Nelle riforme istituzionali, il Governo sardo ha deciso di cominciare dalla coda con un provvedimento che puzza di demagogia: ridurre da 80 a 60 il numero dei deputati regionali. Quel che dovrebbe avvenire a conclusione di un processo di riscrittura dello Statuto sardo rischia così di diventare il nucleo della riforma e di prefigurare un nuovo Parlamento che si snellisce per favorire i grandi schieramenti e per fare a meno della rappresentanza delle minoranze. Proprio un pessimo inizio, insomma.
Nessun dubbio, naturalmente, che sia necessario ridurre i costi della politica e con questi il numero degli eletti. Nella proposta di nuovo Statuto del Comitato di cui altre volte si è parlato, abbiamo scritto, all'articolo 13: “Il Parlamento sardo è composto da 60 Deputati; comprende il Governatore e il Vicegovernatore, che vengono eletti nella Circoscrizione elettorale regionale, e 58 Deputati eletti nelle Circoscrizioni elettorali provinciali”. Che cosa c'è di diverso dal disegno di legge del Governo sardo? C'è che tutto questo è dentro un quadro che stabilisce cosette come la distribuzione dei poteri e delle competenza fra la Sardegna (tutti quelli che le servono) e lo Stato (gli altri quattro). Si definisce, insomma, a che cosa serve il futuro Parlamento dei sardi. Lì, invece, si stacca la coda della lucertola, nell'illusione che continui a muoversi da sola indefinitivamente.
Contro la decisione della Giunta Cappellacci hanno preso cappello in molti, alcuni con buone motivazioni altri con prese di posizione che rasentano l'impudicizia. Fra questi si segnalano particolarmente il capogruppo del Pdl. Mario Diana (“Il metodo unitario rischia di essere vanificato da questa iniziativa della giunta”) e, soprattutto, il presidente e il vicepresidente della Commissione autonomia. Pietro Pittalis del Pdl il primo, Tarcisio Agus del Pd, il secondo, hanno bocciato la decisione della Giunta, rivendicando il “ruolo costituente” della Commissione da loro diretta.
I tre sembrano dotati di buon senso e così sarebbe se davvero il “metodo unitario” evocato dal dirigente del più grande partito avesse prodotto qualcosa di più del vuoto pneumatico e se la maggioranza e l'opposizione avessero dato segni di esistenza in vita riguardo al nuovo Statuto. Dopo quel che a settembre 2010 fu pomposamente definito “Stati generali” c'è stato solo silenzio. E nel frattempo, a Roma, va avanti il cosiddetto federalismo fiscale che rischia di condizionare in modo drammatico l'iniziativa, se e quando ci sarà, del Consiglio regionale.
Ma la palma della impudicizia spetta di diritto ai due responsabili bypartisan della Commissione autonomia. A quest'organo del Consiglio fu affidato il 18 novembre il compito “1) di provvedere entro novanta giorni ad istruire ed elaborare un percorso costituente finalizzato alla riscrittura dello Statuto nel quadro delle disposizioni dell'articolo 54 dello Statuto stesso, avvalendosi anche di contributi tecnici altamente qualificati da individuarsi ai sensi dell'articolo 42 dello Statuto;
2) di avviare immediatamente, al suo interno, un confronto per l'individuazione puntuale dei temi delle riforme secondo i diversi ambiti: legge statutaria per i rapporti fra organi statutari, legge elettorale, incompatibilità ed ineleggibilità; riflessi sull'organizzazione regionale, la sua struttura e le funzioni ad essa attribuite;
3) di operare in ogni fase secondo un metodo unitario, eventualmente integrando la propria composizione, in modo da garantire la rappresentanza di tutte le forze politiche al massimo livello;
4) di esprimere la volontà del Consiglio attraverso la predisposizione di un ordine del giorno da approvare ai sensi dell'articolo 51, primo comma dello Statuto speciale.”
Di giorni sono passati non novanta, ma 128 e nemmeno uno dei quattro mandati è stato attuato. Ancora di più: non c'è alcun segnale di attività. Che so? Qualche mormorio che significhi “Abbiamo cominciato”. Anzi no, un segnale c'è stato. La Commissione autonomia, quella che, come dice il suo oggetto sociale, dovrebbe difendere l'autonomia sarda, un atto l'ha compiuto: ha adottato senza neppur cambiarne una virgola, senza adattarla alla nostra realtà, una legge dello Stato che taglia il numero dei consiglieri comunali. Nessun obbligo; poteva considerare (agendo di conseguenza) che Pompu è diverso da Roma e che quel che può andare bene in una grande città non va bene in un piccolo centro sardo, ma non l'ha fatto.
Un dubbio, così, mi si affaccia alla mente: è se Cappellacci e i suoi assessori hanno voluto mandare un avvertimento a questa palude irresponsabile? Tipo: se non vi date una mossa, sarà il Governo sardo a presentare una proposta di nuovo Statuto. Troppo azzardato come dubbio? Forse, ma...
Podimos istare pius che siguros chi sos politicandes nostranos non movene unu pilu pro sa limba Sarda, suni interessados a cosas pius lucrosas pro sa buscacca issoro.
RispondiEliminaQualche tempo fa, non molto , meno di un mese, un rappresentante ai livelli più alti del governo sardo, in una sala grande e gremita in cui si era discusso di “Chi salva la politica?”, dopo aver ascoltato quadri politici di livello diverso, sindacalisti, operai, imprenditori e varia umanità, ebbe a dire in conclusione dell’incontro: “Gesù Cristo”. Scritto così, si potrebbe pensare a una battuta poco rispettosa nei confronti dei credenti. Dite la verità, chi non ha pensato che volesse dire: “Mancu Gesu’ Cristu torrau in terra nc’iat a arrennesci!”? e invece no, Il suo discorso era ben altro! Di fronte a una platea attonita – in cui i tacchi alti e le gonne con gran spacco, se non materialmente, erano ficcati nell’immaginario di buona parte delle presenti, la libertà di farsi i cazzi più convenienti era nella mente di altrettanta parte dell’altra metà del cielo – l’uomo ha tirato fuori un coraggio sorprendente. Non entriamo nel merito delle convinzioni di quel politico, una cosa però mi sento di dire: la politica si salva col coraggio delle proprie idee e delle proprie azioni e non con i retro pensieri di quanto consenso, immediatamente, possano portare. Sommessamente al nostro amico, al mio amico, vorrei ricordare una cosa: Gesù Cristo, la Croce, è andato a cercarsela, non ha aspettato che gliela caricassero sulle spalle. Senza fare paragoni blasfemi, il Nuovo Statuto della Sardegna sembrerebbe una croce mica da poco.
RispondiEliminaNon sò Gianfrà, e se fosse solo una trovata propagandistica per le imminenti comunali?
RispondiEliminaAdriano Bomboi
Si potrebbe anche dire che sicuramente c'è chi vuole tutto del nuovo Statuto sardo, meno la coda, ossia perdere sa cadrea de cussizzeri regionale.
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