L’articolo
di domenica scorsa, I
filistei smemorati, ha suscitato alcune decine di commenti, solo
pochi dei quali sul merito: la scoperta a Arcu de is forros di una iscrizione
attribuita ai filistei. Naturalmente non me ne dolgo, per due ordini di
ragioni. Il primo è che, una volta pubblicato, un articolo – e persino un libro
– cammina con le sue gambe e prende strade ignote al suo autore. Il secondo
ordine di motivi riguarda la mia evidente incapacità di mettere a fuoco
l’argomento. Tento, così, di farlo, tralasciando questioni, certo
importantissime, che gli sono, però, collaterali.
Figurarsi
se non ho presente un aspetto della nostra storia passata, quella degli Shardana,
che è fondamentale per conoscere chi eravamo o non eravamo. Dico soltanto, su
questo, che della questione esistono diverse letture e diverse interpretazioni
e che una di esse, eretica rispetto alla vulgata corrente, è stata illustrata
non in un articoletto su un blog, ma in un convegno internazionale promosso
dalla Università di Haifa. Voglio dire che la relazione (e le pezze d’appoggio
scientifiche) di Giovanni
Ugas hanno almeno la stessa dignità delle poche righe apodittiche di un
paio di altri studiosi. Come l’hanno, del resto, i lavori di molti altri
studiosi che hanno spesso (troppo poco spesso) onorato questo blog.
Ma nei
pressi di Villanova Strisaili, a Arcu de is forros, si è di fronte a qualcosa
di diverso, capace di confermare, con la voce dell’ufficialità, la tumulazione
di uno stereotipo: i protosardi non scrivevano, i protosardi sono stati
trascinati nella storia da popoli venuti da lontano. A chi segue questo blog
(quasi un milione di visite in tre anni e mezzo) la faccenda non è certo
ignota: ha seguito gli articoli di Gigi Sanna ed è a conoscenza
delle reazioni che i loro articoli hanno suscitato, prima di isterica
negazione, poi di tentati approcci dialettici, quindi di insultante derisione,
in fine di silenzio tombale. Recentemente ci sono stati ripensamenti, non
ancora un dietro front, ma un timido approccio alla questione “scrittura
nuragica” con o senza virgolette. Difficile negare che la capacità di Sanna di non arrendersi al dileggio abbia provocato questo cambiamento di
approccio, ma non ancora la fine della pratica del nascondimento: la barchetta
di Teti, il coccio di Pozzomaggiore, la “rotella” di Palmavera, fra gli altri
oggetti visibilmente scritti.
Il
recente articolo di Maria Ausilia Fadda e di Giovanni Garbini su Archeologia Viva, pur con le reticenze
degli autori, i loro salti logici, i loro silenzi, i contorcimenti compiuti
davanti al bellissimo reperto, una cosa tira fuori con chiarezza: agli inizi
del Primo millennio avanti Cristo nel centro Sardegna si conosceva la
scrittura. Essi affermano che il coccio cananeo con scrittura filistea è
dell’VIII secolo e secondo la signora Fadda, la data è certa perché lo strato
su cui giaceva è certamente databile. Secondo un amico archeologo, si tratta di
una buona approssimazione, ma non di una certezza, visto che difficilmente un
oggetto di tanto pregio non avrebbe seguito la vita e le sorti dei
frequentatori del santuario nato mezzo millennio prima. E seguendo queste sorti
avanzato strato dopo strato. Decisiva sarebbe la datazione della scritta.
Ma non
è questo che, poi, conta molto. Conta che i nuragici di allora erano dentro la
storia e fuori della preistoria. Cosa che Gigi Sanna afferma da
tempo e che ora trova una “conferma accademica”. In due loro interventi, centrati
come sempre e come sempre rarissimi, Pietro Murru e Maimone si chiedono e ci
chiedono di che natura sia il tarlo divoratore che si nasconde dietro la
disistima mostrata da tanti archeologi. Secondo me, si tratta del tarlo della
solitudine. I tentativi della dr Fadda prima di spostare Sirilò (alle porte di
Orgosolo) in pieno Supramonte per dire che lì erano arrivati i romani, oggi di
mettere i filistei al centro dell’Ogliastra a far da direttori dei lavori dei
nuragici, nascono dalla paura che qualcuno possa pensare ai nuragici e ai post
nuragici come degli isolazionisti. Gente chiusa, refrattaria ai contatti e alle
contaminazioni.
E
pensare che le basterebbe convincersi che quelle navicelle nuragiche (una
bellissima è stata trovata a Arcu de is forros) non erano semplice lampade
votive, ma riproduzione in scala di navi naviganti e questi suoi timori
svanirebbero nel nulla.
Poniamo il caso che Ugas avesse ragione nel sostenere che gli shardana che invasero (assieme ad altri popoli) l'Egitto tra il XV e il XIII secolo a.C. fossero i nuragici, logica vorrebbe che nei nuraghi si trovasse traccia (elementi di cultura materiale egizia risalente a quell'epoca) e invece nei nuraghi non troviamo nulla, dico nulla che possa far pensare ad una frequentazione dei nuragici dell'Egitto.
RispondiEliminaDunque la tesi di Ugas è priva di un basilare fondamento.
Più verosimile pensare che gli Shardana così come andarono in Egitto , una parte di loro venne in Sardegna come ipotizzato dalla Sandars e come ho cercato di spiegare nel XIX cap di Archeologia del paesaggio nuragico
scriveva Arthur Schopenhauer che "la verità attraversa tre fasi: prima viene ridicolizzata, poi osteggiata violentemente, infine accettata come palese"
RispondiElimina@ Archeologia Nuragica Rovescio il tuo ragionamento: sei al corrente di "elementi di cultura materiale egizia risalente a quell'epoca" ritrovati nella penisola Anatolica, in particolare a Sardi, Sardesso o monte Sardemisio?
RispondiEliminaNel caso, poi che Garbini avesse ragione, ci troveremo davanti a dei popoli portentosi che, dovunque siano andati, hanno fornito il loro nome per battezzare le varie regioni che hanno colonizzato.
@ Giorgio sono d'accordo, ma qual'é la verità?
Ma più che il tarlo della solitudine, si tratta del tarlo della depressione. La Sardegna è un'isola di depressi, di gente che si disprezza, di gente che ha di sé l'immagine negativa che gli ha inculcato la scuola e l'ambiente circostante. I "nostri" archeologi, come anche i linguisti e tutta la classe dirigente, si sono formati in un clima di disprezzo per tutto ciò che è sardo e in più sono pagati per riprodurre l'immagine negativa della nostra terra. L'immagine che ciascuno di noi ha di sé stesso si forma durante l'infanzia nel confronto con gli altri. Almeo la nostra generazione 1e una generazione di traumatizzati e abbiamo cresciuti i figli del nostro trauma. Chissà se mai ne usciremo
RispondiElimina@ Roberto S, in tutta l'area levantina, delta del Nilo compreso, vi sono tracce di un millenario interscambio.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina@ Mauro Ok, ma dove sono le prove che gli attori di questo scambio fossero shardana residenti in Anatolia?
RispondiEliminaSto solo cercando di capire...
Signor Bolognesi,da persona totalmente digiuna di archeologia nuragica,le chiedo,se può,di approffondire il motivo reale di questa profonda disistima che i sardi hanno di se stessi ed anche della bellezza della nostra terra.Mi riesce difficile pensare che la colpa sia della classe dirigente o di archeologi pagati per confermare questo nostro senso di inferiorità.Poi c'è la grande contraddizione del nostro orgoglio di essere sardi.Tempo fa dissi che anche le persone più povere hanno un senso della dignità che difficilmente si trova in altri popoli.La ringrazio in anticipo.
RispondiEliminaCara Grazia, lasciamo stari i signori :-).
RispondiEliminaHo scritto un post sul mio blog. Ma è solo l'inizio di una serie. Io stesso sto cercando di capire in che modo il fatto di essere stati acculturati dall'Italia ci porti ad avere un'immagine così negativa di noi stessi. Per me, per esempio, il vivere in Olanda è stato decisivo per capire che postaccio è l'Italia. Come fai a prenderla a modello dopo aver vissuto in un paese civile? E i nostri intellettuali guardano tutti all'Italia come a un faro di civiltà. E sono gli intellettuali che costruiscono l'immagine "ufficiale" della Sardegna. Poveri noi con questi intellettuali sardi!
Roberto @
RispondiEliminapiù che prove, indizi che ho elencato nel XIX cap....
@ Mauro
RispondiEliminaNe avevo già preso atto.
Per questo preferisco rimanere in attesa di prove e riscontri.
Effettivamente quanto dice Bolognesi é vero. Siamo un popolo di depressi. Quando si entra a scuola (scuola italiana) si entra in un mondo altro, in cui non ci riconosciamo. In Storia non si studia mai la Sardegna (perché la nostra Storia è altra), In Italiano non si studia mai il sardo (perchè il Sardo é altro). Persino gli Autori sardi che scrivono in italiano sono sentiti come altro, ma stavolta non da noi ma dai terramannesi. Basti pensare alla Deledda, cui neppure un premio Nobel é riuscito ad inserirla nelle antologie (la sua presenza é alquanto rara). Persino in Geografia la sardegna era sempre l'ultima regione, quella che non si studia mai. Mi viene persino in mente quella carrellata sul clima che fanno ai TG: si passa in rassegna ogni regione d'Italia, ma quando si arriva a palermo il servizio finisce.In un clima del genere, é ovvio che il sardo si vergogna delle sue origini e sente la necessità d'integrarsi. Solo una parte di essi riuscirà ad affrancarsi da questa sorta di colonialismo e autocolonialismo culturale. La maggioranza resta né carne né pesce, ma convinta della superiorità della cultura italiana. Mi viene in mente quel giovane sardo che andò a Roma e spedì una cartolina ai suoi amici rimasti in paese. Scrisse (in italiano porcheddino):Ho visto a Roma e me ne viene Cagliari (Appo idu a Roma e beneminde Casteddu).Eppure basterebbe viaggiare all'estero per rendersi conto che l'Italia non é il centro del mondo, semmai ne é una lontana periferia. E in questo modo noi siamo diventati la periferia della periferia.Sono dell'idea che i nostri giovani devono andare maggiormente all'estero, e noi stessi dovremmo invogliare maggiormente gli stranieri a venire in Sardegna. Non dimentichiamoci che i maggiori conoscitori ed estimatori della Sardegna sono gli stranieri: M.L. Wagner in campo linguistico, M. Le Lannou in campo geografico, M. Balmuth in campo archeologico etc etc
RispondiEliminaRingrazio,mi è difficile non scrivere signor Bolognesi,mi scusi.Gli intellettuali sardi non mi interessano a me piacciono i veri sardi che continuo a stimare tanto anche se sono depressi ed ora ne hanno ben donde.Continuo ad ammirare la determinazione degli operai nel difendere i loro posti di lavoro.Diciamo pure che tutti i nostri governanti(scelti,purtroppo da noi) sono degli incapaci.A proposito di ciò che scrive il signor Maimone anche io ho notato che di Sardegna, dal punto di vista culturale, non se ne parla mai.Anche quando ci sono trasmissioni televisive che parlano delle bellezze artistiche italiane,la Sardegna pare un posto sconosciuto.Ed è vero che solo gli stranieri la sanno apprezzare.
RispondiEliminaMah, la depressione è sintomo (o annuncio) di creatività, più che depressi, temo, in Sardegna ci siano molti incazzati: perché le cose si fanno con troppa lentezza, oberati da distanze, formalismo delle leggi, burocrazia, e nel nostro caso aggiungerei sovrana ignoranza di coloro che dovrebbero essere deputati o sovraintendere alla cultura. La classe dei docenti, che io bazzico, è forse la più ignorante, non aggiornata, arrogante, piccoloborghese che l'Italia abbia. Mediamente l'ultimo libro che hanno letto è quello del giorno di presentazione della tesi. Gente pronta a protestare per i pronti interessi e con creatività zero. Perciò io non vedo depressione, ma arroganza, difesa del privilegio, familismo amorale, e diffusa stupidità.
RispondiElimina@ Roberto
RispondiEliminac’è sempre una verità o tante verità che molti cercano, spesso inutilmente, lungo un percorso che la frase di Schopenhauer sintetizza adeguatamente. Ma per quelli che fanno ricerca per semplice passione, esiste un’unica fase chiamata indifferenza che sommerge tutte le altre.
Troppo semplice scagliarsi contro la matrigna Italia, il bimbo si è fatto grande ormai e ha fatto le sue cazzate di cui è ora che chieda conto soltanto a se stesso. Starei anche attento al troppo osannare le altrui patrie di là delle Alpi come modelli di civiltà, non vorrei che a un complesso d'inferiorità se ne sostituisse un altro, diciamo, più international. A questo punto siamo noi stessi troppo italiani, che ci piaccia o meno, per far finta che certi difetti stiano tutti al di la del Tirreno, per far finta che siano difetti altrui. Adesso il tarlo è tutto nostro e lo innaffiamo tutte le mattine e poi di nuovo alla sera e lo teniamo all'ombra nelle ore più calde: è le nostre stupide divisioni, è il nostro disgustoso provincialismo, è la nostra ignoranza, è tutti i nostri preziosi pretesti intellettuali. Oramai vale solo bestemmiare contro noi stessi!
RispondiEliminaLa questione scrittura nuragica si sta mettendo su una china pericolosa. Una teoria, che si spancerà perfettamente sulla vecchia idea che fa dei Sardi soltanto una comparsa nella storia della propria terra, è in costruzione. Attorno ad essa faranno quadrato: tutto fuorché accettare che i Nuragici scrivessero già nel II millennio. Oggi stiamo assistendo all'arrivo dei Filistei nel secolo VIII (ma guarda un po'!) per farci dono della “matrice linguistica del protosardo” (come si possa arrivare a una tale affermazione a partire da un coccio di cui si dichiara di non saper nulla, solo il dio delle barzellette... ma poi nell'VIII secolo ancora il protossardo era di là da venire? E prima? Il protosardizitti?). Domani o dopo arriveranno (ufficialmente) anche gli Shardana, nel VII barra VIII secolo naturalmente, così anche il nome della nostra isola sarà a posto. E i Nuragici? I Nuragici non sono mai esistiti. E i nuraghi? ...quanto disturbano i nuraghi: un giorno ci sveglieremo e puff... scomparsi... ci diranno che abbiamo fatto un bel sogno fantasioso!
Ho tirato fuori io, qui, la questione del tarlo, è giusto analizzare il problema, capirne la natura, ma penso anche che il rischio di avvitarci ancora su di esso sia dietro l'angolo, e questo ci farebbe perdere ancora del tempo prezioso, dopo tutto, forse si tratta soltanto un atteggiamento mentale e occorre aspettare che muoia sotto i colpi del tempo, e nel frattempo forse faremmo bene a buttarci su questioni più specifiche e imminenti.
P.S.
Atropa ha incrociato le braccia! Questo sciopero è una iattura! Spero torni presto sulla sua decisione.
"E allora adesso è guerra." Brava Aba,questa è l'unico tipo di guerra che mi piace e mi affascina:combattere contro i potenti imbroglioni.
RispondiEliminavorrei dire che la guerra culturale si può combattere su più fronti e quello scelto dai nostri esperti, il primissimo fronte, permette a noi appassionati di godere della bellezza di reperti che forse proprio il battage (si scrive così?) su internet a spinto fuori. cioè: l'urgenza di mostrare che in fondo, si, la scrittura c'era, ma non era proprio dei sardi e tutti gli altri distinguo presenti nell'articolo, forse sono la prova più evidente del fatto che l'archeologia ufficiale e accademica debba allinearsi al'evidente e dimostrata concretezza dei documenti. non sono stata molto chiara, ma spero ceh laguerra, se la vogliamo chiamare così, continui sul piano di eticità e scientificità a cui noi lettori di questo blog e fan dei nuragigi e del prof. sanna e di aba, siamo abituati
RispondiElimina“il tarlo sono l'incompetenza e la disonestà di alcuni potenti+ la passività e la paura + la non volontà di fare un fronte comune contro l' incompetenza e la disonestà dei potenti”
RispondiEliminaMi piace. È una sorta di definizione operativa, è quello che ci vuole!
P.S.
Lo studio uscito su Applied Physics a che periodo porta lo scarabeo? Si sa già?