La Corte costituzionale ha bocciato il 7 novembre la legge regionale che istituisce la “Consulta per lo Statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo” proprio per la parte in cui si parla di sovranità. Lo ha fatto, dietro ricorso del governo Prodi, fra l’altro sulla base di due considerazioni: autonomia e sovranità sono “concezioni tra loro radicalmente differenziate”, questa parte della legge regionale prefigura un ordinamento di tipo federale incompatibile con l’attuale regionalismo.
Si tratta di una sentenza molto grave, di cui neppure la più accesa opposizione al governo di Renato Soru (artefice della legge) può minimamente gioire. Ma è una sentenza di cui hanno piena responsabilità gli attuali governanti italiani e sardi, apparentemente in contrasto e in realtà complici di questo brutto pasticcio. Brevemente:
1. Il governo Prodi, nel fare ricorso, ha messo in piazza tutto il vecchio ciarpame nazionalista e giacobino per cui parlare di valorizzazione degli “elementi etnici, culturali, ambientali” equivale a “definire situazioni soggettive privilegiate per una categoria di soggetti dell’ordinamento nazionale”. Il principio di uguaglianza è, insomma, utilizzato per negare le diversità. Di più, secondo il governo, equivale “a rivendicare poteri dell’ente Regione a livello di indipendenza e comunque svincolo da condizionamenti ordinamentali nell’ambito della Repubblica risultante dall’attuale Carta costituzionale”.
2. Il governo Soru, nel resistere a questo cumulo di baggianate, tenta di minimizzare il concetto di sovranità dicendo che si tratta di un’espressione enfatica ed evocativa. Non ricorda che nel febbraio del 1998 il Consiglio regionale, quasi all’unanimità, approvò la dichiarazione solenne di sovranità della Sardegna. Non si appella ai trattati dell’Onu, sottoscritti nel 1978 dall’Italia, in cui si sancisce che “tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale”. Ha insomma fatto una resistenza pro forma, decisa in realtà a non guastare i rapporti tra i due governi “amici”, sardo e italiano.
3. A inserire la parola “sovranità” nella legge sulla Consulta è stata quella stessa maggioranza di centro sinistra che in Sardegna, con una delle non rare pulsioni all’autocastrazione di cui i politici sardi sono maestri, che si è scatenata per bocciare la riforma costituzionale del precedente governo. Una riforma che, introducendo sia pur timidi accenni di federalismo, avrebbe reso almeno problematica la pronunzia della Corte costituzionale. Da segnalare la perfidia con cui il governo Prodi ricorda, nel suo ricorso, che la legge sarda è da considerare illegittima anche per effetto della bocciatura della riforma costituzionale di cui sopra.
un altro fallimento della giunta Soru.Una certificazione della scarsa caapacità autonomistica e la necessità di creare un fronte autonomistico che rappresenti validamente la Sardegna. Nuove elezioni e nuove capacità degne dei sardi.
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