Da "La Sardegna - I tesori dell'archeologia" a cura di Alberto Moravetti. Ed. La Nuova Sardegna |
Caro Gigi Sanna
Sai che cosa distingue un archeologo professionale da un cialtrone, delirante, ciarlatano, visionario, fantasioso elucubratore (cancellare le voci che non interessano)? La capacità di sintesi. Per parlare del masso di Nurdole riprodotto anche nella foto accanto, tu hai impiegato 5.538 parole; l'archeologa che ne parla nel volumetto curato da Alberto Moravetti (“La Sardegna – I tesori dell'archeologia”) impiega 29 parole: “Tempio nuragico di Nurdole: blocco di trachite con superficie decorata da una composizione di motivi geometrici incisi, proveniente dal coronamento del nuraghe trasformato in luogo di culto. Età nuragica”.
Tu dirai (anzi lo hai scritto) che non è vero, che quei motivi geometrici incisi sono ben altro che semplici motivi geometrici e che come ce li hai visti tu, a maggior ragione avrebbe dovuto vederceli chi per professione ha l'obbligo, se non altro morale, di andare oltre l'apparenza. Ma perché sovraccaricare la mente dei lettori di nozioni che creerebbero confusione? Lo ha detto anche il sottosegretario dei Beni culturali che non esiste scrittura di età nuragica “anche perché, come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura”. E lui è uomo di governo, mica bruscolini.
Sintesi, mio caro, sintesi ci vuole. Del resto, non viene da quegli ambienti l'assicurazione che la barchetta nuragica di Teti non esiste? Non è che vogliono nascondere qualcosa: è solo per amor di sintesi che si nega l'esistenza di una cosa abbondantemente fotografata e vista nuovamente qualche mese fa. Lo sai, del resto, “de su nono non si tinghet papiru”.
Per fortuna, grazie alla sintesi, ci hanno risparmiato la "verità scientifica" sull'uso cui era destinato il masso, insieme alle altre pintadere: fregiare i pani e/o le guance delle femmine nuragiche nei gorni di festa. Allalà!
RispondiEliminaFrancu, non rallegrarti troppo. Di questo non so, ma di altri massi di Nurdole si dice proprio così, che "sono decorati con un motivo radiale tipico delle pintadere fittili usate come timbri per decorare pani rituali o tessuti"-
RispondiEliminaE Io che vi avevo detto?
RispondiElimina- ARRODAS DE TEMPUS (per me) o
- TIMBRI PER BISCOTTI (per Loro)
Non si scappa!
leonardo
Caro Gianfranco. Mi sono stancato di dire che cosa sono. Non arriveranno mai a capire certe cose. Ho detto con chiarezza perchè e ho fatto nome e cognome. Per loro la scrittura è gioco epigrafico di qualche Domenica tra bambinoni . E non è una battuta, anche se può sembrare. Non tutti però sono così. A partire da G.Lilliu. Li aveva avvertiti i supponenti, come sai, affermando (e riferendosi ai miei studi) che sulla 'scrittura la verità gli archeologi non potevano sostenere di averla in tasca'. Perchè proprio il mestiere di archeologo, con le sorprese quasi a tutte le ore, non lo consentiva. Certo, come dice Aba, anche il 'Sardus Pater' sulla materia ha le sue brave colpe, anche perchè durante la sua attività di archeologo qualche indizio (e forse più di uno) c'era. Ma ormai era tardi e a novanta anni suonati non era più possibile affrontare se non con superficialità un argomento così complesso. Però, colpe o non colpe, lo scienziato di classe si è mantenuto tale e se ne è ben guardato dall'offendermi. La Mongolfiera invece sì; si è sentita autorizzata e mi ha dato il titolo che mi ha dato, pubblicamente; poi vista una certa reazione corre da te a piagnucolare, quasi non dorme, perchè gli ho detto papale papale che è un gradasso. Lo consideri un titolo nobiliare. Meritava ben altro! Ma come si permette! Proprio lui, 'imboscatore' (l'aveva o non l'aveva per vent'anni e più quel reperto?) di oggetti scritti nuragici e supercampione di proto-ugaritico!
RispondiEliminaRipeto però. Mi sono rotto le balle pestando la stessa acqua. E mi rendo conto di dar loro troppa importanza. Il 'logo' del Museo di Nuoro li soddisfa in quella bella sintesi del piffero? Che ci posso fare! Contenti loro...Consiglio però al direttore del Museo di meditare almeno un po' sul valore aggiunto della 'decorazione' e di non prendermi sottogamba.
Ma neppure le lettere cadmee piovevano in Grecia dal cielo: chè pare venissero da Creta, secondo il mito dei 'mercanti' poi sacerdoti del Lossia. Tanto questo è vero che esse influenzarono quelle dell'oracolo di Pito e poi tutto l'alfabeto greco successivo. Ma la Mongolfiera è un retore e con la retorica rozza (dall'alto...dal basso: che pena!) si prendono in giro, ma solo per qualche istante, solo gli ingenui. Certo che dal ...basso le plance di Lilliu non le ha fatte vedere. Sono rimaste basse basse, sotto sotto. Nel bosco più fitto. Perchè i dubbi di Lilliu sulla scrittura di Barumini (di cui tutti sanno) devono restare nascosti. Neanche una parola. Non si sa mai! Che schifo di mostra! Non c'era neanche la lametta d'oro scritta di Pirosu su Benatzu di Santadi. Nuragica nuragica e con contesto! Sì, che schifo di mostra! Non si mettono in mostra neppure gli oggetti che sono già (in bella mostra) al Museo Nazionale di Cagliari.
RispondiEliminaSe poi l'allusione fosse alle lettere 'cadmee' semitiche sarde allora peggio: si trattererebbe di un vero paracarro e non di un paragone. Perchè non arrivò qui con la scrittura Cadmo ma ci arrivarono prima i mitici shardan: ben altro popolo e ben altra gente. E poi, mica i sardi autoctoni indoeuropei sono rimasti a guardare! O a scimmiottare come vorrebbe qualcuno che ha un alto concetto dell'intelligenza dei sardi nuragici nell'età del loro massimo splendore.
RispondiEliminaBasta però, Aba, ti prego.Lasciali nel 'basso' dove sono. Il volo dei cormorani e l'attitudine degli struzzi, l'ho detto altre volte, non ci interessa. Lavoriamo e freghiamocene. 'Non ti curar di lor....