "autonomia speciale", il rispetto di quel diritto, la convivenza è possibile e auspicabile. Altrimenti la lezione del Kosovo potrebbe essere assunta come dimostrazione del possibile.
Questi inconsapevoli, e un po' sciocchi, personaggi farebbero cosa utile a se stessi se, prima di parlare, si informassero sulle radici del processo che domenica è sfociato nell'indipendenza del Kosovo.
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