di Carlo Puppo (*)
“Abbiamo
soltanto un problema di oneri aggiuntivi.” Con queste parole il
rappresentante del Governo italiano Gianfranco Polillo, sottosegretario di
Stato per l’economia e le finanze, ha espresso la sua contrarietà all’ordine
del giorno promosso dall’on. Federico Palomba (IdV) e sottoscritto dai deputati
Carlo Monai (IdV), Caterina Pes (PD), Ivano Strizzolo (PD), Fulvio Follegot
(LN), Manlio Contento (PdL), Mauro Pili (PdL), Settimo Nizzi (PdL) e Giovanni
Paladini (IdV). Ordine del giorno che, vista l’opposizione del Governo, è stato
bocciato con 355 no, 132 sì e 12 astenuti.
Quale
il motivo del contendere? Il fatto che l’ordine del giorno, se approvato,
avrebbe impegnato il Governo Monti ad intervenire affinché fosse mantenuta la
regola che fissa come base di calcolo per le Istituzioni Scolastiche Autonome
il numero minimo di 400 alunni in ragione della loro appartenenza ad aree in
cui sono presenti minoranze linguistiche riconosciute con la legge statale
482/99. In pratica a superare quell’aberrazione storica e giuridica
rappresentata dal concetto di “minoranze di lingua madre straniera”
introdotta dal decreto n. 95/2012 in materia di revisione della spesa
pubblica che il 7 agosto, con il voto conclusivo della Camera dei Deputati,
è diventato legge. Una legge che, se diamo credito alla relazione tecnica che
accompagnava il decreto legge, qualificava come dialetti il friulano, il sardo
e l’occitano, in aperto contrasto con la 482/99.
Ad
essere approvati sono stati invece altri due ordini del giorno sul medesimo
argomento – primi firmatari l’on. Caterina Pes (PD) e Angelo Compagnon (UDC) –
in cui si impegna il Governo italiano a “valutare l’opportunità, nel
rispetto degli equilibri di finanza pubblica” di riconsiderare la propria
posizione in modo da non discriminare alcune minoranze rispetto ad altre. Il
che, detto in soldoni, significa che il rispetto dei diritti linguistici
garantiti dalla Costituzione italiana, dalla legge statale 482/99 e dalla
Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali dipende dalla
disponibilità di risorse finanziarie e dalla volontà di un Governo formato da
persone che nessun cittadino italiano ha votato.
Nonostante
l’intervento di alcuni parlamentari friulani e sardi – non ci interessa fare
classifiche su chi ha operato di più e meglio, toccherà agli elettori farlo –
il dato reale è che, a parte una vaga promessa di ripensamento da parte del
Governo italiano, la legge opera una discriminazione tra le diverse minoranze
che pone friulani e sardi, cioè le due maggiori comunità minorizzate, nella
categoria più bassa. Un rischio che, se non si interviene subito e con
decisione, potrebbe riproporsi anche con il disegno di legge di ratifica
della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie visto che il testo
uscito dalle Commissioni prevede per friulano, sardo ed altre lingue il grado
di tutela più basso, in diversi casi inferiore perfino a quanto previsto dalla
legge 482/99. Un tema, questo, che in Sardegna ha mobilitato anche il Consiglio
regionale, autore di un ordine del giorno unanime che invita il Parlamento a
rivedere la propria posizione, mentre in Friuli – Venezia Giulia a quanto pare
tutto tace. In ogni caso, con o senza il sostegno della Regione, per i nostri
parlamentari il lavoro non è affatto finito.
È
probabile che per la maggioranza delle persone, impegnate a rimanere a galla in
un periodo di crisi che sembra non voler finire, si tratti di argomenti di poco
conto. Ci si permetta di dissentire per almeno tre ragioni, due di natura più
“locale” e una di interesse generale.1) La problematica sollevata riguarda
direttamente la posizione di alcune decine di dirigenti scolastici
(principalmente nelle Regioni Friuli – Venezia Giulia e Sardegna), ma
indirettamente influisce sull’autonomia e sulle dimensioni degli istituti
scolastici. Non è un caso che la questione abbia allarmato e non poco i
sindacati, anche quelli che in altri periodi si erano dimostrati piuttosto
tiepidi – ci si passi l’eufemismo – sulla presenza delle lingue minorizzate
nella scuola. Come non è un caso che l’assessore regionale competente Roberto
Molinaro abbia recentemente confermato l’intenzione di impugnare l’articolo di
legge in questione davanti alla Corte Costituzionale: un’iniziativa che come
Comitato 482 avevamo già sostenuto e che ci auguriamo venga concretizzata al
più presto. La presenza della lingua friulana nelle scuole infatti non
riguarda solo il rispetto dei diritti linguistici, ma anche quello della
volontà popolare (la richiesta giunge da oltre 39mila famiglie, più del 70% dei
genitori delle aree friulanofone) e la stessa organizzazione
scolastica (scuole più vicine al territorio, numero maggiore di insegnanti,
ecc.). Se è vero che la qualità dell’istruzione è un investimento per il
futuro, non c’è dubbio che per il Friuli questa sia una questione davvero
importante.
2)
Particolari condizioni economiche, presenza di confini, area di rilevanza
logistica e infrastrutturale, amministrazione responsabile: di tentativi per
motivare la specialità della nostra Regione ne abbiamo sentiti davvero tanti,
ma nessuno – a meno di non voler essere ipocriti – che non valga anche per
alcune Regioni a Statuto ordinario. L’unica ragione di specialità rimane quindi
il fatto che la maggioranza della popolazione del Friuli – Venezia Giulia parla
una lingua diversa da quella statale. La difesa dell’autonomia passa
dunque da lì: prima tutta la classe politica regionale se ne renderà conto e
maggiori saranno le speranze di mantenere la specialità con tutto ciò che ne
consegue in termini di vantaggi per i cittadini, anche quelli che non parlano
friulano, sloveno o tedesco. Per giocarsi la carta della diversità linguistica
è però necessario attuare politiche serie per la promozione delle lingue
proprie del territorio. Non basta parlare, si deve fare: un esempio arriva
da quanto ha saputo fare negli ultimi anni la Provincia di Trento in
particolare per i ladini.
3) Il
principio che si cela dietro il modo in cui il Governo italiano è intervenuto
su questo tema è estremamente pericoloso, anche per quanti oggi non ne sono
direttamente toccati. “Non c’è una contrarietà in linea di principio –
ha spiegato il sottosegretario Polillo – abbiamo soltanto un problema di
oneri aggiuntivi.” Con un linguaggio apparentemente neutro si afferma così
un principio devastante: nessuno mette in dubbio i diritti, ma visto che per
garantirli non ci sono soldi (per altre cose sì) non c’è nulla da fare... Si
tratta di un problema che riguarda tutti. È infatti in atto uno scontro tra chi
ritiene che tutto sia sacrificabile – a cominciare dai diritti dei più deboli –
in nome del pareggio di bilancio o della riduzione dello spread, e chi
ritiene che la strada per uscire dalla crisi sia un cambiamento del sistema.
Oggi a rappresentare degli “oneri aggiuntivi” per la società sono
alcune minoranze linguistiche, domani tocca a lavoro, scuola e salute, ma
forse, come dice il cantautore friulano Lino Straulino in un suo pezzo, “il
doman al è za cumò”.
(*) portavoce del Comitato 482
Grazie a Gianfranco per la pubblicazione del Comunicato stampa del Comitato 482.
RispondiEliminaE spingete la Giunta regionale della Sardegna a presentare ricorso alla Corte Costituzionale: è l'unica strada che abbiamo per bloccare questa deriva incostituzionale che vuole cancellare la legge 482/99 e l'art. 6 della Costituzione italiana.
mandi!
Roberta
hoi hoi, galu a lamentas imbetze de falare in pratza e narrer kraru kraru ki sos sardos ana finiu de istare paris cun s'italia.
RispondiEliminaEs tempus de nos pikare cussu ki nos ispetat, sa libertade comente populu, comente natzione sarda.
Bibat sa republica sarda!
Bibe hermano, que la vida es breve. E pagu mali ca ancora est ebra.
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