L’articolo
114 della Costituzione italiana afferma che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Prima del 2001, quando con i
suoi soli voti (4 in più) il centrosinistra approvò la riforma di questo e
degli altri articoli del Titolo V, la Costituzione del 1948 affermava che “La Repubblica si riparte in Regioni,
Province e Comuni”. La trasformazione non è da poco, visto che vi si
riconosce, 53 anni dopo la approvazione della Carta italiana, “una posizione paritaria a tutti gli enti
costitutivi della Repubblica” fino ad allora un quasi sinonimo di Stato. È
una affermazione che irrita, e non poco, gli adoratori del centralismo bonapartista,
fra i quali il costituzionalista Michele Ainis che oggi sul Corriere della sera si scandalizza
perché così “lo Stato ha la stessa
dignità del Comune di Roccadisotto” (fra l’altro inesistente) e parla di “sprezzo del ridicolo”.
È
bene, credo, tener presente tutto questo (compreso il neo bonapartismo) oggi che
gli scandalosi comportamenti di Grandi e Piccoli Inquilini di alcune
amministrazioni regionali (Lazio, Molise, Lombardia, Sicilia, in primo luogo)
stanno solleticando i pruriti giacobini e riaccentratori di alcuni maîtres à
penser, dispensatori di odio anti autonomista dai media italiani. La loro
proposta è semplice: abolire le Regioni additate al pubblico ludibrio non solo,
giustamente, per gli sprechi e il malaffare, ma anche per i loro costi. Per ora
si limitano a quelle ordinarie, ma già adocchiano le speciali, definite sempre
da Ainis anacronistiche. Sia chiaro, il marciume che giorno per giorno si
scopre oggi nel Lazio, ieri in altre regioni e domani forse in altre ancora, è
intollerabile e non può certo essere certo estirpato solo con inchieste giudiziarie
e neppure solo con dimissioni di presunti rei. Ci vuole – so che è una litania malinconica,
ma va recitata – una rivoluzione culturale profonda. Ma le regioni non sono un
bubbone da estirpare. Tanto meno lo sono quelle a Statuto speciale che non sono
un grazioso dono del centralismo.
Il
sistema politico italiano ha tante pustole purulente da alimentare un moto di
schifo generalizzato. Con due effetti, oltre ad un distacco dalla politica: il
primo è quello della comoda scappatoia del “son
tutti ladri”, il secondo è quello alquanto patetico del “Chi, io? Gli altri semmai”, accompagnato
da un ruffiano battimani agli inquisitori. Sempre pronti, va da sé, a gridare
alla persecuzione, quando l’applauso non salva da una indagine sgradita. Ma è
il sistema politico dell’intera Repubblica a essere nelle peste, non solo
quello regionale, comunale o provinciale. La corruzione nella sanità non è
stata inventata dalle regioni, il giorno che ad essa è stata trasferita la
relativa competenza. È una malattia di lunga data: chi ricorda lo scandalo
degli anni Ottanta con protagonisti un ex ministro della sanità e un direttore
del Servizio farmaceutico?
La
cosiddetta tangentopoli si occupò non tanto di assessori regionali o comunali,
ma di fauna politica ai vertici dello Stato italiano. La magistratura – si
disse – supplì alla incapacità della politica di riformarsi. Ma nessuno, di
fronte a quello sconvolgimento epocale (altro che gli scandali “regionali”
odierni!), propose di sciogliere lo Stato. La lobbie giacobina (ben radicata
nei grandi quotidiani di diverso orientamento) si dà da fare, invece, per
sciogliere le regioni come misura atta a moralizzare e ad abbattere la spesa
pubblica.
Se
questa medicina davvero fosse buona per le regioni, perché non cominciare ad
applicarla dallo Stato, questo Leviatano che è il luogo geometrico della
corruzione, dello sperpero e della inefficienza? Una Repubblica fatta di comuni e di regioni
non avrebbe forse più possibilità di essere rispettabile e più utile ai propri
cittadini? Forse, neppure i capi della rivolta contro le regioni riuscirebbero
ad ammetterlo: la loro non è una opera di contenimento della spesa e di moralizzazione
della vita pubblica, o almeno non è quello l’aspetto principale. Quel che essi odorano
nell’aria, credo sia un presentimento di crollo dello Stato nazionale, troppo
grande e insieme troppo diversificato per reggere. Invece di prendere atto che
l’unitarismo “nazionale” è una finzione, suggeriscono alla politica (troppo
presa dalle proprie bipartisan magagne) di cancellare le diversità e di
accentrare.
Una
tentazione che Mariano Rajoy, in Spagna, ha nei confronti della Catalogna,
nazionalità della quale vorrebbe cancellare l’identità con i suoi costi. La
prima risposta è stata una manifestazione indipendentista di quasi due milioni
di persone. La seconda, secondo quanto si dice, potrebbe essere presto una
campagna elettorale con al centro il tema dell’indipendenza. Certo, non
esistono nelle regioni ordinarie (e a ben vedere neppure nelle speciali) realtà
omologhe alla Catalogna. L’esperimento della Padania, se non fallito per la
cupio dissolvi che ha messo in crisi la Lega Nord certo sembra molto
ridimensionato. L’autonomismo meridionalista sconta la propria incapacità a
farsi classe dirigente autonoma e la propensione a scimmiottare la politica cosiddetta
nazionale. Ma non darei per scontato che ci sia un destino già scritto, se i
tentativi di cancellazione delle regioni passassero dalla agitazione mediatica
dei neo bonapartisti alla azione politica.
Conto
diverso è quello che ci riguarda non solo come regioni speciali, ma soprattutto
come Sardegna. Tanto trambusto accentratore spero convinca anche i più tiepidi
fra gli autonomisti del fatto che non c’è alcuna speranza nella dipendenza da
questo Stato. Bisognerà riparlarne.
Dunque, parliamone. Io, quasi quasi li giustifico i costituzionalisti alla Ainis. Persone che hanno un concetto così alto di sè, come possono sopportare una folla di pidocchi risuscitati, cafoni e maneggioni, alla guida di istituzioni in cui le gerarchie sono andate a farsi benedire? C'è da chiedersi perchè mai le persone che hanno un "ego" esorbitante (chiaro che ognuno può pensare di sè ciò che vuole) siano il più delle volte affette da "centralismo bonapartista".
RispondiEliminaSecondo me è un problema di "transfert": l'Io si identifica con lo Stato, inteso come la più alta autorità in un contesto sociale. E allara il comune di Roccacannuccia non può pretendere di avere pari dignità con l'autorità suprema. Sarebbe come mettere sullo stesso piano l'illustre-costizionalista-che- scrive-sul-primo-quotidiano- italiano con l'ultimo dei maneggioni che siede in un qualsiasi parlamentino eletto da chi sa chi. Eh, quel suffraggio universale, che errore, che errore.
Come puoi vedere, non si tratta solo di pericolo per le regioni a statuto speciale e per la lingua di qualche buzzurro, che neanche la vuole più parlare, ma del principio: "una testa un voto". A quanto pare ci sono teste e teste. Non perdiamoci d'animo, si incominci con gli statuti speciali e, piano piano rimetteremo le cose a posto.
Rileggendo quanto sopra mi sono chiesto: "E se lo leggesse mikkelj?". Sono preoccupato, non vorrei mi sistemasse con Ainis, non essendo, io, nè costituzionalista nè "penna" del Corriere.
RispondiElimina