Leggo queste due frasi dello storico Luciano
Marrocu e immagino la sofferenza intellettuale di cui sono prodotto: Spero non
se ne abbiano a male i propugnatori della unità d’Italia se si dice che il loro
progetto è figlio dell’idea ottocentesca di Stato-nazione conquistato da un popolo
“uno, d’arme, di lingua, d'altare, di memorie, di sangue e di cor”, anche perché
dire che un'idea è ottocentesca non significa intendere che sia malsana o
sbagliata. Si tratta solo di vedere come questa idea può funzionare oggi nello
specifico contesto italiano e europeo.
Date le premesse, e pur considerando la
benevolenza con cui la “idea ottocentesca” è apprezzata, la conclusione mi pare
scontata: questa idea oggi non può funzionare. È ottocentesca ed è da relegare
tra le rose che non colsi, le cose che avrebbero potuto essere e non sono.
Il fatto è che il mio è un inganno. Luciano
Marrocu imputa questi arcaismi ottocenteschi non ai paladini e patrocinatori
dell’unità d’Italia, ma agli indipendentisti sardi. Sono le loro idee di
indipendenza a essere obsolete. Vuoi mettere la modernità quasi futurista dell’idea
di Italia una e indivisibile. Altro che idea ottocentesca: qui siamo in pieno
III millennio. Per gustare con l’attenzione
che merita la novità di pensiero dello storico, ecco le sue frasi: “Spero non se ne abbiano a male gli
indipendentisti sardi se si dice che il loro progetto è figlio dell’ idea
ottocentesca di un’indipendenza conquistata da un popolo “uno, d’arme, di
lingua, d'altare, di memorie, di sangue e di cor”, anche perché dire che
un'idea è ottocentesca non significa intendere che sia malsana o sbagliata. Si
tratta solo di vedere come questa idea può funzionare oggi nello specifico contesto
sardo, italiano e europeo”.
L'unità europea incontra enormi difficoltà, perché è frutto di un 'idea che confligge con i nazionalismi consolidati da secoli e tutti i loro preconcetti. L'unità degli USA è stata voluta da subito e - pur avendo incontrato le sue evidenti difficoltà - ha praticamente dimostrato gli ottimi effetti della collaborazione e della sinergia verso uno scopo, pur nell'imperfezione umana.
RispondiEliminaContinuare a guardarsi l'ombelico dell'indipendentzia sarda mi sembra tempo perso, davvero, oppure un buon passatempo per chi di tempo ne ha troppo.
Il signor Sandro fa finta di ignorare, o probabilmente non lo sa, che gli USA sono una nazione mentre l'UE è un insieme di nazioni. Fatta questa premessa, che non mi pare di poco conto, ci sarebbe da spiegare a persone come Marrocu, ma anche ai vari Macciotta e compagnia bella, che essere indipendentisti oggi significa essere sovrani in casa propria e federalisti sotto il profilo dell'integrazione globale, in termini economici e culturali. I Sardi oggi arrancano sia nel primo aspetto che nel secondo.
RispondiEliminaIn Europa e nel mondo le minoranze lo hanno compreso e pertanto si battono per essere indipendenti (senza subire l'intermediazione dello Stato centrale) al fine di amministrare direttamente (ad esempio in un consesso europeo) i loro interessi.
Sono concetti elementari a cui nel mondo stanno arrivando in tanti (datosi che dal 1948 ad oggi gli Stati di nuova indipendenza sono cresciuti), ma solo in Italia continuiamo ad avere simili ritardi di comprensione. Ci saranno delle ragioni ovviamente, politiche e culturali, con cui spiegare questo ritardo.
Continuare ad attaccare le minoranze: questo si che è ottocentesco, e fa carta straccia di grandi conquiste umane come i diritti universali e le Nazioni Unite.
Adriano Bomboi
Anche il martedì è giorno di mercato e ciascuno cerca di vendere ciò che ha da vendere, idee comprese, anche quelle senza grandi pretese.
RispondiEliminaLe parole di Marrocu, così come le ha riportate GFP in corsivo, non sono una stroncatura dell'idea indipendentista, ma solo un avviso per capire come si possano attuare oggi certe idee guida di due secoli fa.
D'altra parte, con lui (Marrocu) l'idea indipendentista ha fatto un salto in avanti di venti secoli, se è vero che certi cultori della filosofia dello scavo, qui più volte ricordati, riportano le strane idee di indipendentismo al periodo nuragico e lo apparentano al nazismo.
Dunque dovremmo averci guadagnato in tempo e in riferimenti culturali. E non è cosa di poco conto, se ci viene riconosciuto che finalmente anche noi sardi ci stiamo mettendo in parallelo col tempo delle macchine a vapore, almeno quelle per fare il caffè espresso.
Le mie convinzioni invece traballano quando sento raccontare che gli USA sono una nazione, anche se sono a conoscenza di certe loro feste nazionali: come si fa a pensare ad una nazione quando una confederazione di stati comprende cittadini di origine e lingua inglese, francese, tedesca, italiana, messicana, oltre alla nazione dei nativi americani?
E non ho messo nel calderone i figli e i nipoti degli schiavi.
A me pare un minestrone sociale e il fatto che stiano nella stessa pentola non rende uguali i fagioli con le carote.
Se si dà atto di questo, si possono trovare ragionamenti più che convincenti per dare una solida base all'indipendentismo, visto che là in America tutto nacque da una guerra di ribellione contro la madrepatria britannica. O non fu così?
Gli USA sono una nazione dalla prevalente matrice anglosassone (ciò si rileva in diverse parti del diritto, della lingua, di ALCUNI tratti religiosi, ecc) che risiede nell'ambito di una federazione ovviamente multietnica (al riguardo basta osservare gli stati a larga influenza spagnola: New Mexico, Texas e Arizona, o le vecchie comunità afroamericane ed endogene). Ma nel 1776 non sono nati da alcuna pulsione nazionalista, piuttosto da una serie di ragioni politiche ed economiche, dovremmo parlare a limite di nazionalismo civico infatti e non di etnonazionalismo. Storicamente la multietnica nazione americana (ma di fatto dominata dal culto dell'uomo "bianco" fino ai tardi anni '70 del '900) si ha al termine della guerra civile statunitense, con la sconfitta degli Stati sudisti di Jefferson Davis e la presidenza Lincoln (1861-1865).
RispondiEliminaAdriano Bomboi
Concordo con i concetti espressi dal Sig. Bomboi. “ Oggi l’indipendentismo è possibile nei termini di una proposta di governo che non abbia le stigmate del pensiero politico ottocentesco europeo. È possibile un programma di governo sovranista sideralmente distante dai dogmatismi ideologici che hanno infettato l’Europa, che sia efficace e non ideologico.” (dal blog di P.G. Maninchedda).
RispondiEliminaPer il Sig. Francu che ha convinzioni traballanti in merito ad una Nazione composta da diverse etnie, mi permetto con tutta l’umiltà immaginabile, di palesargli stralci dell’introduzione del libro "L’identità etnica" dell’antropologo Ugo Fabietti. (Il passo fa riferimento al concetto di identità etnica così come è comunemente inteso, per poi evidenziare brevemente, per contrasto, a quali risultati è giunta la ricerca antropologica negli ultimi decenni nell'opera di decostruzione dei concetti legati all' "etnicità". Il suo discorso generale può essere applicato anche ai concetti di nazione e di identità nazionale, che a quello di etnia sono strettamente collegati.)[……..] La nozione di etnia e le altre ad essa correlate sono] il risultato di operazioni intellettuali antiche come il genere umano ma che si inscrivono di volta in volta, e in presenza di determinate convinzioni, in un rapporto di forza e dominazione esercitato da alcuni gruppi nei confronti di altri. [...] Più che essere il rispecchiamento, nella lingua, di realtà "naturali", l'etnia e l'etnicità sono delle vere e proprie costruzioni simboliche, il prodotto di circostanze storiche, sociali e politiche determinate. La prova di ciò consiste nel fatto che, contrariamente a quanto spesso si crede, queste nozioni non indicano delle realtà statiche, date una volta per tutte. [...]La nozione di etnia e quelle ad esse correlate sono, abbiamo infatti detto, costrutti culturali mediante i quali un gruppo produce una definizione del sé e/o dell'altro collettivi. Si tratta di definizioni mediante cui questo gruppo si autoattribuisce una omogeneità interna e -contemporaneamente - una diversità rispetto ad altri. con queste ultime. [...] [Tuttavia,] l'identità etnica non è frutto di pura immaginazione. Una volta "immaginate", le etnie assumono una consistenza molto concreta per coloro che vi si riconoscono [...]. Ma anziché corrispondere a realtà "eterne", queste etnie, queste identità sono [...] il risultato di processi di etnicizzazione voluti o favoriti dall'esterno oppure dagli stessi gruppi che competono, in determinate circostanze sempre circoscrivibili sul piano storico, per l'accesso a determinate risorse, materiali o simboliche. L'identità etnica o nazionale diviene allora un fattore strategico per la rivendicazione - pacifica o violenta a seconda dei casi - del diritto di accedere a determinate risorse, e ciò in nome di un diritto alla propria identità che fa riferimento ad una idea di "autenticità" culturale. [...] [Il senso di identità così costruito] si fonda spesso sulla rimozione della realtà storica. Le etnie [...] pretendono di essere delle realtà eterne, naturali, mentre non sono altro che il prodotto di una rappresentazione contingente, che spesso ha poco a che vedere con la storia e con i processi sociali che hanno portato alla loro formazione. D'altra parte questo punto era stato colto già nell'Ottocento dal grande orientalista Ernest Renan il quale, parlando della nazione [...] aveva scritto: "L'oblio, e dirò persino l'errore storico, costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione".
(da: FABIETTI Ugo, L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Roma
Aggiungo una nota per chi avesse letto il commento di Pigliaru sulla sovranità monetaria e l'inopportunità indipendentista: se proprio Pigliaru doveva usare un esempio...al suo posto avrei scelto il New Mexico o il Texas e non la California (che avrebbero avuto maggiori connotati per aspirare a divenire uno Stato-nazione dalle radici ottocentesche), ma il parallelo con gli Stati-nazione europei dell'attuale Unione Europea non avrebbe retto comunque.
RispondiEliminaAdriano Bomboi
Si rafforza in me l'idea che per i vari Marrocu, Macciotta, Pigliaru, G.Melis non è vero che non sia troppo tardi per riuscire a mettersi al passo, se vogliono criticare l'indipendentismo di oggi e di ieri. Maninchedda sembra dar loro qualche residua possibilità di ravvedimento, invece secondo me occorre proprio abbandonarli al loro destino. Non hanno proprio niente da dire, come, forse, non l'hanno mai avuto. I loro errori non sono più emendabili. Che senso ha dar credito a quanti continuano a sparare con i loro archibugi arruginiti? Per quel che vedo io, il problema sardo è essenzialmente di classe dirigente da cambiare, da ridurre, da ringiovanire, stando attenti ad escludere chi, come i nostri,è antropologicamente negato per guidare l'isola verso un futuro migliore.
RispondiEliminaCom'è interessante leggere tutti i vostri commenti!Ma, a me" i fagioli e le carote" "il martedì è giorno di mercato e ciascuno cerca di vendere ciò che ha da vendere, idee comprese, anche quelle senza grandi pretese" mi concilia con la vita.L'ironia è l'arma più bella.
RispondiEliminaRingrazio la signora Rosella per le letture che mi offre e mi consiglia, anche se ho già letto qualcosa sull'identità, intesa dal punto di vista antropologico, come il bello e provocatorio libro "Contro l'identità" di Francesco Remotti. Lettura che mi ha parecchio condizionato nel giudizio positivo sul fenomeno, anche se qualcosa l'avevo subodorato da me, quando dalla ex Jugoslavia ci pervenivano le cronache degli avvenimenti atroci, legati a questioni etniche e d'identità culturali.
RispondiEliminaCiò che voglio dire è che il termine nazione, nella comune interpretazione ha un significato ben preciso; Aldo Gabrielli lo spiega così: “Complesso di individui aventi un’origine comune, spesso comuni la lingua, la storia, la religione, i costumi, sia esso o non sia politicamente unito”.
E ricordo bene il mio professore di filosofia che ci metteva in guardia di scambiare per sinonimi i termini "nazione" e "stato". Nazione può essere scambiato più propriamente con "popolo", quando "stato" indica un'organizzazione politico-giuridica alla quale sottostanno gli individui compresi nel suo territorio, che è delimitato.
Per prescindere dall'Italia, che pure è uno stato tecnicamente plurinazionale, visto che comprende anche frange della nazione tedesca e francese (per non dire tutta la nazione sarda), l'esempio storico più significativo è la nazione o popolo curdo, attualmente sottoposto agli ordinamenti di vari stati, fra cui, principalmente, l'Iraq e la Turchia.
Per tornare all'esempio che ha fatto Adriano ( gli USA sono una nazione mentre l'UE è un insieme di nazioni), mi sa indicare quale lingua, storia, religione, tradizione si spartivano i coloni inglesi d'America e gli schiavi africani o ancora i nativi americani perché potessero essere considerati una sola nazione?
Quando e se leggerà Remotti, probabilmente si farà l'idea che per uno Stato l'essere molto o troppo identitario non è un punto di forza, Anzi.
E con questo chiudo confermando che non sono antiamericano, anche se da sempre parteggio per gl'indiani.
Gli USA hanno fatto dell'indipendenza e dei diritti dell'individuo la propria bandiera: non a caso hanno fatto per quegli ideali una Rivoluzione, circa 75 anni prima della Rivoluzione Francese...
RispondiEliminaGli Stati Uniti sono nati da un'aggregazione volontaria di Stati differenti. Quando il Texas accettò di entrare nella Federazione, infatti, si riservò prima una lunga serie di diritti particolari, tra cui, ad esempio, la possibilità di avere una propria marina militare (oltre al contributo da esso fornito alle forze armate federali nelle tre armi) e quello di suddividersi in quattro sub-Stati di propria iniziativa. Giocare con le parole, Bomboi, non cancella la verità.
La verità infatti Sandro è che noto confusione nella sua ricostruzione storica. Il principale motivo della guerra civile USA fu il divario sociale-politico-economico fra gli Stati del sud e quelli del nord. L'indotto dell'economia sudista si reggeva grazie allo schiavismo! Ohibò..difficile credere che proprio il Texas, che fu tra i promotori della Confederazione di Davis, fosse a favore dei "diritti dell'individuo". Solo da Lincoln in poi quel modello viene nominalmente superato (ma sul piano sociale persisterà fino a quasi tutto il secolo scorso). Malcom X teorizzava persino l'avvento di una nazione nera contro l'abuso dei bianchi.
RispondiEliminaL'unica cosa in cui potrei concordare è che la prevalenza della federazione USA è nata per aggregazione volontaria di Stati differenti (perché il ceto dominante e mercantile era quasi tutto originario dell'area anglosassone). Non tutti naturalmente furono ansiosi di annettersi, ad esempio la Lousiana fu letteralmente comprata da Thomas Jefferson, mentre il New Mexico fu l'esito di un'operazione di annessione seguita alla guerra messicano-americana col Trattato di Guadalupe Hidalgo. Anche in questi Stati vigeva lo schiavismo, con buona pace della Costituzione di Philadelphia, e furono fra i promotori della Confederazione sudista.
Di conseguenza rispondo anche a Francu: cosa si spartivano afroamericani in termini di lingua o economia con i coloni inglesi? Nulla, infatti solo nel 2009 è stato eletto alla presidenza un cittadino di colore (Obama) e per questo parlavo di nazionalismo civico. Perché se oggi chiedi ad un afroamericano o a un formaggino USA che cosa si sentano di essere...direbbe che appartiene alla nazione americana. E' nazionalismo civico, cioè non ha limiti di provenienza etnica (ben diverso ad esempio dallo sciovinismo etno-serbo dei primi anni '90 contro le minoranze regionalistiche).
Adriano Bomboi
Aggiungo: se l'UE funziona male è proprio perché i singoli nazionalismi che la compongono sono coordinati male, le minoranze hanno scarsa voce in campo economico e i grandi numeri sono piegati a quelli degli Stati più forti. La soluzione è dare diritti a queste voci, non reprimerle cercando di omologarle.
RispondiEliminaAdriano Bomboi
Adriano, capisco il tuo ragionamento sul "nazionalismo civico", ma ti sei accorto che questo vale anche per te, o per me, ed un abruzzese, per dirne uno? Ci sentiamo civicamente della nazione italiana che, come sai, non esiste, così come non esiste quella americana.
RispondiEliminaOppure saltiamo il fosso e diciamo che ci vogliamo tutti bene?
Comente nai, nazioni sarda adiosu!
Ci basterà un distintivo coi 4 mori e l'assicurazione (inserita nella Costituzione) che il Cagliari vinca lo scudetto una volta ogni cento anni?
Se così è, possiamo pensare più tranquillamente alle ferie.
Non ci basta infatti, ma essere liberali non significa annacquare totalmente la propria identità in un cosmopolitismo di maniera: ci sarebbe spazio per tutti, ma con la giusta sovranità. E a patto che per primi lo comprendano gli indipendentisti che si scordano di diritti come la lingua Sarda.
RispondiEliminaAdriano Bomboi
"E a patto che per primi lo comprendano gli indipendentisti che si scordano di diritti come la lingua Sarda." Bravo signor Bomboi,sintetico ma efficace.
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