È esistita una Letteratura e una Civiltà sarda? È la domanda a cui risponde, positivamente “Letteratura e civiltà della Sardegna”, di Francesco Casula. Insieme libro di testo per le scuole e godibilissima lettura, del lavoro di Casula è uscito recentemente il primo volume che partendo dalle prime espressioni conosciute di letteratura, la Carta del giudice Torchitorio, arriva agli scritti di Salvatore Cambosu. Edito da “Grafica del Parteolla”, in libreria al costo di 20 euro, il libro si presenta come utilissimo sussidio per chi nelle scuole sarde volesse finalmente far conoscer agli studenti la storia della letteratura della nostra Isola. Di seguito la parte finale della introduzione a “Letteratura e civiltà della Sardegna”-
di
Francesco Casula
Alla
straordinaria ricchezza culturale sono ... spesso mancati, almeno
fin’ora, i mezzi per una crescita e prosperità materiale adeguata.
Oggi, dopo il sostanziale fallimento dell’ipotesi di
industrializzazione petrolchimica, si punta molto sull’ambiente e
sul turismo, settore quest’ultimo sicuramente molto promettente,
purchè si integri con gli altri settori produttivi, ad iniziare da
quelli tradizionali come l’agricoltura, la pastorizia e
l’artigianato. La struttura economica sarda infatti è sempre stata
fortemente caratterizzata dalla pastorizia, che oggi però con i suoi
quattro milioni di pecore, sottoposta com’è a processi di
ridimensionamento dalle politiche dell’Unione europea, rischia una
drammatica crisi.
Ebbene,
pur in presenza di forti elementi di integrazione e di assimilazione,
nella società, nell’economia e nella cultura, l’umore
esistenziale del
proprio essere sardo –di cui parla Giovanni
Lilliu- continua a segnare profondamente, sia pure con gradazioni
diverse, oggi come ieri, l’intera letteratura sarda che risulta
così, autonoma, distinta e diversa dalle altre letterature. E dunque
non una sezione di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore.
Nasce
anche da qui l’esigenza di un’autonoma trattazione delle vicende
letterarie sarde: ad iniziare da quelle scritte in Lingua sarda. Da
considerare non “dialettali” ma autonome, nazionali sarde, vale a
dire. A questa stessa conclusione arriva, del resto, un valente
critico letterario (e cinematografico) italiano come Goffredo Fofi,
che nell’Introduzione a Bellas Mariposas di Sergio Atzeni
(edito dalla Biblioteca dell’Identità-Unione sarda, pag.18-19)
scrive:”Sardegna, Sicilia. Vengono spontanei paragoni che
indicano la diversità che è poi quella dell’insularità e delle
caratteristiche che, almeno fino a ieri, ne sono derivate, di
isolamento e di orgoglio. E’ possibile fare una storia della
letteratura siciliana o una storia della letteratura sarda, mentre,
per restare in area centro-meridionale- non ha senso pensare a una
storia della letteratura campana, o pugliese, o calabrese, o
marchigiana, o laziale…
Il
mare divide e costringe: La letteratura siciliana e la letteratura
sarda possono essere studiate –nonostante la comunanza della
lingua, con quella di altre regioni, almeno dopo l’Unità- come
“Letterature nazionali”. Con un loro percorso, una loro ragione,
loro caratteri e segni”.
In
questa antologia potremmo vedere che dalle origini del volgare sardo
fino ad oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non
abbia avuto una produzione letteraria. Certo, qualcuno potrebbe
obiettare, che essa, rispetto ad altre lingue romanze, ha prodotto
pochi frutti: può darsi, ma – dato e non concesso- si poteva
pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato
imbrigliato e impastoiato potesse correre? La lingua sarda, certo,
deve crescere, e sta crescendo, ed ha soltanto bisogno che le vengano
riconosciuti i suoi diritti, che le venga proprio riconosciuto il suo
“status” di lingua.
La
Lingua sarda, dopo essere stata infatti lingua curiale e
cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e della
Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale,
viene infatti ridotta al rango di dialetto paesano, frammentata ed
emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italiani di Pisa
e Genova e poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo
l’italiano.
Cosicché
essa non è un fatto “primigenio” ma è fatta e prodotta di somme
e di accumuli, è un prodotto storico che sta a testimoniare la
capacità dei sardi di confrontarsi con le culture esterne,
volgendole e assimilandole in moduli specifici. Ciò, fra l’altro,
consente che nella letteratura sarda si ritrovino insieme autori che
scrivono in sardo e in italiano ma anche autori che hanno scritto, in
latino, in catalano e in castigliano –come riporteremo e
documenteremo in questa Letteratura- e non importa con quale
certificato di nascita e con quali «contenuti» e temi. L’importante
è che questi autori trovino una condizione specifica nello «stare»
per ottica e palpitazioni, per weltanschaung, per il modo con
cui intendono e contemplano la vita e per tante altre cose, razionali
e irrazionali, che derivano dai misteri e dalle iniziazioni
dell’arte, compresa la nostalgia, che, a dispetto dei
politici«realisti», come dice Borges, è la relazione migliore che
un uomo possa avere con il suo paese.
L’importante
è che la produzione letteraria esprima una specifica e particolare
sensibilità locale, ovvero “una appartenenza totale alla
cultura sarda, separata e distinta da quella italiana” diversa
dunque e “irrimediabilmente altra”, come scrive il critico
sardo Giuseppe Marci.
L’importante
è soprattutto –come scrive Antonello Satta- “che gli autori
sappiano andare per il mondo con pistoccu in bertula, perché proprio
in questo andare per il mondo, mostrano le stimmate dei sardi e,
quale che sia lo scenario delle loro opere, vedono la vita alla
sarda”.
Miguel
de Unamuno era basco, e scriveva in castigliano, ed era anche
contrario a una ripresa dell’euskera come lingua letteraria.
Eppure Unamuno, se fa parte della letteratura spagnola, fa anche
parte della letteratura basca e il mondo intero, così presente nella
sua opera, è per lui una Bilbao dilatata: Hermanos somos todos
los umanos/el mundo intero es un Bilbao màs grande.
Anche
tra Italia e Sardegna vi sono appartenenze comuni: e dunque negli
autori sardi vi sono anche elementi di assimilazione e di
integrazione e persino “imitatori” di movimenti e stili oltre
tirreno e non solo. Pensiamo -per esempio- a due “grandi” del
Primo Novecento: Sebastiano Satta e Grazia Deledda. Il primo vanta
robuste ascendenze carducciane e pascoliane; la seconda è
copiosamente influenzata sia dal Verismo che dai romanzieri russi di
fine ottocento: eppure ambedue sono soprattutto i cantori della
“sardità” e pongono al centro della loro scrittura la Sardegna e
i Sardi.
Ma
anche quando la Sardegna non è “protagonista” –pensiamo a Un
anno sull’altipiano e Marcia su Roma e dintorni- emerge
comunque l’identità etno-nazionale sarda. Nel caso di Lussu, è
evidente nella sua scrittura che, come ha sostenuto autorevolmente il
linguista sardo Leonardo Sole, si incardina nella cultura orale e
in particolare perfino nel ritmo narrativo della fiaba sarda:
fortemente ritmizzata e caratterizzata da un giro di parole
essenziale e rapido.
In
realtà, se vogliamo parlare di opere letterarie e, pur sapendo che
appartengono al mondo, ci proponiamo di identificarle come sarde,
dobbiamo valutarle non tanto per la lingua che scelgono, quanto per
l’uso che ne fanno e per il loro modo di collocarsi esteticamente e
non solo, in Sardegna.
In
realtà l’unico modo per analizzare la Letteratura sarda –come
sostiene Silvano Tagliagambe- “è valutarne l’evoluzione
storica, mettendone in luce la continuità di varie caratteristiche
come elementi di un’unica catena”. A patto che –cito ancora
Antonello Satta- “non si vada a parare in «Madonna Evoluzione»
e si tenga conto che la continuità, soprattutto in letteratura, può
subire rotture, come rileva Asor Rosa, e le cose, restie ad adattarsi
a storicismi stretti, possono andare, secondo la metafora di Bertrand
Russel, «a macchie e sbalzi»”.
Una
letteratura sarda esiste, se, come ogni letteratura, ha i tratti
universali della qualità estetica e se, in più è
«specifica», non tanto per questioni grammaticali e sintattiche,
quanto per una questione di Identità. E’ proprio l’Identità
sarda il tratto che accomuna gli Autori che abbiamo scelto e trattato
in questo volume.
Sono affascinata dall'amore che noi sardi abbiamo per la nostra terra,per le nostre tradizioni,per la nostra lingua,per in nostre essere un pò diversi dal resto degli italiani.Mi resta però un pò ostico l'ostilità che,alcuni di noi,provano verso il governo centrale.Ho sempre pensato che ognuno di noi è artefice del proprio bene o male.Il sardo è un popolo con tanti pregi ma è anche un pò troppo individualista e ciò lo porta alla difficoltà di unirsi e combattere insieme per difendere i propri diritti.Pensiamo alla crisi economica che ha colpito tutta l'Italia ma in Sardegna,mi senbra ancora più drammatica vedi la lotta dei pastori,lo stesso turismo che sarebbe una fonte di richezza viene usato male.La nostra terra è meravigliosa ma siamo sicuri di averla valorizzata bene per il suo sviluppo?Come sempre,mi faccio prendere dall'enfasi e dall'amore e vado fuori tema,scusatemi.
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