sabato 4 settembre 2010

Pastorizia: purché non sia una soluzione finale

Nella pagina di Facebook di Mario Carboni e nel sito di Paolo Maninchedda è in corso un'interessante discussione sui problemi sollevati dalle proteste del Movimento pastori sardi e, marginalmente, da quelle politicamente corrette delle altre associazioni cui aderisce la maggioranza dei pastori. Interessante, la discussione, sia per le cose che vi si dicono sia, soprattutto, per il modo con cui la si affronta, lontano dal politichese e dal sindacalese che tendono a trasformare la questione in una vertenza sindacale qualsiasi.
Invece io ho la convinzione che non si tratti di una pure vertenza sindacale, fermo restando che ci sono aspetti contrattuali ineludibili. La pastorizia è l'epicentro etnico della questione sarda e in quanto tale è soggetta, dai primi anni dell'autonomia, a tentativi di soluzione finale sia con strumenti culturali sia con politiche economiche attive. La guerra fra il ruralismo della Democrazia cristiana e del Partito sardo da una parte e l'operaismo delle sinistre dall'altra ha fatto sì che i pastori trovassero casa soprattutto nella Dc e nel Psd'az e gli operai nelle sinistre che si dotarono di un importante bagaglio culturale e ideologico teso da un lato a demonizzare “l'individualismo” dei pastori e dall'altro a prospettare loro il cooperativismo come via d'uscita dall'arcaismo verso la modernità.
Sotto l'egemonia culturale delle sinistre, che pure arrivarono al governo della Sardegna molto tardi, le giunte regionali non resistettero alle seduzioni dei piani triennali o quinquennali, ai monte pascoli, all'incentivazione della cooperazione e ad altri strumenti del modernismo nemico del cosiddetto “individualismo”. Quel che si voleva, era la proletarizzazione di quegli imprenditori anomali che erano (e continuano ad essere) i pastori, tanto poco individualisti – nel senso dell'egoismo – che proprio nel loro mondo sono nati e cresciuti istituti giuridici come sa ponidura, quel meccanismo che consiste nella ricostituzione del gregge al pastore comunque e per qualsiasi ragione caduto in disgrazia. I giornali hanno parlato della ponidura organizzata da Sos Istentales a favore dei pastori abruzzesi colpiti dal terremoto, ma questo meccanismo scatta ancora oggi più spesso di quanto si pensi.
Gli oltre quaranta mila pastori esistenti solo qualche decina di anni fa sono diventati oggi meno della metà, mentre il numero di pecore e capre non è diminuito di conseguenza. Moltissimi sono emigrati con le loro greggi e oggi se la passano bene, a dimostrazione che fare il pastore, lontano dal clima politico-culturale e sociale della loro terra d'origine conviene. Produce reddito, senza alcun bisogno dell'assistenzialismo che, invece, in Sardegna ha corrotto il mondo dei pastori a tal punto da essere ancora oggi agognato e rivendicato.
La politica, anche quella più accorta, pensa oggi che per risolvere il dramma della pastorizia bisogna provvedere a qualcosa che, se proposta in altri settori (l'industria, la scuola, per esempio), suscita l'ira funesta di partiti, sindacati, anime belle: riduzione dei pastori e della produzione. Ventimila precari della scuola possono benissimo essere sostenuti, diecimila pastori no. Per gli operai dell'Alcoa ogni misura d'aiuto è lecita, per i pastori diocenescampieliberi sarebbe assistenzialismo. E dunque, anziché studiare le politiche attive per far crescere la pastorizia, aumentandone se il caso gli addetti, ecco la soluzione: si licenzino pastori e pecore.
So benissimo che, arrivati al punto di degrado attuale, ancora invischiati come siamo nella produzione abnorme di “pecorino romano”, immangiato e immangiabile, e dopo decenni di gioco al massacro della pastorizia con vista sulle magnifiche sorti e progressive dell'industrializzazione, le soluzioni non sono facili né a portata di mano. Ma la classe dirigente (dalla politica alla sindacale alla imprenditoriale) è tale solo se riesce a trovare le soluzioni, non ad aggirarle.
Tenendo conto, soprattutto chi professa idee di attaccamento alla nazione sarda, che questa affonda buona parte delle sue radici nella cultura pastorale che, si dà il caso, è fatta da e con il mondo dei “noi pastori”.

6 commenti:

  1. Lascio anche quì il commento scritto da Carboni: Non credo che la possibilità di diminuire il numero degli attuali 18.000 operatori dell'allevamento sia un modo di prendere sottogamba e culturalmente in contropiede il settore rispetto ad altri. Ad esempio, per l'industria (chimica, ecc), nessuno chiede posti che, rispetto alle esigenze di mercato non servono, piuttosto si punta a salvare l'esistente, quindi cercando di evitare che gli operai finiscano sulla strada.
    Allo stesso modo, se un settore offre più di quello che il mercato chiede con la domanda, non si può pretendere (almeno in questo contesto) di incrementarne ancora il numero, a limite di conservare quello che c'è. E quì si torna al problema che abbiamo detto tutti: per i pastori non ci sono ammortizzatori sociali. Se uno chiude baracca, è finito.
    Credo sia questo nell'immediato uno dei problemi da valutare per poi osservare le varie misure di riassetto possibili per migliorare la nostra presenza sul mercato (differenziando meglio i prodotti).
    Ma quì si entra anche nell'ambito strutturale della Regione: fisco, energia, ecc. E non so con questo statuto attuale fino a che punto ci si può spingere. - Bomboi Adriano

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  2. Forse sono di parte ma,in questo periodo,mi sembra che gli unici che lottano sono i sardi:prima i ribelli dell'Alcoa ora i pastori e la loro protesta è fatta con grande forza,dignità e decisione.Ma perchè gli uomini politici sardi di destra e di sinistra non si decidono ad occuparsi dei problemi della loro terra?Il formaggio sardo è quello più apprezzato in Italia e perciò la pastorizia dovrebbe essere supertutelata ed invece..I pastori,cari sardi,vanno sostenuti.La solidarietà è la cosa PIù DIFFICILE DA OTTENERE MA LA PIU'EFFICACE.

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  3. Sovrapproduzione richiede abbattimento della produzione e diminuzione degli addetti.
    La questione, e molto opportunamente la evochi nel titolo del tuo intervento, è se questa soluzione, obbligata e difficile da raggiungere e che nessuno nemmeno evoca apertamente, sia perseguibile per migliorare la questione pastorizia o per distruggerla. Per me è perseguibile in un quadro diverso, teso anche ad evitare lo spopolamento delle campagne e delle zone interne, per dare in futuro anche un aumento delle aziende pastorali, delle famiglie di pastori, degli occupati ma solo con la fine o la riduzione dell'economia coloniale della produzione del pecorino romano o resa compatibile con le leggi di mercato e con altre attività delle quali tutti regolarmente facciamo un elenco. Ma anche con incentivi economici, con la deroga alla PAC-politica agricola europea che dia al mondo pastorale sardo quella unicità e valore che merita interventi specifici. Incentivi economici, defiscalizzazioni, sgravi contributivi, marketing, diversificazione, che servano però, con una accorta gestione, non a comprarsi il fuoristrada nuovo o a costruire un nuovo piano della palazzina o a comprare terreni in Campidano o nella Nurra per alimentare ciclicamente "l'economia della protesta" La questione è politica, la questione sarda e la sovranità. Non basta la competenza nell'agricoltura, che già abbiamo, ma la competenza nel nostro destino..
    Sono d'accordo sull'approccio di Maninchedda.
    Trovo però che ancora non tratti, come invece è mia convinzione sardista, la questione che si aiuta la pastorizia non solo dando soldi, ma sopratutto impedendo che tanti soldi escano dalle loro tasche. Non affronta la questione della fiscalità di vantaggio, cioè l'applicazione dell'art.12 dello Statuto vigente che permetterebbe ai pastori di pagare molto meno l'IVA su mangimi, macchinari, carburanti,energia elettrica, acqua ecc. Con sgravi su redditi e contributivi anche per i dipendenti. Poter vendere il loro prodotto migliore in Sardegna con l'IVA abbattuta rispetto a prodotti che vengono dal continente europeo, con tutti i prodotti della filiera pastorale, carni, insaccati, prosciutti.. Il loro costo di produzione verrebbe abbattuto dal 25 al 30% con l'applicazione attualizzata del principio della zona franca al sistema agroindustriale che necessita di una Vertenza con lo Stato per ottenere le apposite leggi d'attuazione dell'Art.12 in materia di agroindustria. Che poi richiami la possibilità di fornire pecorino romano alle scuole e agli agriturismi, lo trovo sbagliato. Il pecorino romano per noi è immangiabile. Come ben si sa un prodotto cattivo caccia sempre quello buono!! Bisognerebbe fornire alle scuole e agli agroturismi gli altri formaggi sardi, ma quelli si vendono bene e non sono in crisi.
    Una novità importante è la sua proposta di una "road map" da concordare in Consiglio regionale per Lo Statuto, legge statutaria ecc.
    Significa un' abbandono, almeno per adesso, della pregiudiziale della Costituente? Mi pare di sì ed è una buonissima proposta. Può portare ad uno sbocco positivo del dibattito innescato dalla mozione sardista sull'indipendenza che si confronterà con le altre presentate dagli altri partiti.
    Vedremo il documento finale che sarà votato e prevarrà. Però adesso bisogna entrare nel campo dei contenuti. Spero che la Carta de Logu noa, abbia finalmente il suo ruolo..
    Anche i messianici dell'indipendenza saranno costretti a fare proposte.
    Per adesso purtroppo sono fuori gioco..

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  4. dae Nanni Falconi

    Apo a essere sa sola boghe cuntraria in mesu a totu sas àteras chi in custas dies narant chi su casu romanu est malu, ma la bogo su mantessi.
    Fatu a pastore sardu, creo chi siat su casu prus bonu chi si faghet in sardigna. No est de badas chi in ue at berbeghes lu copiant e nos faghent cuncorrentzia.
    Si mi narades chi non rendet meda a sos pastores est un'àteru contu, ma in contu a genuinidade, sabore, e resa, non b'at ite iscumbatare cun perun'àteru casu.
    Apo su suspetu chi chie narat chi est malu non l'at assagiadu mai. o puru l'at assagiadu, l'at agatadu malu, e at pensadu chi totu su chi si faghet est malu.
    forstzis est neghe puru de chie lu cummertziat chi reservat sa prima eccellentza a s'america e lassat in italia totus s'àteru.

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  5. @ Nanni Falconi
    In custu ti do resone: a bias m'est capitadu de mandicare casu romanu chi fiat bonu meda, ma galu oe in die nd'apo una pàia de chilos chi resesso a mandigare, petzi si est fratadu paris cun àteru casu. Custu cheret nàrrere chi podet èssere bene fatu o male fatu, che a totu sos casos. E chi si podet dare chi su rebus est in su chi naras tue, grandu iscritore e pastore mannu.
    Ma sa chistione est un'àtera: si non si resessit a lu bèndere carchi cosa chi no andat bi depet èssere e tando tocat de cambiare su sistema. Bonu a lu nàrrere non so àteru e tantu bonu a nàrrere comente. Ma, pro nàrrere, ant iscobertu chi su casu fatu cun late de berbeghes chi paschent sèmene de linu andat bene pro sos chi tenent artu su colesterolu, est a nàrrere s'umanidade,
    A ti los bies sos sartos in ue paschent sas berbeghes semenados a linu, comente fiat una bia in Baronia? Si nd'at pèrdidu s'amentu, ma s'amentu podet torrare e produire finas casu dietèticu non diat èssere una manera pro gherrare e bìnchere sa crisi?
    Tue m'imparas chi su casu de sos montes est prus bonu e de prètziu mannu; ma in sos montes non faghet a b'istare, oe in die. Pro ite non pedire una polìtica pro sos montes chi agiudet sos pastores a bi torrare? Caminos in gràtzia de Deus, s'elètricu in sos cuiles, dèrogas comunitàrias pro produire a s'antica, zonas francas de produtzione, ingulimare sos pastores a produire biodiversidade in contu de frùtura e erbas?
    Pro la segare in curtzu, una polìtica econòmica comente si tocat fundada in su pastoriu e in su massariu.

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  6. Si calcolino tutti i soldi che la UE ha dato come premio di produzione per l'esportazione del pecorino romano.
    Un contributo che ha deformato l'effettivo valore commerciale di un prodotto per i sardi immangiabile.

    Ora si diano contributi per riqualificare in modo adeguato la pastorizia sarda, insomma non contributi per mantenare la situazione esistente ma per convertirla verso lidi migliori.
    tenendo conto che un pastore con 200 pecore nutrite in modo normale (cioè senza ipernutrirle con eccessivi mangini), producendo 30.000 litri di latte deve essere messo in condizione di vivire dignitosamente.

    saluti

    Mauro Peppino

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