venerdì 3 febbraio 2012

Ancora due o tre cose sulla resistenza dei sardi


di Giovanni Ugas
Offrendo il mio contributo sulla problematica della resistenza dei Sardi ai Romani, negata da un articolo apparso di recente su un quotidiano, non intendevo aprire un dibattito sulle mie considerazioni, ma ho apprezzato il fatto che l’argomento abbia suscitato interesse e non mi sono sottratto al dibattito appresso sopraggiunto. Da parte mia ho ritenuto opportuno rispondere ai commenti sulla mia nota ma non è possibile intervenire all’infinito sui commenti dei commenti, specie se non sono prettamente in tema, come quelli sulla scrittura nuragica e su altri argomenti (ad esempio la funzione dei nuraghi), ma sono disponibile, se si vuole, per uno specifico dibattito sulla scrittura e su altre tematiche di archeologia pre-protostorica. Quanto al tema della costante resistenziale ritengo più corretto che la discussione parta da una relazione specifica e che veda l’apporto di qualche esperto di sociologia, etnologia e linguistica oltre che l’archeologia. Riguardo alla discussione in corso, al momento, credo opportuno intervenire solo per alcune precisazioni, poiché mi è stato esplicitamente chiesto.
- Riguardo al bel quesito di Roberto Bolognesi come fosse possibile conciliare le ripetute gravi sconfitte e il gran numero di prigionieri strappati all’isola con la capacità dei Sardi di continuare a resistere contro i Romani, occorre dire che necessariamente le stragi, le catture e i conseguenti trasferimenti di tanti Sardi che portarono al detto Sardi Venales, dovettero provocare un rilevante depauperamento della popolazione delle piane e delle fasce collinari, ma non un completo genocidio. Alla cifra di centomila uomini uccisi o prigionieri ... [sighi a lèghere]

39 commenti:

  1. "picco di 450-700 mila abitanti raggiunto nell’età del Bronzo recente e finale (1300-900 a.C.), DESUMIBILE dal computo di 7.000 nuraghi e circa 2500-3000 villaggi (Ugas, Africa Romana, XII, p.541; in Per una riscoperta della storia locale. La comunità di Decimomannu nella storia, p.160)".
    Alcuni per lo stesso periodo, ottengono totali molto più ridotti, ammontanti a 200.000 - 300.000. Altri riducono radicalmente il totale a circa 100.000.
    Quanto è sicuro, lei, dei numeri che propone?

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  2. Ma che domande fa, Sandro? “Quanto è sicuro, lei...?” ...ma che domanda è? Che risposta si aspetta? Del tipo: “no, non sono molto sicuro, sparo così... tanto per sparare, sono molto più sicuri quelli che danno le cifre di cui parla lei...”, oppure: “sono sicurissimo, molto più sicuro di quanto sono sicuri quelli che hanno dato le cifre che ha riportato...”. Oppure lei sta provando a fare il furbo? Perché se non sta provando a fare il furbo, guardi... non viene proprio fuori brillantissimo. A pensarci bene, però, anche come volpe...

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  3. si ringrazia il dott. ugas per il suo desiderio di confrontarsi con l'opinione pubblica, spero in futuro lo facciano molti suoi colleghi "accademici", cosa che fino ad ora non è accaduta, non vorrei che questo fosse un caso isolato, grazie.

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  4. Caro Giovanni
    con 2500-3000 villaggi e 7000 nuraghi, e utilizzando la tua idea sulla funzione militare del nuraghe (che non condivido), ci stai forse dicendo (pensando a 200 abitanti per villaggio e a 40 guerrieri per nuraghe) che ritieni che vi fossero tra le 500.000 e le 600.000 persone nei villaggi e 280.000 guerrieri alloggiati nei nuraghi?

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  5. Esimio Professore, mi corregga se sbaglio, due sono le "costanti" che ci vengono attribuite e che noi indossiamo con qualche orgoglio: la costante resistenziale e quella pastorale. Non si può fare a meno, parlando dell'una di pensare all'altra e di introdurla nel discorso.

    D'altronde sono nate assieme, almeno in letteratura (non abbiamo dimenticato i Re Pastori), perchè, in realtà, abbiamo cominciato ad essere pastori per diventare resistenti, sucessivamente, come fatto accidentale.

    Perdoni se azzardo un'ipotesi: e se, i Punici prima e i Romani poi, la "resistenza l'avessero già trovata in atto, alla loro venuta? "Resistenza" reciproca di due mondi culturalmente diversi?

    Il mio paese è a due passi da Santa Vittoria di Serri, luogo di sacralità nuragica come ce n'è tanti in Sardegna. Lì si facevano le feste, cantonali direbbe lei, in onore del dio o della dea (a meno che non fosse androgino) ma si aggiustavano anche le cose fra la Sardegna del grano e la Sardegna dei pascoli.

    La tavola di Esterzili, non è semplicemente una sentenza emessa da Roma su una semplice disputa sui confini fra Gallilenses E Patulcenses, è un documento di quell'epoca di uno "scontro" che durava de millenni.

    Vero è che il contadino alleva e il pastore coltiva, non è però la stessa cosa. Nel loro "resistere" reciproco, chi ha torto, chi ha ragione? Difficile dirlo, possiamo dire chi ha vinto e chi ha perso e già la cosa era chiara al tempo dei nuraghi.

    Vede Professore, sono passato dalle domande alle affermazioni perentorie. Abbia pazienza e mi perdoni.
    Con devozione.

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  6. @ piero
    condivido il tuo pensiero Piero e ringrazio anch'io il prof Ugas, ma prepariamoci alla difesa.
    Come minimo ci aspettano epiteti come qullo di usare "tortuosi meccanismi cerebrali" e di essere "condizionati dal pensiero altrui". Ciao

    Giuseppe Mura

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  7. iverNon è così che funziona, secondo me, caro Giovanni Ugas. E mi fai replicare alla tua maniera, quasi con un 'saggio', che io però lascerò, correttamente, a commento dell'articolo. Il Blog non è sede dove uno pontifica, gli altri fanno domande e obbiezioni e, quando il pontificante si accorge che esse sono in qualche modo terminate si degna di replicare. E si replica addirittura, facendo seguir dopo giorni 'saggio' a 'saggio', con modalità a dir poco scostanti. In un Blog c'è anche la libertà di non rispondere, se per esempio si è aggrediti e ci si accorge che il motivo della domanda ha fini che sono di tutt'altra natura che quella di sapere o chiarirsi le idee. Però il rispondere, il non 'sottrarsi al dibattito' immediato, 'a caldo', per così dire, è d'obbligo in una sede inventata appositamente per questo. Tutti si comportano così. Rispondono subito o quasi subito. Il motivo è semplice e non ci sarebbe bisogno di spiegartelo: perché a risposta può seguire altra risposta, possono nascere e intrecciarsi le repliche a raffica, anche all'infinito, molte volte interessantissime (alcune hanno fatto la fortuna di questa particolare sede di dibattito). Ora, secondo te, come avrebbero dovuto reagire coloro che ti hanno fatto obbiezioni e domande? Rispondere per le rime e scriverti saggi e saggi su ognuna delle cose che dici (o che non dici). Ma ti pare possibile? Certo, si può sempre replicare con un altro post:, evitando quelli a commento, ma quando ci si rende conto che un particolare aspetto di quello che si chiede non può essere soddisfatto in maniera semplice. E questo in genere, bada bene, lo si annuncia a chi fa certe domande. Se ciascuno di noi così si fosse comportato, Gianfranco Pintore da tempo avrebbe chiuso baracca perché i lettori non avrebbero retto alla noia e, forse, alla supponenza continua dei primi della classe. Perché i 'saggi' permanenti assoluti e le 'monografie' permanenti assolute, cosiddetti 'scientifici', vanno scritti in quelle sedi deputate ad accoglierli. Come chiuderebbe baracca quell' aula di conferenze dove si annunciano confronti e dibattiti a seguito delle relazioni e poi tutti i relatori, alla fine delle domande, gelano il pubblico affermando: 'Grazie per le domande'. Ci vediamo, per le risposte, alla prossima conferenza'. O ancora, finirebbe di fare il professore chiunque alle domande e alle obbiezioni degli alunni, magari 'pierini' , non si degnasse di rispondere e chiudesse sempre la lezione dicendo: 'Ci vediamo, per le mie risposte, alla prossima lezione'.

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  8. subotIl bello e l'umano del Blog è proprio la risposta puntuale, veloce, dettagliata o meno, all'obbiezione E poi. Se tu avessi già risposto puntualmente, nessuno oggi avrebbe, ad esempio, aspettato ad eccepire sul dato, del tutto non scientifico perché empiricamente non verificabile ( tanto è vero che nessuno la pensa allo stesso modo!), del numero dei nuragici esistenti in un certo periodo. E mi auguro che tu non voglia replicare a ciò e cioè alla 'nessuna prova', cosa questa che evidentemente inficia una grossa parte di quello che hai sostenuto per una certa 'dimostrazione'. Perché si parla quando ci sono prove solide, molto solide: altrimenti è meglio tacere. Perché altrimenti, permettimi che te lo dica, per quanto mi riguarda , è solo aria fritta. E si perde tempo inutilmente.
    Vedi, ora, perché tu risponda a questa mia obbiezione (che potrebbe anche essere sbagliata) e ad altre ancora, dobbiamo aspettare un altro 'saggio' ? Un altro... 'alla prossima lezione'?
    Per finire: dici di essere disponibile ad un confronto sulla scrittura nuragica. Guarda un po' questa tua singolare 'disponibilità' in questo Blog! Qualcuno ha detto: finalmente! In quattro anni ho prodotto decine e decine di documenti, ho esposto infinite tabelle, ho avviato dibattiti anche infuocati sull'argomento, ho cercato la dialettica e la collaborazione di tutti, forse rompendo anche le balle. Stessa cosa fa, dannandosi l'anima con la documentazione sarda e non, da un certo tempo, una studiosa di fama internazionale del calibro di Aba Losi. Ebbene, dove si è manifestata questa tua 'disponibilità' e dove hai cercato il confronto? Se me lo dici. Mai! Forse recentemente nelle pagine dell'Unione Sarda, dove hai ancora una volta pontificato citando solo te stesso come 'scopritore' della scrittura nuragica? Davvero, davvero? Sai cosa ha detto due anni fa (due anni, mica due giorni) quel Pietro Murru, quello che ha messo il secondo post per questo tuo articolo e che segue 'dialetticamente ' il tema scrittura da diversi anni? Che sei, siete (quelli come te) 'fuori tempo massimo' per un confronto. Infatti, confronto per che cosa? Perché io mi sfianchi e ripeta le cose che ripeto da 15 anni? I confronti alla Pittau, che pretende di parlare di cose che non sa e che, soprattutto, non capisce? Per discutere su dei documenti che mai avete voluto accettare e mai vorrete accettare? Ma se proprio vuoi, vieni a darla, la tua manifesta 'disponibilità' seguendo e intervenendo alla lezioni del Corso di Epigrafia nuragica. Bada che avvengono in una Aula Magna di sede universitaria, mica sono fatte a sa Rodia ad Oristano. Bada ancora che mi accontento di 'disponibilità' anche per una sola lezione. Oppure se preferisci, pur essendo clamorosamente fuori tempo, scrivi un saggio su questo Blog su quella fesseria del bronzetto 'Aaronne' musico e ballerino del Museo Nazionale di Cagliari, 'scritto' solo per la mia malata immaginazione. Toca a ti biere, Ugas! Scrivilo. Se non altro servirebbe a sconcertare e a far interrompere un certo flusso di malati come me che quel bronzetto al Museo di Cagliari vanno oggi a vedere. Le 'cialtronerie' vanno eliminate sul nascere. Non trovi?

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  10. Rinuncio a seguire Lugas! Lugas dice: "- Riguardo al bel quesito di Roberto Bolognesi come fosse possibile conciliare le ripetute gravi sconfitte e il gran numero di prigionieri strappati all’isola con la capacità dei Sardi di continuare a resistere contro i Romani, occorre dire che necessariamente le stragi, le catture e i conseguenti trasferimenti di tanti Sardi che portarono al detto Sardi Venales, dovettero provocare un rilevante depauperamento della popolazione delle piane e delle fasce collinari, ma non un completo genocidio. Alla cifra di centomila uomini uccisi o prigionieri, deducibile soprattutto dai dati di Tito Livio, indipendentemente dal fatto che fosse esagerata o no, si contrappone una popolazione ancora consistente, pur di non semplice valutazione."
    Se per Lilliu--ma anche per Ugas-- i Sardi resistenti si rifugiarono sulle montagne, per Lugas adesso quelli uccisi in battaglia o venduti come schiavi sono quelli delle pianure e delle colline. Quindi delle due una: i Sardi delle montagne si limitavano a godersi il panorama, anziché scontrarsi con i Romani--ma aici seus bonus totus!--o dobbiamo credere che i legionari abbiano ammazzato i Sardi accomodanti delle pianure perché non riuscivano a prendersela con i loro cugini "supermen" dei monti. Ma! Questa mi sembra più teologia che archeologia. Il dogma va salvato ad ogni costo, anche pagando il prezzo del ridicolo!
    Il problema della misteriosa latinizzazione totale e volontaria dei Sardoresistenti non viene neppure affrontato.
    Ci rinuncio!

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  11. Lapsus freudiano! Lugas era il direttore dell'ufficio di collocamento di Portoscuso ai tempi in cui a Portovesme c'era lavoro e io ero disoccupato!

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  12. Io ho sempre considerato la costante resistenziale come una sorta di continuità di esperienze culturali dei sardi a partire da epoche remote, pre-nuragiche e/o nuragiche, passando per le civitates barbariae di epoca romana, per il ducato barbaricino alto-medievale, fino ad epoca giudicale. Nel corso dei secoli si è perso qualcosa, magari una lingua o più d'una, ma la consapevolezza di essere portatori di una cultura "altra" è rimasta sempre intatta!
    Giuseppe

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  13. "picco di 450-700 mila abitanti raggiunto nell’età del Bronzo recente e finale (1300-900 a.C.), DESUMIBILE dal computo di 7.000 nuraghi e circa 2500-3000 villaggi (Ugas, Africa Romana, XII, p.541; in Per una riscoperta della storia locale. La comunità di Decimomannu nella storia, p.160)".
    Alcuni per lo stesso periodo, ottengono totali molto più ridotti, ammontanti a 200.000 - 300.000. Altri riducono radicalmente il totale a circa 100.000.
    Quanto è sicuro, lei, dei numeri che propone?

    Io vorrei che il prof Ugas - e non altri - mi rispondesse cortesemente circa l'esattezza del "calcolo a ritroso" partendo da nuraghi e villaggi.

    Se facessimo il calcolo della popolazione sarda OGGI, partendo dall'edilizia, probabilmente la valuteremmo consistente in 13-15 milioni (turisti, seconde case, case abbandonate di emigrati, alberghi). Nel Bronzo l'errore (probabilmente meno imponente, ne convengo) sarebbe dato - credo - dai doppi villaggi implicati dalla transumanza, ad esempio, oltre che da quelle abitazioni solo apparente mente coeve (ma già disabitate) e quelle adibite solamente al periodo della caccia, etc...
    Credo che cifre così elevate come quelle che lei cita, Prof Ugas, fossero raggiunte solamente molto più tardi, in periodi storici molto più vicini a noi: l'isola è sempre stata molto povera di popolazione, pur essendo stata la prima isola del Mediterraneo ad essere popolata in modo permanente.
    Un caro saluto.

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  14. premesso che questo è un blog dove principio cardine è il confronto e lo scambio idee, mi pare assurdo che si pretenda il confronto solo con una specifica persona... scrivetevi in privato allora!
    detto ciò ritengo che la popolazione sarda non fosse così esigua sia in epoca nuragica che successivamente in periodo romano. una civiltà che pone in campo un sistema di fortificazioni (templi, chiese, santuari... fate voi)così esteso e sistematico, non poteva essere così esigua, così come una popolazione numericamente poco numerosa non poteva opporre resistenza a roma per così lungo periodo. Fare un confronto, per supportare una tesi, con il periodo attuale mi pare abbastanza velleitario.
    Giuseppe

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  15. @ Sandro, benissimo sull'interpretazione delle'uso dei villaggi
    cfr Archeologia del Paesaggio Nuragico

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  16. @ Giuseppe:
    Visto che lei ha usato modi cortesi, rispondo a lei: Faccia un confronto - relativamente al medesimo periodo: Bronzo Medio (ma anche B.A, oppure B.R.) - con quelle che sono le densità di popolazione ovunque altrove nel mondo antico. Le comunico (perché è più che evidente che lei non lo sa) che la densità di popolazione in Europa (includendo studi Inglesi, Tedeschi, Francesi, Italiani e Spagnoli, per le rispettive sedi) variava da 1 a 5 uomini per Kmq.
    Le zone più popolate erano tali grazie all'agricoltura che - con i mezzi dell'epoca - era possibile solamente in quelle sedi fortunate della Mitteleuropa, che dispongono di terreni alluvionali estesi, profondi ed irrigui.
    Anche utilizzando il massimo della densità di popolazione (che costituisce un'eccezione e non la regola!) lei otterrebbe 120.000 abitanti in Sardegna.
    Questa cifra sarebbe esagerata per eccesso, perché in Sardegna non c'erano le condizioni favorevoli per quel tipo primitivo di agricoltura.
    Così, mio caro, ho scambiato i miei dati (internazionali) con le sue idee (personali): spero lei sia soddisfatto.
    Ora - se non le dispiace - vorrei avere notizie circa la fonte di dati utilizzata dal prof Ugas.

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  17. Mi scusi non avevo colto la "scientificità" delle sue certezze!
    rivolgendomi ad altri che hanno il piacere del confronto, considero che nell'età del bronzo una popolazione esigua e con scarsi mezzi di sussitenza legati a una agricoltura poco sviluppata non avrebbe potuto essere alla base della civiltà nuragica. Solo con l'eccedenza dei frutti dell'agricoltura e dell'allevamento si può pensare di porre in essere la progettazione, l'edificazione e il raccordo capillare in tutto il territorio sardo delle torri nuragiche.

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  18. Mettere la mia scientificità tra virgolette le serve poco: lei è e resta ignaro di fatti fondamentali.
    Innanzitutto, costruire un nuraghe non richiede folle oceaniche, né tempi biblici: s'informi da sé, perché qui non c'è né il tempo né lo spazio per farlo.
    Le torri non erano diffuse in modo capillare - come lei mostra di credere - bensì erano distribuite secondo gli interessi e le necessità della popolazione e secondo quelli che erano stati gli stanziamenti precedenti.
    Il surplus c'era, certamente, ed è proprio quello che ha permesso la sopravvivenza ed il successo della linea filogenetica dei sardi, attraverso i vari e gravi "colli di bottiglia" e malgrado il loro ridotto numero. Ad esempio, gli Etruschi - molto più numerosi, decantati e noti (anche perché più "storici" dei Nuragici) - si sono praticamente interrotti, mentre i Nuragici sono ancora geneticamente tra noi.
    Come vede, non rifuggo dal confronto: ma se lei non è d'accordo con quanto scrivo, mi porti dati e non "sensazioni" ed "opinioni" infondate (come le sue espressioni: "considero" e "si può pensare" indicano).
    Almeno Archeologia Nuragica mi porta il conforto autoreferenziale del suo testo.

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  19. mi faccia avere i riferimenti dei suoi studi e pubblicazioni sarà mio grande piacere leggerli e trarne illuminazione nel caso. le mie sensazioni e opinioni che lei definisce "infondate" traggono spunto, come ovvio per un cultore della materia, dai maggiori studi sulla civiltà nuragica.

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  20. Caro prof. Ugas,
    i suoi articoli sono sempre interessanti e godibili ma usare le colonne di un blog come fossero quelle di una rivista letteraria del XIX secolo, è quasi come far viaggiare un aeroplano in autostrada sul carrello d'atterraggio anziché farlo volare. Perché lanciare un tema pubblicando un articolo e poi lasciare, scomparendo nel nulla, che la discussione “in diretta”, opportunità preziosa offerta dalla rete e senso sostanziale di un blog, agonizzi lenta per soffocamento? Non ha quasi alcun senso dare poi cortesi risposte sommarie, non lo ha in un blog in cui è anche il divenire di una discussione che crea i temi.
    Le discussioni si possono anche gestire, rispondendo a piacere a chi si desidera rispondere, con le proprie qualsivoglia ragioni, ma un autore che si sottrae del tutto lascia nel lettore un po' di amara delusione, una sensazione di distanza fine a se stessa sempre più, auspicabilmente, anacronistica.

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  21. Prehistoric Demography in a Time of Globalization
    Jean-Pierre Bocquet-Appel and Ofer Bar-Yosef.
    Part I Demographic and Economic Dimensions of the NDT.
    The Expansions of Farming Societies and the Role of the Neolithic Demographic Transition
    Peter Bellwood and Marc Oxenham.
    Explaining the Neolithic Demographic Transition
    Jean-Pierre Bocquet-Appel.
    The Signal of the Neolithic Demographic Transition in the Levant
    Emma Guerrero, Stephan Naji and Jean-Pierre Bocquet-Appel.
    The Nature and Timing of the Neolithic Demographic Transition in the North American Southwest
    Timothy A. Kohler and Matt Glaude.
    The Neolithic Demographic Transition in Mesoamerica? Larger Implications of the Strategy of Relative Chronology
    Richard G. Lesure.
    An Alternative Approach in Tracing Changes in Demographic Composition
    Mehmet Özdogan.
    Zooarchaeological Aspects of the Neolithic Diet Transition in the Near East and Europe, and Their Putative Relationships with the Neolithic Demographic Transition
    Jean-Denis Vigne.
    Impacts of the Neolithic Demographic Transition on Linear Pottery Culture Settlement
    Jérome Dubouloz.
    Part II Settlement and Village Practices.
    A Roof Over One's Head: Developments in Near Eastern Residential Architecture Across the Epipalaeolithic-Neolithic Transition
    A. Nigel Goring-Morris and Anna Belfer-Cohen.
    Demography and Storage Systems During the Southern Levantine Neolithic Demographic Transition
    Ian Kuijt.
    Population Processes and Their Consequences in Early Neolithic Central Europe
    Stephen Shennan.
    Part III Community Size and Social Organization.
    Global Patterns of Early Village Development
    Matthew Bandy.
    Centralized Communities, Population, and Social Complexity After Sedentarization
    Robert D. Drennan and Christian E. Peterson.
    Charming Lives: Human and Animal Figurines in the Late Epipaleolithic and Early Neolithic Periods in the Greater Levant and Eastern Anatolia
    Gary O. Rollefson.
    Evaluating the Emergence of Early Villages in the North American Southwest in Light of the Proposed Neolithic Demographic Transition
    Richard H. Wilshusen and Elizabeth M. Perry.
    Part IV Population Growth and Health.
    Demographic, Biological and Cultural Aspects of the Neolithic Revolution: A View from the Southern Levant
    Israel Hershkovitz and Avi Gopher.
    Implications of the NDT for World Wide Health and Mortality in Prehistory
    Mark Nathan Cohen.
    From Health to Civilization Stress? In Search for Traces of a Health Transition During the Early Neolithic in Europe
    Ursula Wittwer-Backhofen and Nicolas Tomo.
    COMINCI CON QUESTO: POI, PASSIAMO AL BRONZO.

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  22. la densità di popolazione in Europa (includendo studi Inglesi, Tedeschi, Francesi, Italiani e Spagnoli, per le rispettive sedi) variava da 1 a 5 uomini per Kmq.
    Le zone più popolate erano tali grazie all'agricoltura che - con i mezzi dell'epoca - era possibile solamente in quelle sedi fortunate della Mitteleuropa, che dispongono di terreni alluvionali estesi, profondi ed irrigui.



    Io ci andrei piano con questo tipo di studi. Si tratta semplicemente di approcci basati su presupposti più o meno opinabili. Sulla base di ciò si crea un modello che poi tutti gli altri applicano, ognuno per la propria zona di studio. Ed è chiaro allora che i risultati concorderanno fra loro. Ma siamo sicuri che i presupposti siano corretti? Se fosse solo l'agricoltura sui terreni alluvionali ed irrigui (è indubbio che questo incida tantissimo), non mi spiego perchè ancora al tempo dei Romani, nella Pianura padana e nella stessa Mitteleuropa le popolazioni celtiche e germaniche fossero più portate all'allevamento che alla coltivazione. Nè il livello della loro civiltà era poi così elevato. E' evidente che anche il clima mite ha la sua importanza. In Etruria, inoltre, non mi risultano piane alluvionali di una certa importanza. Eppure, quella zona in ogni tempo é stata sempre altamente popolata. A me pare, può darsi che sbagli, che il popolamento umano é molto più complesso di um modello previsionale basato sull'agricoltura più o meno intensiva. Penso ad esempio, al ruolo svolto dalle risorse minerarie, dai commerci, dalla pesca, la presenza di saline etc etc

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  23. Ah, bravo. Hai vinto tu, allora, contro una marea di pecoroni accademici internazionali un po' ritardati.
    Seguirò il tuo saggio consiglio e "ci andrò piano, con un certo tipo di studi"...
    Grazie.

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  24. grazie sandro. leggerò con interesse la nutrita bibliografia! apprezzo sempre chi cita le sue fonti!

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  25. Sandro, spero che tutti gli scrittori citati non dicano la stessa cosa!
    Sarebbe opprimente.
    E non cavartela con un "vai e controlla", perché non so l'inglese.
    Ti risulta che la civiltà si sia sviluppata prima e meglio dove la popolazione era abbastanza rarefatta?

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  26. A Francu: guarda, il mio desiderio principale era solo che Ugas mi rispondesse. Ma so che non lo farà: anche perché credo che non sappia farlo. E anche perché è una domanda un po' periferica all'argomento che lui tratta: questo glielo devo concedere, sportivamente. De minimis non curat praetor: il mio era solo un rimprovero, perché la prossima volta stia più attento.
    Gli autori (Sardi e no) che si sono occupati con credibile successo della società sardo-antica non sono molti: Balmuth, Tykot, Kolb, Perra (i primi che mi vengono in mente al momento). I concetti da far passare sono molti, per descrivere realisticamente la società Sarda, nelle varie epoche: quello di "ondate di popolamento", quello di numero assoluto, quello della cronologia, quello di Chiefdom (con tutto ciò che eventualmente consegue), quello dell'edilizia e della religione, del tipo di economia, dello stato di salute, della derivazione genetica (fin dove possibile) e delle eredità culturali, della lingua, dei rapporti con l'estero e della eventuale antropofagia rituale (molto antica, questa), della quale nessuno ha ancora parlato. Alla tua domanda (che in Inglese si definirebbe una "loaded question")posso solo rispondere che le varie Civiltà si sono sviluppate ed evolute in seguito ad un meccanismo perverso, che non possiamo più fermare e che chiamiamo "progresso". Un processo non solo positivo, anzi, talvolta molto negativo. Cominciò ad accelerare con la prima produzione di cibo, indipendentemente in otto o nove zone del Mondo. La zona più vicina a noi è la Mezzaluna Fertile, nella quale si formarono anche le prime Chiefdom (i Natufiani, prima, poi le altre e più famose mesopotamiche). La produzione di cibo permise un aumento della popolazione (rispetto ai cacciatori/raccoglitori) e questo aumento determinò la necessità di un aumento di produzione di cibo. Lo studio dei meccanismi della Chiefdom è determinante: permette la stratificazione della popolazione e le specializzazioni dei ruoli. Permette le opere pubbliche. Permette l'identificazione distintiva dei suoi componenti a mezzo di simboli identitari. Ma realizza anche un particolare tipo di prigione: i sudditi non possono più fuggire ("circoscrizione") perché non saprebbero più dove andare (non possono fuggire nel deserto ed irrigarlo da soli, ad esempio, né sono più adatti al nomadismo). Tra le righe (e molto in breve, qui) noterai che alcuni elementi descritti sono in comune con elementi riscontrabili in Sardegna. Quindi, in estrema sintesi: le grandi densità di popolazione non sono un requisito necessario per il nascere di una Società con caratteri distintivi propri ed indipendenti. Ma - permettimi di aggiungere - i grandi numeri non appartengono affatto alla Realtà del passato: tutti i numeri reali erano molto, molto piccoli. Il grande esercito invincibile di Sargon di Accad constava di meno di 5.000 soldati..

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  27. Ah, bravo. Hai vinto tu, allora, contro una marea di pecoroni accademici internazionali un po' ritardati.
    Seguirò il tuo saggio consiglio e "ci andrò piano, con un certo tipo di studi"...

    Ho vinto cosa? Io sono abituato a mettere tutto in discussione, compreso quello che dico io. Tu invece ti adegui pedissequamente a quello che dicono gli accademici internazionali. Insomma, sei per l'ipse dixit. Mi sa che allora il pecorone sei tu, che segui dova va il capobranco. Anzichè fare il portavoce di altri, sforzati di dire cose tue. Che almeno cresci.

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  28. E ti dirò di più. Tu non sai quanto io apprezzi quel genere di lavori, che definisci di accademici internazionali. Si tratta chiaramente di uno sforzo che si compie, e che poi sarà via via migliorato includendo un numero sempre maggiore di variabili. Guai a considerare quei risultati come qualcosa d'inamovibile e definitivo. Sono certo che gli stessi Autori non li considerino tali.

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  29. Maimone: bravo ancora. Vinci sempre di più. Ti ammiro davvero!

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  30. Mi pare di capire che tutta la tua supponenza é già finita alla prima obiezione. Carenza di argomenti?

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  31. Leggo solamente ora buona parte dei commenti all’ultimo articolo di Giovanni Ugas. Dei trentuno attuali ne avevo letto una decina. Sono rimasto senza parole, esterrefatto, di fronte alla preparazione di Sandro. Nel riprendermi , una considerazione è stata immediata: ora capisco il fallimento dell’”Accademia” e la pervicacia di Ugas nel non rispondere. Capirete, privarsi di cotanto senno e insistere nell’ostracismo non può che condurli alla rovina. Francu teni passientzia, su piciocu est superonniu.

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  32. X Elio

    Non capisco che gli ha preso a Sandro. Ho semplicemente obiettato qualcosa su quanto da lui affermato. E mi pare di averlo fatto in modo sereno e senza toni provocatori, che non fanno parte del mio carattere. L'obiezione che ho posto può essere più o meno valida. Dalla sua sua risposta avrei potuto convenire oppure no. Peccato che, anziché una risposta nel merito, ho ottenuto una risposta del tipo: tu non puoi discutere gli studi di cotanti accademici internazionali. Li devi accettare tout court. Questa non mi pare una risposta seria. Fermo restando che al sottoscritto gli accademici internazionali non fanno né caldo né freddo (ce ne sono bravi, così così e scarsi, come dappertutto, e lo dico con cognizione di causa), io sono intervenuto sul merito delle "sue" affermazioni, e su questo avrei gradito una risposta. Se non me la vuole dare, pazienza. Me ne farò una ragione. Ma non può pretendere di cavarsela con frasi ironiche del tipo: complimenti hai vinto. Vinto cosa? Se avessi saputo di partecipare ad una gara, mi sarei allenato meglio.
    A me Sandro pare una persona preparata, che ha probabilmente agganci notevoli con l'ambiente archeologico. Però mi pare che abbia un difetto: gli piace parlare ex cathedra ma non sopporta le domande degli allievi. Insomma, un difetto piccolo quanto basta. Mi fa venire in mente gli apprendisti stregoni, quelli che appena imparata la danza della pioggia provocano un diluvio, perchè non conoscono la danza per farla smettere.

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  33. verso il 2000 ac. o per correttezza -0 quando gli "ittiti", parlanti una lingua indoeuropea arrivarono in asia minore, trovarono i luoghi alquanto poveri di popolazione, tant'è che leggendo le loro gesta, ci raccontano della conquista delle cosiddette (da loro) città o fortificazioni che trovarono al loro passaggio, ci raccontano degli eroismi del loro esercito nella conquista e nel fare prigionieri in queste nuove contrade, città che avevano 30,60 massimo 100 abitanti.
    Ma questo è stato per un lungo periodo la normalità in quasi tutto il mondo conosciuto di allora, qui ci stiamo dimenticando della grande catastrofe che colpì forse un millennio prima tutta la terra, compresa la mezzaluna fertile.
    Studi sulle popolazioni che non tengono conto dei periodi di freddo che colpirono la terra e dello scioglimento dei ghiacci nei vari periodi non mi convincono per niente.
    Eppure ci sono le testimonianze dei miti della grande catastrofe, ma sopratutto i risultati di anni di scavi e raffronti idrogeologici che ci fanno capire la realtà dei tempi.
    Se si avesse l'accortezza di comparare i periodi storici con i periodi climatici allora si si avrebbe una scentificità costruita su dati prossimamente al reale e non puramente teorico.
    L'enorme inondazione che ha riempito il mediterraneo passando per il riempimento del mar nero.

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  34. ha di fatto portato ha un collasso nelle popolazioni di allora.

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  35. Sandro, Elio: io volevo sdrammatizzare per un momento, visto che stava salendo la pressione.
    Per questo ho fatto una domanda metafisica sullo sviluppo della civiltà che molti, nei libri di storia dico, confondono con progresso, tecnologia, potenza militare e via di seguito.
    Civiltà è saper vivere in comunità indirizzando per vie pacifiche i contrasti sociali.
    Sono sicuramente più civili le tribù sperdute del bacino amazzonico della intelleghentzia americana, francese, russa, ecc., che non vedono l'ora di graffiare a destra e a manca, visto che si son fatti crescere le unghie.

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  36. @ Sandro,
    mi farebbe piacere sentire una tua critica al mio Archeologia del Paesaggio Nuragico,

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  37. Archeologia Nuragica: avremo modo d'incontrarci, credo. Per esempio a San Teodoro nei prossimi due / tre mesi so che sarà presentato un libro su argomenti di comune interesse. Ci sarò. Potremo parlare di persona, con le zampe sotto ad un tavolo, che è sempre il modo migliore di farlo: ci si capisce meglio che non per iscritto.
    Oppure in qualsiasi altra occasione, dribblando i trunca buttones, naturalmente (vedi: il commento eliminato è il mio ed era per Pietro Murru, dopo le sue lepidezze gentili e del tutto superflue. Peccato che lo abbiano eliminato, perché era geniale e divertente, oltre che molto calzante sul soggetto).

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  38. Geniale?! Posso immaginare... Va bene, “trunca buttones” me lo posso anche prendere, però funziona così: se si lascia un commento in un blog, può pure capitare che qualcuno che si trova a passare di li ne sottolinei qualche aspetto. Così va il mondo.

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