giovedì 13 gennaio 2011

Sant'Antoni de su fogu a pro' dei turisti?

Lo slogan pubblicitario della Regione
Più piccola della scritta in italiano, quella in sardo, “Ischintziddas dae su coro”, compare nella pubblicità istituzionale della Regione di promozione dei fuochi di Sant'Antonio, nella notte fra il 16 e il 17 gennaio. Vediamo il bicchiere mezzo pieno: è la prima volta che, almeno per quanto ricordi, la Regione usa anche il sardo nelle sue pubblicità. Vediamolo mezzo vuoto: la gerarchia delle lingue, in grande l'italiano, in piccolo il sardo, equivale alla folclorizzazione di quest'ultimo e contrasta con legge che sancisce l'uguale dignità delle lingue usate.
Se a questo si aggiunge che nel comunicato dell'Assessorato del Turismo (10 gennaio) lo slogan diventa “Schintiddas dau su Coro” e che nello stesso sito dell'Assessorato “Ischintziddas” perde la “I” diventando “Schintziddas”, il bicchiere non solo è mezzo vuoto, ma si fa anche torbido. La lingua sarda non ha, per i responsabili delle due comunicazioni, una ortografia stabile, quella, per dire, che impedirebbe loro di scrivere “Quore” o, che so?, “Talia” invece di Italia. Ma, sciatterie a parte, questa campagna di promozione turistica di una tradizione popolare che affonda le sue origini in una lontana antichità ha sollevato molte polemiche fra i frequentatori dell'Internet, unico luogo mediatico, ormai, in cui si possono confrontare pareri e posizioni culturali.
C'è in alcuni un ieratico sdegno per questa campagna turistica. In qualcuno si individua un sacro furore politico dettato dal fatto che, per sua stessa definizione, questa giunta di destra non può produrre alcunché di buono. Altri sono preoccupati dalla mercificazione dell'identità che l'iniziativa dell'assessore Crisponi comporterebbe. Forse sì, forse il rischio c'è: è quello che corrono i gruppi cosiddetti “folk” che davanti alle telecamere e sui palchi approntati per trasmissioni televisive improvvisano inedite giravolte e curiose figurazioni, che sono sì spettacolari ma che poco hanno a che fare con il ballo sardo. Ed è anche quello corso dai tenores e dei cantanti a chitarra che si piegano alle esigenze degli spettacoli che pretendono canti non più lunghi di una certa quantità di minuti.
Cosicché, facendo dei fuochi di Sant'Antonio un'occasione di richiamo turistico, è possibile che i partecipanti al rito abbiano la tentazione di trasformarlo in uno spettacolo gradito ai turisti, anche a scapito della sacralità e di quel quidam identitario cui su fogu de Sant'Antoni risponde da moltissimi secoli. Il problema esiste, ma non credo si possa risolvere né creando una cintura sanitaria anti-turisti né impedendo che questa sia una occasione di crescita economica. A ben vedere, si ripropone lo stesso dilemma di cui spesso ci siamo occupati in questo blog su desiderabilità o rifiuto dell'utilizzo economico del nostro patrimonio archeologico.
L'idea solo che ci possa essere sviluppo basato sugli elementi fondanti la nostra identità manda in bestia quanti pensano che la Sardegna debba essere una terra misteriosa e indecifrabile, abitata da buoni selvaggi, adusi a campare di altrui benevolenze in cambio della conservazione di un patrimonio culturale e ambientale che appartiene allo Stato e che essi sarebbero portati a distruggere, senza chi dica loro che cosa fare. Il perché abbiano questa idea non lo conosco anche se, avendo da giovane frequentato gli scritti di autori anticolonialisti, credo di poterlo immaginare.
Sono a disposizione, invece, i loro argomenti: voler conoscere le vicende storiche e ancora peggio voler indagarle autonomamente significa indulgere in un sardo-centrismo che ha come risultato finale il razzismo e, in più, non crea lavoro, non risolve l'abbandono dei campi, la desertificazione dei centri urbani, il degrado dell'ambiente e neppure uno solo dei problemi sociali della Sardegna. Pensate che abbia inventato io queste baggianate per crearmi un avversario di comodo? Non è così, si tratta di citazioni autentiche.

10 commenti:

  1. Ischintiddas credo sia diventato Schintiddas in forza della LSC che "predilige" l'eliminazione delle vocali a inizio parola come rifiuta le vocali prostetiche alla fine di essa.

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  2. Può darsi, ma l'importante è decidersi. Uno stesso ente non può usare indifferentemeente schintiddas, ischintiddas, ischintziddas e schintitzas. Non le pare che si dia una pessima idea di approssimazione?

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  3. Caro Zuanne Frantziscu, sciatterie linguistiche a parte, che comunque denunciano una scarsa attenzione per la lingua sarda, una sorta di adempimento dovuto ma non sentito, tocchi un tasto che mi ha sempre dato da pensare: la corruzione da parte del turismo della genuinita’ di luoghi e tradizioni e il passaggio mortificante dalla tradizione al folklore.
    La mercificazione di luoghi e espressioni identitarie, e’ spesso un compromesso ritenuto accettabile per ottenere migliori condizioni economiche, ma e’ un prezzo che vale la pena pagare? Temo che le tue perplessita’ sugli effetti delle rivisitazioni folk di certe tradizioni abbiano ampio fondamento.

    Invecchiando mi capita spesso di provare una profonda nostalgia per cose conosciute in passato. Spesso ho ricercato le vecchie emozioni del ballo tondo a giro per sagre e feste. l’attesa intensa di emozione, l’animo in subbuglio alle prime note di organetto e launeddas e poi, inesorabile, la delusione, imbarazzo e vergogna per qualcosa di sterilizzato, ridotto a rappresentazione di se’ stesso. Su ballu e’ un rituale coesivo della societa’, vuole la gente; stretta forte di braccia e mani, e’ un’amalgama di sudore, polvere e ritmo scandito dai piedi di ognuno, e’ esperienza carnale. Senza fisicita’ e’ una cartolina di come eravamo, gradevole da vedere, costumi impeccabili mossi a ritmo preciso, ma svuotato del suo significato piu’ intimo, quello per cui ci si univa insieme in un abbraccio collettivo, identitario, coesivo, al di la’ di differenze, divergenze, inimicizie.
    Allo stesso modo stringe il cuore la vista dei Mamuthones ridotti alla stregua di ancestrali testimonial al servizio di moderne esigenze di marketing, indossando le loro corazze di pelli e campanacci come tanti uomosandwich. La loro presenza decontestualizzata, sia essa in Costa Smeralda, nella stessa Mamoiada o per le strade di Venezia, e’ una mortificazione del mito, svilito al punto di diventare veicolo pubblicitario, supporter di sagre paesane, Pulcinella tenebrosi saltellanti fra purputza e seadas. La loro forza e’ ancora intensa, ma e’ corrosa, corrotta dall’emporio che ogni volta si costruisce loro intorno. Credo che la citta’ che li tiene in cattivita’, a cui loro stessi hanno dato origine e fama, debba loro un rispetto maggiore e mi auguro che presto si restituisca al mito la possibilita’ di esprimersi avvolto dal mistero, e a chi ci si confronta, la possibilita’ di interpretarne la atavica potenza secondo la propria sensibilita’, libero di specchiarsi nelle proprie paure, trarre i propri auspici. I fuochi di Sant’Antonio erano forse l’ultima occasione di relativa genuinita’, ma non si puo’ fermare il progresso portatore di benessere. E allora la scelta sta a noi, fra raccogliere le ceneri e spargerle nei campi pensandole foriere di abbondanza di messi nel futuro o riempirsi le tasche di spiccioli vendendo dolcetti intorno ai fuochi adesso.

    Due esempi sardi per non parlare della terra in cui vivo, la Toscana, che quanto a mercificazione e svendita di tradizioni e territorio non ha niente da insegnare a nessuno.
    Il dramma e’ che, una volta messo in moto, l’ingranaggio non si ferma piu’ e stritola tutto. Piu’ turisti vengono e piu’ tradizioni addomesticate si spargeranno intorno, accrescendo gli stereotipi a discapito delle identita’ locali.
    Le citta’ coinvolte ne guadagneranno in parcheggi a pagamento!
    San Gimignano insegna, dove se vuoi un bar in cui giocare a carte e bere con gli amici devi andare nel paese vicino, meno ricco ma piu’ vero.

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  4. @ Stefano
    La corruzione della genuinità è cominciata il giorno o la notte in cui una comunità che ballava intorno ai propri menhir e alberi ha ricevuto la visita di membri di una comunità confinante che sono entrati nel ballo facendo passi inconsueti per la comunità ospite. Lo stesso è successo al tenore che infatti non canta come faceva cento o duecento anni prima.
    Certo, la globalizzazione, anche quella interna, comporta una accelerazione dei cambiamenti, che sono tanto rapidi da consentire a chiunque di noi di vederli in opera nel corso della nostra vita. Il che mostra quanto l'identità sia un fatto dinamico.
    Questo non vuol dire che i rischi di mercificazione non esistano. I Mamuthones che fanno spettacolo in Costa Smeralda o in televisione rompono la sacralità della loro stessa esistenza? Certo. Ma me sembra importante che, ritornati a Mamojada, il giorno della loro prima uscita a Sant'Antoni riacquistino il senso della loro magia. E non guastare questa credo debbano badare, non preoccupandosi più di tanto se in giro per il mondo trasformano in economia, per sé e per Mamojada, quel rituale.
    Voglio dire che non sarà il turismo a "guastarli" se essi non vorranno essere trasformati in merce. Il tenore di Orgosolo puoi apprezzarlo nella sua genuinità certe notti di inverno quando si trova a cantare in qualche bar del paese; ma è giusto rinunciare a conoscere quel loro canto se non in queste irripetibili occasioni?

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  5. Condivido sostanzialmente l'intervento di Stefano Baldi che ha messo il dito sulla piaga, come si suol dire. Però, mi rendo conto che se si vuole dare
    un dignitoso livello di vita ai propri cittadini, le Istituzioni sono costrette ad accettare anche compromessi e mercificazioni. Forse la soluzione sta nel mezzo: Facciamo pure le Cavalcate ad uso dei turisti ma per carità salviamo le nostre manifestazioni più vere. Nello specifico, l'idea di mercificare Sant'Antoni 'e su fogu, il vero Patrono dei Sardi (mica la Madonna di Bonaria, che è soltanto un'invenzione del clero) mi fa rabbrivvidire. Sant'Antoni 'e su fogu é anche il Patrono del mio paese, come di tantissimi altri paesi della Sardegna ed io ricordo con dolcezza la mia infanzia, quando facevamo i giri attorno a su "fogarone" e si gareggiava a saltarne le fiamme più basse. Era una festa semplice ma intima, che si svolgeva nel cuore dell'inverno, quando i pastori erano assenti perché transumanti. Eppure era sentita come la loro festa. Non per nulla la statua del santo é attorniata da numerose specie animali domestiche. Così, tornati dalla transumanza, i pastori, forse per farsi perdonare l'assenza di gennaio, gli organizzavano un'altra festa a giugno.

    @ ZFP

    Io ricordo altre pubblicità in sardo della Regione, ad esempio quelle contro gli incendi. Mi pare che allora fosse Presidente Mario Melis. In particolare, ne ricordo una che diceva più o meno così: Ponner fogu no est cossa 'e omines! Proprio così, cosa con 2 s. E si, l'ortografia era un optional anche allora.

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  6. Quanti dite vale anche per i costumi maschile e femminile: vista l'opportunità di ottenere qualche finanziamento regionale si è scatenata la gara, in tutti i paesi, per "ricuperare" quelli più antichi e veritieri.
    Non mancano i casi di piccoli centri che ne hanno "ricuperato" due, completamente diversi tra loro.
    Tenores, Mamuthones, ballu e Sant'Antonio de si fogu rischiano di perdere la loro genuinità a causa della mercificazione. E' un prezzo che vale la pena pagare?
    Mi risulta che alla Sagra di S. Efisio esiste una sorta di controllo sulla genuinità degli addobbi dei carri, dei buoi, dei cavalli e delle persone, oppure su quali preghiere adottare durante la Sagra.
    Perchè non cogliere l'idea per formare una commissione a livello regionale capace di valutare la genuinità delle proposte prima di procedere ai finanziamenti?
    In questo modo potremo almeno limitare i danni che, inutile illuderci, sono inevitabili.
    D'altra parte la posta in gioco è molto alta, specie per i Sardi che cercano un'opportunità di lavoro, e il "mercato" internazionale del turismo cerca proprio quello che noi siamo in grado di offrire, estendendo naturalmente il tutto al nostro enorme e unico patrimonio archeologico.

    Giuseppe Mura

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  7. Seighi 'e jennarzu

    Seighi 'e jennarzu.
    Comente falat su sero in bida mia
    dant fogu a s'isarmentu.
    E cando brusian innieddighende
    sas naes de suerzu,
    sas ses inghiaradas sun pro te,
    Sant'Antoni porcarzu:
    tres ziros a deretta,
    tres ziros a s'imbesse;
    isorvere a un'ala,
    a s'atera ligare.

    Su seighi 'e jennarzu
    sas carrelas
    an fragu de forru alluttu
    in bidda mia.
    Sa fozzisina 'e sa matrigusa
    si perdet in s'aera infrittulida
    ei sas framas limbudas
    che tentassiones malas
    la pessighini.
    Seighi 'e jennarzu:
    in su coro 'e s'ijerru
    isetos de eranu.
    Prus a tardu
    a ziru 'e sos tittones brusiados
    sezzit sa zente
    e isettat sa notte
    su seighi 'e jennarzu.

    Sant'Antoni porcarzu
    cando torro
    su fogarone meu at a pesare
    framas cantu sas nues.
    Sas ses inghiriadas
    - tres ziros a deretta
    tres ziros a s'imbesse-
    las fatto a pes iscurzos
    subra sas pedras cardas:
    isorvere a un'ala
    a s'atera ligare
    su seighi 'e jennarzu.

    In custa terra fritta senza santos
    nessuna isperanzia de eranu
    e andende
    che umbra senza vida
    ch'es carriga'e ammentos
    si m'arpilat
    a titillias de frittu sa carena
    su seighi 'e jennarzu.

    Su seighi 'e jennarzu
    sas carrelas
    an fragu de forru alluttu
    in bidda mia.
    A ziru 'e sos tittones brusiados,
    che familia cuncorda
    sezzit sa zente
    su seighi 'e jennarzu.

    Maleittu
    su die ch'appo lassadu custas roccas
    assoliadas
    pro custas umbras frittas.
    Maleittu
    s'ammentu chi mi ligat,
    su bisonzu
    chi m'ispinghet ramingu
    che unu pedidore.
    Maleitta
    s'isperanzia 'e torrare
    chi m'isfinit.

    Eppuru isto timende
    chi si senset inoghe su viazzu
    e chi m'istruat
    custa ozza 'e torrare a una orta.
    Custu isto timende.
    Nè prus bida
    sas framas artas de su fogarone
    ch'azzenden pro te
    Sant'Antoni porcarzu
    in bidda mia.

    Cando brusian sas naes de erdone
    e allumana
    in su coro 'e s'ijerru
    isperas de eranu in bidda mia,
    m'arpilan sa carena
    titilias de frittu
    prus che mai
    su seighi 'e jennarzu.

    Gavino Virdis
    Bonesu disterradu in Germania

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  8. Concordo pienamente sul fatto che a questa perdita o, come la definisce Zuannefrantziscu, evoluzione di identita', non ci sia scampo ed abbia anche poco o nessun senso opporsi, il mio e' solo rammarico. Finora avevo sempre pensato che per quanto riguardava i Mamuthones, i fuochi di Sant'Antonio riportassero tutto nel solco giusto. La nuova frenesia dell'assessore mi sembra preoccupante. Si puo' solo sperare che Mamuthones e mamojadini - e i tenores e tanti altri - continuino a vivere questa loro esperienza come qualcosa di intimamente sacro, e capisco bene che questo nessun editto lo puo' garantire, come, per fortuna, non puo' garantire il contrario.
    Il mio augurio e' che nessuno faccia la fine di S. Gimignano

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  9. A su Deus focu

    Su sero de su focu de sant'Antoni
    sa luna prena accrarat
    sas domos desertas a s'iscuru
    astrintas a pare pro su frittu.

    Lampos rujastrinos e coronas incanidas de fumu
    si pesan artas in su chelu
    dae sas pratas de totu sas biddas
    inue sa zente cun s'avrore lutat
    azuada dae sa frama e s'abardente.

    Como comintzat in Barbaza su carrasecare anticu...
    Su Mammutone s'aderetat sa bisera,
    su Merdule si petenat sas peddes,
    su Turpu sa cara tintieddat,s'Eritaju pessichit zovaneddas, su Mammutzone si liat su casidu.

    Sas umbras si ponen a ballare
    in tundu a sa luche caentosa
    cun s'allegria fartza de sa festa
    chi caratzat sas timorias de sa vida
    ca impresse las binchet sa tristura
    chi mai ponet velos
    pro cuare sas traschias
    de s'Eternu umanu patimentu.

    - Cada unu podet bender solu su chi at. Sas traditziones las amus e sun anticas che-i sas roccas e si, che totu sas cosas, si mudan cun su tempus, passentzia. Su malu est a non d'aer de su tottu. A su nudda non b'at mediu e... mancu criticas.

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  10. @ Atry
    No, per la verità no. Ma è la solita solfa di chi in testa trova posto solo per dogma economicisti. Sai cosa scrivevano i babbi di queste persone nel 1976? Che una legge per il bilinguismo sarebbe stata deviante e che si trattava di una iniziativa di chi cercava di sviare l'attenzione dei sardi dai problemi economici, al soldo dei padroni della chimica sarda. Cambiano le facce (toste), rimangono le mattane

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