L’archeologia sarda attira una buona quantità di persone, ogni qualvolta se ne parli in convegni, presentazione di libri, conferenze. A origine del fenomeno c’è, certamente, un bisogno dei sardi di identificarsi, di riconoscersi in quanto sardi, ma anche la volontà di rispondere ad un lungo processo, politico, ideologico e culturale, di negazione di una storia autonoma.
Protagonisti di questa negazione sono i governi italiani e le loro estensioni: scuola, mezzi di informazione, soprintendenze, accademie ed anche parte della intellettualità sarda che, con la sconfessione della storia autonoma dei sardi, difende la sua scelta di mettersi al servizio dello stato che la fa vivere e sopravvivere.
Era sardo lo storico Manno che attribuì ai fenici la costruzione dei nuraghi, sono sardi gli archeologi che fanno dipendere la civiltà nuragica da quella micenea, lo sono quelli che per negare l’evidenza della mobilità degli antichi sostengono che le navicelle nuragiche erano delle semplici lampade votive. Non sono sardi quelli che da quasi trentacinque anni tengono sequestrate le gigantesche statue nuragiche di Monte Prama, ma troppi sardi contribuiscono ad involgarire la loro straordinaria importanza storica. Sono, è chiaro, solo pochi esempi della corruzione culturale in atto da tempo.
Non c’è dunque di che stupirsi se studiosi indipendenti si danno da fare per tirare fuori della nebbia artificiale sparsa dalla baronia archeologica segmenti di storia fino ad ora negata. Non tutti gli studi fatti e pubblicati hanno il rigore necessario, ma quasi tutti sollevano questioni sepolte e spingono la baronia archeologica e le sovrintendenze ad abbandonare la comodità del già detto, del già assodato, del già certificato spesso sulla base di una ripetizione dell’errore.
Erodoto scrisse che gli shardana venivano dalla capitale della Lydia, Sardi. E questo hanno ripetuto generazioni di archeologi, soprattutto sardi e italiani, dando per scontato che Erodoto non poteva sbagliare e senza neppure preoccuparsi di andare a scoprire a quando diavolo risalisse la città di Sardi. Lo hanno fatto due università americane, scoprendo che Sardi fu fondata quando gli shardana scorrazzavano per i mari da almeno duecento anni. Parola di faraoni, che con questi guerrieri ebbero a che fare. Non accomodandosi nella facile ripetizione dell’errore, l’archeologo sardo Giovanni Ugas ha scoperto che gli antichi sardi, gli shardana, non venivano affatto dalla Lydia; non erano orientali, ma occidentali.
Molti conoscono l’ipotesi avanzata da Sergio Frau sulla coincidenza fra Sardegna e l’isola di Atlante. Moltissimi sono d’accordo con lui, molti altri dissentono, altri hanno emesso scomuniche contro il giornalista sardo-romano. A nessuno che abbia mezzi e autorità per farlo è saltato in testa di fare l’unica cosa possibile: andare a verificare sul campo (le valli dei Campidani) se Frau dice davvero bugie.
Molti altri sono venuti a conoscenza degli studi che il professore oristanese Gigi Sanna ha fatto sulle scritte trovate qua e là in Sardegna che, ne è sicuro, certificano come i sardi nuragici conoscessero la scrittura e la usassero. Frau e Sanna hanno udienza in tutta Europa non solo fra persone non esperte ma anche fra seriosi professionisti della ricerca archeologica. Anche in Sardegna hanno ascolto, ma non nel mondo della baronia. Che dileggia. Un po’ come fecero nell’ottocento quelli che, convinti che Troia fosse una invenzione poetica di tal Omero, presero in giro il commerciante tedesco Heinrich Schliemann. Di lui si sa che davvero trovò Troia. Dei suoi saccenti detrattori nessuno ricorda neppure il nome.
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